Carlo M. da Patrizio diviene Imperador romano: sua elezione, e qual parte v'ebbe Lione III romano Pontefice.
Mentre che i Franzesi sotto Pipino con tanta ferocia ed ardire guerreggiavan co' Beneventani sotto Grimoaldo, Carlo M., dopo aver debellati i Sassoni, e scorsi molti luoghi del vasto Imperio, fermossi finalmente nell'anno 795 in Aquisgrana, della qual città per l'amenità del sito e de' suoi luoghi cotanto si compiacque, che di un nobilissimo tempio adornolla: quivi trovandosi, gli fu recata novella della morte di Adriano accaduta in Roma l'anno 796. Fu da Carlo inconsolabilmente pianto, e fu tanto il dolore che n'ebbe, che volle anche manifestarlo per un elogio da lui medesimo composto, che fece porre al suo sepolcro. Intese ancora poco da poi, che il Popolo e Clero romano aveva in suo luogo eletto Lione Prete Cardinale, che Lione III, fu detto: da costui gli fu data parte della sua elezione per suoi Ambasciadori, dimostrandogli ancora la sua mente, ch'era, seguitando i vestigi de' suoi predecessori, di non voler riconoscere altro che lui per protettor suo e della Chiesa; di vantaggio come Patrizio, ch'egli era di Roma, gli mandò lo stendardo della città con molti altri doni, pregandolo nel medesimo tempo di mandare un dei Signori della sua Corte per ricevere da parte sua il giuramento di fedeltà, che gli presterebbe il Popolo romano, il quale da lungo tempo aveva cominciato a scuotere il giogo de' Greci, e voleva già assolutamente liberarsene. Carlo accettò li donativi e l'omaggio che gli rendeva la prima città del Mondo, e scelse il suo genero Anghilberto, per ricevere il giuramento de' Romani, che lo riconobbero per loro Signore: ed in fatti, per questi trattati avuti da Lione con Carlo, il Patriziato mutossi in dominio, e da questo tempo fu, ch'egli esercitò in Roma il diritto di Sovrano, rendendovi giustizia per suoi Commissari e per se stesso, come fu avvertito saviamente da Pietro di Marca: ed oltre a ciò, usando della sua regal munificenza e generosità, mandò al Papa per Anghilberto una gran parte di que' tesori immensi, ch'egli avea guadagnati nella guerra contra gli Unni, da lui poco prima felicemente terminata per la conquista della Pannonia: ed in tutti i rincontri che gli s'offerirono, emulo di Pipino suo padre, pose tutto il suo studio ad ajutarlo nelle persecuzioni che sofferse, e di proteggere ed innalzar quanto più potè la Chiesa romana, come aveva fatto con Adriano suo predecessore, poichè avendosi Lione inimicati Pascale e Compolo nipoti d'Adriano e molti principali Signori di quel partito, che mal sofferivano, che il nuovo Pontefice innovasse molte cose fatte da Adriano, costoro oltre d'averlo accusato e fatto reo di molti e scellerati delitti, non potendone mostrar poi documenti per provargli; un giorno mentr'era in una pubblica e sacra funzione tutto inteso, gli corsero sopra, e presolo gli diedero più colpi mortalissimi, lo strascinarono per le strade, e si sforzarono di cavargli gli occhi e di troncargli la lingua; ma riparatosi come potè meglio, fu dopo molte ferite, tutto bruttato di sangue, chiuso nel monastero di S. Gerasimo in una stretta prigione; ma liberato da poi da' suoi parteggiani, ed accorso in suo ajuto Guinigiso Duca di Spoleto, questi dopo averlo condotto in Spoleto, lo mandò in Francia a Carlo insieme con molti Vescovi ed altri Nobili, che vollero seguirlo nel viaggio. Fu ricevuto da Carlo in Paterbona con uguale stima, che fu da Pipino suo padre ricevuto Stefano, trattandolo con infinito onore e somma magnificenza, ove Lione ebbe campo di mostrare la sua innocenza, ciò che a torto aveva sofferto, ed in che falsamente era stato da' suoi nemici accusato.
