CAPITOLO V.

De' Giureconsulti, che fiorirono fra noi a questi tempi.

Dopo Luca di Penna e Sebastiano Napodano, era quasi che intermesso fra' nostri Professori l'uso di scrivere, e la nostra giurisprudenza era in declinazione; ma nel Regno di Ferdinando e de' suoi figliuoli, sursero alcuni eccellenti Giureconsulti, de' quali bisogna farne qui memoria.

Surse Paris de Puteo, il qual nato in Pimonte nel Ducato d'Amalfi, due miglia lontano da Castell'a Mare, venne giovanetto in Napoli, dove nell'Università de' nostri Studi apprese la legal disciplina. Non contento de' nostri Cattedratici, girò per tutte l'Università d'Italia, dove ascoltò i più insigni Dottori di quei tempi. Fu in Roma, a Pavia, Milano, in Firenze, in Bologna, Perugia e nell'altre città più rinomate, ed ebbe per maestri, com'egli stesso ci testifica, Andrea Barbatia, Angelo Aretino, Alessandro de Tartagnis d'Imola ed Antonio de Pratoveteri di Bologna. Ritornato a Napoli fu per la sua gran dottrina dal Re Alfonso, gran favoreggiatore delle Lettere, caramente accolto, facendolo suo Consigliere. Da poi, essendo già adulto Ferdinando suo figliuolo Duca di Calabria, lo deputò per maestro del medesimo non meno nelle lettere umane, che nella giurisprudenza o nell'altre scienze. Per molti anni Ferdinando fu suo discepolo, da cui apprese le leggi civili e le altre discipline. Era Paris non pur eccellente Giureconsulto, ma versato (per quanto comportavano que' tempi) nelle Sacre carte e nella lettura de' Padri e nelle opere d'Aristotele; ed era secondo l'uso di que' tempi, inteso anche d'Astrologia. Dell'Istoria non fu cotanto ignaro, e sopra i libri di Tito Livio v'avea fatto molto studio. Entrò pertanto in somma grazia del Duca di Calabria, e da lui era tenuto in molta stima, e quando Alfonso dovendo partire da Napoli per la spedizione di Toscana, fece Luogotenente generale del Regno Ferdinando suo figliuolo, questi nel 1446 creò Paris suo Auditore Generale in tutto il Regno; la quale carica per due anni, che il Re fu assente, esercitò con molto applauso ed universale ammirazione.

Morto nel 1458 Alfonso, Ferdinando che gli successe, lo decorò assai più di dignità e d'onori: lo fece Inquisitor Generale di tutto il Regno contra i facinorosi: nel 1459 lo creò Consigliere, ed in tutti gli anni che regnò, si valse della sua opera e de' suoi consiglj, così nel promulgar delle leggi, come negli altri rilevanti affari della sua Corona. Perchè a quei tempi non era riputata cosa incompatibile a' Ministri del Re di patrocinar cause, non altrimente, che non si stimava cosa strana di leggere nelle Cattedre; si diede ancora Paris all'avvocazione, nella quale riuscì il primo; e per essere gran Giureconsulto e peritissimo Feudista, tutte le cause de' primi Signori del Regno eran da lui patrocinate, onde acquistò grandi facoltà. Ma sopra tutto, quello che lo rese arbitro de' più potenti Signori non pur di Napoli, ma di molte città d'Italia, fu, che stando a que' tempi in Italia in fiore il costume, e presso noi da' Longobardi introdotto, del duello, non vi era punto di Cavalleria, che dovesse per quella via decidersi, che non era Paris consultato, come in ciò versatissimo sopra tutti gli altri. Venivano non pur i nostri, ma i più remoti Principi da lui, donde gli fu data occasione di compilare un Trattato de Duello, che scritto prima da lui in latino, egli stesso poi lo tradusse in volgar materno. Carico di tanti onori e dignità e della familiarità regia di Ferdinando, divenuto già vecchio, morì poco prima del Re Ferdinando nel 1493 d'età maggiore di ottanta anni in Napoli, ove nella chiesa di S. Agostino giace sepolto.

Egli fu il primo, che rinovò l'istituto, tralasciato da molti anni, di giovare il pubblico con lo scrivere; onde altri mossi dal di lui esempio, ci lasciarono molti insigni volumi delle loro opere legali. Compose egli un libro de Syndicata Ufficialium; opera, che nel Foro acquistò molta autorità, tanto che il Consiglier Matteo d'Afflitto non lasciò ne' suoi scritti di commendarla. Fu la prima, che nell'istesso tempo del Re Ferdinando fosse stata impressa; ma perchè non era in tutto perfezionata, l'Autore la ripulì ed emendò, e così corretta fu di nuovo in appresso mandata alle stampe. Fu da poi ristampata, ed in Vinegia, ed in Lione, ed oggi si legge tra' volumi de' Trattati.

Scrisse ancora un libro de Reintegratione Feudorum de finibus, et modo decidendi quaestiones confinium, territoriorum, etc. che fu stampato in Napoli, e poi in Francfort. Opera anch'ella da' nostri Scrittori molto lodata, ancorchè Carlo Molineo vi desiderasse miglior ordine, parendogli quel trattato assai confuso.

Compilò anche un altro libro de Reassumptione instrumentorum; ed alcuni han creduto, che quel trattato de Liquidatione, et Praesentatione instrumentorum, che fu impresso in Vinegia l'anno 1590 fosse pure opera sua; ma altri dubitano non sia apocrifo.

