Del Ducato napoletano, sua estensione e politia.
L'Imperio di Oriente da poi che fu da' Barbari invaso, i quali resi padroni dell'Egitto, dell'Affrica, della Siria, della Persia e dell'altre gran province dell'Asia, lo restrinsero all'Asia minore, alla Grecia, alla Tracia, e ad una picciola parte d'Italia coll'isole vicine, non tenne più conto dell'antica distribuzione delle sue province, e cambiato nella sua forma, nuove divisioni s'introdussero: fur quelle cambiate in molti distretti più o meno grandi, a' quali fu dato il nome di Temi, i quali avevano i loro Governadori particolari. Costantino Porfirogenito ne compose due libri: nel primo annoverò i Temi, ovvero province dell'Asia, che erano diciassette: nel secondo quelli d'Europa, ed il loro numero era di dodici. Fra i Temi d'Europa il X è la Sicilia, e l'XI la Longobardia. Chiamavano così i Greci questa picciola parte ch'era a lor rimasa in Italia, secondo il proprio fasto e costume di ritenere almeno nel nome ciò che altri avean di quell'Imperio occupato; del rimanente così la Longobardia maggiore sotto i Franzesi, come la minore sotto i Longobardi beneventani, era già trapassata. Le terre che Costantino novera sotto il Tema di Longobardia, che ubbidivano all'Imperio d'Oriente, sono quelle del Ducato di Napoli, la qual città egli decora perciò con titolo di metropoli, essendo capo d'uno non dispregevol Ducato, e l'altre dell'antica Calabria, che ancor ritenevano. I Bruzj e con essi Reggio, Girace, Santa Severina, Cotrone ed altre terre, quibus Praetor Calabriae dominatur, come sono le sue tradotte parole, al Tema di Sicilia vengono attribuite.
Da poi che in Italia restò estinto l'Esarcato di Ravenna, ch'era il primo Magistrato, che in queste parti occidentali ancor ritenevano gl'Imperadori d'Oriente, e dal quale tutti gli altri Ducati eran dependenti, non essendo a' Greci rimaso altro in Occidente, che la Sicilia, la Calabria, il Ducato di Napoli, quello di Gaeta, ed alcune altre città marittime, istituirono per l'amministrazione e governo di queste regioni un nuovo Magistrato, che essi chiamavano Patrizio, ovvero Straticò; ed a ciaschedun Tema si mandava un particolar Patrizio per governarlo. Costantino medesimo in quell'altro suo libro de Administrando Imperio, mescolando come suole i fatti veri co' favolosi, e niente ricordandosi di ciò che avea scritto nel secondo libro de' suoi Temi, dice che sin da che la sede dell'Imperio fu trasferita in Costantinopoli, furono dall'Imperadore costantinopolitano mandati in Italia due Patrizj, de' quali uno sovrastava al governo della Sicilia, della Calabria, di Napoli e d'Amalfi; l'altro al governo di Benevento, di Capua, di Pavia, e degli altri luoghi di quella provincia; e che ciascheduno ogni anno pagava i tributi al Fisco dell'Imperadore: soggiunge ancora, che Napoli era l'antico Pretorio de' Patrizj, che si mandavano, e chi governava questa città, avea ancora sotto la sua potestà la Sicilia; e quando il Patrizio giungeva in Napoli, il Duca di Napoli andava in Sicilia. Quantunque questo racconto repugnasse a tutta l'istoria, poichè trasferita la sede imperiale in Costantinopoli, l'Italia non da' Patrizj, ma da' Consolari, Correttori e Presidi, tutti sottoposti al Prefetto d'Italia o a quello di Roma, era governata, e non se negli ultimi tempi di Giustino Imperadore fu mutata la sua politia, essendovi da Longino introdotti i Duchi, e stabilito in Ravenna l'Esarcato, nè poi il Duca di Napoli s'impacciò mai al governo della Sicilia; andando questo Ducato compreso insieme coll'antica Calabria col Tema della Longobardia; nulladimeno, ciò ch'egli dice, che il Patrizio, che si destinava per la Sicilia, aveva anche l'amministrazione ed il governo della Calabria, e di tutti gli altri luoghi che ancor si tenevano per gl'Imperadori d'Oriente, se si riguardano i tempi, ne' quali siamo di Carlo M., non è mica favoloso.
