CAPITOLO I.

Venuta del Re Cattolico in Napoli, e suo ritorno in Ispagna per la morte accaduta del Re Filippo. Come lasciasse il Regno sotto il governo de' Vicerè suoi Luogotenenti: sua morte, e pomposi funerali fattigli in Napoli.

Il Re Cattolico ritirato da Castiglia ne' suoi propri Stati d'Aragona, deliberò di passar tosto a Napoli, non tanto per desiderio di vedere questo Regno, siccome i Napoletani ne l'aveano richiesto, ed egli loro promessolo, e di riordinarlo, come apparentemente mostrava, ma per cagioni assai più gravi e serie. Mostrava per tanto egli in apparenza di venire per desiderio di vederlo e di riordinarlo con migliori leggi ed istituti, e restituirlo nell'antico splendore e dignità. E dall'altra parte il desiderio e l'espettazione de' Napoletani era molto maggiore, persuadendosi ciascuno, che per mano d'un Re glorioso per tante vittorie avute contra gl'Infedeli e contra i Cristiani, venerabile per opinione di prudenza, risonando chiarissima la fama d'avere con singolar giustizia e tranquillità governato i suoi Reami; dovesse il Regno di Napoli ristorarsi di tanti affanni ed oppressioni, che dalla morte di Ferdinando I per lo spazio poco men di diece anni avea sofferti, e vedutosi ardere per continue guerre e tutto sconvolto per le mutazioni di sette Re, che in sì breve spazio di tempo vi dominarono; dovesse ora per la prudenza d'un tanto Re ridursi in istato quieto e felice; e sopra tutto reintegrarsi de' Porti, dei quali nell'Adriatico i Veneziani per le precedute guerre, soccorrendo i Re d'Aragona di Napoli di denari, si erano impadroniti, e tenevano a titolo di pegno, con dispiacere non piccolo di tutto il Reame.

Ma cagioni assai più gravi mossero il Re Cattolico ad intraprendere questo viaggio. Era egli entrato in sospetti gravissimi del Gran Capitano, del quale, dopo la morte della Regina Elisabetta, temeva che non pensasse in se medesimo trasferire il Regno di Napoli; ovvero fosse più inclinato a darlo al Re Filippo che a lui: di che maggiormente s'era insospettito, perocchè non ostante che, fatto l'accordo, il Re Filippo gli facesse intendere che avea totalmente ad ubbidire al Re d'Aragona, il quale l'avea richiamato in Ispagna; egli tuttavia con varie scuse ed impedimenti differiva l'andata; perciò Ferdinando dubitando, non andandovi in persona, d'avere difficoltà di levargli il governo, deliberò venire; ed imbarcatosi a Barcellona a' 4 settembre di quest'anno 1506 con 50 vele, navigò verso Italia.

Il Gran Capitano avvisato della deliberazione del Re Cattolico, mandò subito, prima che il medesimo partisse da Barcellona, un suo uomo a prestargli ubbidienza, e ad offerirsi pronto a riceverlo. Il Re nascondendo ciò che di lui avea pensato di fare, l'accolse lietamente, e confermò a lui non solo il Ducato di S. Angelo, il quale gli aveva già donato il Re Federico; ma ancora Terranova, e tutti gli altri Stati, che possedeva così in Calabria, come in tutto il Regno, che in que' tempi portavan d'entrata più di ventimila ducati. Gli confermò l'Ufficio di Gran Contestabile del medesimo Regno, e gli promise per cedola di sua mano il Maestralgo di S. Jacopo; perciò Ferdinando imbarcatosi con maggior speranza, ed onoratamente ricevuto per ordine del Re di Francia insieme con la moglie in tutti i Porti di Provenza, fu col medesimo onore ricevuto nel Porto di Genova. Il Gran Capitano andò ad incontrarlo, ciò che diede a tutti ammirazione, perchè non solo negli uomini volgari, ma eziandio nel Pontefice, era stata opinione, ch'egli consapevole della inobbedienza passata, e de' sospetti, i quali il Re forse non vanamente avea avuti di lui, fuggendo per timore il suo cospetto, passerebbe in Ispagna.