Ma nell'istesso tempo i suoi congiurati in Roma, per l'assenza del Pontefice fatti più altieri, non mancarono di opporsi a' sforzi di Lione: essi mandarono a Carlo molte accuse, per le quali mostravano Lione reo di molti e gravi delitti. Parve al Re rimandarlo in Roma accompagnato magnificamente, per doversi ivi conoscere giuridicamente i meriti di questa causa, e lo fece accompagnare da dieci Commissari, due Arcivescovi, cinque Vescovi e tre Conti e molti Franzesi, per conoscere di questo negozio. Fu ricevuto il Papa in Roma con solenne applauso e molta pompa; e venendosi all'esame de' carichi che gli eran dati da Pascale e Campolo e da' loro complici, per iscusar l'esecrando attentato da essi commesso nella sua persona; non provandosi niente de' delitti, de' quali veniva imputato, i Commissari di Carlo mandarono gli accusatori sotto buona guardia al Re. Erasi Carlo, dopo aver gloriosamente trionfato degli Unni, incamminato già verso Italia, invitato da Pipino, il quale mal poteva solo abbattere la alterigia di Grimoaldo, che il Principato di Benevento reggeva già con libero ed assoluto imperio: e giunto in Italia volle essere di persona in Roma per conoscer di questa causa, e render al Papa quella giustizia che egli dimandava.
Fu da Lione a' 24 novembre di questo anno 799, dal Clero e dal Popolo romano ricevuto Carlo con segni di venerazione e di stima, i maggiori che potevan mai praticarsi: e fatto questo Principe, dopo alquanti giorni del suo arrivo, raunare nella chiesa di S. Pietro gli Arcivescovi, Vescovi ed Abati e tutti i Signori romani e franzesi, assiso egli col Pontefice in questa grande Assemblea, fece esaminar questa causa e proccurò che si facesse esatta discussione de' delitti, de' quali era stato Lione accusato; ma non essendovi dall'una parte pruova alcuna, nè alcun testimonio che si presentasse per sostenere queste calunnie, e dall'altra protestandosi tutti i Prelati, non dover la Santa Sede ed il Papa esser giudicato da nessuno, e che toccava a lui stesso di giudicarsi; allora il Pontefice disse, che seguendo le vestigia de' suoi predecessori, egli era tutto pronto di giustificarsi nella medesima maniera, che coloro avevano fatto più d'una volta: perciò il giorno seguente, montando egli sopra la tribuna, tenendo in mano il libro de' santi Vangeli, nel cospetto di tutti, volle con solenne giuramento, come innocente purgarsi, altamente protestando e giurando se essere innocente di tutti i delitti impostigli da' suoi persecutori. Sopra di che tutta la chiesa rimbombò dell'acclamazioni di una sì augusta Assemblea, che ricevè questa protesta e giuramento del Papa come un Oracolo, che l'assicurava pienamente della sua innocenza. Così Lione essendosi giustificato appresso tutti, ciò ch'era la cosa che Carlo M. stimava più importante, fu rimesso ad un'altra Assemblea il giudicio di Pasquale e de' di lui complici.
Ma questo Pontefice riconoscendo da Carlo tanti beneficj, pensò più seriamente come potesse rendergline quella gratitudine che meritavano, e come in avvenire potesse la Chiesa romana star più che sicura della sua protezione e del suo aiuto, giacchè dagl'Imperadori d'Oriente non era più che sperarne, anzi molto da temerne. Allora fu, che si pose in opra il più bel ritrovato che mai si potesse uom immaginare, a fin di render questo Principe più tenuto che mai alla Sede appostolica; e che si proccurasse da poi da' Pontefici romani una funzione che non essendo in questi tempi reputata altro, che una pura e semplice cerimonia, d'interpretarla per una delle più potenti ragioni del dominio temporale, ch'essi vantan tenere sopra tutto il Mondo cattolico, e che gli adulatori di quella Corte seppero tanto ben colorire ed inorpellare, che lo persuasero per più secoli a quasi tutta l'Italia ed a molte parti ancora dell'Occidente. Questo fu d'innalzar Carlo da Patrizio ch'egli era, in Imperadore romano, ciò che dissero la traslazione dell'Impero dell'Occidente ne' Franzesi; e che in verità non fu altro nella persona di Carlo, che d'un volersi assumere un nome più spezioso ed augusto, il che gli altri Re d'Italia come Teodorico pure avrebbero potuto farlo, ma non vollero mai porre in effetto.