Dall'ampiezza fin ora rapportata del Ducato di Benevento, sarà facile il conoscere ciò ch'era rimaso a' Greci nella antica Calabria e ne' Bruzj e quanto si estendesse il Ducato napoletano e l'altro di Gaeta, che pur sotto la loro dominazione per lungo tempo rimase. Nella Calabria antica ritenevano i Greci in questi tempi, dopo aver perduto Taranto e Brindisi, solamente le città di Gallipoli e d'Otranto; ma nei Bruzj ritennero, oltre a Reggio, molte altre città, Gerace, Santa Severina, Cotrone, ed altre terre di quella regione. Rimasero ad essi ancora Amantea, Agropoli, ed il Promontorio, che oggi diciamo Capo della Licosa. Tutti questi luoghi ancorchè avessero Magistrati particolari, da' quali venivano immediatamente governati, furono in questi tempi interamente attribuiti al governo del Patrizio di Sicilia, poichè prima solamente i Bruzj del Mediterraneo, o Mare inferiore di qua del Faro andavano colla Sicilia, come vicinissimi: imperocchè gli antichi Calabri del Mare superiore, che diciamo oggi Adriatico, siccome ancora Napoli ed Amalfi, non eran di quel Tema, ma come disse l'istesso Porfirogenito nel libro 2 de' suoi Temi, al Tema di Longobardia s'appartenevano; ma da poi avendo i Greci perduto Taranto e Brindisi, e (toltone Gallipoli ed Otranto) tutte le altre terre della Calabria antica; le città ch'essi ritennero in questa provincia, con quelle che loro rimasero ne' Bruzj, ed in quella parte della Lucania antica, che oggi chiamiamo Calabria citra, e nel Ducato napoletano, furono pure al Tema di Sicilia attribuite, insieme con Gaeta; onde il Patrizio destinato al governo di quello avea, come dice Porfirogenito, anche la soprantendenza della Calabria, di Napoli e d'Amalfi; il che quantunque sembri strano per Amalfi e per Napoli, di Gaeta però non può dubitarsene, costando ciò dall'Epistole d'Adriano R. P. il quale, avendogli Carlo M. ceduta Gaeta, che poco prima avea tolta a' Greci, ed avendo Arechi proccurato che si restituisse a' medesimi, scrivendo egli a Carlo M., si lagna de' Longobardi beneventani, chiamandogli nefandissimi, perchè confederati col Patrizio di Sicilia avean sottratta dal suo dominio quella città, e sottopostala a quel Patrizio, che risedeva allora in Gaeta. Nè l'accuratissimo Pellegrino potè negare, rapportando questo luogo d'Adriano, che al Patrizio di Sicilia, ed al suo governo s'appartenevano in questi tempi, oltre di quell'isola, molte altre città ancora di qua del Faro, delle quali avea la soprantendenza. Anzi di Napoli pur si narra, ch'essendo per la morte d'Antimio, che succedè a Teofilo nel Ducato napoletano, surta lite intorno all'elezione del nuovo Duca; essendosi i Napoletani divisi in fazioni, bisognò per sedarla ricorrere, non già all'Esarca di Ravenna, come faceasi prima, ma per esser quello mancato al Patrizio di Sicilia, il quale per quietare que' romori vi mandò Teoclisto per lor Duca; ma ben tosto costui ne fu levato dall'Imperadore, poichè pervenute le notizie in Costantinopoli di queste contese, subito fu mandato per Duca Teodoro Protospatario, al quale bisognò che Teoclisto cedesse il luogo. Donde ricava il Capaccio, o qual altro si fosse l'Autore dell'Istoria di Napoli, che i nostri Duchi o solevan mandarsi da Costantinopoli a dirittura, o eleggersi da Napoletani ed aspettare dall'Imperadore la confirma dell'elezione da essi fatta: ciò che Camillo Pellegrino ha troppo ben chiaramente dimostrato.
Da questa soprantendenza, che in questi tempi vediamo nella persona del Patrizio di Sicilia sopra queste regioni di qua del Faro, credo io, se in cose cotanto oscure sia lecito oltre avanzare le conghietture, che sia poi derivato presso a' nostri Principi Normanni e Svevi il costume di chiamar questa parte di qua del Faro anche col nome di Sicilia; onde poi i romani Pontefici, per maggior distinzione, avessero chiamato questo Regno Sicilia citra, e l'altro Sicilia oltre il Faro. Certamente sin da' tempi de' Normanni questo nome di Sicilia fu comune ad ambedue questi Regni; e se non vi è errore in quella carta rapportata dall'Ughello di Rogiero Normanno, che fu fatta nell'anno del Mondo 6623, cioè intorno l'anno di Cristo 1115 ed istromentata in idioma greco a favor della chiesa di Santa Severina in Calabria, si vede che sin da que' tempi fu usato il nome di Sicilia citra farum, siccome sono le parole di quella, chiamandosi Rogiero Comes Calabriae, et Siciliae citra farum. Ciò che poi seguitarono i nostri Re normanni, e comunemente i Svevi, vedendosi che presso que' Re sotto il nome del Regno di Sicilia non men quella isola che questo nostro Reame era compreso: di che altrove se ne avrà un più lungo discorso.