Compose ancora varie Allegazioni intorno alle Collette imposte innanzi di Luca di Penna, delle quali fece menzione Antonio Capece; ma queste non sono pervenute all'età nostra; siccome alcune altre sue fatiche sopra alcuni titoli delle Pandette. De in integrum restit. De eo, quod met causa. De dolo malo, et de receptis arbitris.

Il libro De Re Militari, ovvero De singulari certamine, fu da lui dedicato all'Imperador Federico III. Matteo d'Afflitto narra, che gli diede anche occasione di scriverlo, un libretto De Duello, che prima di lui avea composto Goffredo antico Dottore. Fu quel suo libro prima impresso a Milano nell'anno 1515 ed ora lo leggiamo ancora fra' Trattati. Egli stesso, come fu detto, lo tradusse in volgar materno, il quale fu poi stampato in Napoli nel 1518.

Scrisse finalmente un altro libro De Ludo, del quale Afflitto fece anche memoria lodandolo, ed ora pur lo vediamo impresso tra' volumi de' Trattati

Non men, che si questioni della Patria di Pietro delle Tigne e di Luca di Penna, fu disputato della Patria di Paris. Giulio Claro d'Alessandria del Ducato di Milano, lo vuole Alessandrino. Ma Toppi, non men di quel che fece per Luca di Penna, dimostra esser nostro, siccome han per fermo tenuto non meno i nostri Scrittori, che i forastieri, come Molineo, che lo chiama Dottor napoletano, siccome chiamò ancora Luca di Penna Partenopeo.

Fiorì anche intorno a' medesimi tempi Antonio d'Alessandro Cavaliere napoletano, ed ancor egli insigne Giureconsulto. Fu sin dalla sua giovanezza dato allo studio delle leggi nell'Università di Napoli: non ben pago de' nostri Professori ne cercò altri nell'altre Università d'Italia. Fu in Ferrara ed in Siena, dove ascoltò Francesco Aretino famoso Giureconsulto di quei tempi, sotto la cui disciplina fece maravigliosi progressi, e fu ancora discepolo di Alessandro d'Imola, come narra Matteo d'Afflitto. In Bologna prese il grado di Dottore, e dapoi ritornò in Napoli. Appena giuntovi fu da Ferdinando invitato a leggere Giurisprudenza in questa Università, dove per più anni insegnò con tanto plauso ed ammirazione, che tirò a se Uditori dalle più remote parti. Fu egli di acuto e grande ingegno, piano e facile nello spiegare, chiaro e copioso: tanto che dalla sua scuola, non meno che dall'Accademia del Pontano, uscirono innumerabili Giureconsulti e dotti Ministri.

Nell'istesso tempo che insegnava nelle Cattedre, non tralasciava esercitarsi nel Foro, dove riuscì famoso Avvocato; e fu egli non men dotto ch'eloquente: difese cause de' primi Baroni e non meno orando, che scrivendo si rese celebre. Scrisse egli un dotto responso in materia feudale nella causa d'Antonia Tommacella, che ora leggiamo tra' Consiglj d'Alessandro d'Imola, dopo quelli di Sigismondo Loffredo, e per la sua prudenza, dottrina, perizia dell'istorie e gravità de' costumi, s'acquistò presso il Re Ferdinando somma grazia e stima: fu per ciò adoperato dal Re ne' maggiori e più importanti suoi affari. Lo mandò nel 1458 Oratore in Roma al Pontefice Pio II per ottener da quel Papa l'investitura del Regno: superò gli ostacoli, che s'eran frapposti per parte del Duca d'Angiò, ed in fine entrò in tanta buona grazia del Papa e del Collegio de' Cardinali, ch'egli consultò e dettò la Bulla dell'investitura. Maneggiava affari di Stato con molta destrezza, felicità e prudenza, onde fu in appresso da Ferdinando mandato due volte per suo Ambasciadore in Ispagna al Re Giovanni d'Aragona suo zio col quale trattò le nozze del Re colla costui figliuola Giovanna. Lo inviò ancora due altre volte in Francia suo Legato a quel Re; ed altrettante a' Pontefici successori di Pio, Innocenzio VIII ed Alessandro VI, nelle quali legazioni si portò con tanta prudenza e destrezza, che tutte ebbero felice successo. Fu per ciò da Ferdinando innalzato a sommi onori; oltre averlo cinto Cavaliere, lo fece Presidente della regia Camera, da poi nel 1465 Consigliere, indi nel 1480 Viceprotonotario e Presidente del S. C, nel qual Tribunale presedè non pure in tutto il tempo che visse Ferdinando, ma anche vi fu mantenuto da Alfonso II suo successore, da Ferdinando II, da Carlo VIII istesso e da Federico ultimo Re, nel cui Regno, essendo già vecchio, trapassò in Napoli a' 26 ottobre del 1499. Gli furon fatti pomposi funerali nella chiesa di Monte Oliveto, dove vi recitò l'Orazion funebre Francesco Puccio Fiorentino famoso Letterato di que' tempi, in presenza di Ferdinando d'Aragona Duca di Calabria, e dove al presente giace sepolto.