Partito da Genova, non volendo con le galee sottili discostarsi da terra, stette più giorni, per non avere i venti prosperi, in Portofino; dove, mentre dimorava, gli sopraggiunse avviso, che il Re Filippo suo genero giovane di 25 anni, e di corpo robustissimo e sanissimo, nel fiore della sua età e costituito in tanta felicità, per febbre duratagli pochi dì, era in Burgos passato all'altra vita a' 25 settembre, lasciando di se e di Giovanna sua moglie, Carlo e Ferdinando, che furon poi Imperadori, e quattro figliuole femmine.

Ciascuno credette, che per desiderio di ripigliare il governo di Castiglia, Ferdinando volgesse subito le prue a Barcellona; ma continuando egli il cammino, giunto nel porto di Gaeta nel dì di San Luca, nel giorno seguente entrò in Napoli, dove fu ricevuto dai Napoletani con grandissima magnificenza ed onore. Concorsero a Napoli prontamente Ambasciadori di tutta Italia, non solo per congratularsi, ed onorare un tanto Principe, ma eziandio per varie pratiche e cagioni, persuadendosi ciascuno, che con l'autorità e grandezza sua avesse a dar forma, e ad essere il contrappeso di molte cose. Ma giunto Ferdinando a Napoli, perchè avea determinato di passar in Ispagna, e di trattenervisi poco tempo, non potè soddisfare all'espettazione grandissima, che s'era avuta di lui.

Era egli stimolato per varie cagioni di ritornar presto in Ispagna, intento tutto a riassumere il governo di Castiglia, perch'essendo inabile Giovanna sua figliuola a tanta amministrazione, non tanto per l'imbecillità del sesso, quanto perchè per umori malinconici, che se le scopersero nella morte del marito, era alienata dall'intelletto, i figliuoli comuni del Re Filippo e di lei erano ancora inabili per l'età, de' quali il primogenito Carlo non avea più che sette anni. Lo movea, oltra questo, l'essere desiderato e chiamato a quel governo da molti per la memoria d'essere stati retti giustamente, e fioriti per la lunga pace quelli Regni sotto lui; ed accrescevano questo desiderio le dissensioni già cominciate tra i Signori grandi, e l'apparire da molte parti segni manifestissimi di future turbazioni; ma non meno era desiderato dalla figliuola Giovanna, la quale, non essendo nell'altre cose in potestà di se medesima, stette sempre costante in desiderare il ritorno del padre, negando contra le suggestioni ed importunità di molti, ostinatamente di non sottoscrivere di mano propria in espedizione alcuna il suo nome, senza la quale soscrizione non avevano, secondo la consuetudine di que' Regni, i negozi occorrenti la sua perfezione.

Per queste cagioni non potè più trattenersi in Napoli, che sette mesi, ne' quali, ancorchè avesse dato in parte qualche riordinamento al Regno con introdurvi nuova politia; la quale dopo la sua partita, dai Vicerè che vi lasciò, e dagli altri Re suoi successori fu perfezionata, e poi ridotta nello stato nel quale oggi ancora dura; nulladimanco, e la brevità del tempo, e perchè difficilmente si può corrispondere a' concetti degli uomini, il più delle volte non considerati con la debita maturità, nè misurati con le debite proporzioni, non soddisfece a quel concetto grandissimo che s'era di lui formato.

Coloro, che credettero colla sua venuta in Napoli doversi apportare comodo universale all'Italia, rimasero delusi, perchè alle cose d'Italia non lo lasciò pensare il desiderio di ritornare presto nel governo di Castiglia, fondamento principale della grandezza sua; per lo quale era necessitato fare ogni opera per conservarsi amici il Re de' Romani, e 'l Re di Francia, acciocchè l'uno con l'autorità d'essere avolo de' piccioli figliuoli del Re morto, l'altro con la potenza vicina, e col dare animo ad opporsegli a chi avea l'animo alieno da lui, non gli mettessero disturbi a ritornarvi.

