Contese per li Visitatori Appostolici mandati dal Papa nel Regno; e per le proibizioni fatte a' Laici citati dalla Corte di Roma, di non comparire in quella in modo alcuno.
Il costume di mandarsi dal Pontefice romano in queste nostre province, come Suburbicarie, i Visitatori Appostolici, fu molto antico: abbiam rapportato nel X Libro di questa Istoria, che Papa Niccolò II diede questo carico a Desiderio, celebre Abbate di Monte Cassino, per la Campagna, Principato. Puglia e Calabria, che come Legato della Sede Appostolica visitasse tutte le Chiese e Monasteri di quelle province; e lo stesso si praticava nell'altre province d'Europa. Ma quanto danno questi Legati portassero alle Province lor commesse, fu ben a lungo ivi da noi narrato, tanto che vennero in tal orrore nella Francia e negli altri Regni, che ne furono discacciati, e con severi editti proibito, che più non s'ammettessero.
I primi nostri Re Normanni, per ciò che s'attiene al Regno di Sicilia, vi diedero qualche rimedio, e per la famosa Bolla di Urbano II fondamento di quella Monarchia, per la quale il Re era dichiarato Legato della S. Sede, non furono più ricevuti in quell'Isola. Ma la nostra Puglia e la Calabria, sotto i quali nomi eran comprese allora tutte le altre province, che oggi compongono il Regno di Napoli, rimasero nella disposizione antica. Quindi avvenne, che nella pace fatta in Benevento nel 1157, tra il Re Guglielmo I con Papa Adriano IV, intorno a questi Legati, fosse per la Sicilia convenuto, che la Chiesa Romana potessevi avere le elezioni e consegrazioni nella forma ivi descritta, excepta appellatione, et Legatione, quae nisi ad petitionem nostram, et haeredum nostrorum, ibi non fiant. Della Puglia però e della Calabria si convenne in cotal guisa: Consecrationes, et visitationes libere Romana Ecclesia faciet Apuliae, vel Calabriae Civitatum, ut voluerit, aut illarum partium, quae Apuliae sunt affines, Civitatibus illis exceptis, in quibus persona nostra, vel nostrorum haeredum in illo tempore fuerit, remoto malo ingenio, nisi cum voluntate nostra, nostrorumque haeredum. In Apulia, et Calabria, et partibus illis, quae Apuliae sunt affines, Romana Ecclesia libere Legationes habebit . Fuvvi con tutto ciò data qualche provvidenza intorno ad evitar i danni, che seco portavano tali Legazioni alle Chiese del Regno, con soggiungervi: Illi tamen, qui ad hoc a Romana Ecclesia fuerint delegati, possessiones Ecclesiae non devastent.
Con tutto che potesse la Chiesa di Roma liberamente mandar nel Regno questi Visitatori, o Legati, non si trascurò però mai d'invigilare sopra le Commessioni, che portavano. Erasi alle volte veduto, che eccedevano i confini d'una potestà spirituale, e sovente mettevan mano sopra persone laiche, e perciò doveano presentarsi ed esporsi all'esame, a fin di potersi eseguire; ond'eravi bisogno del Placito Regio, siccome in tutte l'altre provvisioni, che venivan da Roma, e tanto più se le Commessioni erano per la città di Napoli, già dichiarata Sede Regia, ove i Re aveano fermata la loro residenza, e da poi in lor vece i Vicerè loro Luogotenenti.