Ci lasciò questo insigne Dottore molti monumenti della sua dottrina. I dotti Commentarj fatti a quelle leggi, ch'egli spiegava nell'Università de' quali pochissimi furono mandati alle stampe. Quelli che furono impressi sono i Commentarj sopra il secondo libro del Codice, che portano questo titolo: Reportata Clarissimi U. J. Interpretis Domini Antonii de Alexandro super II Codicis, in florenti studio Parthenopaeo sub aureo saeculo, et augusta pace Ferdinandi, Siciliae, Hierusalem, et Ungariae Regis invictissimi. Fu il libro impresso in Napoli nel 1474 nella stamperia di Sisto Riessinger Alemanno, che fu il primo, come si disse, che introdusse l'arte della stampa in questa città.

Niccolò Toppi ci rende testimonianza aver egli veduti gli altri Commentarj sopra altre leggi, manuscritti, nelle librerie d'alcuni, ed in quella del Consigliere Felice di Gennaro averne osservati più volumi. Alcuni altri supra l'Inforziato ed il Digesto nuovo, in quella del Presidente di Camera Vincenzo Corcione. Altri sopra il Digesto vecchio, in quella del Consigliere Ortensio Pepe. Alcune Letture sopra il secondo del Digesto vecchio in pergamena, le conservava il Dottor Giovanni Battista Sabatino. Gio: Luca Lombardo conservava ancora un libro intitolato: Recollectae D. Antonii de Alexandro in tit. Soluto matrimonio. De liberis, et posthumis, et de vulgari, et pupillari, etc. collectae per Franciscum Miroballum ejus scholarem, dum idem Antonius in Neapolitano Gymnasio, anno 1466 publico Regio stipendio conductus, legeret, concurrens Domini Andreae Maricondae in lectione extraordinaria. Toppi istesso afferma che ebbe anche in suo potere alcune note M. S. fatte da questo Giureconsulto nel corpo di Bartolo.

Alcune Note ed Addizioni fatte da lui nella Glosa di Napodano ancor oggi si leggono: Grammatico allega le Addizioni che fece a Bartolo ed a Baldo; allega ancora con Antonio Capece quelle altre che fece ad Andrea d'Isernia sopra le Costituzioni del Regno; e si vedono queste Addizioni alle Costituzioni ancor oggi impresse insieme colle Chiose e Commentarj di Napodano, di che è da vedersi Camillo Salerno nell'Epistola alle Consuetudini di Napoli.

Fiorì ancora in questi medesimi tempi un altro Giureconsulto illustre, il qual fu Giovan-Antonio Caraffa non men famoso Legista che Canonista. Fu caro ad Alfonso e più al Re Ferdinando suo figliuolo, da cui fu creato Consigliere. Fu ancora Professore nella Università degli studi non men di legge civile, che canonica, e finalmente fu innalzato nel 1463 al posto di Presidente del S. C. Ci restano di questo insigne Dottore molte sue opere. Un trattato de Simonia, impresso a Roma, un altro de Ambitu, allegati da M. Afflitto nelle Costituzioni e nelle Decisioni e l'altro de Jubileo. Scrisse ancora alcune Prelezioni sopra il Codice, allegate da Afflitto. Lorenzo Valla gli tessè quest'elogio: Joannes Antonius Carafa Jureconsultus pari nobilitate, et scientia proximus, Princeps Jureconsultorum. Morì egli di morte improvvisa in Napoli a' 25 decembre del 1486 e fu sepolto nel Duomo, come rapporta Giuliano Passaro ne' suoi Giornali.

Luca Tozzolo ancorchè romano, esule però dalla sua Patria, venuto in Napoli, qui finì i suoi giorni, e per la sua erudizione e gran perizia delle leggi, fu da Ferdinando accolto con molto onore. Era stato egli discepolo di Giovanni Petrucci di Monte Sperello Perugino famoso Giureconsulto de' suoi tempi: fu egli fatto nel 1466 Consigliere, nel medesimo tempo leggeva anche Giurisprudenza nell'Università degli Studj di Napoli. Poi nel 1468 fu innalzato all'onore di Viceprotonotario, e presedè ancora per qualche tempo nel S. C. come Afflitto rapporta ne' suoi Commentarj e decisioni, dove si leggono in più luoghi le sue lodi.

Andrea Mariconda del Seggio di Capuana fiorì pure in questi medesimi tempi ed acquistò fama di celebre Giureconsulto. Fu dalla giovanezza dato allo studio delle leggi, e prese il grado di Dottore in Napoli ai 25 d'ottobre del 1460. Riuscì nel Foro celebre Avvocato, e dalla Regina Isabella Luogotenente Generale del Re suo marito, fu creato Consigliere nel 1461. Da Ferdinando poi fu fatto Presidente della Regia Camera e Razionale della G. C. della Zecca, e nel 1477 fu rifatto Consigliere: fu celebre ancora nell'Università de' nostri studi, ove insegnò giurisprudenza insieme con Antonio d'Alessandro nel 1466. Di lui si leggevano alcune Letture M. S. sopra l'Inforziato e Digesto nuovo. Fu lungo tempo Consigliere e per l'assenza ed impedimenti d'Antonio d'Alessandro esercitò anche in sua vece più volte l'ufficio di Viceprotonotario. Poi per la sua età decrepita fu licenziato con la ritenzione della metà del soldo finchè visse. Morì egli in Napoli intorno l'anno 1508, e lasciò Diomede e Niccolò suoi figliuoli non men dotti che gravi Giureconsulti. Matteo d'Afflitto suo Collega non è mai satollo di lodarlo nelle sue decisioni ed altrove.

