CAPITOLO II.

Spedizione del Re Luigi di Taranto in Sicilia: pace indi seguita, e sua morte.

Siccome il nostro Regno di Puglia erasi ridotto in assai felice stato per la pace, e per la presenza e liberalità del Re Luigi, così all'incontro le cose della Sicilia ogni dì andavano peggiorando: perocchè crescendo, per la debolezza del picciolo Re Don Luigi, le discordie tra' Siciliani, ed essendo divisi tutti i Baroni ed i Popoli dell'isola, si lasciò la cultura dei campi, ch'è la principale entrata di quel Regno, e parimente tutti gli altri traffichi e guadagni, e s'attendea solo a ruberie, incendj ed omicidi; onde procedeva non solo la povertà e miseria di tutta l'Isola, ma la povertà e debolezza del Re, non potendo i Popoli supplire, non solo a' pagamenti estraordinarj, ma nè anco a' soliti ed ordinarj; quindi avvenne, che i Baroni dell'isola si divisero in due parti; dell'una erano capi i Catalani, che s'aveano usurpata la tutela del Re; e dell'altra quelli di Casa di Chiaramonte, ch'erano tanto potenti, che tenevano occupate Palermo, Trapani, Saragoza, Girgento, Mazara, e molte altre Terre delle migliori di Sicilia; e benchè non fossero scoverti nemici del Re, signoreggiavano quelle Terre d'ogni altra cosa, che dal titolo in fuora; e perchè coloro, che governavano il Re, possedendo la minor parte di Sicilia, bisognavano cacciare da quella tanto che potessero tenere il Re, e la Casa sua con dignità regia, e ch'essi potessero anco accrescere di ricchezze, molti Popoli sdegnati cominciarono ad alterarsi; e la Città di Messina, la quale era principale di queste, che il Re possedeva, non potendo soffrire l'acerbo governo del Conte Matteo di Palizzi, volti i cittadini in tumulto, andarono sin'al palazzo reale, e l'uccisero; e gli altri Baroni appena poterono salvare se stessi, e la persona del Re, ritirandosi in Catania. Con l'esempio de' Messinesi, Sciacca ancora uccise i Ministri del Re, che v'erano; e perchè di questo moto era stato autore il Conte Simone di Chiaramonte, e conosceva, che contro di se sarebbe voltata tutta l'ira del Re e del suo Consiglio, mandò a Re Luigi in Napoli, chiamandolo, non all'impresa di Sicilia, come aveano altre volte chiamato Re Roberto ma ad una certa vittoria, avvisandolo, che le cose di quel Regno stavano in tali termini, che con ogni poca forza si sarebbe conquistato.

Il Re Luigi, e 'l Regno per le passate guerre si trovavano non men disfatti, che i Siciliani, cominciando allora a cogliere i primi frutti della quiete e della pace; e quelle forze, che a tempo di Re Roberto erano potenti ed unite, ora per la presenza di tanti Reali, tra' quali era diviso il Regno, erano deboli e disunite; onde non potè mandarvi quel numero di gente e di vittovaglie, che sarebbe stato necessario a tanta impresa; nulladimanco vi mandò il G. Siniscalco Acciajoli con cento uomini d'arme, e Giacomo Sanseverino Conte di Melito con quattrocento fanti, sopra sei galee e molti vascelli grossi di carico, con la maggior quantità di vittovaglie, che fu possibile. Questi giunti in Sicilia, col favore del Conte Simone, se n'andarono a Melazzo, e l'occuparono, e postovi presidio e Governadore in nome del Re, andarono a Palermo con gran parte di vittovaglia, e furono ricevuti dai Palermitani, già ridutti all'estremo bisogno d'ogni cosa da vivere con infinita allegrezza; e que' di Chiaramente fecero alzare le bandiere di Re Luigi a Trapani, e Saragoza, ed a tutte l'altre Terre, che teneano essi; e benchè non avessero tante genti di guerra, che bastassero a tenerle con presidio di Re Luigi, era tanto più debole la parte del Re di Sicilia, che senza forza di arme si mantennero in fede del Re di Napoli, solamente con munizione di vittovaglia, che gli era mandata di Calabria.

