Dello Scisma de' Papi di Roma e quelli d'Avignone.
Negli anni seguenti, si vide il Regno in maggiori confusioni e disordini per quel famoso scisma che nacque, e che durò poi fin al Concilio di Costanza. Avea Papa Gregorio XI trasferita la Sede Appostolica da Avignone, ov'era stata da Clemente V sin dall'anno 1305 traslatata, e dimorata settantadue anni, in Roma, ov'egli giunse il dì 17 di gennajo di questo nuovo anno 1377. Quivi egli morì a' 27 marzo del seguente anno 1378. I Romani, i quali in tanto tempo che la Sede Appostolica era stata in Francia, aveano patito infinito danno, vollero servirsi della occasione di ristabilire nella lor città la Corte del Papa, proccurando che dovesse eleggersi un Romano, o per lo meno un nativo d'Italia; all'incontro vedendo che in Roma non v'erano allora più che sedici Cardinali, de quali v'erano dodici oltramontani e quattro soli Italiani, dubitarono, e con ragione, ch'essendo maggiore il numero de' primi, non era verisimile che la pluralità de suffragi per l'elezione del Papa fosse in favore d'un Italiano; e per questo levato un tumulto, presero l'armi, e quando i Cardinali furono entrati in Conclave il dì 5 aprile di quest'anno 1378 concorsa ivi una moltitudine di Popolo, circondò il palazzo, e cominciò a gridare, Romano lo vogliamo. Questo grido durò tutta la notte: il giorno seguente il Popolo essendosi di nuovo adunato in maggior numero, andò con furia maggiore al Conclave, minacciando di rompere le porte, e di tagliare a pezzi i Cardinali franzesi, se non eleggevano un Papa, che fosse romano o almeno d'Italia. I Cardinali intimoriti lo promisero al Popolo, ma con protesta fra loro, che ciò sarebbe seguito per la violenza, che loro si faceva, non già che l'elezione in futuro dovesse valere. In fatti elessero tumultuariamente persona fuori del Collegio de' Cardinali, che per la sua poca abilità, potesse esser con facilità cacciata dal Papato. Questi fu Bartolommeo Prignano Arcivescovo di Bari, nato in Napoli, secondo Panvinio, da vili parenti; ma il nostro Giovanni Villani, e Teodorico di Niem, dicono esser nato nel castello d'Itri del Contado di Fondi. Visse quasi sempre in Francia appresso la Corte del Papa nella Cancelleria Appostolica, indi fatto Arcivescovo d'Acerenza, passò poi a quello di Bari. Essendosi sparsa in Roma la voce, che l'Arcivescovo di Bari era stato eletto, il Popolo confondendolo con Giovanni di Bar francese, cameriere maggiore del Papa defunto, cominciò di nuovo le sue violenze. Il Cardinal di S. Pietro comparì alla finestra del Conclave per placare il tumulto, e molti vedendolo dissero: questi è il Cardinal di S. Pietro: subito il popolaccio credette, che quegli fosse il Cardinale ch'era stato eletto, e si pose a gridare, viva, viva S. Pietro. Alquanto da poi il Popolo ruppe le porte del Conclave, arrestò i Cardinali, e rubò i loro mobili, domandando sempre un Cardinal romano: alcuni domestici de' Cardinali avendo loro detto, non avete voi il Cardinale di S. Pietro? eglino lo presero, lo vestirono degli abiti Pontificali, lo posero su l'Altare, ed andarono all'adorazione, benchè gridasse, che egli non era Papa, ed esserlo non voleva. I Cardinali durarono molta fatica a salvarsi, chi nelle lor case, chi nel castello di S. Angelo. L'Arcivescovo di Bari divenuto in un tratto superbo ed austero e molto astuto, conoscendo l'intenzione de' Cardinali, si fece subito il giorno seguente acclamare da alcuni Cardinali, violentati a farlo da' Magistrati. Egli prese il nome d'Urbano VI e scrisse a tutti i Cristiani, notificando loro l'elezione fatta, e tenne per lo principio molto a freno i Cardinali, dubitando di quel che poi successe, cioè, che avrebbero pensato a cacciarlo dal Papato. Dall'altra parte i Cardinali, ancorchè pubblicamente fossero stati costretti a riconoscerlo, scrissero però segretamente al Re di Francia, ed agli altri Principi cristiani, che l'elezione era nulla, e che non era stata lor intenzione, che e' fosse riconosciuto per Papa; e poco da poi sotto pretesto di fuggire i calori della state, i dodici Cardinali oltramontani uscirono l'un dopo l'altro da Roma nel mese di maggio, e si portarono in Anagni. Ma il Cardinale Ursino fratello del Conte di Nola, sotto scusa di venire a visitare i parenti nel Regno, impetrò da Urbano licenza, e venne a trovar la Regina; e su la certa credenza che i Cardinali avrebbero rivocata l'elezione, cominciò a pregarla, che in tal caso avesse voluto intercedere coi Cardinali provenzali, che avendosi da fare nuova elezione per soddisfazione del Popolo Romano, avessero creato lui.