Fiorirono ancora intorno a' medesimi tempi Niccolò Antonio de Montibus di Capua celebre Giureconsulto, Avvocato, Regio Consigliere, Presidente e Luogotenente della regia Camera: Pontano lo chiama Vir Juris Romani consultissimus. Questi ancora fu adoperato dal Re Ferdinando negli affari di Stato, inviandolo per suo Oratore in Roma, ove nel 1467 dimorò tre mesi; e si legge ancora la sua soscrizione, come Luogotenente del Gran Camerario in alcune Prammatiche del Re Alfonso e di Ferdinando.Agnello Arcamone del Sedile di Montagna, Presidente di Camera nel 1466, poi nel 1469 regio Consigliere, fu anch'egli dal Re Ferdinando adoperato negli affari di Stato, inviandolo nel 1474 per suo Ambasciadore in Vinegia ed in Roma al Pontefice Sisto IV per negozj gravissimi. Disbrigato dall'Ambasceria con felice successo, fu dal Re nel 1483 fatto Conte di Borrello, investendolo ancora delle Terre di Rosarno e di Gioja in Calabria. Ma da poi la sua fortuna mutò sembiante: poichè nella congiura de' Baroni, perchè sua sorella era moglie d'Antonello Petrucci, fu dal Re insieme con gli congiurati imprigionato, e fin che Ferdinando visse, lo tenne con gli altri in carcere, donde poi insieme con tutti gli altri ne fu da Ferdinando II nel 1495 liberato. Ci lasciò egli alcune Addizioni sopra le Costituzioni del Regno che ora abbiamo. Morì in Napoli nel 1519, e giace sepolto nella chiesa di S. Lorenzo, ove si vede il suo tumulo.

Fiorirono ancora Antonio dell'Amatrice celebre Canonista e Lettore de' Canoni nella nostra Università nel 1478. Antonio di Battimo napoletano, Dottore anch'egli rinomato di legge non men civile che canonica. Compose egli nel 1475 un volume, che M. S. avea Toppi veduto che portava questo titolo: Reportata, et tradita per Dominum Antonium de Battimo Partenopaeum U. J. D. A. D. 1475. Lallo di Tuscia napoletano, di cui abbiamo ancora alcune Note nella nostre Costituzioni del Regno. Stefano di Gaeta parimente napoletano, famoso Canonista, fiorì nel Regno di Ferdinando nel 1470. Scrisse un'opera molto stimata de Sacramentis, che la drizzò a Giovan-Battista Bentivoglio Consigliere del Re Ferdinando, e molto vien commendata dall'Abate Tritemio.

Non men celebre Giureconsulto fu nella fine di questo secolo, per tralasciar gli altri d'oscuro nome, Antonio di Gennaro del Sedile di Porto. Fu egli figliuolo di Masetto e di Giovanella d'Alessandro sorella del famoso Antonio: negli studi legali fece miracolosi progressi, tanto che nell'Università di Napoli fu reputato il miglior Cattedratico de' suoi tempi. Fu poi dal Re Ferdinando nel 1481 creato Giudice della G. C. ed indi a poco Regio Consigliere. Ancor egli era adoperato dal Re ne' più importanti affari di Stato; fu inviato da Ferdinando nel 1491 per suo Oratore al Duca di Milano, e nell'istesso anno in Ispagna al Re Ferdinando il Cattolico, ed alla Regina Isabella sua moglie, e nel 1493 fu di nuovo mandato in Milano ed a Roma. Morto Ferdinando, dal Re Alfonso II suo successore fu la terza volta mandato al Duca di Milano. Il Re Federico l'inviò di nuovo nel 1495 suo Legato in Ispagna al Re Cattolico e poi al Duca di Milano. Estinta la progenie di Ferdinando, sotto il Regno di Ferdinando il Cattolico fu ancora in somma grazia del G. Capitano, da cui nel 1503 fa creato Viceprotonotario e Presidente del S. C. nel cui ufficio lungamente visse: essendo poi d'anni già grave, depose il posto, e fu contento che in suo luogo sottentrasse Francesco Loffredo allora Consigliere, ma con legge che fin che vivea non assumesse il nome di Viceprotonotario o di Presidente, ma fosse sol contento dell'esercizio. Morì finalmente nel 1522 in Napoli e fu sepolto nella Chiesa di S. Pietro Martire, ove si vede la sua statua e si legge l'iscrizione ai suo tumulo.

