Carlo parte dal Regno, e vi ritorna Ferdinando , che ne discaccia i Franzesi coll'aiuto del G. Capitano; viene acclamato da' popoli, ed è restituito al Regno: suo matrimonio e morte.
I Franzesi, che non sapendo reprimere la violenza della prospera fortuna, si resero vie più altieri ed ambiziosi, oltre d'aversi alienati gli animi de' popoli, dando sospetto a' Principi d'Italia, ed a coloro medesimi che ve gli aveano invitati, se gli alienarono in guisa, che finalmente congiurati gli discacciarono interamente d'Italia. Resi ormai padroni del Regno, e per intelligenza e pratica avuta co' Tedeschi che lo guardavano, resi ancor padroni del Castel Nuovo, e poi del castello dell'Uovo e di Gaeta; non restava loro altro di maggior rimarco, che impossessarsi d'Ischia. Tanto che Ferdinando perduta ogni speranza, lasciando quell'isola in guardia ad Innico d'Avalos fratello del Marchese di Pescara, partì e se ne passò in Sicilia, dove a' 20 marzo di quest'istesso anno 1495 fu da' Messinesi con amor grande ricevuto, e quivi, consultando con Alfonso suo padre che ancor vivea, del modo come ricuperar potessero, e con quali aiuti il perduto Regno, dimorava.
Intanto Re Carlo mal sapendo co' suoi Capitani governarsi in un Regno nuovo, e per soverchio orgoglio de' suoi, nulla soddisfazione dandosi alla nobiltà, in brevissimo spazio vide mutarsi quella gloria e quella fortuna, che cotanto l'avea favorito. Narra il Signore d'Argentone, allora suo Ambasciadore in Vinegia, che il Re dopo essere entrato in Napoli, infino alla sua partita, non attese ad altro che a' piaceri ed a' sollazzi; ed i Franzesi suoi Ufficiali a rapine, ed a ragunar denari: alla nobiltà non fu usata nè cortesia nè carezzo alcuno; anzi con difficoltà erano introdotti nella sua corte. Gli Caraffa furono i meno maltrattati, ancorchè fossero veri Aragonesi. A niuno lasciarono ufficj, nè dignità, e peggio trattarono gli Angioini che gli Aragonesi. E Matteo d'Afflitto rapporta, che Carlo istigato da' suoi, che lo stimolavano a ridurre i Baroni del Regno nello stato, nel quale sono i Baroni di Francia, fece consultare il modo come potesse toglier loro il mero e misto imperio, che sin dal tempo del Re Alfonso I d'Aragona esercitavano ne' loro feudi. Non si spedivano privilegi ed ordinazioni del Re, che i Ministri, per le cui mani passavano, non ne riscuotessero denari. Tutte le autorità e carichi furono conferiti a due o tre Franzesi. Si levavano i Ministri dai loro posti, e non senza denari poi si restituivano. Così i Napoletani (gente naturalmente più d'ogni altra mutabile) quel pazzo amore, che prima aveano ai Franzesi, lo cominciarono a mutar in odio.