La Regina, come donna savia e prudente, non si volle muovere per le richieste del Cardinale, anzi mandò a Roma Niccolò Spinelli di Napoli, ma di patria di Giovenazzo, quel nostro famoso Dottor di leggi Conte di Gioja, e Gran Cancelliero del Regno, a rallegrarsi con Urbano della sua elezione ed a dargli ubbidienza. Ma questo risalito Papa mostrò fare tanto poco conto di quest'ufficio della Regina, e della persona del Gran Cancelliere, trattandolo incivilmente, che questi che 'l conosceva nella vita privata per uomo di basso affare, e giudicandolo indegno del Papato per la natura ritrosa, se ne venne tanto mal soddisfatto di lui che si crede, che da quella ora pensò d'essere ministro della nuova elezione d'un altro Papa. A questo s'aggiunse che pochi dì da poi, essendo andato il Principe Ottone in Roma a visitarlo, alcuni dicono per avere l'investitura del Regno, altri per supplicarlo, ch'essendo restato il Regno di Sicilia per successione in man di donna, avesse fatta opera che quella fosse data per moglie al Duca Baldassarre di Brunsuich suo fratello; ma sia che si voglia, è cosa certissima, che non solo dal Papa non potè ottenere cosa che volle, ma fu anche mal veduto, e trattato poco onorevolmente: narrando Teodorico di Niem, che fu Segretario d'Urbano, che Ottone trovandosi col Papa quando era a pranzo, ed essendogli dato il bicchiere per dargli a bere, come è costume, il Papa, fingendo di ragionare d'altri negozj, il fece stare inginocchiato un gran pezzo senza bere, finchè uno dei Cardinali, che aveva maggior confidenza con lui, gli disse, Padre Santo è tempo che beviate; per la qual cosa il Principe se ne ritornò con molto maggiore scorno di quello ch'ebbe l'Ambasciadore.
Lo stesso Autore, e colui, che scrisse la vita d'Urbano, dicono ch'essendo stato più, che fosse mai uomo, avido di voltare tutte le forze del Papato in fare grandi i suoi, avesse pensato dall'ora di trasferire il Regno di Napoli nella persona di Carlo di Durazzo, tenendo per certo poter aver da lui più larghi partiti, e maggiori Signorie nel Regno per Butillo, e Francesco Prignano suoi nipoti che non avrebbe avuti dalla Regina Giovanna e dal Principe Ottone. Il Duca d'Andria che avea seguitato in Roma Papa Gregorio XI con isperanza che l'avesse fatto ricovrar gli Stati, si trovava allora in Roma in bassa fortuna; ed avendo dopo la morte di Gregorio conosciuto l'animo del nuovo Papa, poco amico della Regina, cominciò a trattar con lui, che si chiamasse Carlo di Durazzo all'impresa del Regno, dimostrandogli che agevolmente sarebbe successa felice, perchè già teneva avvisi da Napoli che tutto 'l Regno stava mal soddisfatto, ed in timore di restare sotto il dominio d'Ottone; e per contrario era gran desiderio tra' Baroni, e tra' Nobili Napoletani di vedere Carlo di Durazzo unico germe nel Regno della Casa d'Angiò; tanto più, quantochè nella milizia che avea esercitata in servizio del Re d'Ungaria, era diventato famoso nell'arte della guerra, non meno per valor di persona che di giudizio. Con queste persuasioni gli fu cosa leggiera persuadere al Papa quello, a che egli stava inclinatissimo, e però senza dimora mandò Urbano ad invitar Carlo che stava in Italia nel Trivigiano a guerreggiare con i Veneziani che venisse armato in Roma, perch'egli avea deliberato di privar la Regina Giovanna del Regno, e chiuderla in un Monastero, e dar a lui l'investitura e possessione del Regno. Carlo per lo principio mostrò molta freddezza in accettare l'impresa, perchè dall'una parte lo stringea la pietà della Regina e li beneficj verso di lui, i quali erano meritevoli di gratitudine, e dall'altra la difficoltà di pigliar l'impresa, dubitando che se lasciava il Re d'Ungaria nell'ardore di quella guerra, non avrebbe avuto da lui favore alcuno.