Intorno al gratificare il Regno, ancorchè, come scrisse il Guicciardino, non vi portasse alcuna utilità, nè vi facesse alcun beneficio, ciò nacque per la difficoltà, che seco portava 'l trovarsi egli obbligato per la pace fatta col Re di Francia, a restituire gli Stati tolti a' Baroni angioini, che o per convenzione, o per remunerazione erano stati distribuiti in coloro, ch'aveano seguitata la parte sua: e costoro, non volendo egli alienarsi i suoi medesimi, era necessitato ricompensare, o con Stati equivalenti, che si aveano a comprare da altri, o con danari: alla qual cosa essendo impotentissime le sue facoltà, era costretto non solo a far vivi in qualunque modo i proventi Regj, ed a dinegar di fare, secondo il costume de' nuovi Re, grazia o esenzione alcuna, o esercitare spezie alcuna di liberalità, ma eziandio, con querela incredibile di tutti, ad aggravare i Popoli, i quali aveano aspettato sollevazione e ristoro di tanti mali. Ed ancorchè a' 29 gennajo del nuovo anno 1507, ad istanza degli Eletti della città di Napoli, avesse conceduto indulto generale (che si legge fra le nostre prammatiche) agli uomini della città di Napoli, e di tutte le altre città e Terre demaniali di questo Regno, per li delitti commessi per tutto il mese d'ottobre passato, da che egli entrò a Napoli; ed a' 30 del medesimo mese, essendosi convocato general Parlamento, avesse egli confermati i privilegj, e conceduto alla città 47 capitoli, non derogando agli altri privilegj conceduti da' Re suoi predecessori; nulladimanco gli fu per ciò fatto un donativo di ducati trecentomila.

I Baroni, non meno Angioini che del suo partito, non cessavano parimente di querelarsi, perchè a quegli che possedevano, oltra che mal volontieri rilasciavano, gli Stati, furono per necessità scarse e limitate le compensazioni, ed a quegli altri si ristringeva quanto si poteva in tutte le cose, nelle quali accadeva controversia, il beneficio della restituzione; perchè quanto meno a lor si restituiva, tanto meno agli altri si ricompensava.

Solo alla Piazza del Popolo di Napoli fu Ferdinando liberalissimo, avendo a loro domande concedute molte grazie; secondo il privilegio, che intiero vien rapportato da Camillo Tutini nel suo libro della Fondazione de' Seggi, che porta la data nel Castel Nuovo de' 18 maggio di quest'anno 1507, le quali poi nel 1517 furono confermate dalla Regina Giovanna, e dall'Imperador Carlo V suo figliuolo.

Partì finalmente il Re Cattolico da Napoli a' 4 giugno di quest'anno 1507, e con lui il Gran Capitano, drizzando la navigazione a Savona, ove era convenuto abboccarsi col Re di Francia. Partì con poca soddisfazione tra 'l Pontefice e lui, perchè avendogli dimandata l'investitura del Regno, il Pontefice negava di concederla, se non col censo, col quale era stata conceduta agli antichi Re. Ferdinando faceva istanza, che gli fosse fatta la medesima diminuzione, ch'era stata fatta al Re Ferdinando I suo cugino, a' figliuoli, ed a' nipoti: dimandava l'investitura di tutto il Regno in nome suo proprio, come successore d'Alfonso il vecchio, nel qual modo avea ricevuto in Napoli l'omaggio ed i giuramenti, con tutto che ne' capitoli della pace fatta col Re di Francia, si disponesse, che in quanto a Terra di Lavoro e l'Apruzzi si riconoscesse insieme il nome della Regina Germana sua moglie. Si credette, che l'aver il Papa negato di concedere l'investitura, fosse cagione, che 'l Re ricusasse di venire a parlamento con lui, mentre il Papa, essendo stato nel tempo medesimo più dì nella Rocca d'Ostia, si diceva esservi stato per aspettare la passata sua. Ma in appresso, nel 1510, gli concedè ciò che volle, e gli donò li censi, che dovea; siccome da poi nel 1513 fece anche Lione X, confermandogli tutti i privilegi, concessioni, remissioni ed immunità fattegli da' Pontefici Romani suoi predecessori.