Alcuni Scrittori francesi vogliono darci a credere, che Carlo fosse stato, ad esempio di Teodorico, anche alieno di curarsi questo spezioso titolo, e che Lione, cotanto a lui obbligato, guidando questa cosa, avesse concertato il tutto co' Romani e con gli altri Popoli, che allora si trovavan in Roma, senza che Carlo niente ne sapesse, di acclamarlo Imperador romano, mentre egli nelle feste del santo Natale dovea condursi in chiesa, e ponergli la clamide e la corona imperiale, come si fece; ma ciò lo credano i più semplici, e coloro che ignorano le circostanze, che precederono a questo fatto; poichè Carlo per altri riscontri che ci restano nell'istorie, è manifesto che ambisse questo titolo, dovuto per altro a' suoi meriti ed al suo vasto Imperio, che avevasi, parte per ragion di successione, parte per armi conquistato, come qui a poco diremo.
Certamente il gran Teodorico Re d'Italia avrebbe forse con maggior ragione potuto assumere questo titolo d'Imperador d'Occidente, nel che avrebbe avuto anche il consentimento di Lione Imperador d'Oriente; ma egli, come si è detto nel libro terzo di questa Istoria, deponendo l'abito gotico, non già d'imperial diadema, ma di regie insegne volle coprirsi, e Re dei Goti e de' Romani volle esser proclamato: e narra Procopio, che a questo Principe solamente il nome d'Imperadore, ch'egli non volle assumere, mancava, ma che in realtà era tale, così se si riguardava la sovranità del suo Imperio, come l'estensione de' suoi dominj. Egli non solo, ad esempio degli altri Imperadori d'Occidente, aveva stabilita la sua sede in Ravenna, dominando quindi tutta l'Italia; ma tenne ancora sotto la sua dominazione la Sicilia, la Rezia, il Norico, la Dalmazia colla Liburnia e l'Istria ed una parte dei Svevi, e quella parte della Pannonia ov'era Sigetino e Sirmio. Riteneva ancora parte della Gallia, per la quale co' Franzesi venne sovente alle armi; e per ultimo reggeva, come tutore d'Amalarico suo nipote, la Spagna: onde se a Teodorico fosse venuta voglia di assumer questo titolo, e portarsi in Roma a farsi porre la corona dal Papa, ch'era suo suddito, e farsi ungere, come cominciarono ad usare in appresso i Principi cristiani da' suoi Vescovi, si sarebbe anche detto, che i Pontefici romani trasferiron da' Romani l'Imperio d'Occidente ne' Goti, come si dice ora di questa traslazione da essi fatta ne' Franzesi.
Ma perchè si vegga chiaramente che per questo fatto niente altro s'acquistò a Carlo che il solo nome di Imperador romano, niente più gli diedero o potevano dare i Romani ed il Papa, che tale lo acclamarono, che questo titolo, il quale non portò a lui ragione alcuna sopra gli altri Stati e Regni d'Occidente, i quali per lungo corso d'anni furono sotto la dominazione d'altri Principi; egli sarà bene di ponderare, che molto tempo prima, che questo Principe fosse nomato Augusto, l'Imperador greco aveva già perduto il dominio di quasi tutte le province d'Occidente, le quali jure belli erano passate sotto la dominazione d'altri Principi e di Carlo medesimo per la maggior parte; tanto che per questa acclamazione, siccome egli non si fece più ricco, così niente per lei si tolse all'Imperador d'Oriente, nè agli altri Principi sopra i loro Reami e Stati ch'essi possedevano.