Questa pratica non potè esser tanto secreta che la Regina non n'avesse avviso a Napoli, onde ristretta col suo Consiglio deliberò di provvedervi. Il nostro Giureconsulto Niccolò di Napoli ch'era il primo di valore e d'autorità nel Consiglio, ed era uomo di grande spirito, e portava odio particolare al Papa, propose non esservi altro miglior espediente per divertire il Papa da questa impresa, se non d'incitare i Cardinali a far nuova elezione: alla qual proposta applaudendo Onorato Gaetano Conte di Fondi, molto potente in Campagna di Roma, e che per essere stato Vicario Generale, e Governadore di tutto lo Stato ecclesiastico e di Campagna con grandissima autorità mentre la Sede Appostolica era stata in Francia, desiderava l'assenza della Corte da Italia, per tornare nel medesimo grado: la cosa fu subito conchiusa, e fu deliberato che si tenesse un Concilio nella città di Fondi. I Cardinali franzesi che si erano portati in Anagni, subito che ivi furono giunti, dichiararono che l'elezione d'Urbano era nulla, come fatta contro lor voglia, e contra il solito stile; onde subito che intesero il trattato fatto in Napoli, vennero tutti a Fondi, dove erano restati in appontamento di ritrovarsi insieme coi tre Cardinali Italiani; ed alfine entrati in Conclave il dì 20 settembre dopo essersi molto maneggiati per far cessare la contesa ch'era sopra l'elezione fra' Cardinali Italiani, dopo aver dichiarata nulla l'elezione d'Urbano, il Cardinal di Fiorenza propose d'eleggere Ruberto Cardinal di Ginevra di Nazione alemanna. Tutti i Cardinali, eccettuati i tre Italiani, gli diedero i loro suffragi; prese egli il nome di Clemente VII e fu coronato il dì 21 del medesimo mese. Era egli fratello d'Amadeo Conte di Ginevra, ed era stato Vescovo di Tervana e poi di Cambray, indi da Gregorio XI era stato creato Cardinale, e di qua cominciò lo scisma. Urbano rimasto solo col Cardinal di Santa Sabina si mantenea nel possesso di Roma, ma il castel di Sant'Angelo stava per Clemente. I Romani l'assediarono, lo presero in fine e lo demolirono. Urbano fece subito nuova elezione di Cardinali, e scrisse a tutti i Principi e Repubbliche de' Cristiani, notificando la rebellione de' Cardinali per loro tristizia, e non già ch'egli non fosse stato legittimamente creato per Vicario di Cristo, e persuadeva ad ogni uno che dovesse tenere il Papa eletto da costoro per Antipapa, e loro tutti per Eretici e Scismatici, e privati d'ogni dignità ed Ordine sacro; divulgando ancora che questa ribellione avea avuta radice nel timore che i Cardinali aveano, per gl'inonesti costumi loro, della riforma ch'egli voleva fare. I Cardinali che egli creò furono la maggior parte Napoletani e di Regno, e tra gli altri Fra Niccolò Caracciolo Domenicano Inquisitore in Sicilia, Filippo Carafa Vescovo di Bologna; Guglielmo da Capua, Gentile di Sangro, Stefano Sanseverino, Marino del Giudice di Amalfi Arcivescovo di Taranto e Camerlengo della Sede Appostolica, e Francesco Prignano suo nipote; e per aver maggior parte in Napoli e nel Regno, conferì a loro, e ad altri loro aderenti tutte le chiese principali ed altre dignità ecclesiastiche nel Regno. In oltre per porre la città di Napoli in divisione, privò Bernardo di Montoro Borgognone dell'Arcivescovado di Napoli, e lo conferì all'Abate Bozzuto Gentiluomo di molta autorità, e di gran parentado nella città; e per ultimo per mezzo del medesimo Duca d'Andria, mandò a chiamare Carlo di Durazzo, che a quel tempo si trovava nel Friuli. Carlo a questa seconda chiamata non fu sì renitente, come alla prima, perchè avea già avuto avviso da Napoli, che la Regina avendo preso sospetto di lui faceva grandi favori a Roberto di Artois, che era marito della sorella primogenita di Margarita, tal che entrato in gelosia, promise al Duca di venire, purchè si trattasse dal Papa, ch'il Re d'Ungaria gli desse buona licenza, e qualche favore ed aiuto, perchè da se non aveva altre forze che circa 100 cavalli napoletani che l'aveano sempre servito in quella guerra, ed intanto s'apparecchiava per venire in Roma, aspettando l'avviso del Re d'Ungaria.