Nè qui è da tralasciare un'altra forte conghiettura dell'accuratissimo Pellegrino, che suspica quindi esser nata la mutazione, e 'l trasferimento de' nomi di queste due province, cioè che quella che, secondo l'antica distribuzione, era chiamata il Bruzio e parte della Lucania, fossesi da poi appellata Calabria; ed all'incontro l'antica, perdendo il suo nome vetusto, prima Longobardia o Puglia e da poi Terra d'Otranto e Terra di Bari fosse stata chiamata; poichè come abbiamo detto, i Greci prima della venuta di Costanzo Imperadore in Benevento, ritenendo la Sicilia ed i prossimi Bruzj, ed estendendosi la lor dominazione oltre Cosenza in tutti que' lidi insino ad Agropoli e nelle città marittime della Campagna, in Amalfi, Sorrento, Stabia, Napoli, Cuma insino a Gaeta da questa parte del Mare inferiore; e dall'altra parte del Mare superiore ritenendo quasi che tutta la Calabria antica e le città marittime della medesima, Taranto, Brindisi, Otranto e Gallipoli insino a Bari; tutti questi luoghi in due Temi gli descrissero ed in due province furono divisi. La I fu la Sicilia ed i vicini Bruzj. La II comprendeva tutti gli altri luoghi ancorchè molto disgiunti e fra lor divisi, che sotto il nome di Calabria antica e da poi di Longobardia, che allora era la più ricca e distesa provincia da essi posseduta, eran designati. Ma rotto Costanzo da Grimoaldo, e fugato il suo esercito, portò questa sconfitta, come si vede, quasi che l'intera rovina de' Greci in quella provincia, poichè toltone Gallipoli ed Otranto, tutte le città della Calabria così mediterranee, come marittime furono da Romualdo Duca di Benevento occupate, ed al suo Ducato stabilmente aggiunte. Quindi avvenne, che gli Imperadori che a Costanzo succederono, secondo il solito fasto de' Greci, perchè non apparisser diminute o minori le province del loro Imperio, e perchè non interamente erasi perduta l'antica Calabria, restando loro Otranto e Gallipoli, ritennero sì bene l'istesso nome, ma lo trasportarono ne' vicini Bruzj. E poichè la sede de' Pretori di questa provincia era stata dai Greci costituita in Taranto, essendo questa città passata in mano de' Longobardi beneventani, bisognò trasferirla altrove, ed in parte ove la lor dominazione era più ampia, onde tra' Bruzj in Reggio fu quella traslatata; e quindi, ritenendosi l'istesso nome di Calabria, ed essendosi Reggio costituita sede del primo Magistrato che governava quella provincia, si fece che anche il Bruzio acquistasse il nome di Calabria, che poi parimente s'estese nelle parti della Lucania, onde bisognò ne tempi seguenti dividerla in due province, che furon dette di Calabria citra ed ultra; ed in cotal guisa da' Greci fu il Bruzio chiamato Calabria. I Longobardi, come suole accader tra' vicini, al loro esempio, que' luoghi mediterranei che nel Bruzio possedevano, chiamarono anche Calabria, ed i luoghi che da Taranto insino a Brindisi essi avevan tolti a' Greci della antica Calabria, non più con questo nome, ma di Puglia l'appellarono, come adiacenti alla antica Puglia ch'essi già possedevano: ed i Greci all'incontro ciò ch'essi aveano perduto nella Calabria antica nel Mar superiore, e che in mano de' Longobardi era passato, non più Calabria ma Longobardia chiamarono: ed ecco come si perdè affatto il nome antico di quella provincia e come ad un'altra fosse stato trasferito.