Ferdinando passato a Savona, e trovato il Re di Francia, con molti segni di stima e di confidenza fra di loro, per tre giorni si trattenne quivi; nel qual tempo ebbero segretissimi e lunghissimi ragionamenti; ed il Gran Capitano fu con eccessive lodi, e con incredibile stima ed ammirazione di tutti onorato sopra la fortuna degli altri uomini dal Re di Francia, il quale aveva voluto, che alla mensa medesima, nella quale cenarono insieme Ferdinando, e la Regina, ed egli, cenasse ancora Consalvo, siccome ne gli avea fatto comandare da Ferdinando; indi, dopo il quarto giorno, i due Re con le medesime dimostrazioni di concordia si partirono da Savona: Ferdinando col Gran Capitano prese il cammino per mare verso Barcellona, ed il Re Luigi se ne ritornò per terra in Francia. Fu questo l'ultimo de' gloriosi giorni del Gran Capitano; poichè giunto che fu con Ferdinando in Ispagna, gli fece questi intendere, che non venisse in Corte, ma andasse alle sue Terre, nè si partisse se non veniva da lui chiamato; il perchè non si videro mai più mentre vissero, nè uscì mai da' Reami di Spagna, nè ebbe più facoltà d'esercitare la sua virtù, perchè da poi non fu adoperato nè in guerra, nè mai in cose memorabili di pace: onde si narra, che soleva dire, di tre cose pentirsi, la prima aver mancato di fede a D. Ferdinando Duca di Calabria figliuolo del Re Federico; la seconda non avere osservata la fede al Duca Valentino; e la terza non poterla dire, giudicandosi che fosse, di non avere, per la gran benevolenza de' Nobili e de' Popoli verso di lui, consentito di farsi gridare Re di Napoli.

Tornato il Re Cattolico in Ispagna, gli fu subito dalla Regina sua figliuola dato il governo de' Regni di Castiglia, ed il Regno di Napoli fu amministrato da Vicerè suoi Luogotenenti, a' quali concedendosi pieno potere e assoluta autorità, per ciò che riguarda il suo governo, si vide Napoli già regia sede, quando prima era immediatamente governata da' suoi Principi, mutata in sede di Vicerè, e pendere da' loro cenni; onde fu nuova politia introdotta, scemata a' primi Ufficiali del Regno molta autorità, ed introdotti nuovi Magistrati e leggi, come qui a poco diremo.

Resse Ferdinando per nove altri anni, fin che visse, il Regno, da Spagna per suoi Ministri e rimossone il Gran Capitano, che fu il primo suo Vicerè, anzi suo gran Plenipotenziario, che per quattro anni con tanta sua lode e soddisfazione di tutti gli Ordini e nelle cose di guerra e nelle più importantissime di pace avea amministrato il Regno: vi lasciò in suo luogo D. Giovanni d'Aragona Conte di Ripacorsa, che fu il secondo Vicerè del Regno, che per lo spazio di due anni e quattro mesi lo governò con molta saviezza e prudenza.