Aveva già Carlo discacciati da Italia i Longobardi, che n'erano Signori, e al suo Imperio aveala soggettata. Roma, che un tempo fu sede dell'Imperio di Occidente, sin dal tempo di Lione Isaurico avea cominciato a scuotere il giogo, e se bene lungo tempo i Greci v'avessero tenuta un'ombra di lor signoria, erasi quella finalmente data a Carlo M., che ne ricevette il giuramento di fedeltà per Anghilberto, come narrano i più gravi Istorici; e prima d'assumer questo titolo aveva esercitato in essa le ragioni di Sovrano, come può esser ben chiaro a chi riflette l'accuse date a Lione; poichè se bene lasciasse i Romani vivere colle proprie leggi e sotto i medesimi Magistrati, però la potestà suprema era come Patrizio a lui riserbata, e la ritenne da poi come Imperadore; e l'Esarcato di Ravenna, sede che prima fu degl'Imperadori d'Occidente e poi degli Esarchi, primo Magistrato in Italia degl'Imperadori d'Oriente, ancorchè tolto a' Longobardi, fosse stato conceduto alla Chiesa romana, si ritennero però in quello così Pipino, come Carlo le ragioni della sovranità e del dominio eminente: in breve quasi che tutta Italia, toltone queste nostre province, era già passata sotto la dominazione di Carlo prima dell'assunzione di questo titolo. Parimente egli è certo, che questo Principe per successione e per conquista possedeva tanto di dominio nell'Occidente, quanto non ebbe mai nessuno Imperadore dal tempo della divisione dell'Imperio; poichè oltre alle Gallie, dove egli regnava per successione come Re di Francia, aveva conquistata parte della Spagna insin'all'Ebro. Per lo medesimo diritto di conquista possedeva l'Istria, la Dalmazia, tutta la Pannonia sino a' confini de' Bulgari e della Tracia, ed ancora tutta la Dacia continente, la Valachia, Moldavia e Transilvania. E se egli non ebbe la Spagna di là dall'Ebro, e quella parte dell'Affrica, ch'era dell'Imperio d'Occidente, prima che i Vandali, e lungo tempo da poi i Saraceni, se ne fossero impossessati, aveva egli dall'altra parte ciò che i Romani non poterono mai conquistare, cioè tutta quella vasta estensione di paese, ch'è tra 'l Reno e la Vistola, l'Oceano settentrionale ed il Danubio, divisa ora tra tanti Principi, città libere e Repubbliche, di cui una sola parte compone ciò che si chiama oggi giorno l'Imperio romano: ed Eginardo scrive, che i Re che dominavano allora nella G. Brettagna, gli erano talmente sommessi, che nelle loro lettere lo chiamavan sempre lor Signore, con sottoscriversi di lui servidori e sudditi.
Vacando dunque per tre secoli l'Imperio d'Occidente, e diviso in tanti Principati e Regni, essendosene molti uniti nella persona di Carlo, parte per ragion di successione, e moltissimi per diritto di conquista, tanto che arrivò a posseder in Occidente molto più che gli altri Imperadori Occidentali, e precisamente que' che vi furono da Onorio insino ad Augustolo, non deve per questa parte riputarsi cosa molto impropria e strana, se i sudditi di Carlo, ciò ch'egli era in realtà, avessero voluto anche proclamarlo Imperadore, e dargli quest'augusto titolo ben proprio e corrispondente al suo vasto Imperio, che teneva in Occidente. In effetto questo nome non dal solo romano Pontefice, che guidò questa azione, gli fu dato, nè solamente da' Romani, ma da tutti i Popoli di varie nazioni, che portò seco Carlo in Italia. Narrano Paolo Emilio e molti altri Scrittori più antichi di lui, che questo Principe fu accompagnato in Italia, non solamente da moltissimi Signori franzesi, ma da infiniti altri di nazioni diverse, che a lui ubbidivano, Sassoni, Borgognoni, Teutonici, Dalmazj, Bulgari, Pannonj, Transilvani ed altri.