Chiuda in fine la schiera il cotanto presso di noi celebre e rinomato Matteo degli Afflitti, quel perpetuo splendore del nostro S. C. il quale, secondo il giudicio che ne diede l'incomparabile Francesco d'Andrea, fu omnium nostrorum quotquot ante, et post ipsum scripserunt, proculdubio doctissimus. Nacque egli in Napoli intorno l'anno 1443, ma i suoi maggiori furono della città di Scala, com'egli stesso ci testifica. Ebbe ancor egli la vanità di tirar la sua schiatta dai Patrizj romani, e da S. Eustachio Martire (non meno di ciò, che si diceva di Sebastiano Napodano e del Sannazaro; il primo che traesse sua origine da S. Sebastiano; il secondo da S. Nazario): perciò nell'invocazione de' Santi, che premette nelle sue opere, fra gli altri invoca S. Eustachio suo gentile. Non si ritenne perciò egli di scrivere ne' Commentarj alle Costituzioni del Regno, essere stati i suoi maggiori Romani, i quali vennero, nella decadenza dell'Imperio, ad abitare nella città di Scala, donde poi si trasferirono in Napoli, ove furono nel Seggio di Nido aggregati. Che che ne sia, si diede egli nella giovanezza allo studio delle leggi, dove riuscì eccellente, e nell'anno 1468 prese in Napoli il grado di Dottore. Si diede poi all'avvocazione, e divenne nel Foro famoso Avvocato: da' Tribunali passò alla Cattedra e nell'Università de' nostri studi spiegò non solo il Jus civile e canonico, ma anche il feudale e le nostre Costituzioni, nel che riuscì ammirabile ed oscurò la fama di quanti lo precedettero. Egli consumò venti anni in questa lettura con applauso universale ed ammirazione di tutti. Ne' primi anni sotto il Re Ferdinando spiegò in quest'Università tutti i libri feudali co' Commentarj di Andrea d'Isernia, secondo l'ordine di que' titoli: fatica veramente grande e nuova, che nè prima, nè dopo lui, alcun si confidò di farla, e la ridusse felicemente a fine. Incominciò egli a scrivere questi suoi Commentarj de' Feudi nel 1475 nel trentesimosecondo anno di sua età, e li terminò nel 1480, come egli stesso ne rende testimonianza. Ciò che convince l'error di coloro, i quali ingannati da Bartolommeo Camerario, che credette avere Afflitto stesi questi Commentarj essendo già vecchio, e perciò non aver ben capita la mente d'Andrea d'Isernia, scrissero inconsideratamente il medesimo, mostrando con ciò non aver ben letti questi suoi Commentarj, i quali potevano disingannargli di quest'errore, e fargli apprendere, l'opera essere stata dettata nel suo maggior vigore, e di essere la più sublime e dotta di quanti mai intorno a' Feudi scrivessero.

Interpretò ancora nella nostra Università le leggi del Codice ed i libri delle Istituzioni, e negli ultimi, anni vi spiegò le Costituzioni del Regno con indefessa ed instancabile lena.

La fama del suo sapere, l'esser nelle leggi sublime cotanto, e, secondo comportava quel secolo, la perizia che mostrava avere della Sagra Scrittura, delle opere di S. Tommaso e di Niccolò di Lira, lo resero assai rinomato. I Nobili di Nido lo aggregarono al lor Seggio: il Re Ferdinando I ed il Duca di Calabria suo figliuolo cominciarono ad innalzarlo a pubblici Ufficj; prima lo elessero Avvocato de' Poveri, ma egli non volle accettarlo, come egli stesso lo scrisse: poi il Re Ferdinando nel 1489 lo fece Giudice della G. C. della Vicaria: indi dall'istesso Re fu nel 1491 creato Presidente della regia Camera. La morte del Re Ferdinando, siccome pose in disordine tutto il Regno, così non solo troncò le ali alla sua fortuna, ma con varie vicende fu dall'avversa afflitto. Non trovò il suo merito ne' Principi successori quella mercede, che si conveniva: fu trasferito ora in uno, ora in un altro Tribunale, e sotto il Re Cattolico la fortuna gli fu pur troppo avversa. Dal Re Ferdinando II nel 1496 fu fatto Consigliere, e vi stette sin all'anno 1502, nel qual anno fu di nuovo trasferito in Camera. Carlo VIII lo levò, ma poi fu rimesso. Fece da poi nel 1503 ritorno in Consiglio, ove sedette insino all'anno 1507. Ma il livore de' suoi Emoli potè poi tanto presso Ferdinando il Cattolico, che datogli a sentire, che la sua decrepita età sovente lo portava a delirare, fecion sì, che quel Re lo levasse dal Consiglio, e si ridusse a menar vita privata, di che egli nelle sue opere cotanto si duole, e si querela. Ma in questa sua vacazione non intermise i suoi studi, ed ancorchè vecchio perfezionò in questa età in pochi anni i suoi Commentarj sopra le Costituzioni, che avendoli cominciati nel 1510 li ridusse a fine nel 1513 nel settuagesimo anno di sua età.

Fu da poi nel 1512 di nuovo fatto Giudice di Vicaria, ma per un sol anno, onde quello terminato, tornò a' suoi studi, ed a finire i suoi giorni in riposo, ed in privata quiete. Quindi è, che nel suo testamento, che e' fece poco prima di morire a' 27 settembre del 1523 non si legge decorato d'altro titolo, che di semplice Dottore. E quindi ancora è avvenuto, che morto in questo anno 1523, avendo ordinato in questo suo testamento, che il suo cadavere si seppelisse nella Chiesa di Monte Vergine, Diana Carmignano sua seconda moglie, donna molto savia, e d'incorrotti costumi, per togliere quella taccia, che da' suoi emoli era stata data a suo marito d'alienazione di mente, nella iscrizione, che fece ponere quivi al suo tumulo, vi facesse scolpire queste parole: Ad extremam senectutem integra, et animi, et corporis valetudine pervenit

Lasciò della sua prima moglie Ursina Caraffa, Marino suo figliuolo, che fattosi Sacerdote, fu Canonico del Duomo di Napoli; e di Diana Carmignano più figliuoli, che istituì eredi, tre de' quali, come e' dice, generò dopo aver passati i sessanta anni. Sottopose la sua casa, che possedeva nel quartiere di Nido, ed un podere nella Villa di Centore presso Aversa, ad un perpetuo fedecommesso, al quale, mancando tutta la sua discendenza maschile, chiamò il Collegio de Dottori dell'una e l'altra legge di Napoli (del quale egli era) con peso al Priore di quello, di dovere della sua casa formare un Collegio, dove dai frutti di quel podere dovessero alimentarsi ed allevarsi diece Studenti, la cui elezione si dà al Priore; e nel caso venisse a distruggersi il Collegio, invitò in luogo di quello cinque Nobili del Seggio di Nido, dei quali il più giovane dovesse avere l'istesso peso, che avea imposto al Priore, di mantenere il collegio, ed i diece Studenti, affinchè niente loro mancasse per attendere agli studi: ne raccomanda efficacemente l'osservanza, quia scit, come sono le parole del suo testamento, quantum viri scientifici sint utiles Reipublicae, et toti saeculo.