Nel Pontificato di Pio V, mentr'era il Regno governato dal Duca d'Alcalà, la Corte di Roma, abusandosi di questa facoltà, tentava intorno a ciò far delle sorprese; poichè il Papa avea spedito un Breve al Vescovo di Strongoli, col quale come suo Delegato e della Sede Appostolica, gli dava commessione di poter visitare alcuni Vescovadi ed Arcivescovadi, dei quali ve n'erano alcuni di Patronato Regio, come di Salerno, Gaeta e Cassano, insieme con tutte le Chiese d'essi, e tutte le persone Ecclesiastiche, eziandio quelle ch'erano esenti dalla giurisdizione dell'Ordinario. Parimente in una Bolla separata davansi al medesimo Vescovo molte istruzioni pregiudizialissime alla giurisdizione e preminenze regali; poichè si toccavano anche i laici, si dava facoltà al medesimo di poter visitare gli Ospedali, esiger conto delle loro rendite e proventi, ancorchè fossero amministrati da' laici; ma quel che sopra tutto era intollerabile, si fu, che il Vescovo teneva istruzione segreta ed ordine del Papa di dover eseguire queste commessioni, senza dimandarne Exequatur; ed avea già cominciato, senza richiederlo al Vicerè, a visitare alcune di quelle Chiese. Il Duca d'Alcalà con maniere pur troppo dolci e gentili, fece avvertire al Vescovo, che non eseguisse queste sue commessioni senza chiederne Exequatur; e poichè egli diceva, che teneva ordine di Sua Santità che non lo pigliasse, se gli replicò, che s'astenesse intanto d'eseguirlo, fin ch'egli non ne informava Sua Maestà, con supplicarla di non voler permettere questa novità nel Regno. Se ne astenne perciò il Vescovo, ed in tanto il Duca scrissene in Roma all'Ambasciadore del Re; scrissene al Commendatore D. Ernando Torres, ed ancora al Cardinal Alessandrino, perchè s'interponessero col Papa per far ordinare al Vescovo, che pigliasse l'Exequatur, nè permettesse, che in suo tempo si avesse a soffrire questo pregiudizio. Ma 'l Pontefice Pio, alterandosi alle dimande fattegli, non volle consentirlo; tanto che postosi l'affare in trattato col Nunzio di Napoli, si concertò un nuovo modo da tenere, ma nemmeno fu trovato di soddisfazione del Nunzio; onde obbligarono il Vicerè d'unire tutto il Collaterale, così di Giustizia, come quel di Stato, e di farne a' 29 dicembre del 1566 una piena Consulta al Re Filippo, nella quale con somma premura pregavalo a considerare li tanti pregiudizj, che poteva ciò apportare alla sua Regal Giurisdizione, e che con celerità gli ordinasse quel che dovea eseguire, tanto ne' casi suddetti, quanto negli altri simili, che alla giornata potevano occorrere; tanto maggiormente, che il Papa minacciava di voler proibire la celebrazione de' Divini ufficj nel Regno, con ricordare e nominare sempre le scomuniche, che sono nella Bolla Coenae.
Re Filippo, seriamente considerando l'affare essere di somma importanza, scrisse premurosamente al suo Ambasciadore in Roma, che impegnasse tutti i suoi talenti con vigore, sicchè il Papa s'acquietasse al modo concertato in Napoli, di spedirsi lettere esecutoriali, conforme alla minuta offerta dal Vicerè, di che finalmente il Pontefice si contentò, levandosi solamente alcune clausole, e che quelle s'indirizzassero generalmente ad ogni persona, senza toccare in quella, nè Ecclesiastici, nè Secolari. Scrisse parimente il Re al Duca d'Alcalà, che non facesse permettere visite degli Ospedali, che sono istituiti ed amministrati da persone Secolari; molto meno del Monastero di S. Chiara, ed in tutte l'altre cose, che appartengono a Padronato Regio e preminenza regale: resistesse alle istruzioni del Vescovo di Strongoli in tutti quelli capi, che toccavano i laici; ed in fine, che colla sua prudenza, e saviezza valendosi delle vie e mezzi, che più gli pareranno convenire al suo regal servizio, proccurasse con tutta la modestia trattare col Pontefice il giusto e 'l convenevole. Il Duca portossi con tal desterità ed efficacia, che ridusse il Nunzio, in commessioni simili, a dimandar l'Exequatur; ed i Vicerè suoi successori non permisero per ciò mai a' Visitatori Appostolici eseguire le loro Commessioni, se non presentate prima, e trovatele a dovere, loro si concedeva l'Exequatur, sempre però colla clausola, che potessero eseguirle contra le persone Ecclesiastiche, e sovente si moderavano quelle Commessioni, che erano riputate pregiudiziali alle preminenze regali ed a' diritti del Regno.