Per questi successi i Governadori del Re Don Luigi, desiderosi di non fare annidare in Sicilia le genti del Re Luigi, avanti che crescessero più, fecero ogni sforzo per riavere Palermo; ma fu in vano, perchè i cittadini che avevano gustata la comodità delle vittovaglie si mantennero in fede del Re Luigi, servendo con molta fede e diligenza al G. Siniscalco, ed al Conte di Mileto, che difendevano la città onde furono costretti ritornarsene.

Il Re D. Luigi fra pochi dì venendo a morte, fu gridato Re Federico suo ultimo fratello, il quale non avendo che tredici anni, era sotto il governo de' Catalani, per opera de' quali essendo sbandito da Messina Niccolò Cesario, Capo di parte molto potente in quella città, egli ancora seguì la parte del Re Luigi, ed avuta intelligenza con alcuni de' suoi seguaci, di notte entrato in Messina con alcuni soldati e aderenti di casa di Chiaramonte, assaltò i suoi nemici. Il popolo essendosi levato a rumore, diede facoltà di poter intromettere ducento cavalli, e 400 fanti, mandati dal gran Siniscalco, e da' Conti di Chiaramonte, com'era stato stabilito tra loro, e cacciandone quelli della fazione contraria, s'alzarono le bandiere del Re Luigi. Questi subito, ch'ebbe l'avviso della presa di quella città, la quale tenea per veramente sua, poichè l'altre erano tenute più tosto da' Chiaramontesi, che dagli Ufficiali suoi, venne subito con la Regina Giovanna sua moglie a Reggio in Calabria, mandando al Gran Siniscalco supplimento di 50 altre lance, e 300 fanti a piedi, e buona quantità di vittovaglia a Messina, che ne stava in grandissima necessità. Fu tanta l'allegrezza de' cittadini, che giunti con quelle genti, ch'erano venute allora, assaltarono i castelli di San Salvatore, e di Mattagrifone, che furono stretti a rendersi con due sorelle del Re, Bianca, e Violante, le quali con onorevole compagnia furono mandate a Reggio alla Regina, e da lei furono con molta cortesia ed amorevolezza ricevute ed accarezzate. Parve al Re non indugiare più, e passato con la Regina il Faro, nella Vigilia della Natività del Signore del 1355 entrarono in Messina con grandissima pompa, e furono alloggiati nel palazzo reale, dove con le solite cerimonie fu giurato omaggio e fedeltà da tutti.

Pochi dì da poi vennero il Conte Simone e Manfredi e Federico di Chiaramonte, i quali il Re onorò molto, come Capi della famiglia, ed autori dell'acquisto di quel Regno; ma desiderando il conte Simone, che Re Luigi gli desse Bianca sorella del Re Federico per moglie, e persuadendosi, che non dovesse negarla per li meriti suoi, e quasi per prezzo d'un Regno, confidentemente ne parlò al Re. Questa richiesta parve di molta importanza, non per se stessa, ma per quelle conseguenze, che avrebbe potuto portar seco tal matrimonio, poichè essendo il Re Federico ultimo della stirpe de' Re di Sicilia della Casa d'Aragona, e di età e di senno tanto infermo ch'era chiamato Federico il Semplice, poteva agevolmente succedere, che aggiungendosi alla potenza del Conte Simone la ragione, che gli portava la moglie, n'avesse cacciato l'uno e l'altro Re; onde allora, nè volle negarlo, nè prometterlo; ma tra pochi dì gli offerse per moglie la Duchessa di Durazzo. Vedendosi dunque Simone con tale offerta escluso, ne prese tanto sdegno e rammarico (perchè presumea, che il merito suo col Re superasse ogni grazia, che se gli potesse fare) che se ne morì di là a pochi dì, e gli altri di quella famiglia, quasi fossero rimasti eredi dello sdegno di Simone, cominciarono a rallentarsi dall'affezione del Re Luigi. Questi intanto mandò ad assediare Catania, dove era il nuovo Re con tutte le poche forze sue; ma essendo state rispinte le sue genti e disordinate e rotte, fu fatto prigione ancora Raimondo del Balzo Conte Camerlengo, ed appena scampò il Gran Siniscalco Acciajoli. Questa nuova diede grandissimo dolore a Re Luigi, al quale tolti gli ornamenti della moglie andò a far danari per riscattare il Conte; ed avendo poi mandato l'Araldo al Re Federico con la taglia, che si dimandava del Conte, Federico non volle che si pigliasse taglia, ma mandò a dire, che non vi era altra via per la liberazione del Conte, che il cambio della libertà delle due sorelle. E perchè Luigi amava estremamente il Conte, si contentò di mandarne le sorelle onorevolmente accompagnate sin in Catania.