Tali erano le disposizioni degli uomini saggi e prudenti di questi tempi, mancata la loro posterità, non invitare monasteri e chiese al godimento de' loro patrimonj, ma sovvenir poveri, e provvedere a' bisogni delle lettere, e proccurare, che nelle Repubbliche quelle s'avanzassero, e si dasse a' bisognosi modo d'apprenderle. Durano ancora oggi i suoi posteri, i quali devono a questo insigne Dottore non solo il pregio, ch'essi godono degli onori di Nido, ma molto più, perchè possono pregiarsi d'avere un sì glorioso progenitore per Autore della loro Casa.

Durano ancora via più luminose le insigni opere, che ci lasciò. De' suoi Commentarj sopra i Feudi (ancor che altrimenti ne sentissero i suoi emoli Sigismondo Loffredo e Camerario) ecco ciò che ne lasciò scritto l'incomparabile Francesco d'Andrea: inter omnes, qui post Afflictum integra Commentaria in fenda edidere, pauci sunt, qui cum illo possint comparari; qui praeferri, certe nullus. Non potè in vita aver il piacere di vedere in stampa tutti i suoi volumi, che compose; toltone le Decisioni ed i Commentarj sopra le Costituzioni, tutti gli altri furon impressi dopo la sua morte. Avea in vita disposto con Niccolò Agnello Imparato Stampatore in Napoli, e s'era con costui convenuto per la stampa, e nel suo testamento avea designato soddisfar le doti e monacaggi d'alcune sue figliuole, col denaro che dovea ritrarsi da questi libri da imprimersi: ma la morte ruppe i suoi disegni. Questi Commentarj sopra i Feudi furono da poi stampati in Vinegia del 1543 e 1547 e poi in altri tempi e luoghi più volte.

Egli fu il primo che pensasse di raccorre le decisioni, che nel corso di più anni erano nate nel nostro S. C. e le distendesse in quella maniera, che ora si leggono, nelle quali rapportò non pur le diffinizioni di questo Tribunale e della regia Camera profferite in tempo, che e vi sedette, ma ancora quelle, che e' stimò degne di memoria, e che s'interposero poco prima, fin dal tempo, che il S. C. dal Re Alfonso fosse stato istituito. Opera non pur fra' nostri, ma anche presso i Forestieri celebratissima, dal cui esempio presero l'altre Nazioni a distender le decisioni de' loro Tribunali, onde surse la nuova schiera de' Decisionanti.

Furono queste impresse in Napoli la prima volta nel 1509 vivente l'Autore, e furono dedicate alla città di Napoli sua patria. Egli stesso nel suo testamento lo dice: poichè volle, che della legittima lasciata a D. Marino suo figlio s'escomputassero ducati venticinque, prezzo di ventisette corpi di decisioni, che costui s'avea presi. Quanto fossero commendate dai nostri Professori, ben si vede dalle fatiche che vi fecero intorno Tommaso Grammatico, Giovannangelo Pisanello, Marc'Antonio Polverino, Prospero Caravita, Cesare Ursillo e Girolamo de Martino, i quali l'illustrarono colle loro note ed addizioni, che ora insieme col corpo di quelle si vedono impresse, nel che Ursillo sopra tutti fu eminente. Non tralasciarono però i suoi emoli Loffredo e Camerario di screditarle e vilipenderle, scrivendo nelle loro opere non doversegli dare tanta fede, ex quo, come dice Loffredo, aliter judicatum fuit, quam Afflictus dicit: e Camerario , nemo a Sacri Consilii auctoritate commoveatur ex iis Afflicti decisionibus, cum sint Afflicti verba, qui cum homo fuerit potuit errare. Ma il livore di costoro niente oscurò la lor fama; poichè nelle età seguenti corsero per tutta Europa luminose e commendate non men da' nostri, che da' più eccellenti Giureconsulti di straniere Nazioni; e Tesauro l'antepone a quante mai decisioni uscissero da tutti gli altri Tribunali del Mondo.

Ci lasciò ancora i suoi Commentarj sopra le Costituzioni del Regno: opera, per la condizione di quei tempi, assai dotta e copiosa, la quale fu avuta in sommo pregio non men da' nostri, che dagli esteri. Giacomo Spiegelio grandemente lodolla, e narra, che Cassaneo ne' suoi Commentarj alle Consuetudini di Francia, trasportò molte cose da quelli d'Afflitto; onde da molti è ripreso, che con somma ingratitudine non si degnasse nè pure nominarlo. Questi anche furono impressi in vita dell'Autore nel 1517, e reimpressi poi in Milano nel 1523 ed altrove.

