Del Ducato beneventano, sua estensione e politia.
Solamente il ducato di Benevento, ciocchè parrà forse incredibile, non potè da sì potente e glorioso Principe esser domato; questo solo restò esente dalla dominazione de' Franzesi, ancorchè Carlo e Pipino suo figliuolo fatto Re d'Italia da suo padre, vi avessero più volte impiegate le loro forze, e tutta la loro industria. Ma se si considererà lo stato florido di quello, la sua estensione, e le forze dove era arrivato in questi tempi, non parrà nè strano nè maraviglioso, se non potè conquistarsi da' Franzesi.
Reggeva il Ducato di Benevento, quando Desiderio ed i Longobardi furono vinti in Italia, Arechi suo genero; nè mai si videro i suoi confini distesi tanto, quanto sotto il Regno di costui: abbracciava quasi tutto ciò che ora diciamo il Regno di Napoli: e toltone Gaeta, il Ducato napoletano, che da Cuma insino ad Amalfi non estendeva più oltre il suo dominio, ed alcune città de' Bruzj e di Calabria, che ancora ubbidivano agl'Imperadori d'Oriente, tutto era a' Longobardi beneventani sottoposto. Secondo i confini che gli prefigge l'accuratissimo Pellegrino si distendeva dalla parte d'Occidente insino a' confini del Ducato romano e di Spoleto; abbracciava Sora, Arpino, Arce, Aquino e Casino; ed avrebbero anche i Longobardi per questa parte esteso più oltre i suoi termini, se i Pontefici romani ora con doni, ora con preghiere non l'avessero impedito, e fatti desistere da ulteriori progressi.
Dalla parte di mezzogiorno aveva per confine Gaeta; non mai questa città fu a' Longobardi sottoposta: era siccome molte altre città marittime per anche rimasa sotto l'Imperio de' Greci; e sebbene Carlo Magno l'avesse tolta a' medesimi, e come soleva usar delle spoglie de' Greci, n'avesse fatto un dono alla Chiesa romana; nulladimeno da poi cooperandovi Arechi, fece costui tanto, che ritornasse di nuovo in mano de' Greci; onde nacquero le tante querele d'Adriano R. P. presso Carlo M. contro i Beneventani. Ma non passarono molti anni, che i romani Pontefici vigilanti a ritenere ciò che una volta hanno acquistato, pretesero, che appartenesse a loro, tanto che Gio. VIII, ancorchè fosse da' Greci posseduta, non ebbe riparo di concederla a Pandolfo Conte di Capua; e Terracina che parimente fu al Consolare della nostra Campagna sottoposta, siccome si è veduto, ed a' Greci appartenevasi, pure passò a' romani Pontefici, di che altrove ci sarà data occasione d'un particolar discorso. Distendevasi contuttociò da questa parte il Ducato beneventano insino a Cuma, abbracciava Minturno, Volterno e Patria, dagli antichi detta Clanium, luoghi non molto remoti da Capua, che era già passata sotto la dominazione de' Duchi di Benevento, e che dai Conti, i quali essi vi mandavano, era amministrata e retta. Invasero ben una volta i Beneventani, e presero anche Cuma, ma, come si disse, furono da' Napoletani con molta strage respinti, e glie la ritolsero. Non poterono prender Miseno, ancorchè non molto lontano da' lor confini; non l'altre città del mar Tirreno. Stabia, Sorrento ed Amalfi, le quali al Ducato napoletano eran in questi tempi unite; ma tutte le altre città e luoghi mediterranei della Campagna passarono, lino da' tempi del Duca Grimoaldo, sotto il Ducato di Benevento, come Tiano, Gaudio, Sarno, Nola, che in questi tempi chiamavasi Cimeterium, e Salerno ancora. Estendeva ancora da Salerno i suoi confini oltre Cosenza: toltone Acropoli ed il Promontorio, che ora volgarmente chiamiamo Capo della Licosa, e gli altri luoghi marittimi con Reggio, che rimasero sotto l'Imperio de' Greci; tutti gli altri luoghi mediterranei della Lucania e de' Bruzj, Pesto, Conca, Cassano, Cosenza, Laino, e altre città, al Ducato beneventano erano sottoposte.
Non minore fu la sua estensione verso Oriente: un tempo Autari portò le vittoriose sue insegne insino a Reggio, ma fu questa, come si disse, una scorreria simile a quella che i Longobardi fecero da poi in Cotrone. Fu questa punta d'Italia conservata sempre dai Greci, nè oltre a Cosenza e Cassano stesero i Longobardi beneventani da questa parte il lor Ducato; ma dall'altra parte occuparono anche Taranto, e tennero ancora gran parte della Calabria, e toltone Gallipoli ed Otranto, s'estesero sino a Brindisi.