Diede ancora Ferdinando, per la caduta del Gran Capitano, l'Ufficio di Gran Contestabile al famoso Fabrizio Colonna Duca di Tagliacozzo valoroso Capitano, al quale commise l'espedizione contra i Vineziani per la ricuperazione de' Porti, e delle città, che coloro tenevano occupate nel Regno alla riva del mare Adriatico. Erano, come si è narrato, stati del Regno scacciati interamente i Franzesi: solo rimaneva per ridurlo nel suo primiero stato, che se gli restituissero le città di Trani, Monopoli, Mola. Polignano, Brindisi ed Otranto, che ancora i Vineziani tenevano occupate; onde Ferdinando ordinò, che loro s'intimasse la guerra, e nel 1509 diede il comando delle sue truppe a Fabrizio, il quale andò coll'esercito ad assediar Trani, e non tantosto fu accampato vicino a quella città, che i cittadini consapevoli del valore di Fabrizio, subito si resero: seguitarono l'esempio di Trani, tutte le altre soprannominate città; onde furono quelle co' loro porti restituite alla Corona di Napoli, siccome erano prima.

Il Conte di Ripacorsa, richiamato dal Re alla Corte, lasciò per suo Luogotenente D. Antonio di Guevara Gran Siniscalco del Regno, il quale non più che sedici giorni l'amministrò; ma sopraggiunto a' 24 d'ottobre del medesimo anno 1509 D. Raimondo di Cardona, destinato dal Re successor Vicerè, fu da costui amministrato il Regno finchè Ferdinando visse.

Intanto per la morte di Luigi XII sursero nuovi sospetti con Francesco I suo successore per le cose di Napoli. E dall'altro canto Massimiliano Re de' Romani mal sofferendo, che Ferdinando avesse preso il governo de' Regni di Castiglia, in pregiudizio di Carlo nipote comune, minacciava nuove intraprese; il perchè parve a Ferdinando, per potere attendere con maggiore animo ad impedire la grandezza del Re di Francia a lui sempre sospetta, per l'interesse del Reame di Napoli, di rappacificarsi nel miglior modo, che potè con Massimiliano; onde nella fine di quest'istesso anno 1509 fra di loro fu stabilita concordia, per la quale fu convenuto, che il Re Cattolico, in caso non avesse figliuoli maschi, fosse Governadore di que' Reami, insino che Carlo nipote comune pervenisse all'età di vinticinque anni; e che non pigliasse Carlo titolo regio vivente la madre, la quale avea titolo di Regina, poichè in Castiglia le femmine non sono escluse dai maschi.

Stabilito per tal convenzione il Re d'Aragona nel governo de' Regni di Castiglia, fu tutto inteso ad impedire i disegni del Re franzese, che teneva sopra Italia, e sopra il Regno di Napoli. Ma questo inclito Re mentre apparecchiavasi a sostenere la guerra, che il Re Francesco minacciavagli, finì i giorni suoi in Madrid in età di 75 anni.

Morì Ferdinando nel mese di Gennaio del 1516 siccome scrissero il Guicciardino e gli altri Istorici contemporanei, a' quali deve prestarsi più fede, che a qualunque altro Scrittor moderno, che ingannati da una scorrettissima data d'una lettera di Carlo, fissano il giorno della sua morte in gennaio dell'anno precedente 1515. Morì (mentre andava con la Corte a Siviglia) in Madrid, villa allora ignobilissima del Contado di Toledo, presso a S. Maria di Guadalupe, e volle, che il suo corpo fosse seppellito a Granata, ove fu trasferito. Re secondo l'elogio, che gli tessè il Guicciardino, di eccellentissimo consiglio e virtù, nel quale, se fosse stato costante nelle promesse, non potresti facilmente riprendere cos'alcuna, perchè la tenacità dello spendere, della quale era calunniato, dimostrò facilmente falsa la morte sua; conciossiacosachè avendo regnato quaranta due anni, non lasciò danari accumulati; ma accade quasi sempre, per lo giudicio corrotto degli uomini, che ne' Re è più lodata la prodigalità, benchè a quella sia annessa la rapacità, che la parsimonia congiunta con l'astinenza della roba d'altri. Alla virtù rara di questo Re, si aggiunse la felicità rarissima e perpetua (se tu ne levi la morte dell'unico figliuolo maschio) per tutta la vita sua, perchè i casi delle femmine e del genero furono cagione, che insin alla morte si conservasse la grandezza: e la necessità di partirsi, dopo la morte della moglie, di Castiglia, fu più tosto giuoco, che percossa della fortuna: in tutte le altre cose fu felicissimo. Di secondogenito del Re d'Aragona, morto il fratello maggiore, ottenne quel Reame: pervenne per mezzo del matrimonio contratto con Isabella al Regno di Castiglia: scacciò vittoriosamente gli avversarj, che concorrevano al medesimo reame. Ricuperò poi il Regno di Granata posseduto da' nemici della nostra fede poco meno di 800 anni: aggiunse all'Imperio suo il Regno di Napoli, quello di Navarra, Orano e molti luoghi importanti de' liti dell'Affrica: superiore sempre e quasi domatore di tutti i nemici suoi; ed ove manifestamente apparì congiunta la fortuna con l'industria, coprì quasi tutte le sue cupidità sotto colore d'onesto zelo di religione e di santa intenzione al ben comune.