Ma affare più difficile e scabroso ebbe a trattare questo Ministro nel medesimo tempo col Pontefice Pio. Avea egli mandato in Napoli per suo Nunzio Paolo Odescalchi; a costui oltre delle Commessioni dategli degli Spogli, e delle Decime, e di ciò, che concerneva in generale il suo Ufficio, avea anche spedite Commessioni particolari per altre cause fuori degli Spogli, fra l'altre, se gli dava potestà di far inquisizione e conoscere delli beni ecclesiastici malamente alienati in questo Regno da anni cento in qua, delle nullità ed invalidità di dette alienazioni, benchè fossero confermate dalla Sede Appostolica, o suoi Commessarj: di conoscere anche delle indebite occupazioni e ritenzioni di detti beni, e quelli trovatigli malamente alienati ed occupati, reintegrarli al dominio di quelle Chiese, dalle quali apparissero alienati e distratti: con potestà di astringere li possessori di quelli, senza far distinzione di persone Ecclesiastiche, o Secolari, non solo alla restituzione di que' beni, ma alla soddisfazione de' frutti da quelli pervenuti.
Il Nunzio presentò al Vicerè tutte queste sue Commessioni: alle regolari fu data licenza d'eseguirle colle solite condizioni e limitazioni; ma per quest'ultima fugli assolutamente proibito di poterla eseguire, e gli fu negata ogni licenza. Il Nunzio della risoluta resistenza ne diè avviso in Roma, e dall'altro canto il Duca ne fece a' 28 febbraio del 1568 una piena Consulta al Re, nella quale seriamente l'avvertiva, che l'esecuzione di quella era pregiudizialissima alla Regal Giurisdizione, e che sarebbe stato il medesimo, che vedersi eretto nel Regno un nuovo Tribunale Ecclesiastico contra i laici, e contra l'antico costume, avendo sempre i Tribunali Regj proceduto in queste cause contra i laici convenuti, conforme alla regola, che l'Attore debba seguire il Foro del Reo, ministrando alle Chiese e persone ecclesiastiche, che tali e simili litigj hanno intentato contra quelli, complimento di giustizia, nè s'è mai permesso, che contra laici in simili cause avessero proceduto Giudici Ecclesiastici, tanto Ordinari, quanto Delegati Appostolici. Soggiungendogli, che il Pontefice Paolo III, avendo tentata la medesima impresa, destinando in questo Regno Giudici con simili Commessioni, e spezialmente quest'istesso Paolo Odescalchi, che al presente era venuto per Nunzio, portando simile Commessione a tempo, che governava questo Regno il Cardinal Pacecco, gli fu denegata licenza d'eseguirla, e lo stesso anche praticossi con Giulio III, che se ciò potesse aver luogo, saria lo stesso ch'ergere un Tribunal nuovo di Giudici Ecclesiastici in questo Regno, giammai costumato: e da ciò ancora ne nascerebbero grandissime perturbazioni a la quiete e tranquillità pubblica: ne seguirebbero grandissimi danni e dispendj a' sudditi, dovendosi porre sossopra le alienazioni de' beni Ecclesiastici fatte da tanto lungo tempo, d'anni cento, non solo ad istanza di Parte ma ex mero officio e per inquisizione, come s'esprime in detta Commessione. Per li quali motivi, gli altri Pontefici predecessori cessarono da tal impresa, nè procederono più oltre; e che perciò la Maestà Sua dovea interporre tutta la sua regal autorità col presente Pontefice, affinchè facesse desistere il Nunzio da tal pretensione come gli altri suoi Antecessori aveano fatto. Il Re per queste forti insinuazioni fece sì, che la visita e commessione del Nunzio Odescalchi non avesse effetto: il Papa lo richiamò, ed a' 9 febbraio del 1569 ne mandò in Napoli un altro.