Intanto giunto Ferdinando in Sicilia, consultando con Alfonso suo padre di trovar qualche riparo alla loro rovina, aveano deliberato di ricorrere agli aiuti di Ferdinando il Cattolico, come ad un Principe non men potente, che a lor congiunto di sangue; ma sopra tutto, perch'essendo padrone della Sicilia, avrebbe presa la loro protezione, non tanto per la strettezza del sangue, quanto che a' suoi propri interessi importava, che il Regno di Napoli non fosse in mano dei Franzesi, i quali dominando un Regno così possente e ricco, e cotanto alla Sicilia vicino, forte dubitar si poteva, che finalmente non s'invogliassero d'invaderla, ed a quel di Napoli non pensassero d'unirla. Mandarono per ciò in Ispagna al Re Cattolico, Bernardino Bernaudo Segretario di Ferdinando, perchè ne pigliasse la protezione, e con validi soccorsi gli riponesse nel possesso del perduto Regno. Missione per gli Aragonesi di Napoli pur troppo infelice; e se la necessità, che allora li premeva non gli scusasse, fu questa una deliberazione pur troppo mal regolata ed imprudente, non solo perchè s'esposero all'ambizione degli Spagnuoli, che per aver la Sicilia vicina facilmente potevano invogliarsi alla occupazione del Regno di Napoli, come l'evento lo dimostrò; ma ancora perchè Ferdinando il Cattolico figliuolo di Giovanni Re d'Aragona fratello d'Alfonso I riputava il Regno di Napoli essersi ingiustamente tolto alla Corona d'Aragona, a cui spettava, e che Alfonso non poteva lasciarlo a Ferdinando suo figliuol bastardo, ma che in quello vi dovea succedere Giovanni, siccome succedette nella Sicilia, nell'Aragona e negli altri Regni posseduti da Alfonso. E le cose succedute appresso dimostrarono, che agli Aragonesi di Napoli sarebbe stato più facile e maggiore la speranza di ricuperare il Regno, se fosse rimaso nelle mani de' Franzesi, che cadendo in potere degli Spagnuoli perder affatto ogni speranza di riaverlo.
Ferdinando il Cattolico ricevè molto volentieri l'invito ed accettò l'impresa; onde mandò tosto in Sicilia con sufficiente armata Consalvo Ernandez di casa d'Aghilar, di patria Cordovese, uomo di molto valore ed esercitato lungamente nelle guerre di Granata: il quale nel principio della sua venuta in Italia, cognominato dalla jattanza spagnuola il Gran Capitano per significare con questo titolo la suprema podestà sopra loro, meritò per le preclare vittorie ch'ebbe da poi, che per consentimento universale gli fosse confermato e perpetuato questo soprannome, per significazione di virtù grande e di grande eccellenzia nella disciplina militare. Giunto Consalvo in Messina colle sue truppe, fu con incredibile allegrezza accolto da Alfonso e da Ferdinando; ed avendo confortato que' Re a star di buon cuore, sbarcò le sue genti in Calabria, ove riportò sopra i Franzesi rimarchevoli vantaggi.
Dall'altra parte i Principi d'Italia, ed il Duca istesso di Milano conchiusero in Vinegia a danni del Re Carlo una ben forte lega, nella quale oltre i Vinegiani, v'entrarono ancora il Re de' Romani e Ferdinando Re di Castiglia. Il Papa Alessandro VI vi volle ancor egli essere incluso, per liberarsi da continui timori, e dalle violenze che temeva da' Franzesi: era egli entrato in diffidenza di Carlo, e cominciavano ad alienarsi, e l'alienazione a scoppiare in manifeste inimicizie; poichè avendo il Re Carlo più volte ricercato il Papa, che l'investisse del Regno, e gli destinasse un Legato che lo incoronasse, Alessandro non volle acconsentirvi; onde Carlo sdegnato lo minacciò, che avrebbe fatto congregare un Concilio per farlo deporre; di che dubitando il Papa, e temendo la minaccia non fosse posta in effetto a cagion che teneva nemici molti Cardinali, e fra gli altri il Cardinal della Rovere, che poi fu Papa Giulio II, fu da dura necessità costretto mandargli l'investitura ed il Legato per l'incoronazione la quale seguì a' 20 maggio di questo anno 1495, con grande pompa e celebrità nel Duomo di Napoli.