Nel Settentrione occuparono tutta la Puglia non pur mediterranea, ma marittima ancora, da Bari sino a Siponto, ed il promontorio Gargano con tutta la regione adiacente era sotto la lor dominazione. Per questa parte il lor dominio non potè stendersi nell'isola di Tremiti, perchè non avendo i Longobardi forze marittime, non potè cadere in lor potere. L'ebbe poi Carlo M, e vi mandò in esilio Paolo Diacono. Stendeva verso questa parte più oltre i suoi confini, poichè oltre a' luoghi mediterranei della Puglia, come Lucera, Termoli, Ortona, ed altri luoghi marittimi, e tutta quella parte che oggi appelliamo Apruzzi, tutto era sottoposto a questo Ducato, Chieti colla regione adiacente, e tutti gli altri luoghi mediterranei di quella parte del Sannio, che poi si disse Contado di Molise come Supino, Bojano, Isernia, ed altre città, e tutto il Contado de' Marsi, che con quello di Sora confinava.
Ecco fra quali confini si racchiudeva il Ducato beneventano; lo componevano quasi che tutte quelle quattro province, onde fu questa parte d'Italia divisa da Costantino M. e dagli altri Imperadori suoi successori, la Campania, il Sannio, la Puglia e la Calabria, la Lucania ed i Bruzj; in breve, toltone il Ducato napoletano, Amalfi, Gaeta, ed alcune altre città marittime della Calabria e de' Bruzj, abbracciava tutto ciò che ora diciamo Regno di Napoli, e delle dodici province, che oggi compongono questo Regno, nove nel Ducato beneventano eran comprese; queste sono oggi Terra di Lavoro, il Contado di Molise, Apruzzo citra, Capitanata, Terra di Bari, Basilicata, Calabria citra, e l'uno, e l'altro Principato. Meritò per tanto questa parte per la sua estensione esser chiamata dai Greci, ed anche da' Scrittori latini di quest'età, Italia Cistiberina, ed i Greci solevan appellarla ancora Longobardia minore, per distinguerla dalla maggiore, che nella Gallia cisalpina di qua e di là del Po da' Longobardi era dominata, e che ancora oggi ritiene il nome di Lombardia. Così la chiamarono Costantino Porfirogenito; Cedreno in più luoghi, e Zonara in Basilio Macedone; e Porfirogenito ne' suol Temi, parlando dell'irruzione de' Saraceni in Bari, la chiamò semplicemente Longobardia. Quindi avvenne, ch'essendo Benevento innalzato ad esser capo d'un sì vasto Ducato; come Pavia, da' Latini detta Ticinum, era capo e sede de' Re longobardi; fosse ancora questa città, per esser capo della Longobardia minore, chiamata da' latini Scrittori di questa età e della seguente parimente Ticinum, come mostra l'accuratissimo Pellegrino nella prefazione all'anonimo Salernitano.
Meritò anche in questi tempi da Paolo Diacono esser chiamato Benevento città opulentissima, e capo di più province: città reputata allora la più culta e la più magnifica di quante n'erano in queste nostre province; e molto più estolse il suo capo, quando Arechi, avendovi da presso costrutta Città nova, la rendè più ampia, e d'abitatori più numerosa. E quando in Italia eran le lettere quasi che spente; e toltone i Monaci, presso gli altri vi era una somma ignoranza, Benevento solamente in mezzo di tanta barbarie, seppe nel miglior modo che potè mantener la letteratura. Narra l'anonimo Salernitano, che ne' tempi dell'Imperador Lodovico, in Benevento fiorivano trentadue Filosofi: Tempore quo Ludovicus praeerat Samnitibus, triginta duos Philosophos Beneventum habebat: non già come osservò il diligentissimo Pellegrino, che questi fossero veramente tali, ma secondo il costume di quei tempi, erano chiamati Filosofi tutti coloro che professavano lettere umane. Il nostro Paolo Varnefrido Diacono della Chiesa d'Acquileja fu per la sua letteratura di stupore a Carlo M., e quantunque essendo egli attaccato a' suoi Longobardi l'avesse tante volte offeso, lo risparmiò sempre in considerazione della sua dottrina, nè altro gastigo gli diede, che di mandarlo in Tremiti esiliato. Dal nome dunque di tal magnifica città prese il suo quest'ampio Ducato, e quindi avvenne ancora, che da Lione Ostiense si appellasse provincia di Benevento, ovvero assolutamente Benevento, come fu anche chiamato da Erchemperto: quindi presso l'anonimo Salernitano, que' Vescovi che si mandarono da Arechi ad incontrar Carlomanno per trattenere il suo rigore, si dissero Beneventani Antistites, non altrimenti che presso S. Gregorio M. Neapolitani Episcopi eran chiamati coloro, che alle Chiese del Ducato napoletano erano preposti.