Tra questo tempo le novitadi, che successero nel Regno, sforzarono Re Luigi a tornare in Napoli, e per non abbandonare l'impresa di Sicilia, la quale per l'estrema povertà del nemico tenea per vinta, lasciato Capitan Generale in Sicilia il Gran Siniscalco Acciajoli, egli con la Regina se ne ritornò in Napoli. Cominciavano di bel nuovo in questo Regno a sorgere disordini e confusioni poco minori di quelli, che furono a tempo degli Ungheri; poichè il Principe di Taranto, che per essere fratello maggiore del Re, si tenea di poter governare il Re e 'l Regno insieme, avea pigliato in odio, e perseguitava molti Baroni, i quali volevano conoscere soli Re Luigi e la Regina Giovanna per Signori. Parimente Luigi di Durazzo cugino del Re, vedendosi stare nel Regno come povero Barone insieme con Roberto suo fratello, si giunse col Conte di Minervino, il quale era salito in tanta superbia, che avea occupato la città di Bari, e s'intitolava Principe di Bari e Palatino d'Altamura, oltre gli altri titoli de' quali andava molto altiero; e mantenea una banda d'uomini d'armi, con tanti cavalli, che gli parea poter competere col Principe di Taranto e col Re; e per poter mantenere quelle genti, andava discorrendo per le più ricche parti del Regno, e taglieggiando le Terre senz'aver rispetto alcuno al Re ed alla Regina. Si vide perciò Re Luigi impegnato a reprimere la superbia di costui, e dopo varj fatti d'arme, che posero sossopra molte province del Regno, finalmente ripresse i ribelli, e Luigi di Durazzo rimanendo solo e senza forza, per lo vincolo del sangue fu riconciliato col Re e colla Regina; e dato sesto per varj provvedimenti alla quiete del Regno, e ridottosi nella primiera tranquillità, tornò il Re col pensiero alla guerra di Sicilia.

Dall'altra parte que' di Sicilia, ch'erano del partito di Re Federico, vedendosi molto inferiori di forze, fecero, che il loro Re prendesse per moglie la sorella del Re d'Aragona, ma il novello parentado poco potè giovargli, poichè la Sposa poco da poi se ne morì; ed in questo mezzo per una parentela, che fecero i Chiaramontesi col Conte di Ventimiglia, Capo della parte di Federico, si cominciò a trattar la pace tra questo Principe, e 'l Re Luigi e la Regina Giovanna, la quale dopo varj maneggi, fu finalmente conchiusa con queste condizioni: Che Re Federico s'intitolasse Re di Trinacria: che pigliasse per moglie Antonia del Balzo figliuola del Duca d'Andria e della sorella di Re Luigi: che riconoscesse quel Regno dal Re Luigi e dalla Regina Giovanna, ed a tal segno dovesse pagare a loro nel giorno di San Pietro tremila once d'oro ogni anno: e quando il Regno di Napoli fosse assaltato, pagare cento uomini d'arme, e dieci galee armate in difensione di quello. All'incontro, che dal Re Luigi fossero restituite tutte le cittadi, terre e castella, che sin a quel giorno erano state prese, e si teneano colle bandiere sue.