Ma pubblicata che fu la lega di questi Principi, i quali per renderla più plausibile pubblicarono ancora i fini, per li quali essi furon mossi a firmarla, cioè per difesa della Cristianità contra il Turco, per difesa della libertà d'Italia, e per la conservazione degli Stati propri; allora entrò il Re in tanto sospetto che non fu possibile a' suoi Capitani di quietarlo, ed essendo precorsa voce, che Francesco Gonzaga Marchese di Mantova, eletto Generale dell'esercito della lega, lo minacciava, o d'ucciderlo o di prenderlo prigione, deliberò partir da Napoli, risoluto di ritornarsene in Francia per la medesima strada, dond'era venuto, benchè la lega s'apparecchiasse di vietarglielo. Si ritirò per tanto appresso di se le migliori truppe, e lasciò per guardia del Regno assai debole sostentamento, non più che cinquecento uomini d'arme franzesi, duemila cinquecento Svizzeri, ed alcune poche fanterie Franzesi. Vi rimase per Capitan Generale Monsignor di Monpensieri della Casa di Borbone, in Calabria Eberardo Stuard Monsignor d'Aubignì di nazione Scozzese, il quale era stato da lui eletto Gran Contestabile del Regno, ed al quale avea donato il Contado di Acri, col Marchesato di Squillace. Lasciò Stefano di Vers, Siniscalco di Beaucheu, Governadore di Gaeta, fatto da lui Duca di Nola e d'altri Stati e Gran Camerario, per le cui mani passavano tutti i denari del Regno. Monsignor D. Giuliano di Lorena, creato Duca della città di S. Angelo, restò alla difesa del proprio Stato. In Manfredonia vi rimase Gabriello da Montefalcone: in Taranto Giorgio de Sully: nell'Aquila il Rettor di Vietri; ed in tutto l'Apruzzo Graziano di Guerra. Lasciò i Principi di Salerno e di Bisignano, che l'aveano ottimamente servito, molto ben contenti ed in buono e ricco stato.
Partì per tanto il Re, dopo aver ordinato in così fatta guisa la guardia del Regno, nell'istesso mese di maggio di quest'anno 1495 con tanta velocità, che pareva esser seguitato da innumerabile esercito, e giunto a Roma, non trovandovi il Pontefice, il qual per tema, o per non vederlo, erasi ritirato in Orvieto e poi in Perugia, proseguì avanti il suo cammino, fin che giunto al fiume Taro, fu incontrato dall'esercito de' Vineziani, dove seguirono fieri combattimenti, perchè i Vineziani cercavano impedirgli il passaggio, e Carlo aprirsi il passo con le armi alle mani. Si pugnò ferocemente, e resta ancor oggi fra' Scrittori in dubbio, se fossero rimasi più tosto vincitori i Franzesi, che, malgrado dell'opposizione, finalmente passarono, o i Vineziani, che saccheggiarono il campo e le bagaglie di Carlo, di che, oltre l'Argentone, ampiamente scrissero il Guicciardino e Paolo Paruta nei suoi Discorsi.
La partita di Carlo dal Regno portò tanto cangiamento negli animi de' Popoli, che si videro mutar tosto le inclinazioni, ed i desiderj insieme con quella fortuna, che due mesi prima gli era stata cotanto favorevole. I Napoletani, mentre il Gran Capitano stava guerreggiando in Calabria co' Franzesi, mandarono sino in Sicilia con grandissima fretta a chiamar Ferdinando. Questi partì tosto con 60 grossi legni e 20 altri minori, ed ancorchè le sue forze fossero picciole, era però grande per lui il favore e la volontà de' Popoli; per ciò arrivato alla spiaggia di Salerno, subito questa città, la Costa d'Amalfi e la Cava alzarono le sue bandiere. Volteggiò da poi per due giorni sopra Napoli, e finalmente s'accostò coll'armata al lido per porre in terra alla Maddalena; ma uscito fuori della città Mompensieri con quasi tutti i soldati per vietargli lo scendere, i Napoletani, presa tale opportunità, si levarono subito in arme e cominciarono scopertamente a chiamare il nome di Ferdinando; ed occupate le porte lo fecero a' 7 luglio di quest'istesso anno 1495 entrare in Napoli, con alcuni de' suoi a cavallo, e cavalcando per tutta la città con incredibile allegrezza di ciascuno, fu da tutti ricevuto con grandissime grida; nè si saziando le donne di coprirlo dalle finestre di fiori e d'acque odorifere, molte delle più nobili correvano nella strada ad abbracciarlo e ad asciugargli dal volto il sudore. Seguitarono subito l'esempio di Napoli, Capua, Aversa e molte altre Terre circostanti, e Gaeta parimente cominciò a tumultuare. In Puglia la città d'Otranto sin da che intese la lega, vedutasi senza provvedimento di gente di guerra, e vicina a Brindisi e Gallipoli, aveva alzate le bandiere d'Aragona; onde Federico ch'era in Brindisi, la fornì tosto d'ogni cosa necessaria.