Ma non per questo pose la Corte di Roma in abbandono l'impresa; si tentarono in appresso modi pur troppo vergognosi. Il Cardinal Morrone con Ernando de Torres posero in trattato l'affare in Roma, e consultarono insieme un espediente, che siccome lo qualifica questo Cardinale in una sua lettera, che a' 18 agosto del seguente anno 1570 scrisse al Vicerè, era non solo di maggior servizio di Dio, ma di sommo onore ed utile di Sua Maestà e di gran lode de' suoi Ministri. Il Cardinal si arrossì forse in questa sua lettera specificar al Duca questo espediente, ma glie lo fece scrivere da D. Ernando, il quale accludendogli la lettera del Cardinale, l'avvisava, che pur che facesse egli eseguire nel Regno la Bolla di conoscere delle cause de' beni malamente alienati delle Chiese, il Cardinale gli avea detto, che di tutto quello si ricupererà, daranno il terzo a Sua Maestà, e che il negozio si tratterebbe nel Regno, come quello della Fabbrica di S. Pietro, coll'intervento di quelle persone, ch'esso Vicerè resterà servito deputare, e che senza dubbio toccheranno a Sua Maestà più di centomila ducati, e che sarà molto grande il servizio, che perciò si farà a Dio, alle Chiese, all'anime di quelli, che al presente possedono questi beni ingiustamente ed indebitatamente, al Papa ed alla Fabbrica di San Pietro; che perciò gli pareva, ch'esso Vicerè dovesse dar a ciò orecchio, perchè sarebbe con ciò anche padrone di potere gratificare alcuni Baroni: gli scrive ancora, che il Cardinale gli avea detto, che il Papa aveagli comunicato, che consimile Bolla mandava in Ispagna, siccome ancora avea fatto per tutta Italia.
Il Duca d'Alcalà scandalizzato di ciò, non rispose altro, che ne avrebbe avvisato Sua Maestà per attendere la sua deliberazione, non potendo da se risolvere; onde a' 12 Ottobre del medesimo anno mandò una piena Consulta al Re, avvisandolo minutamente di tutto ciò, con inviargli ancora le copie delle lettere del Cardinale e dell'Ernando, non lasciando d'insinuargli gli inconvenienti e pregiudizi, che sarebbero seguiti, concedendosi tal licenza con modi così scandalosi.
Il savio Re Filippo abbominando l'offerta, ed insieme arrossendosene, rispose, a' 7 marzo del 1571, al Duca, che non conveniva a lui d'entrare in questa pratica; che perciò andasse dilatando la risposta, ed essendo obbligato a darla, senza dar ad intendere che avesse scritto cosa alcuna di ciò a lui, e facendosegli nuove istanze, rispondesse, che avendo da poi meglio considerato l'affare, non gli era parso darne parte a Sua Maestà; ma considerati i tanti inconvenienti e di grandissimo momento, che potevano nascere e per gli esempi altre volte praticati, avea risoluto per li medesimi rispetti seguitargli, e di non far su ciò, durante il suo governo, novità alcuna: che questa sua risoluzione la facesse intendere al Cardinale per la medesima via di D. Ernando ed in cotal maniera facesse terminare questo negozio e questa pratica. Così fece il Duca, ed in cotal maniera si pose fine al trattato; e siccome in que' pochi mesi, ch'egli sopravvisse, (poichè poco tempo da poi fu dalla morte a noi involato) non fu introdotta novità alcuna, così diede esempio agli altri Vicerè suoi successori di resistere sempre a simili imprese della Corte di Roma, i quali non solo obbligarono tutti i Visitatori Appostolici a non eseguire le loro commessioni senza Regio Exequatur; ma, quando accadeva concedersi, si dava sempre colla clausola: Quo ad Ecclesias, et beneficia Ecclesiastica, et quo ad bona, et possessiones contra personas Ecclesiasticas tantum; et dummodo non operetur directe, nec indirecte contra personas laicas; neque super Praelaturis, Beneficiis, Monasteriis et Ospitalibus et Cappellaniis, quae sunt sub protectione regia. Ed oltre a ciò s'usava molta vigilanza, affinchè i Commessarj destinati da questi Visitatori non angariassero con estorsioni e gravezze l'istesse persone Ecclesiastiche.