(In esecuzione di questa pace, si legge presso Lunig il mandato, ovvero Plenipotenza, che il Re Federico diede per stipularla, e perchè gli articoli accordati fossero confermati da papa Gregorio XI, come diretto Padrone dell'isola di Sicilia, nel qual mandato s'intitola Rex Trinacriae. Si legge ancora pag. 1123 una ben lunga Bolla di questo Papa, nella quale, dandogli la formula del giuramento di fedeltà, si prescrivono al Re Federico altre leggi e condizioni e così pesanti, specialmente intorno alle appellazioni di tutte le cause ecclesiastiche, di doversi portare in Roma; che se mai questa Bolla avesse avuto il suo effetto, non vi sarebbe rimaso in Sicilia vestigio alcuno del Tribunal della Monarchia).

Questo fu l'ultimo termine delle guerre di Sicilia, che durarono tanti anni, con tanto spargimento di sangue, e con spesa inestimabile. Ma è cosa veramente da notare, che il Regno di Sicilia, preteso dai romani Pontefici loro feudo, e che ad essi spettasse darne l'investitura, onde fecero tanti sforzi per levarlo dalle mani de' Re d'Aragona, ed a questi tempi reso ligio e tributario a' Re di Napoli, col correr degli anni si fosse totalmente sottratto, non men dalla soggezione degli uni, che degli altri, che ora vien riputato più libero e independente, che il Regno istesso di Napoli; poichè, dopo il famoso Vespro Siciliano, per le continue guerre sostenute co' Re angioini, i quali ebbero sempre a lor favore collegati i Pontefici romani, i Re d'Aragona non richiesero più investitura dalla Sede Appostolica per quell'Isola, ed anche da poi fatta pace co' Re di Napoli, nemmen la ricercarono; ed in fatti morto il Re D. Federico, non lasciando di se prole maschile, e succeduta in quel Regno nell'anno 1368 Maria sua figliuola, nè Regina di Trinacria volle essere nomata, nè investitura alcuna prese da' Romani Pontefici. Le stesse pedate furono calcate da Martino I d'Aragona, che nell'anno 1402 succedè a Maria, e da Martino II suo successore. E morto questi senza figliuoli, essendo stato nell'anno 1411 eletto Re d'Aragona, di Valenza e di Sicilia Ferdinando d'Aragona figliuolo di Giovanni Re di Castiglia, questi tramandò al suo figliuolo Alfonso, il quale nell'anno 1416 succedè in tutti i suoi Regni, anche coll'istesse condizioni il Reame di Sicilia, non ricercandone da' Pontefici romani investitura alcuna, siccome fecero da poi tutti gli altri loro successori; tantochè nel Regno di Sicilia, siccome per lo bisogno e circostanze di que' antichi tempi fu introdotto allora costume di prender l'investitura di quell'isola da' Romani Pontefici, così ora per desuetudine e per contrario uso si è quella affatto tolta ed abolita: tal che oggi quel Regno rimane totalmente libero ed indipendente.

Dall'altra parte, a questi tempi del Re Luigi di Taranto, si vide dependente e tributario de' Re di Napoli, secondo le riferite condizioni di questa pace; ma tali condizioni non furono mai adempite, nè ebbero alcuna esecuzione; poichè se bene in un diploma rapportato da Inveges di Gregorio XI del 1373 spedito poco da poi conchiusa questa pace, fosse nominato il Regno di Napoli col nome di Regno di Sicilia, e quello di Sicilia, col nome di Trinacria, nulladimanco niuno de' Re di quell'isola ne' loro diplomi s'intitolarono Re di Trinacria, ma di Sicilia ultra Pharum, chiamando il Regno napoletano Sicilia citra Pharum, come si legge ne diplomi di Martino e degli altri Re di Sicilia suoi successori. Ed essendosi questi due Regni da poi uniti nella persona d'Alfonso I d'Aragona, egli fu il primo, che cominciò a intitolarsi Re dell'una e l'altra Sicilia. Nè si legge essersi riconosciuto quel Regno da' Re di Napoli, e che nel dì statuito di S. Pietro si fossero mai pagate per tributo le 3000 once d'oro, nè pagati i cento uomini d'armi e le dieci galee armate, convenute nelle Capitolazioni sudette; poichè i Re di Napoli, insino ad Alfonso I d'Aragona, furono in tante guerre distratti e per tante rivoluzioni interne del Regno agitati, che non poterono pensare ad altro, che alla propria loro salute e alla conservazione del proprio Regno, come diremo.