Insegnando egli nella nostra Università le Costituzioni del Regno compilate dall'Imperador Federico II su la credenza, che fosse ancor sua la Costituzione Sancimus de jure prothomiseos, prese egli a spiegarla nella Cattedra nel 1479. Era veramente quella di Federico I e non s'apparteneva punto alle nostre Costituzioni, siccome fu da noi altrove avvertito; ma perchè questo Scrittore per la condizione di que' tempi non fu molto inteso d'istoria, come di lui disse Marino Freccia, prese per tanto tal'abbaglio. Non è però, che il Commentario che vi fece, non fosse avuto in sommo pregio; anzi ebbe il favore, che dall'incomparabile Cujacio venga citato ne' suoi libri de' Feudi. Fu più volte impresso, e si legge ancora fra' Trattati. Da poi Francesco Rummo Giureconsulto napoletano vi fece copiose addizioni, che stampato da lui con queste sue fatiche in Napoli nel 1654 l'abbiam veduto ora ristampato in quest'ultimi nostri tempi.

Molte altre sue Opere che compilò, ce l'ha tolte l'ingiuria del tempo; e siccome si raccoglie dal suo testamento, molti libri avea egli destinato di far imprimere ad Imparato suo Stampatore: ma la sua morte e la peste indi seguìta in Napoli nel 1527, per iscampar la quale fu obbligata Diana Carmignano a fuggire in Aversa, fece sì, che si perderono non meno i suoi M. S. che i libri, ch'egli avea lasciati a' suoi figliuoli. Pure presso Gabriele Sariana nella raccolta, che fece di diversi M. S. di Dottori, che stampò nel 1560, leggiamo di questo Autore alcune Letture sopra il settimo libro del Codice.

Nell'iscrizione del suo tumulo leggiamo ancora: multa scitissima consiglia reliquit: ma ora non sono: sovente però egli nelle sue opere impresse allega questi consigli e fra gli altri uno, che e' compilò nel Regno di Sardegna.

Scrisse ancora molti Commentarj sopra alcune leggi del Codice e sopra le Istituzioni, de' quali toltone la memoria ch'egli ce ne dà nelle sue opere citandogli, non se ne ha altra notizia.

Compose parimente un Trattato de Consiliariis Principum, et de Officialibus eligendis ad justitiam regendam, ac eorum qualitatibus, et requisitis, che dedicò a Ferdinando I. Compose anche a richiesta del Cardinal Oliviero Caraffa, l'Ufficio della Traslazione del corpo di S. Gennaro , coll'occasione della traslazione, che si fece del medesimo Corpo nel 1497 dal monastero di monte Vergine in Napoli; delle quali opere non è a noi rimalo altro vestigio, se non nelli suoi libri, dove si citano. Scrisse pure un libro de Privilegiis Fisci, di cui fece menzione Giovan Battista Ziletto.

Cotanto nel Regno di Ferdinando I e de' suoi figliuoli, per li favori di questo Principe, e per li tanti e sì illustri Professori, erasi la nostra giurisprudenza innalzata e salita in pregio assai più, che non si vide ne' precedenti secoli. E siccome nell'altre Università d'Italia tutto lo studio e tutta l'applicazione delle Cattedre era sopra i libri di Giustiniano, così ancora nella nostra questo studio crebbe per li tanti Professori, che vi s'impiegarono; e poichè, come si è veduto, per lo più i Cattedratici erano insieme Magistrati ed altri Avvocati, quindi avvenne, che siccome que' libri nelle Cattedre avean molti anni prima presa forza e vigore, così poi tratto tratto si vide, che il medesimo vigore ed autorità acquistassero ne' nostri Tribunali. Quindi avvenne, che in questo secolo la legge Longobarda fosse non men dalle Cattedre, che dal Foro affatto sterminata ed abborrita, e che finalmente cedesse alla Romana. I Cattedratici, gli Avvocati ed i Magistrati si diedero allo studio di questa, e di coloro che l'avean commentata, allegandola non men nelle Scuole, che ne' Tribunali. E narra l'istesso Matteo d'Afflitto, che se bene dagli Avvocati vecchi avea inteso, che la legge Longobarda nel Foro avesse alcun tempo prevaluto alla Romana, nulladimanco, che a' suoi tempi e quando fu Giudice di Vicaria e quando poi fu Presidente di Camera e Consigliere nel S. C. non mai ciò vedesse, anzi tutto il contrario, che la Romana prevaleva alla Longobarda.

In questi tempi fu adunque, ed in questo rialzamento non meno delle buone lettere che delle altre discipline, che presso noi le leggi longobarde cedessero alle romane; onde poi avvenne, che presso i nostri Causidici fosse appena noto il lor nome. Ecco il periodo ed il fine delle leggi longobarde, e di qua innanzi non sentirete di lor più favellare.

