LIBRO VENTESIMOTERZO

Celebrate che furono l'esequie dell'inclito Re Roberto, la città di Napoli fece subito gridar per tutto il nome di Giovanna e d'Andrea; ma si vide in pochi dì, come scrive il Costanzo, quella differenza, ch'è tra il dì e la notte; poichè gli Ungheri, de' quali era Capo Fra Roberto, per mezzo dell'astuzia di lui, pigliarono il governo del Regno, cacciando a poco a poco dal Consiglio tutti i più fidati e prudenti Consiglieri del Re Roberto, per amministrar ogni cosa a volontà loro; onde la povera Regina, che non avea più di sedici anni, era rimasta solo in nome Regina, ma in effetto prigioniera di que' barbari, e quel che più l'affliggeva, era la dappocaggine del marito; il quale non meno di lei stava soggetto agli Ungheri. La Regina Sancia vedova del Re Roberto, vedendo in tanta confusione la Casa Reale, che a tempo del suo marito era stata con tanto ordine, fastidita del Mondo, andò a rinchiudersi nel Monastero di Santa Croce, edificato da lei presso al mare, dove appena finito l'anno morì con fama grandissima di santità. I Reali, che stavano in Napoli, vedendosi da Fra Roberto privi di tutto quel rispetto che solevano avere dal Re Roberto, andarono ciascuno alle sue Terre, ed in Napoli si vivea con grandissimo dispiacere. I Cavalieri napoletani, vedendo il Re Andrea dato all'ozio, e non esservi menzione alcuna di guerra, andarono ad offerirsi a Roberto Principe di Taranto, che quell'anno armava per passare in Grecia: ed accettati con molto onore dal Principe, andarono a servirlo con tutte le loro compagnie, e diedero esempio a molti Cavalieri privati del Regno che andassero a quell'impresa; e con questa milizia felicemente il Principe ricovrò fin alla città di Tessalonica; ed era salito in gran speranza di ricovrare la città di Costantinopoli, se dalle turbolenze del Regno, che si diranno, que' Capitani, con quasi tutta l'altra Cavalleria, non fossero stati richiamati alla difensione delle cose proprie. Frate Roberto pronosticando da questi andamenti, che i Reali di Napoli avessero da far ogni sforzo di precipitarlo dal colmo di quell'autorità, che si avea usurpata, mandò a sollecitare Lodovico Re d'Ungaria fratello maggiore d'Andrea, che venisse a pigliarsi la possessione del Regno, come debito a lui per eredità dell'avolo; ma Antonio Buonfinio Scrittore dell'Istorie d'Ungaria dice, che Lodovico Re d'Ungaria mandò Ambasciadori al Papa a proccurare, che mandasse a coronar Andrea suo fratello, e che gli facesse l'investitura, non come marito della Regina Giovanna, ma come erede di Carlo Martello suo avolo, e che questi Ambasciadori fecero a tal'effetto molto tempo residenza nella Corte del Papa, che allora era in Avignone, perchè vi trovarono gran contrasto; e Giovanni Boccaccio scrive, che appena poterono ottenere le Bolle dell'incoronazione. Giovanna intanto era stata già solennemente coronata in Napoli per mano del Cardinal Americo mandato dal Pontefice Clemente VI, il quale gl'inviò parimente l'investitura, e fu intitolata Regina di Sicilia e di Gerusalemme, Duchessa di Puglia, Principessa di Salerno, di Capua, di Provenza, e di Forcalqueri, e Contessa di Piemonte: la quale all'incontro nella Chiesa di Santa Chiara nel dì ultimo d'agosto di quest'anno 1344 in mano dello stesso Cardinale gli giurò omaggio, con promessa del solito censo, siccome si legge nell'investitura rapportata dal Summonte che l'estrasse dall'Archivio regio, ove si conserva.

Il Papa avea mandato il Cardinal Americo non solo per ricever il giuramento da Giovanna, ma l'avea anche creato Balio della medesima per la sua minor età: al quale parimente avea data potestà di revocare tutte le donazioni e concessioni fatte da Roberto, e da Giovanna in pregiudicio della Chiesa romana e del Regno: ma questo baliato non ebbe alcun effetto, perchè Fra Roberto co' suoi Ungheri governavano ogni cosa. E sebbene i Pontefici romani avessero sempre avuta tal pretensione di mandar essi i Balj, non ebbero però mai parte alcuna nel governo.