Terminata in cotal guisa la guerra di Sicilia, e ripressi i moti intestini del nostro Regno, ritornò a godersi la quiete; ma non durò guari, poichè nell'anno 1362 ammalatosi di febbre acutissima Re Luigi venne a morte, non avendo più che 42 anni. Fu questo Principe bellissimo di corpo e d'animo, e non meno savio, che valoroso; ma fu poco felice nelle sue imprese, perocchè ritrovandosi il Regno travagliato ed impoverito per tante guerre e per tante dissensioni, non ebbe luogo, nè occasione dì adoperare il suo valore, massimamente nell'impresa di Sicilia.

Narra Matteo Palmerio nella vita del Gran Siniscalco Acciajoli, che Innocenzio VI successore di Clemente s'era offeso e grandemente crucciato col Re Luigi, perchè non gli pagava il solito censo; e perciò il Re mandò Ambasciadori in Avignone per placarlo, e questi furono l'Acciajoli e l'Arcivescovo di Napoli Giovanni; ed il Bzovio aggiunge, che a Bertrando successor di Giovanni fu data facoltà da Innocenzio VI d'assolvere il Re Luigi in articulo mortis dalla scomunica ob non solutum Romanae Ecclesiae censum . Regnò Luigi cinque anni prima che fosse coronato, e dieci dopo l'incoronazione. Fu mandato il suo cadavere nel Monastero di Monte Vergine presso Avellino 20 miglia lontano da Napoli, e fu sepolto appresso la sepoltura dell'Imperadrice Margherita sua madre, ove ancor oggi si addita il suo tumulo sostenuto da otto colonne colla sola sua effigie, senza iscrizione. Non lasciò figliuoli, perchè due femmine, che procreò con la Regina Giovanna, morirono in fascia.

Morì non molto tempo da poi in Napoli il Principe di Taranto, e fu sepolto nella chiesa di S. Giorgio maggiore, e lasciò erede del Principato e del titolo dell'imperio Filippo suo fratello terzogenito. Questo Principe poco innanzi avea tolto per moglie Maria sorella della Regina, la quale poco da poi morì; onde tolse la seconda moglie, che fu Elisabetta figliuola di Stefano Re di Polonia, colla quale visse fin al 1368, anno della sua morte. Morì egli in Taranto ove giace sepolto, nè lasciò di se figli, onde lasciò il Principato di Taranto, con il titolo dell'Imperio a Giacomo del Balzo figliuolo di Margarita sua sorella e di Francesco Duca d'Andria. Morì ancora Luigi di Durazzo Conte di Gravina e di Morcone, e fu sepolto nella Chiesa di Santa Croce, appresso il sepolcro della Regina Sancia, il quale lasciò un figliuolo chiamato Carlo, che, come si dirà, fu poi Re di Napoli, e poco appresso morì in Francia Roberto Principe della Morea, fratello del Conte, amendue figliuoli di Giovanni Duca di Durazzo; onde con esempio notabilissimo della fragilità delle cose umane, di così numerosa progenie del Re Carlo II non rimase altro maschio, che Lodovico Re d'Ungaria e Carlo di Durazzo nel Regno di Napoli, figliuolo del già detto Luigi di Durazzo. E non guari da poi si vide perduto tutto ciò, che questa progenie possedeva in Grecia; poichè ritenendosi per anche Corfù e Durazzo, avendo la Regina Margarita moglie del Re Carlo di Durazzo (mentre suo marito era in Ungaria, ed ella governava) fatta pigliare una nave de' Veneziani, nè volendola restituire, ma ritenendosela con tutte le mercatanzie che vi erano di molta valuta, diede occasione a' Veneziani, che dopo la morte del Re, con questa scusa occupassero il Ducato di Durazzo, nel quale finì di perdersi quanto la linea di Re Carlo I avea posseduto in Grecia.

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