Avendo in cotal guisa Urbano posta in divisione la città di Napoli ove meno sperava, tirò al suo partito molte altre province e Regni. Quasi tutte le città di Toscana e di Lombardia, insieme co' Romani, riconoscevano lui per Papa. L'Alemagna e la Boemia stette nel suo partito. Lodovico Re d'Ungaria pure lo riconobbe: la Polonia, la Prussia, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia seguirono l'esempio dell'Alemagna, ed in Inghilterra, essendo stati uditi i deputati de' due contendenti nel Parlamento, fu approvata l'elezione d'Urbano e rigettata quella di Clemente.
Dall'altra parte Papa Clemente era riconosciuto nella Francia, nella Scozia, in Lorena, in Savoia e nella Spagna, la quale quantunque prima stesse per Urbano, si dichiarò poi per Clemente; ma sopra tutti era riconosciuto e favorito dalla nostra regina Giovanna, la quale, partito che fu Clemente di Fondi, ed andato a Gaeta, e di là venuto a Napoli, lo ricevè con grandissimo apparato nel castello dell'Uovo, e per fargli onore gli fece far un ponte in mare di notabile lunghezza, dove egli venne a smontare. La Regina con tutti quei, che erano andati ad incontrarlo, si ridusse sotto l'arco grande del castello, il quale era adornato di ricchissimi drappi, ed ivi collocarono la sede pontificale nel modo solito, dove subito che fu Clemente assiso, la Regina col Principe Ottone suo marito andò a baciargli il piede, ed appresso Roberto d'Artois con la Duchessa di Durazzo sua moglie, dopo andò Agnesa, ch'era vedova, poichè fu già moglie del Signor di Verona, ed erasi ritirata in Napoli, e per ultimo Margarita sua sorella, moglie di Carlo di Durazzo, che si trovava in Napoli; seguì appresso a baciargli il piede un gran numero di Cavalieri e Baroni, e donne, e damigelle leggiadramente vestite; poi saliti su al castello, il Papa fu realmente alloggiato con tutti i Cardinali, e stettero alcuni dì in continui conviti e feste, ed a richiesta della Regina creò Cardinale Lionardo di Gifoni generale de' Frati Minori.
Ma mentre duravano queste feste nel castel dell'Uovo, il popolo Napoletano, che forse sarebbe stato quieto, se avesse visto, che la Regina con maggior sicurtà avesse ricevuto il Papa nella città, e fatto partecipare di queste feste la plebe avida di nuovi spettacoli; parendo a molti di natura sediziosi, che la Regina, come consapevole dell'error suo, non ardisse di fare quella festa in pubblico, cominciò a mormorare contra di lei, che per mal consiglio de' suoi Ministri, istigati da lor proprie passioni, volesse favorire un Antipapa di nazione straniero e nutrire uno scisma, con tanto scandalo di tutto il Mondo, contra la Sede Appostolica, sempre fautrice sua e de' suoi progenitori e contra un Papa napoletano, dal quale in universale, ed in particolare tutti potevano sperare onori e beneficj; e come è costume del vulgo, in ogni parte si parlava dissolutamente e con poco rispetto; ed un di que' giorni avvenne, che un artegiano alla piazza della Sellaria parlando licenziosamente contra la Regina, fu ripreso da Andrea Ravignano nobile di Porta Nova; ma persistendo colui in dire peggio che prima, Andrea gli spinse il cavallo sopra e lo percosse in un occhio, di cui restò cieco, onde quelli della strada mossi in grandissimo tumulto presero l'armi; e nel medesimo tempo dalla piazza della Scalesia si mosse un sarto chiamato il Brigante, nipote dell'artegiano offeso, uomo sedizioso ed insolente, il quale trovando gli animi degli altri sollevati, e raccolto un gran numero di popolo minuto, alzò le voci gridando: viva Papa Urbano: e seguito da tutti quelli, scorse per le parti basse della città, saccheggiando le case degli Oltramontani che vi abitavano. Allora l'abate Luigi Bozzuto, che, come si è detto, era stato creato da Papa Urbano, Arcivescovo di Napoli, e che per timore della Regina stava nascosto nella sua casa, nè avea avuto ardire di prendere il possesso dell'Arcivescovado, uscì fuori e tumultuariamente aiutato dal popolo prese il possesso della chiesa e del palagio Arcivescovile, cacciandone la famiglia dell'Arcivescovo Bernardo.
