CAPITOLO IV.

Stato della nostra giurisprudenza in questi ultimi anni del Regno degli Aragonesi; e leggi, che da Ferdinando furono stabilite.

Cotanto le lettere umane eransi rialzate nella fine di questo secolo, e tale fu il numero de' Letterati, che vi fiorirono; ma la nostra giurisprudenza, ancorchè cominciasse in questi tempi per li favori e per le leggi di Ferdinando a sollevarsi, non fece però, come nel secolo seguente que' progressi che si sentiranno ne' seguenti libri di questa Istoria. Insino ad ora andavan di pari i Legisti e' Canonisti, come i Teologi. Le altre facoltà furon tutte, come s'è veduto riformate e ridotte nel loro splendore: le lingue, la gramatica, la poesia, la oratoria, la politica ed in gran parte la filosofia, e la medicina. Ma le gare insorte tra i Professori di queste facoltà, con i Dottori e Teologi, fecero che questi ostinatamente seguitassero la tradizione, e lo stile delle loro scuole e de' Tribunali, anteponendo l'utile al dilettevole. I Dottori e' Teologi tenevano questi nuovi Letterati, ch'e' chiamavano Umanisti, come Grammatici, Retori e Poeti, per uomini da poco, li quali trattenevansi ne' giuochi de' fanciulli ed in vane curiosità. Gli Umanisti al contrario allettati dalla bellezza degli Autori antichi e sorpresi dalle loro invenzioni, sprezzavano il comune de' Dottori, che seguitavano la tradizione delle Scuole, trascurando lo stile per attaccarsi alle cose, e per parlare col linguaggio proprio delle Scuole. Essi si facevano ben sentire, e perchè scrivevano con tutta la pulitezza, e perchè aveano appreso colla lettura degli antichi a guadagnarsi in tal guisa la buona grazia da tutti. Questi loro sforzi, ancorchè, come si è detto in questo cadente secolo non molto riscotessero i Giureconsulti ed i Teologi, nulladimanco nel secolo seguente fecero effetti maravigliosi; poiché nell'entrar di quello s'incominciarono gli studi sopra le Pandette e gli altri libri di Giustiniano con modo diverso, cioè coll'aiuto delle lingue e dell'istoria romana, di quello che si era fatto per lo passato. Si cominciarono a spiegar le leggi in altra guisa ed a commentarle in miglior lingua, ed a penetrarne i veri sensi; ed il primo che nella nostra Italia rompesse il guado fu Andrea Alciato Professore di legge nell'Università di Milano. D'Italia questa nuova maniera passò in Francia, dove prima di ogni altro Guglielmo Budeo e Carlo Molineo vi impiegarono i loro talenti; ma in decorso di tempo non si può negare, che la Francia superasse in ciò i Professori d'Italia; poichè vi rilussero tanti Giureconsulti insigni, fra' quali l'incomparabile Cujacio, che oscurò la fama di tutti.

L'eresia di Lutero, che poco da poi alzò il capo, diede occasione di portar anche simile cangiamento alla teologia. Pretendeva egli del pari riformare gli Studi, che la Religione. Melantone suo fedele discepolo v'impiegò tutte le sue belle lettere e tutto il suo talento; onde si diedero i pretesi Riformatori con grande ardore a studiare le lettere umane, vedendo che la eloquenza ed il credito d'una scelta erudizione a se chiamava gran numero di seguaci: consideravano questi studi, come mezzi necessari alla riforma della Chiesa; e facendosi ammirare dagl'ignoranti, davan lor facilmente ad intendere che i Teologi cattolici non più sapevano della Religione che delle Belle Lettere: obbligarono perciò i Cattolici ad impiegarsi a questi studi per combattergli con le lor proprie armi: si diedero a questo fine alla cognizione delle lingue originali e degli Autori antichi secondo le lor proprie edizioni: incominciossi adunque di nuovo a studiare i Padri sì greci come latini, troppo poco conosciuti ne' secoli precedenti. Si studiò la Storia ecclesiastica, i Concilj, gli antichi Canoni, penetrando per sino nella origine della tradizione, e deducendo la dottrina dalla sua propria fonte; ed il senso letterale della Scrittura fu ricercato col soccorso delle lingue e della critica.