Portò ancora questa estensione, che intorno all'amministrazione dovesse darsi nuova politia, e diviso il Ducato in minori province, che si dissero Contadi o Gastaldati, di ciascuna partitamente dovesse prendersi governo, e che le città del Ducato si commettessero alla cura di più Ufficiali, non potendosi immediatamente dal solo Duca amministrarsi; perciò furono molte di esse concedute in ufficio ed amministrazione a' primi Magnati e Signori longobardi, che nelle armi s'erano segnalati e distinti, chiamati Conti o Castaldi, inferiori però a' Duchi da' quali eran dependenti; e quindi in queste nostre contrade sursero i Conti. Sin da' tempi di Grimoaldo, Mitola, essendosi così ben portato nella guerra contro Costanzo, fu in premio del suo valore fatto Conte di Capua da Grimoaldo, come si è detto: così da tempo in tempo molte città di questo Ducato furono a' Conti concedute, perchè le reggessero con piena, ma dipendente autorità; nè dal governo ed amministrazione delle medesime eran rimossi, se non per fellonia, o per morte, e poi col correr degli anni venne a costumarsi, che se non rimaneva estinta la loro maschile stirpe, non si trasferiva il Contado in altra famiglia.
In cotal maniera cominciarono presso di noi ad introdursi i Contadi ed i Feudi: prima il Contado non denotava Signoria, ma Ufficio: si chiamavano Conti, perchè il loro particolar ufficio era di presedere alle Comitive, ovvero ceto d'uomini che si mandavano in qualche espedizione: rendevano ancor ragione, e presedevano a' pubblici giudicj, e nelle liti fra' Popoli a lor sottoposti amministravan giustizia, siccome è chiaro nelle leggi longobarde. Si dava a costoro il governo delle città e delle regioni convicine, in Ufficio, non in Signoria: alle volte si concedeva il Contado durante il corso della lor vita, altre volte a certo e determinato tempo; ma con tutto ciò i Principi longobardi solevano in ogni anno confirmargli, per tenerli sempre dubbj ed incerti, ed affinchè non potessero per la certezza di non poter esser rimossi macchinar cosa in pregiudicio dello Stato. Ma quando per lunga esperienza eransi assicurati della loro fedeltà, e che il Contado a lor commesso era stato da loro amministrato con somma rettitudine e giustizia, s'introdusse che ciò che prima erasi loro conceduto in Ufficio, il Principe, a cui s'eran resi cotanto benemeriti, gliela concedesse in Feudo ed in dominio, non trapassando però la loro persona; e quindi, come notò assai a proposito il nostro Marino Freccia, il Contado non passava agli eredi: da che procede onde sovente nelle antiche carte leggiamo appellarsi taluno Comes et Dominus, denotandosi con ciò, che la Contea che prima eragli stata conceduta in Ufficio, aveala per suoi segnalati servigi e fedeltà ottenuta anche in Feudo ed in Signoria. Col correr degli anni poi fu introdotto, che passasse il Feudo a' proprj figliuoli, non però giammai agli eredi, compassionando lo stato di coloro i quali, morto il padre, togliendosi loro il Feudo, si sarebbero in un tratto veduti cadere in un'estrema miseria e povertà, la quale non ben si unisce colla nobiltà del sangue, anzi quella deturpa ed affatto estingue. Ecco, come prima delle altre, che ubbidivano a' Greci, cominciarono in queste province sottoposte a' Principi longobardi beneventani, i Feudi e le Contee. Si multiplicaron perciò in appresso in buon numero nel Ducato beneventano i Contadi ond'era quello diviso: il primo fu il Contado di Capua, che, come diremo, divenne poi un ben ampio e nobil Principato: s'intesero i Contadi di Marsi, di Sora, il Contado di Molise, l'altro d'Apruzzi, di Consa, e molti altri, che poi diedero il nome alle province, nelle quali ora il Regno è diviso. Si videro perciò i Principi di Benevento per lo numero de' suoi Conti in maggior splendore: molti se ne annoveravano, da quali traggono l'origine alcune delle più illustri famiglie del Regno: i Conti d'Aquino, i Conti di Tiano, di Penna, d'Acerenza, di S. Agata, d'Alife, d'Albi, di Bojano, di Cajazza, di Calvi, di Capua, di Celano, di Chieti, di Consa, di Carinola, di Fondi, d'Isernia, di Larino, di Lesina, di Marsi, di Mignano, di Molise, di Morono, di Penna, di Pietrabbondante, di Pontecorvo, di Presenzano, di Sangro, del Sesto, di Sora, di Telese, di Termoli, di Trajetto, di Valve e di Venafro; tantocchè, siccome di Carlo M. dicevasi essere stato il più grande facitor de' Paladini, così de' nostri Principi beneventani i più grandi facitori de' Conti.