Questo tumulto di Napoli col sacco di tante case, ch'erasi disseminato ne' casali d'attorno, ancorchè fosse stato ripresso da' Nobili e da' gran Popolani, avendo prese l'armi, quietarono il romore e poi corsero al castello, per mostrarsi pronti al servigio della Regina e di Papa Clemente, pose in tanto timore il Papa, che non bastandogli tutto ciò ch'erasi fatto ed offerto da' Nobili, volle tosto imbarcarsi su alcune galee coi suoi Cardinali e gitone prima a Gaeta, di là poi passò ad Avignone, dove restituì la Sede pontificale, ed ivi per molto tempo fu ubbidito non men dalla Francia che dalla Spagna, Scozia, Lorena e Savoia.
La Regina, benchè fosse per questi rumori rimasta assai turbata, nulladimanco usando la solita virilità, confidata nella prontezza de' Nobili, che aveano raffrenato l'ira ed il furore del Popolo, ordinò a Raimondo Ursino figliuolo del Conte di Nola, ed a Stefano Ganga Reggente della Vicaria, che con buona banda di gente uscissero contro i ladroni del contorno, e da poi che n'ebbero tagliati a pezzi un gran numero e molti presi, che furono tenagliati e divisi in quarti entrarono nella città, e per ordine della Regina andarono alle case del Bozzuto, e non ritrovandolo, perocchè era scappato via, avendo veduto, che quei del Popolo aveano deposte l'armi, fecero diroccare le case paterne dell'Arcivescovo nel Seggio di Capuana, e poi fecero dare il guasto alle sue possessioni. Il Brigante con alcuni altri Capi di quel tumulto furono subito tutti insieme appiccati; tanto che il Popolo minuto per lo grandissimo timore conceputo, si stava rinchiuso nelle sue proprie case.
Non guari da poi si vide Napoli posta di nuovo tutta in armi e sconvolgimenti, per cagion d'una gara che in que' tempi passava tra' Nobili delle piazze di Capuana e Nido, con quelle di Portanova, Porto e Montagna, pretendendo que' di Capuana e Nido in vigor di una sentenza, che aveano riportata dal Re Roberto, d'esser preposti così negli atti, come ne' governi delle cose pubbliche a tutti gli altri Nobili dell'altre tre piazze, che per ischerno chiamavano Mediani, quasi che fossero un secondo stato, fra' Nobili ed il Popolo. All'incontro i Nobili de' tre seggi andavan tessendo genealogie delle altre famiglie, dando loro origini pur troppo basse, facendole originarie della costa d'Amalfi, de' Casali intorno e d'altri luoghi più ignobili, dove, a lor dire, i lor congiunti dimoravano esercitando ancora arti meccaniche a vili. Dalle contumelie si venne alle armi, e fu fatta strage grandissima per l'una parte e l'altra, e la città tutta posta in iscompiglio e disordine. La povera Regina, a cui premevano cose di maggior importanza, e che per riparare l'imminente tempesta che le soprastava, avea mandato il principe Ottone a S. Germano, non volle prender allora degli autori del tumulto e degli omicidiali castigo; ma importandole darvi presto riparo, cacciò fuori un indulto, col quale ordinando, che dato giuramento da ambe le parti in mano d'Ugo Sanseverino gran Protonotario del Regno di viver quieti, e di non vicendevolmente offendersi, indultava tutti que' Cavalieri, per le morti e contenzioni precedute, insino che col ritorno del principe Ottone suo marito, non si fossero quelle discordie intieramente terminate. L'indulto, di cui fa anche memoria Pier Vincenti nel suo Teatro dei Protonotari, si legge impresso nella Storia del Summonte, e fu sotto li 3 settembre di quest'anno 1380 istromentato nel Castel Nuovo di Napoli, per mano di Facio da Perugia Giureconsulto, Viceprotonotario del Regno.