Ma tutti questi avanzi così nelle leggi e ne' canoni, come nella teologia, si videro nel seguente secolo decimosesto. Nel Regno di Ferdinando e de' suoi figliuoli, presso di noi le buone lettere cominciavan sì bene a restituire la giurisprudenza in qualche lustro, ma in questi principj non fu tanto. Nell'Università nostra si proseguiva lo stesso stile, ancorchè i Professori come i migliori di que' tempi, vi ponessero maggiore studio. Ma se non fu restituita la giurisprudenza nel suo antico candore, la saviezza di questo Principe, la perizia delle lingue de' suoi Secretarj e la dottrina de' nostri Professori che cominciavano, più di quel ch'erasi fatto ne' precedenti secoli, ad impiegar i loro talenti in questi studi, produssero leggi non men savie e prudenti, che culte. La legge romana avea preso piede non pure nell'Accademie ma anche nel Foro; onde avvenne, che la longobarda affatto mancasse.

Fra le nostre leggi patrie, quelle di Ferdinando, come di Principe più illuminato e dotto, e che teneva la sua Cancelleria adorna d'uomini letteratissimi, si videro più prudenti e più culte. Furono consultate da gravissimi Giureconsulti, in fra gli altri da Luca Tozzolo, Antonio d'Alessandro, Paris de Puteo e da Agnello Arcamone, e dettate in latino per la maggior parte da Antonello Petrucci e Giovanni Pontano grandi Letterati, come si è detto di que' tempi.

Le leggi de' nostri Re normanni e Svevi furon appellate Costituzioni: quelle de' Principi angioini, all'uso di Francia, Capitularj, ovvero Capitoli: queste de' Re Aragonesi, come da poi anche degli Austriaci, si dissero Prammatiche; di queste ne furon fatte più compilazioni, come di tempo in tempo andremo notando.

Abbiam veduto quanto poche ne stabilisse il Re Alfonso, vedremo ancora quante meno ne facessero Ferdinando II e Federico ne' brevi e tumultuosi anni del loro regnare: Ferdinando I però fu quegli, che fra' Re Aragonesi ci lasciasse più leggi e le più sagge e le più culte.

Ne' primi anni del suo Regno furono stabilite quelle, che ora leggiamo sparse nel terzo volume delle prammatiche, sotto il titolo De Offic. S. R. C. eccettuatane la prammatica 2 che, come fu ne' precedenti libri notato, a torto s'attribuisce a Ferdinando, essendo d'Alfonso, istitutore di questo Gran Tribunale: sono di questo Principe, di cui anche portano in fronte il nome, la prammatica 4, 5, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 32, 33, 34, 35, 36, 37, nelle quali si danno molti regolamenti intorno all'amministrazione e governo del S. C, del numero e qualità de' Ministri, così maggiori, come minori, che lo compongono, del modo d'istituir i giudicj, delle recusazioni e d'ogni altro riguardante alla riforma e buona istituzione di questo Tribunale.

Nel 1462 ne promulgò una sotto li 9 Ottobre, per la quale si permette agli Ufficiali di procedere ex officio ne' delitti, ancorchè non vi fosse querela della parte offesa, o questa desistesse, rivocando il privilegio che su di ciò avea conceduto ad alcune Università del Regno, la quale per questo fine fu collocata nel tom. 3, delle prammatiche, sotto il titolo de Privilegiis Universitatibus concessis.