Non è però, che abolite queste leggi non rimanessero ancora presso noi alcuni vestigi de' loro costumi. In Apruzzo si ritengono molti istituti intorno a' Feudi che si regolano secondo le leggi longobarde, e ritiene ancora quella provincia i beni gentilizj. In Bari, poi che le loro consuetudini per lo più sono fondate sopra quelle leggi, si ritengono ancora non meno i vocaboli che gl'istituti. Negl'istromenti, che in molte altre province si stipolano, i Notari anche a' tempi nostri, se vi sono donne, vi fanno intervenire per esse il Mundualdo. Ancora dura lo stile, che negl'istromenti si metta la clausula Jure Romano etc. per denotare, che i contraenti vivevano sotto quella legge e non longobarda. Durano ancora le voci di Vergini in capillo, di Meffio e Catameffio e moltissime altre, delle quali fu da noi fatto lungo catalogo nel quinto libro di quest'istoria. E perchè di loro affatto ogni memoria non mancasse, Giovan Battista Nenna di Bari non ignobile Giureconsulto di que' tempi, Autore del trattato della vera nobiltà, che intitolò il Nennio, e dedicò alla Regina Bona di Polonia e Duchessa di Bari, trovando tra' libri de' suoi antenati un voluminoso Commentario M. S. sopra le leggi de' Longobardi di Carlo di Tocco per la ricerca che ne avea da molti, l'abbreviò e fattevi alcune postille, con una esplicazione per alfabeto delle parole oscure de' Longobardi, il fece stampare in Vinegia nel 1537 con grande utilità de' legisti, e come dice Beatillo, con non minor comodità della città di Bari ed altri molti luoghi del Regno, dove ancor oggi si vive con l'osservanza delle leggi longobarde.

Di quest'opera oltre i nostri, ne fanno memoria anche gli Scrittori forestieri, come il Pignoria e quel ch'è più strano, sino i Germani come Lindenbrogio, e Burcardo Struvio. A questo medesimo fine Prospero Rendella Monopolitano distese quel suo trattato: In Reliquias Juris Longobardi: impresso in Napoli l'anno 1609, perchè molti luoghi del Regno serbano ancora alcune loro usanze; ma perchè ora il Regno universalmente si regola con altre leggi, e le longobarde sono andate in disusanza, chi per se allega questi particolari usi, si carica del peso di provarli.

Le leggi adunque, onde universalmente fu governato il nostro Regno, erano quelle racchiuse nelle Pandette di Giustiniano, secondo l'antica partizione di Pileo e di Bulgaro, della quale si valse Accursio e tutti gli altri Repetenti e Glossatori: il Codice di repetita prelezione: le Istituzioni e le Novelle, secondo il numero d'Agileo. Seguirono le Costituzioni del Regno, ove sono racchiuse le leggi de' nostri Re Normanni e Svevi. I Capitolarj, ovvero Capitoli del Regno, che racchiudono le leggi de' Re Angioini. I Riti della Camera e della G. C. Le Consuetudini particolari così di Napoli come dell'altre città del Regno; e finalmente le novelle Prammatiche, che s'incominciarono dal Re Alfonso I, e furon da poi accresciute dagli altri Re Aragonesi ed Austriaci, insino a quel numero che ora si vede. Per quel che riguarda la legge Feudale, i libri de' Feudi colle Costituzioni, Capitoli e novelle Prammatiche stabilite da poi a quelli appartenenti.

Ancorchè in questi tempi i libri de' Dottori non fossero cresciuti in quell'infinito numero che si vede ora; e non si vedessero tanti volumi di Trattati, di Consiglj, di Controversie, di Allegazioni, di Discettazioni, di Resoluzioni e di Decisioni; nulladimanco, perchè per l'uso della stampa cominciavano ad apparire più del solito, quindi nacque la massima, che i Giudici, quando le leggi mancassero dovessero seguire o l'autorità delle cose giudicate o la opinione più comune de' Dottori, e più i loro Commentarj che i Consiglj; onde mancando le leggi, le consuetudini, i riti e lo stile di giudicare, non si rimetteva al loro arbitrio e prudenza il decidere, ma che dovessero seguire il più comune insegnamento de' Dottori. Ed in ciò pure si prescrissero molte regole e cautele. I se gli Interpreti saranno fra' loro varj e discordanti, il Giudice dovrà seguire quella parte dove sia maggior numero, ed il detto di costoro dovrà riputare la più comune opinione. II dovranno i Giudici attenersi più tosto alla sentenza di coloro, li quali di proposito e profondamente avranno discussa ed esaminata la materia che di quelli, che di passaggio senza punto esaminarla, vanno dietro agli altri. III che debbiano più tosto seguire i loro commentarj ed i trattati, che i consiglj o i loro responsi ed allegazioni. IV ove si tratti di cause appartenenti al Foro ecclesiastico, debbano seguitare i canonisti, siccome i legisti in quelle del Foro secolare. V invecchiando non meno, che tutte l'altre cose umane, le opinioni; ed il corso del tempo, il lungo uso e la nuova esperienza delle cose, ammaestrando gli uomini in maniera, che sovente fanno loro abbandonare gli antichi dettami; quindi è dovere, che i Giudici debbiano seguire più tosto le nuove, che le vecchie opinioni degli Interpreti. Moltissime altre regole vengono da' nostri Autori prescritte intorno a ciò, delle quali lungamente scrissero, per tralasciar altri, Dionigi Gotofredo, ed il savissimo Arturo Duck.

Ecco in fine lo stato nel quale Ferdinando I di Aragona lasciò questo Regno, per quel che riguarda la sua politia e governo: lo vedremo ora nel seguente libro tutto sconvolto e disordinato, in maniera che in pochissimi anni vide sette Re che lo dominarono; nella revoluzione delle quali cose rimase cotanto sbattuto, fin che poi non riposasse sotto la Monarchia dell'inclito Re Ferdinando il Cattolico.

FINE DEL LIBRO VENTESIMOTTAVO.

STORIA CIVILE

DEL

REGNO DI NAPOLI

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