Resistè parimente questo Ministro con vigore agli attentati della Corte di Roma, che s'arrogava sovente di citar persone laiche, anche sudditi e Feudatarj del Regno per cause ecclesiastiche e temporali a dover comparire, tuttochè rei, in Roma in quel Tribunale, dovo venivano citati. Ancorchè il Re Ferdinando I, a' 24 aprile del 1474, con particolar Prammatica avesse sotto pena di confiscazion di beni, rigorosamente proibito di comparirvi, ed il Re Federico con molto vigore avesse fatto valere nel suo Regno quella Prammatica, siccome sotto l'Imperador Carlo V fece ancora il Conte di Ripacorsa, mostrando gran risentimento per una citazione fatta da Roma al Duca d'Atri; con tutto ciò nel Pontificato di Pio V, non s'astenevano i Tribunali di Roma di tentarlo: non se n'astennero nel 1567 con Marcello Caracciolo, il quale ad istanza del Fisco della Sede Appostolica fu citato a comparire in Roma ed a rilasciare il Casal di Monte d'Urso vicino a Benevento con suoi vassalli e giurisdizioni. Giancamillo Mormile, figliuolo di Cesare, per una causa della lumiera, che possedeva nel Lago d'Agnano, patì lo stesso; e così parimente l'Università di Montefuscoli, terra allora del Marchese di Vico, la quale fu interdetta e sospesa da' Divini ufficj, perchè citata in Roma a dover rilasciare alcuni territori, non volle ubbidire. Ma quel che era insoffribile, si allegava per causa di poter comandare, citare ed astringere i laici del Regno, l'essere questo soggetto alla Sede Appostolica. Il Duca d'Alcalà non potè soffrire questi abusi, con vigore gli ripresse, e mandò tre Consulte al Re Filippo, dove con premura grande l'avvisava de' pregiudizj e pregava dovervi dar pronto e vigoroso rimedio.
Dall'aver con tal vigore il Duca combattuto questo temerario ardire della Corte di Roma, ne nacque, che i Vicerè suoi successori, animati ancora dalla volontà del Re già pienamente informato dal Duca, vi usarono ogni vigilanza e rigore; onde il Duca d'Ossuna fece nel 1582 carcerare un Cursore, che avea avuto ardimento di citare Madama Margherita d'Austria sorella di D. Giovanni d'Austria, la quale dimorava nella città dell'Aquila, statale assignata per sua dote, con imporsele, che comparisse in Roma per una lite mossale dalla Regina vedova di Francia. Ed il Conte di Benavente ne fece maggiori risentimenti, perchè essendo stati citati in Roma il Duca di Maddaloni sopra un Juspatronato Baronale ed il Marchese di Circello per la Bagliva della sua terra del Colle, pretesa dal Cardinal Valente, come Abate di S. Maria di Carato, ne fece grave rappresentazione nel 1605 in Ispagna al Re Filippo III, dal quale fugli risposto con sua lettera de' 18 marzo del 1606 che non permettesse far comparire i citati in Roma, incaricandogli, che per riparare un eccesso tanto pregiudiziale e di mala conseguenza facesse tanta estraordinaria dimostrazione che non solo servisse per riparo, ma d'esempio; e che proccurasse avere in mano il Cherico, che intimò il Marchese, e si cacciasse dal Regno; e che all'Abate, che lo fece intimare, si sequestrasse la temporalità, e si cercassero i suoi parenti; ed in fine usasse tutte le diligenze per castigare un tal eccesso.