Eransi ancora introdotti sin dalla venuta d'Alezeco, Duca de' Bulgari, i Castaldati: i Castaldi eran minori a' Conti, e siccome notò accuratamente l'incomparabile Cujacio, non eran propriamente Feudatarj: erano come Custodi, e che ricevevano le città o ville jure gastaldiae, non li ricevevano jure feudi, quasi che perpetuamente dovessero godere del beneficio; ma loro se ne dava il governo e l'amministrazione a tempo, colla clausola sin tanto che ci piacerà, ed era in arbitrio del concedente toglierla quando che gli piaceva, siccome fece Grimoaldo quando ad Alezeco concedè Supino, Bojano, Isernia ed alcuni luoghi intorno in Castaldato, e volle perciò che non Duca, ma Castaldo fossesi nomato; onde leggiamo sovente presso Erchemperto ed Ostiense, che coloro che d'una città eran fatti Castaldi, ambivano poi farsi Conti, come lo pretese Atenulfo, che di Castaldo ch'era di Capua, coll'ajuto di Atanasio Vescovo e Duca di Napoli, si fece Conte di quella città. Quindi si vede chiaramente, che l'ufficio de' Castaldi non era di così vile condizione, e che fosse solamente ristretto al governo delle case regali, o siano Corti, ovvero ville e poderi; ma solevan darsi ancora alle città. Solevano anche questi a' quali si commetteva la custodia de' poderi e delle ville, dirsi altresì Castaldi, e di questa spezie parlano le leggi longobarde in più luoghi, e le nostre leggi feudali ancora: venne anche a darsi questo nome a coloro che avevano il governo de' poderi degli Ecclesiastici, che da Urbano II si chiamano amministratori delle robe ecclesiastiche, onde i monasteri anche delle Monache ebbero i loro Castaldi, come, oltre di più antichi esempj rapportati dal Pellegrino, ne può essere a noi buon testimonio Gio. Boccaccio, del cui ufficio, in premio delle sue continue fatiche, ne fu anche onorato Masetto da Lamporecchio da quelle Monache; con tutto ciò Castaldi ancora eran chiamati coloro, ch'erano a particolari città preposti con pubblica autorità, ed alla cura e governo civile delle medesime invigilavano; ed oltre alla custodia delle cose pubbliche, solevano anche presedere ne' giudicj, onde perciò erano ad essi costituiti i salarj dal pubblico, ed assegnate alcune rendite, che nelle nostre leggi feudali si dice essere a loro dovute nomine Gastaldiae. Era di lor ufficio parimente a' Popoli soggetti render ragione e sovrastare, non altrimente che i Conti, nei giudicj e nelle liti amministrar loro giustizia, come è chiaro dalle leggi longobarde; ciò che essi non solevan fare senza il voto d'uno, o più Giureconsulti ch'erano gli Assessori: onde il costume che nel nostro Regno vige di dar gli Assessori, o siano Giudici a' Governadori, trae più antica origine di ciò che altri credettero. Anzi i Castaldi, oltre della civile potestà, ebbero alcun tempo anche la militare, come è chiaro per una legge di Rotari, e da ciò che narra Anastasio Bibliotecario della guerra di Cuma, nella quale dal Duca di Napoli furono uccisi quasi trecento Longobardi col loro Castaldo, che gli guidava, e che aveva il pensiero di quell'impresa: onde se non voglia aversi per vero quel che dice Cujacio della differenza di questi Castaldi co' veri Feudatarj, cioè che questi come Custodi erano a tempo costituiti, non perpetuamente, non si sapranno distinguere con segni più chiari i Conti da' Castaldi.