Ed è anche presso a' medesimi certissimo, che dopo il terzo dì che fu discussa la causa di Lione, essendo quello in cui celebravasi il giorno Natalizio di Nostro Signore, si portò questo Principe nella chiesa di S. Pietro a solennizzarlo con grande apparecchio, ed entrò in essa accompagnato dal Papa e molti Prelati e Magistrati romani, e seguitato da tutti i Signori franzesi e romani e da tutto il corteggio degli altri, ove ritrovò un'infinita moltitudine di Popolo non sol romano ma mischiato di tante altre Nazioni. Mentre Carlo orava a piè del sepolcro de' Santi Appostoli, il Papa, che per quest'effetto teneva pronto ed apparecchiato il manto imperiale ed una ricca corona d'oro, da poi ch'ebbe Carlo finita la preghiera, diede segno a' Magistrati romani ed a que' Baroni, che erano intorno, e che stavano intesi di ciò che doveasi fare, e postogli la corona sul capo con tutti gli altri cominciò a gridare: A Carlo Augusto da Dio coronato, grande e pacifico Imperador de' Romani, vita e vittoria : e risonando queste voci in ogni cantone, tutti insieme come di concerto, il Papa, il Senato, i Romani, i Franzesi ed il Popolo misto di tante nazioni, in una voce ed in un medesimo spirito, si misero a gridare con tutta la lor forza la medesima cosa, ch'essi ripigliarono sino a tre volte. Sedata che fu l'acclamazione del Popolo, Lione, che aveva apparecchiato ogni cosa per una sì augusta cerimonia, gli diede l'unzion sacra, non mai più per l'innanzi ricevuta da niun Imperadore d'Occidente, e lo vestì d'un lungo ammanto imperiale alla romana: unse ancora Pipino, che si ritrovò presente a questa funzione, come Re d'Italia: e da poi che Carlo ricevè dal Papa, dal Senato e da tutti gli altri che vi furono presenti, tutti gli onori soliti praticarsi verso gli antichi Imperadori romani, riconoscendolo per lor Sovrano, egli all'incontro giurò, che sarebbe stato sempre Protettore e Difensore della Santa Chiesa romana per quanto saprebbe e potrebbe: da indi in poi, deposto il titolo di Patrizio, prese quello d'Augusto e d'Imperadore, ch'egli trasmise alla sua posterità.
Ecco ciò che si chiama traslazione dell'Imperio di Occidente a' Franzesi, dal cui fatto niente possono ricavare i Pontefici romani per sostentar le altre loro pretensioni; perchè se bene Lione, come uno de' principali della città di Roma, avesse guidata quest'azione, a cui più d'ogni altro ciò importava, per obbligar maggiormente Carlo a protegger la sua Chiesa, e venisse con ciò intieramente a cedere tutto quello, che i suoi predecessori s'aveano guadagnato sopra Roma, è però, presso coloro che sono intesi dell'Istoria Augusta, noto abbastanza, che non altrimente si solevano acclamare anticamente gl'Imperadori romani. Le acclamazioni si facevano dal Popolo e da' soldati, ma da alcuni privati era a lor proposta la persona, che essi doveano acclamare. Niun però sognò d'attribuire l'elezione a que' pochi, che proponevan la persona e non al Popolo ed a' soldati, che lo gridavano ed acclamavano Imperadore; ed inoltre queste acclamazioni denotavano non solo il presente, ma anche l'antecedente consenso del Popolo. Molto meno potranno sostentar le loro pretensioni per la coronazione ed unzione che Carlo ricevè per Lione; poichè crediamo esser oggi mai a tutti notissimo, queste essere pure cerimonie, che non s'appartengono punto alla sostanza dell'Imperio, in guisa che potesse dirsi, che chi le fa, dia con esse l'Imperio o il Regno. Furono queste cerimonie introdotte da' Principi cristiani, forse seguendo l'esempio degli antichi Re della Giudea, che usavano farsi ungere da' Sacerdoti; ed i primi, che l'introdussero in Occidente, furono i Re di Spagna e quelli di Francia, seguitati da poi dagli altri, il che gli Orientali anche abbracciarono. In Francia il Re Cristianissimo dal Vescovo di Rems riceve questa cerimonia. In Ispagna quel Re dall'Arcivescovo di Toledo. I Re d'Italia solevan farsi ungere ed incoronare dagli Arcivescovi di Milano: quei d'Inghilterra dall'Arcivescovo di Cantorberi: quei d'Ungheria dal Vescovo di Strigonia: e gli altri Re ciascuno da' suoi Vescovi: infino il nostro Arechi, come si è veduto, Principe di Benevento, volle farsi ungere e coronare da' suoi Vescovi beneventani: e sarebbe privo d'ogni buon senso chi dicesse che da questi Vescovi si facessero, o costituissero tanti Principi, Re o Imperadori.