Tale era in questi tempi la distribuzione e politia, che i Greci ne' luoghi che eran lor rimasi in queste province, praticavano. Ma quale fosse in questa età lo stato del Ducato napoletano e sin dove stendesse i suoi confini, e come avesse potuto contrastare per la libertà co' Beneventani, è di bene che qui partitamente se ne ragioni.
Era il Ducato napoletano dopo Teodoro, del quale si fece memoria, e dopo Sergio, Crispano, Giovanni, Esilarato e Pietro, che successivamente l'aveano governato, passato in questi tempi sotto l'amministrazione di Stefano Duca e Console, quegli, che come si disse nel precedente libro, morta sua moglie, fu anche da' Napoletani eletto e da Stefano III confermato Vescovo di Napoli, il quale per questa nuova e differente dignità non depose la cura e governo del Ducato, ma solo per conforto e sostegno della sua vecchiaia proccurò dall'Imperador Costantino figliuolo di Irene, che allora imperava nell'Oriente, che gli fosse dato collega e successore Cesario suo figliuolo, come l'ottenne; ma non potè, siccome l'ebbe per collega, averlo per successore, perchè toltogli nel più bel fiore degli anni da immatura morte, lo rendè padre infelice al Mondo; nè mancò per rimostranza del suo dolore erigergli un tumulo, ove in versi acrostici, ne' quali in que' tempi era riposto tutto l'acume e perizia dei Poeti, pianse la sua sciagura, ed innalzò le lodi ed i pregi del suo diletto figliuolo. Vedevasi prima la lapide di questo tumulo nel cimiterio di S. Gennaro fuori le mura di questa città; ed ora non già è dispersa, come credette il novello Scrittore dell'Istoria Latina di Napoli, ma per caso incerto si ritrova trasferita in Salerno, e propio nella chiesa de' minori Conventuali; e se non avea egli mai letto il Chioccarelli, Camillo Pellegrino e 'l Mazza, che lo rapportano, poteva egli vederla co' propri occhi in Salerno, da Sorrento non molto lontana.
Sotto il Governo di Stefano, i confini di questo Ducato si stendevano verso Occidente insino a Cuma: l'isole Enaria, che oggi diciamo Ischia, Nisita e Procida con gli altri luoghi marittimi di quel contorno, Pozzuoli, Baja, Miseno e le favolose foci della palude Stige col lago d'Averno e' Campi Elisi, eran compresi nel suo dominio. Abbracciava ancora verso Mezzogiorno le città marittime di quella riviera, Stabia, che ora diciamo Castellamare, Sorrento ed Amalfi ancora coll'isola di Capri.
Amalfi non pure in questi tempi d'Arechi, ma insino a' tempi di Sicardo Principe di Benevento era con Sorrento ancor nel Ducato napoletano compresa. Non ancora erasi dal medesimo staccata, come fu da poi che facendo un Ducato a parte, stese i suoi confini tanto, che ne divenne uno Stato il più florido e potente che vi fosse in queste contrade, essendosi i lor cittadini renduti per la nautica i più famosi e rinomati presso a tutte le Nazioni dell'Oriente, come ci tornerà più opportuna occasione di favellarne altrove. Insino ad ora e per molti anni appresso, se non vogliamo andar dietro le frasche, pascendoci di vento, è chiaro essere stata Amalfi al Ducato napoletano unita, ed a' Duchi di Napoli sottoposta; poichè uno de' sforzi e degli attentati che praticò Arechi sopra il Ducato napoletano, fu l'impresa che mosse contro gli Amalfitani, che con potente armata cinse di stretto assedio, incendiando tutti i luoghi aperti posti nel Contorno d'Amalfi; e se non fossero accorsi i Napoletani a difender quella città, ch'era del lor Ducato, e con incredibile valore non avessero fugati e dispersi i Beneventani, che parte presero in battaglia e moltissimi n'uccisero, certamente gli Amalfitani sarebbero stati vinti e soggiogati da Arechi. Adriano, che mal sofferiva queste intraprese de' Longobardi beneventani sopra i Greci, ne diè del successo distinti ragguagli a Carlo M., e si legge oggi il giorno questa sua epistola, nella quale apertamente chiama gli Amalfitani del Ducato napoletano, e che perciò i Napoletani accorsero in loro ajuto.