Avea inoltre questa Regina, come donna savia mandato a chiamare Carlo Duca di Durazzo figliuolo primogenito del Principe della Morea, e datagli Maria sua sorella per moglie, dal qual matrimonio ne nacque un figliuolo chiamato Luigi, che non avendo compito un mese, se ne morì, e fu sepolto in Santa Chiara, dove ancora oggi si vede il suo Tumulo. Ed in quest'anno medesimo Luigi di Durazzo, figliuolo secondogenito del Principe della Morea e fratello di Carlo, tolse per moglie una figliuola di Roberto o sia Tommaso Sanseverino, dal qual matrimonio ne nacque poi Carlo III che fu Re di Napoli.

Saputosi intanto in Napoli che il Papa avea spedite le Bolle dell'incoronazione d'Andrea, e che gli Ambasciadori che le portavano, erano giunti presso a Gaeta: alcuni Baroni che desideravano impedirla, stimolati anche da' Reali che vi dissentivano, e sopra tutti da Carlo Duca di Durazzo, stante ancora la dappocaggine d'Andrea, e l'insolenza degli Ungheri, diedero la spinta a coloro che aveano congiurato d'ucciderlo, d'accelerar la sua morte, temendo che scoverti i loro disegni, non fossero per opera di Fra Roberto pigliati e decapitati, subito che fosse venuto l'ordine del Papa che Re Andrea fosse coronato. In fatti essendo andati il Re e la Regina alla città d'Aversa, ed alloggiati nel castello di quella Città, dove poi fu eretto il convento di S. Pietro a Majella, la sera de' 17 di settembre del 1345 quando stava il Re in camera della moglie, venne uno de' suoi Camerieri a dirgli da parte di Fra Roberto, ch'erano arrivati avvisi di Napoli di grande importanza, a' quali si richiedea presta provisione; ed il Re partito dalla camera della moglie, ch'era divisa per una loggia dall'appartamento ove si trattavano i negozj, essendo in mezzo di quella, gli fu gittato un laccio al collo e strangolato, e buttato giù da una finestra, stando gli Ungheri, perch'era di notte, sepolti nel sonno e nel vino.

La novità di questo fatto fece restare tutta quella città attonita, massimamente non essendo chi avesse ardire di volere sapere gli autori di tal omicidio. La Regina ch'era di età di diciotto anni, sbigottita non sapea che farsi: gli Ungheri aveano perduto l'ardire, e dubitavano d'essere tagliati a pezzi se perseveravano nel governo: talchè il corpo del Re morto ridotto nella chiesa, stette alcuni dì senza essere sepolto: ma Ursillo Minutolo gentiluomo e Canonico Napoletano si mosse da Napoli, ed a sue spese il fece condurre a seppellire nell'Arcivescovado di Napoli nella cappella di S. Lodovico, dove essendo stato sin all'età del Costanzo in sepoltura ignobile, Francesco Capece abate di quella Cappella, ed emulo della generosità di Ursillo, gli fece fare un sepolcro di marmo, e trasferita poi dall'Arcivescovo Annibale di Capua la sagrestia in quella Cappella, fu riposto nel muro avanti la porta della stessa sagrestia, dove oggi ancor si vede.

La vedova Regina si ridusse subito in Napoli, ed i Napoletani con que' Baroni, che si trovavano nella città andarono a condolersi della morte del Re, ed a supplicarla, che volesse ordinare a' Tribunali, che amministrassero giustizia; poichè Fra Roberto e gli altri Ungheri abbattuti non aveano ardire di uscire in pubblico. La Regina ristretta co' più savi e fedeli del Re Roberto suo avolo, perchè si togliesse il sospetto che susurravasi, d'aver ella avuta anche parte all'infame assassinamento, commise con consiglio loro al conte Ugo del Balzo, che avesse da provvedere ed investigare gli autori della morte del Re, con amplissima autorità di punir severamente quelli, che si fossero trovati colpevoli. Questi dopo aver fatti morire due Gentiluomini Calabresi della camera del Re Andrea ne' tormenti, fece pigliare Filippa Catanese col figlio e la nipote, e dopo avergli tutti e tre fatti tormentare gli fece tanagliare sopra un carro, e la misera Filippa decrepita morì avanti, che fosse giunta al luogo, dove avea da decapitarsi.