Anche in Oriente nel sesto secolo Giustino Imperadore si fece coronare da Giovanni Patriarca di Costantinopoli: eppure questo Imperadore dopo sei anni volle essere di nuovo incoronato da Giovanni R. P. Molti Principi non una, ma più volte vollero usar queste cerimonie: Pipino padre di Carlo M. si fece ungere la prima volta da Bonifacio Arcivescovo di Magonza; e tre anni da poi da Stefano R. P. Carlo stesso ben due volte fu unto ed incoronato, ed imitando suo padre fece far l'istesso a' suoi figliuoli Pipino Re d'Italia e Lodovico Re dell'Aquitania. Queste cerimonie adunque non danno Imperj o Regni, ma suppongono colui che le vuole già Imperadore o Re; siccome non minor vanità sarebbe, dal giuramento che diede Carlo di voler essere Protettore e Difensore per quanto potrà della Chiesa romana, ricavarne alcun frutto, come se quello fosse stato un giuramento di fedeltà o di ligiomaggio, come alcuni hanno pur sognato.
Ma siccome i Pontefici romani niente possono ricavar da questo fatto; molto meno ne potè ricavar Carlo stesso o gli altri Imperadori suoi successori da sì augusto e spezioso titolo, rispetto agli altri Principi, che a lui non eran sottoposti. Niuna ragione potè di nuovo recarsegli a riguardo degli altri: e perciò quei Principi ritennero i loro Reami liberi ed independenti, onde non ragione vantano esser veri Monarchi, ed i loro Stati vere Monarchie: perciò i Re di Spagna, che liberi ed assoluti Signori furono sempre de' loro Reami, vantano con ragione il Regno loro esser Monarchia, nè per conto alcuno all'Imperio d'Occidente sottoposto. Il Regno d'Inghilterra, dicono i Franzesi e con essi Gujacio, che un tempo salutò l'Imperio come Feudatario, ma gl'Inglesi, e per essi Arturo Duck costantemente lo niegano. Carlo istesso, siccome tutti gli altri Imperadori suoi successori, usarono in Italia la loro Sovranità e Signoria, non perchè forse questo titolo d'Imperadore portasse loro questa ragione, ma come Re d'Italia ch'egli era, e siccome furono i suoi successori, i quali si fecero per ciò in Milano acclamar per tali, ed ungere ed incoronare da quello Arcivescovo; ed aggiunsero alle leggi longobarde altre lor proprie, non come Imperadori, ma come Re d'Italia e successori de' Re Longobardi. Venne sì bene in pensiero a Carlo M., come narra Paolo Emilio, d'unire all'Imperio la Francia e sottoporla alle leggi di quello, ma i Grandi di Francia abborrirono tal unione: Cur milites tuos, dicevano, Regnum tuum, Franciam tuam, Imperii provinciam facere studes Imperioque subjicere? Ond'è che i Franzesi pretendono, che più tosto l'Imperio fosse membro della Monarchia franzese, che la Francia dell'Imperio.