Morì circa un mese innanzi alla morte sua (a' 2 decembre del 1515) il Gran Capitano, assente dalla Corte e mal soddisfatto di lui; e nondimeno il Re per la memoria della sua virtù, volle egli, e comandò, che da se, e da tutto il Regno gli fossero fatti onori insoliti a farsi in Ispagna ad alcuno, eccetto che nella morte de' Re, con grandissima approvazione di tutti i Popoli, a' quali il nome del Gran Capitano per la sua grandissima liberalità era gratissimo; e per l'opinione della prudenza, e che nella scienza militare trapassasse il valore di tutti i Capitani de' tempi suoi, era in somma venerazione.

Saputosi in Napoli la morte di sì gran Re, D. Bernardino Villamarino, che per l'assenza di D. Raimondo di Cardona Vicerè si trovava in Napoli suo Luogotenente, gli fece con grandissimo apparato celebrare esequie pomposissime nella chiesa di S. Domenico, ove intervenne tutto il Baronaggio con gli Eletti e Deputati della città, e tutti gli Ufficiali Regj. E la Piazza del Popolo, ricordevole de' privilegi e grazie concedutegli, gli fece ancora con grandissimo apparato celebrare i funerali nella chiesa di S. Agostino: ed in memoria d'un tanto lor benefattore statuì, che ogni anno a' 23 gennaio se gli celebrasse un Anniversario, Cio che veggiamo nel dì statuito continuarsi sino ai dì nostri con molta celebrità e pompa.

Morto Ferdinando, il Principe Carlo Arciduca d'Austria, ch'era in Brusselles, ancorchè vivesse Giovanna sua madre, alla quale s'apparteneva la successione del Regno, non tralasciò di scriver subito alla città di Napoli una molto affettuosa lettera, nella quale profferendole il suo amore, le impone che ubbidisse per l'avvenire a D. Raimondo di Cardona, come aveano fatto per lo passato, ch'egli confermava Vicerè. Governò sola Giovanna pochi mesi la Monarchia; ma arrivato, che fu Carlo in Ispagna l'associò al Regno, da lui poi amministrato con quella saviezza, e prudenza, che sarà narrata ne' seguenti libri di quest'Istoria.

Così le Spagne, e tutti i dominj, onde si componeva sì vasta Monarchia, passarono negli Austriaci discendenti da' Conti d'Aspurg; e con meraviglia di tutti fu veduto, che Ferdinando Re d'Aragona, per far maggiore la grandezza del successore (mosso non da altra cagione, che da questo, con consiglio dannato da molti, e per avventura ingiusto) spogliò del Regno d'Aragona il Casato suo proprio tanto nobile, e tanto illustre, e consentì contra il desiderio comune della maggior parte degli uomini, che il nome della Casa sua si spegnesse, e si annichilasse.

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