Nel 1466 ne promulgò due, una sotto li 23 luglio, che si legge sotto il titolo de Baronibus , per la quale si vieta a' Baroni di cercar sussidj da' Vassalli, fuor de' casi dalle leggi e costituzioni permessi, e d'impedire il vendere le loro robe, come lor piaccia; l'altra a' 15 agosto pure sotto il medesimo titolo, colla quale si conferma la precedente sotto rigorose pene.

Nel 67 a' 19 novembre ne fu stabilita un'altra drizzata a Renzo d'Afflitto Commessario delle province di Principato ultra, e Capitanata, colla quale si prescrive il modo, come debba farsi l'estimo, o sia apprezzo de beni di ciascuno per regolare i pagamenti fiscali: noi ora la leggiamo sotto il titolo de Appretio, seu bonorum aestimatione.

Nel 68 a' 2 novembre ne promulgò altra, con cui ordina, che i delinquenti si mandino a' loro Giudici competenti, nè alcuno abbia ardimento di dar loro ricovero ed alimento.

Nel 69 ne furon pubblicate sei, la prima a' 27 marzo, la seconda a' 25 maggio, per le quali si vieta agli Ufficiali ricever doni e pranzi e si prescrivono a' Mastrodatti e ad altri Ufficiali minori i loro diritti facendosene tariffa; tre altre nel medesimo mese e la sesta nel seguente di giugno.

Nel 1470 ne' mesi di marzo, aprile ed ottobre, tre altre; e nel 71 un'altra in giugno.

Nel 1472 ne stabili un'altra a' 13 settembre, per la quale fu deputato Bernardo Striverio Avvocato fiscale per Inquisitore Generale del Regno contro gli Usurarj e contro altri malfattori, che nelle moderne edizioni si legge sotto il titolo de Usurariis, ma con data scorrettissima de' 9 ottobre 1462, quando quella, secondo l'edizioni antiche, fu promulgata nel decimo quinto anno del suo Regno, come ivi si legge: Dat. 13 septembris 1472, Regnor. nostror. A. 15.

Nel 73 in marzo ed aprile due altre, e nel 74 nel mese di marzo, una.

Nell'anno poi 1477 furono stabilite quelle tante leggi intorno all'ordine giudiciario, delle quali si è altrove fatta memoria; ne' seguenti anni 1479, 80, 81, 82, 83, 84, 86, 87, 88, 90 insino al 1492 ne furono molte altre da questo Principe promulgate, le quali possono con facilità vedersi, secondo l'ordine de' tempi, nella Cronologia di queste leggi prefissa al tomo primo nelle nostre prammatiche secondo l'ultima edizione dell'anno 1715.

Furono queste prammatiche di Ferdinando nel seguente secolo raccolte in un volume insieme con alcune altre di Ferdinando il Cattolico e di Carlo V, ed impresse nel 1558. Da poi unite colle Costituzioni, Riti e Capitoli del Regno furono ristampate in Vinegia nel 1590. V'impiegarono i loro studi in quel secolo molti nostri Professori, chi con Note, chi con diffusi Commentarj ed altri con particolari Trattati. Annibale Troisio della Cava, nominato perciò il Cavense, commentò tutte quelle, che nel 1477 s'erano pubblicate, per le quali furono i giudicj riordinati e molte altre ancora: Giovannangelo Pisanello, Marc'Antonio Polverino e Giacomo de Bottis vi fecero delle piene Note. Orazio Barbato sopra la prammatica Assistentium, vi stese un Trattato. Gio. Bernardino Moscatello di Lucera stese la sua Pratica de' nostri Tribunali, che ora si vede ristampata colle addizioni del Consigliere Prato, sopra le suddette leggi di Ferdinando promulgate nel detto anno 1477. Altri sopra la prammatica Odia inter conjunctos, stesero i loro trattati e le varie dispute intorno a compromessi. Cotanto le leggi di questo Principe furono non pure in que' tempi, ma anche ne' seguenti secoli riputate savie e dotte.

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