Che che ne sia, egli per quel che riguarda il nostro instituto, è da notare, che Carlo M., con tutto questo suo augusto titolo d'Imperadore, niente rilevò sopra il nostro Ducato di Benevento, sopra quel di Napoli, e sopra ciò che ritenevano ancora i Greci in queste nostre province; ond'è che questo Regno dall'Imperio novellamente surto d'Occidente fu riputato sempre diviso ed independente, e perciò con ragione vanta i pregi d'una vera Monarchia. Si renda più che mai Augusto e con titoli e con fatti eccelsi Carlo M., che all'incontro Grimoaldo Principe di Benevento non vuol al suo Imperio sottoporsi. Le guerre mosse da lui e dal suo figliuolo Pipino contro Grimoaldo, ora più che mai proseguono ostinate e crudeli; e Grimoaldo altamente si protestava di voler esser sempre libero così come egli era nato, resistendo sempre a tutti i Franzesi ed a Pipino impegnato per abbatterlo, e di ridurre, benchè invano, sotto la sua dominazione Benevento. E non pure i Popoli di quelle città del nostro Regno, ch'erano rimase sotto l'Imperio de' Greci, non riconoscevano Carlo per Imperador romano, reputando questo titolo proprio dell'Imperador di Costantinopoli; ma gli stessi Beneventani erano ancora di ciò persuasi, tanto che l'Anonimo Salernitano non merita que' rimproveri dal Pellegrino, se nella sua istoria, introducendo que' Vescovi che davano questo titolo a Carlo M. dice, che essi glie lo davano, perchè così lo chiamavano tutti i suoi Corteggiani e quella gente che portava seco; poichè, e dice, non può in niun modo chiamarsi Imperadore, se non colui, che presiede nel Regno romano, cioè costantinopolitano: e che i Re di Francia allora s'usurpavano quel nome, che essi prima non avevano mai avuto: nome che per lunga serie d'anni fu sempre contrastato a' successori di Carlo dagl'Imperadori d'Oriente; poichè se bene l'Imperadrice Irene e poi Niceforo avessero proccurato tener alleanza con Carlo, e regolando i termini dei due Imperj, per porvi ben fermi limiti, e per togliere ogni occasion di contesa, avessero riputato avere il Principato di Benevento, come un confine ed una barriera, e col trattato che fu tra di loro conchiuso, avessero confermato il titolo d'Imperadore a Carlo M., nulladimeno gl'Imperadori d'Oriente successori di Niceforo, rompendo tutti i preceduti trattati, mossero ai di lui successori non solamente guerra per le province, che pretendeano essere state tolte al lor Imperio, ma anche per questo nome d'Imperadore, che non vollero a patto veruno accordargli; nè mai Imperadori o Re d'Italia, ma solamente Re di Francia erano da essi nomati. Anzi l'Imperadore Basilio, avendogli i Legati del Pontefice Adriano II recate alcune lettere, nelle quali il Re Lodovico si chiamava Imperadore; ordinò che si radesse in quelle il nome d'Imperadore, e mandò un suo Legato a Lodovico, al quale per sue lettere esortò, che per l'avvenire s'astenesse dal nome d'Imperadore; ma alle querele di Basilio, Lodovico rispose con una ben grave e forte lettera, che vien rapportata dal Baronio ne' suoi Annali e da Federico Morelli nelle note a' Temi di Costantino Porfirogenito, il quale pure, imitando l'esempio di Basilio suo avo, non diede mai nome d'Imperadore a' successori di Carlo, chiamandogli semplicemente Re di Francia. Rimasero adunque queste nostre province, sin dal tempo che risorse il nuovo Imperio d'Occidente, distaccate ed independenti dall'Imperio, quando lo tennero i Franzesi, e molto più quando ristretto in una parte della Germania, pervenne in mano degli Alemanni e d'altre Nazioni, come chiaramente vedrassi nel corso di questa Istoria.