Ne' tempi di Sicardo Principe di Benevento, Amalfi non altrimente che Sorrento era al Ducato napoletano sottoposta, come è manifesto dal Capitolare di questo Principe impresso fra gli altri monumenti de' nostri Principi longobardi da Camillo Pellegrino, ove Sicardo promette al Duca di Napoli di voler osservare quelle capitolazioni, che dopo una fiera guerra stabilirono, così per Napoli, come per le città sue, cioè per Sorrento, Amalfi e per tutti gli altri castelli, che erano al Duca di Napoli soggetti. E presso Erchemperto pur si legge, che il Duca di Napoli mandò gli Amalfitani a combattere contro i Longobardi capuani per far cosa grata al Principe di Salerno, con cui erasi confederato contro i Capuani. L'anonimo Salernitano nell'istoria non ancora impressa, in più luoghi ciò passa per indubitato, anzi dice che gli Amalfitani avevano i Conti annali, che ogni anno eran preposti al governo della città, ed a' Duchi di Napoli eran sottoposti, come ne rende a noi anche testimonianza l'accuratissimo Pellegrino. Egli è però certo, che da poi Sorrento passò sotto la dominazione de' Longobardi, perchè leggiamo, che Landulfo creò un suo figliuolo Duca di questa città.
Ma verso Oriente e Settentrione sin dove il Ducato napoletano stendesse i suoi confini, non avremo molto da dilungarci; poichè non potè da questa parte il Ducato stendere più oltre ne' luoghi mediterranei i suoi confini, come già tutti occupati da' Beneventani; e Capua ch'era in loro potere restringeva molto i suoi termini per questo lato, siccome dall'altra parte Nola, Sarno, e Salerno erano altresì da costoro dominati Potè solo ritenere quelle campagne ed alcuni luoghi d'intorno, che dal presidio della città e dal valore delle loro armi poterono esser difesi. Solamente Nocera, che ora diciamo de' Pagani, città mediterranea si mantenne sotto il Ducato napoletano, tanto che nell'anno 839 Radelchisio Principe di Benevento avendo mandato in esilio Dauferio, questi in Nocera andossene, utpote Urbi tunc Juris Ducatus Napolitani, come dice il Pellegrino: non altrimente che i Romani, i quali esiliati soddisfacevano all'imposta pena con portarsi in Napoli e nell'altre città federate. Le città marittime di questa contrada erano sostenute, perchè difese dal mare, ed erano per ragion de' loro siti inaccessibili a' Longobardi, che d'armate navali eran privi, donde avvenne che i maggiori conquisti gli facessero sopra le città mediterranee.
Ritenne ancora questo Ducato una politia consimile a quella di Benevento, poichè le città del medesimo ebbero i loro particolari Rettori, da' quali immediatamente venivano amministrate, che pure si dissero Conti, ed a' Duchi di Napoli eran subordinati: d'Amalfi lo scrisse l'Anonimo Salernitano; del Conte di Miseno ne rende a noi certa testimonianza S. Gregorio M., il quale in una epistola fa memoria di questo Conte: di Sorrento, Stabia, Cuma e degli altri luoghi, ancorchè presso gli Autori non se ne incontri alcun vestigio, egli è però da credere, che da simili Magistrati fossero stati anche governati. Certamente dal Duca di Napoli fu istituito il Conte d'Aversa ne' tempi de' Normanni, perchè i Normanni, fondarono questa città. Ma questi Conti non eran Feudatarj, come nel Ducato beneventano; erano semplici Ufficiali ed a certo tempo, perchè i Greci non conobbero Feudi; onde nacque che la provincia della Calabria e 'l Bruzio, come Napoli, conobbero più tardi, che quelle che componevano il Ducato beneventano, i Feudi. Ma con quali leggi Napoli col suo Ducato, e le altre città che ubbidivano agl'Imperadori d'Oriente si reggessero in questi tempi, se per quelle di Giustiniano, le cui Pandette si ritrovarono poi in Amalfi ovvero per le leggi degli altri Imperadori d'Oriente suoi successori, ci tornerà altrove più opportuna occasione di favellare, quando delle nuove compilazioni fatte dagl'Imperadori d'Oriente ad emulazione di Giustiniano dovremo far racconto.
Ecco lo stato, nel quale erano queste province, che oggi compongono il Regno di Napoli, quando Carlo Re di Francia, dopo aver vinti e debellati i Longobardi in Pavia e posto fra ceppi il Re Desiderio ultimo che fu di quella gente, assunse il titolo di Re d'Italia e de' Longobardi, onde per questa ragione pretendeva sopra il Ducato beneventano esercitar tutta quella sovranità, che gli altri Re longobardi suoi predecessori vi avevan ritenuta.