Nel tempo istesso che Ferdinando entrò in Napoli, l'armata vineziana accostatasi a Monopoli e fattovi sbarco, prese per forza la città, e poi, per accordo, Pulignano. Taranto fu difesa con valore da Georgio di Sully, e la conservò sotto l'insegne di Carlo infin che la fame non lo costrinse a renderla, dove poi egli si morì di peste. Ma Gabriello di Montefalcone, che avea in guardia Manfredonia, la rese subito per mancamento di vettovaglie, ancor che avesse egli ritrovata quella piazza copiosa di tutte le cose. Molte altre città tosto si resero per mancanza di viveri, e narra l'Argentone, che molti vendettero tutto ciò che trovarono dentro le Piazze commesse alla loro fede, e perciò eran costretti di subito renderle. S'aggiungeva ancora che tutte le Terre e Fortezze del Regno restarono mal fornite di denari, perchè stando assignati i soldi sopra le rendite delle Province, queste mancando, tosto vennero quelli a mancare, e la Calabria era stata quasi che tutta manomessa dal Gran Capitano. Fu fama che Alfonso poco innanzi alla sua morte, la qual accadde in questo tempo, avendo inteso, che il Regno erasi restituito sotto l'ubbidienza di Ferdinando suo figliuolo, avesse fatta istanza al medesimo di ritornare in Napoli, ove l'odio già avuto contra di lui credeva essersi convertito in benevolenza, e si dice che Ferdinando, potendo più in lui (com'è costume degli uomini) la cupidità del regnare, che la riverenza paterna, non meno mordacemente, che argutamente gli rispondesse, che aspettasse insino a tanto, che da lui gli fosse consolidato talmente il Regno, ch'egli non avesse un'altra volta a fuggirsene.
Poco adunque restando a Ferdinando a fare per discacciare interamente qualche reliquia de' Franzesi, ch'erano rimasi in Aversa ed in Gaeta, egli per maggiormente corroborare le cose sue con più stretta congiunzione col Re di Spagna, tolse per moglie, con la dispensa del Pontefice, Giovanna sua zia, nata di Ferdinando suo avo, e di Giovanna sorella del Re. E proseguendo con non interrotto corso di benigna fortuna a discacciare i suoi nemici dal Regno, non mancandogli quasi altro, che Taranto e Gaeta, si vide collocato, in somma gloria, ed in speranza grande d'avere ad esser puri alla grandezza de' suoi maggiori; ma ecco, mentre colla novella sposa si diverte a Somma, Terra posta nelle radici del Monte Vesuvio, che, o per le fatiche passate, o per disordini nuovi, gravemente infermatosi, vien disperato di salute, e portato a Napoli, finì fra pochi giorni in ottobre di questo anno 1496 la sua vita, non finito ancora l'anno della morte di Alfonso suo padre, e fu seppellito nella Chiesa S. Domenico, dove si vede il suo tumulo.
Lasciò per la riportata vittoria, e per la nobiltà dell'animo, e per molte virtù regie, le quali in lui risplendevano, non solo in tutto il Regno, ma eziandio per tutta Italia grandissima opinione del suo valore; ed ancorchè non avesse regnato che un solo anno ed otto mesi, pure ci lasciò alquante leggi savie e prudenti, le quali si leggono infra le prammatiche de' Re aragonesi. Morì senza figliuoli nell'età di 28 anni, e però gli succedette D. Federico suo zio, avendo questo Reame nello spazio di soli tre anni veduti cinque Re; Ferdinando il vecchio, Alfonso suo figliuolo, Carlo VIII Re di Francia, Ferdinando il giovine, e Federico suo zio.