Dall'altra parte, essendo arrivata in Avignone la notizia di tal fatto al Pontefice Clemente, riputando, che s'appartenesse a lui ed alla Sede Appostolica la cognizione di questo delitto, cominciò a procedere anch'egli contro i colpevoli. In prima generalmente gli scomunicò, interdisse, dichiarò infami, ribelli e proscritti; (Questa prima Bolla di Clemente VI spedita in Avignone nel primo di febbraio 1346 si legge presso Lunig ), ma per la lontananza del luogo riuscendo inutili tutte l'inquisizioni per liquidar le persone, diede con sua Bolla, spedita in Avignone nel 1346 quinto anno del suo pontificato, commessione a Bertrando del Balzo G. Giustiziere del Regno, Conte di Montescaglioso e d'Andria, con amplissima facoltà di procedere contro i colpevoli; ed in questa Bolla, ch'estratta dal regal Archivio vien rapportata da Camillo Tutini, si leggono fra l'altre queste parole: Nos nolentes, sicut nec velle debemus, tam horribile et detestabile, ac Deo, et hominibus odiosum facinus, cuius cognitio prima ad nos, et Romanam Ecclesiam in hoc casu pertinere dignoscitur, relinquere impunitum etc. Ed avendo con permissione anche della Regina, fatta diligente inquisizione, trovò colpevoli, come complici, cospiratori ed autori del delitto, Gasso di Dinissiaco Conte di Terlizzi, Roberto di Cabano Conte di Evoli e gran Siniscalco del Regno, Raimondo di Catania, Niccolò di Miliezano, Sancia di Cabano Contessa di Morcone, Carlo Artus e Bertrando suo figliuolo, Corrado di Catanzaro, e Corrado Umfredo da Montefuscolo. E poichè alcuni di essi dimoravano nel Regno, la di cui presura era difficile, e per la protezione che vantavano de' Reali, e perchè s'erano afforzati nelle loro Terre; il Conte Bertrando ebbe ricorso alla Regina, perchè con suo general editto si comandasse all'Imperadrice di Costantinopoli, ed a Lodovico di Taranto suo figliuolo, che sotto fedele e sicura custodia gli trasmettesse Carlo, Bertrando e Corrado d'Umfredo; e similmente comandasse al Principe di Taranto, al Duca di Durazzo e loro fratelli, a tutti i Conti e Baroni, e spezialmente a' cittadini napoletani, che nel caso dall'Imperadrice suddetta non si fossero quelli trasmessi, che detti Regali e Conti, e tutti gli altri con tutte le loro forze si conferissero nelle Terre e luoghi ove coloro fossero, per imprigionargli, offerendo anche egli di andarvi in persona, affinchè di essi si prendesse la debita vendetta; e di vantaggio, che scrivesse a' Vescovi, Vicari e loro Ufficiali, che con effetto mandassero in esecuzione gl'interdetti e le scomuniche fulminate dal Papa contro di loro, con dichiarare le terre ove dimoravano interdette, i loro fautori e ricettatori scomunicati, e che gl'interdetti suddetti tenacemente si osservassero ed ubbidissero. La Regina a tenor di queste dimande a' 7 ottobre di quest'anno 1346 fulminò un severo editto, che fu istromentato per mano di Adenolfo Cumano di Napoli Viceprotonotario del Regno, di cui mandò più autentici esemplari per tutte le città e province del Regno, ed in Napoli gli fece affiggere ne' portici del Castel Nuovo e della G. C. perchè a tutti fosse noto e palese. L'editto è parimente rapportato dal Tutini, dentro di cui si vede anche inserita la riferita Bolla di Clemente.

Mandò ancora la Regina, perchè di lei si togliesse affatto ogni sospetto, il Vescovo di Tropea in Ungaria al Re Lodovico suo cognato a pregarlo, che volesse avere in protezione lei vedova, ed un picciolo figliuolo, che l'era nato dal re Andrea suo marito, di cui nel riferito editto fassi anche memoria, chiamato Caroberto Duca di Calabria. Ma questa missione riuscì infruttuosa alla regina Giovanna; poichè re Lodovico persuaso già, che ella fosse consapevole e partecipe della morte d'Andrea, gli rispose, secondo che rapporta Antonio Buonfinio con una epistola di questo tenore: Impetrata fides praeterita, ambitiosa continuatio potestatis Regiae, neglecta vindicta et excusatio subsequuta, te viri tui necis arguunt consciam, et fuisse participem. Neminem tamen Divini, humanive judicii poenas nefario sceleri debitas evasurum.

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