E se bene Camillo Pellegrino, non piacendogli il sentimento di Cujacio, avesse proccurato di distinguergli con dire, che quantunque i Castaldi convenissero co' Conti in molte cose, nulladimeno il proprio loro ufficio era d'aver cura delle cose pubbliche, derivando ciò dall'etimologia del nome Guast ed Halden, voci dell'idioma tedesco, del quale sovente i Longobardi servironsi, che non denota altro, che Hospitium tenere, come notò Vito Amerpachio nelle note a' Capitoli di Carlo M., e l'ospizio non denotando le case private, ma le pubbliche ed il Pretorio del Magistrato; perciò egli portò opinione, che la particolar cura del Castaldo, essendo delle cose pubbliche, non delle familiari e delle private, per questo si distinguesse dal Conte; nulladimeno ciò che siasi di questa derivazione, ed ancorchè nell'origine fosse stato solamente questo l'ufficio de Castaldi, essendo da poi stati anche preposti alle città intere, con altri luoghi adiacenti, ed avendo come si è veduto avuta tutta la potestà, così civile che militare, siccome l'ebbero i Conti; sempre queste due cariche si confonderanno fra loro, se non diremo, che l'una era a tempo e l'altra perpetua, e conceduta proprio jure Feudi: e se bene nel principio convenissero anche in questo con li Conti, nulladimeno in decorso di tempo i Conti non erano se non per fellonia o morte privati del Contado; e poi si vide che lo tramandavano anche nella loro stirpe maschile. Vi era anche un altro marchio ond'eran distinti, poichè il titolo di Contado denotava dignità, quello di Castaldo ufficio, onde sovente nell'antiche carte leggiamo: dignitate Comes; munere Gastaldus.
Fu per tanto il Ducato beneventano diviso in più Contadi e Castaldati, come in province, siccome è manifesto dal capitolare di Radelchisi principe di Benevento. Non è appurato presso gli Istorici il lor numero, e quanti fossero: i più insigni però furono quel di Taranto, di Cassano, di Cosenza, di Laino, di Lucania, ovvero Pesto, di Montella, di Salerno, e quel di Capua: i più distesi furono quelli di Capua, e di Cosenza, quello di Capua si stendeva verso Occidente insino a Sora: l'altro di Cosenza all'incontro insino a S. Eufemia, e Tropea. Fuvvi ancora il Castaldato di Chieti, che abbracciava molte città e terre, l'altro di Bojano co' luoghi adiacenti istituito da Grimoaldo nella persona di Alezeco Bulgaro, che dopo ducento anni fu da Guandelperto posseduto. Passò questa prerogativa da Bojano in Molise luogo vicino, onde fu prima detto il Contado di Molise, e da poi provincia del Contado di Molise, il qual nome oggi peranche dura. Eravi quello di Telese, l'altro di S. Agata, d'Avellino, di Acerenza, di Bari, di Lucera, e di Siponto, ed in somma a quasi tutte le città più cospicue di questo Ducato erano i Castaldi, ovvero Conti preposti; nè si tenne nella loro distribuzione alcun conto dell'antica politia o disposizione delle province secondo la divisione fattane sotto Costantino, e degli altri suoi successori: quella mancò affatto, ed altra nuova ne surse.
In tale floridissimo stato era il Ducato di Benevento, quando in Pavia furono i Longobardi vinti e debellati. Nè languiva presso i Longobardi beneventani la disciplina militare: essi venivano perpetuamente esercitati da' Greci napoletani, co' quali sempr'ebbero fiere ed ostinate guerre, sempre vigilando i Longobardi di ridurre sotto la loro dominazione il Ducato napoletano, siccome avevano già fatto di quasi tutte l'altre parti di quelle province, che ora compongono il nostro regno; nel che maggiormente rilusse la fortezza ed il valore de' Napoletani, che dovendo sempre combattere con forze diseguali, e da contrastar con inimico quanto vicino, altrettanto più numeroso e potente, gli resistè con tanta intrepidezza e valore, che non poterono i Beneventani aver questa gloria di sottoporsi quel Ducato; e non se negli ultimi tempi se lo renderono tributario. Sarà dunque ancor bene, dopo aver mostrato in quale stato erano i Longobardi beneventani, quando i Re loro furon d'Italia scacciati, che ancora si parli della fortuna e dominio de' Greci, che ancor ritenevan in queste parti, e che poi ritennero, non altrimente che i Beneventani, da poi che Carlo M. si fece Re dell'Italia.