Carlo intanto, mandati che ebbe ad intercession di Lione in esilio i suoi accusatori (poichè egli l'aveva condennati a pena capitale) trattenendosi nel principio di quest'anno 801 in Roma, partì poi da questa città nel mese d'Aprile, e portossi in Pavia, dove volle agli editti de' Re longobardi suoi predecessori aggiungere nuove leggi, che allo stato presente d'Italia fossero più conformi e necessarie. Molte altre leggi stabilì intorno alle cose ecclesiastiche, praticando all'uso di Francia, di convocare prima di promulgare, non pur l'Ordine de' Nobili, de' Magistrati e de' Giudici, come facevano i Longobardi, ma anche l'Ordine ecclesiastico de' Vescovi, Abati ed altri Prelati della Chiesa; poichè in questi tempi l'Ordine del Terzo Stato non era ancora entrato in Francia a parte ne' comuni affari e deliberazioni. Queste sue leggi, ch'egli stabilì in Pavia come Re d'Italia, si leggono ancora nel Codice Cavense dopo gli editti degli altri Re longobardi suoi predecessori: ond'è che ne' tre libri delle leggi longobarde il compilatore de' medesimi v'inserì anche alcune di quelle, fra le quali una ve n'è, dove non meno a' Romani si lasciano intatte le loro leggi, e che secondo quelle dovesser vivere, che a' Longobardi le loro; e testifica Carlo Sigonio conservarsi anche in Modena queste leggi, rapportando il proemio delle medesime consimile a quelli che i Re longobardi solevan preporre a loro editti. Ciò che i Goti ed i Longobardi chiamarono Editti, i Franzesi appellarono Capitolari. Furono così chiamati, perchè, come dice Doujat, erano disposti per capitoli, ovvero capi. Al di loro esempio gli altri Principi chiamaron pure le loro leggi Capitolari: anche i nostri Principi longobardi, con tutto che fieri ed ostinati nemici de' Franzesi, non si sdegnarono in ciò imitargli; onde le leggi che nel Principato di Benevento furono stabilite da que' Principi, Capitolari si dissero; e presso Camillo Pellegrino si leggono perciò i Capitolari d'Arechi, di Sicardo, di Radelchisio e d'altri Principi beneventani.
Non pure lasciò Carlo intatte le leggi romane e le longobarde, ma, per quanto la condizione di que' barbari ed oscuri tempi comportava, si sforzò di restituire la giurisprudenza romana in qualche lustro. Si riconosceva questa e si racchiudeva non già, come si è veduto, da' libri di Giustiniano, de' quali in questi tempi in Occidente poca era la notizia e molto minore l'autorità; ma dal Codice di Teodosio e dal suo Breviario compilato per Alarico: e quantunque distratto da varie militari cure, e per la mancanza de' Professori e per l'ignoranza del secolo, non potesse ridurre ad effetto il suo desiderio, emendò però come potè meglio il Breviario d'Alarico, donde la legge romana era nel Foro a' Giudici allegata.
L'esempio del padre imitò Pipino Re d'Italia: ci restano ancora di lui i suoi Capitolari, che come Re d'Italia promulgò, i quali parimente dopo gli editti de' Re longobardi leggiamo nel mentovato Codice Cavense: molte sue leggi perciò da quelli estratte, vediamo inserite nel volume delle leggi longobarde: donde si vede chiaro, che le leggi che Carlo e gli altri Imperadori d'Occidente suoi successori stabilirono come Re d'Italia, e che si vedono inserite nel Corpo delle leggi longobarde, ebbero in Italia forza e vigore, non perchè fatte come Imperadori, ma come Re d'Italia ch'essi erano. Così Pipino che non fu mai Imperadore (onde devono emendarsi nel volume delle leggi longobarde quelle iscrizioni, che portano alcune sue leggi d'Imperator Pipinus) perchè vivente l'Imperador Carlo suo padre era stato costituito Re d'Italia, fece perciò come tale le sue leggi, le quali in essa ebbero tutto il vigore, e fra le leggi longobarde de' Re furono annoverate.
Morì Pipino sul fine dell'anno 810 da poi che Carlo suo padre avea conchiusa in Aquisgrana la pace con Niceforo, e morì assai giovane in età di trentatre anni, l'anno 29 del suo Regno, non lasciando che un figliuolo naturale chiamato Bernardo in età di dodici in tredici anni, il quale due anni da poi fu dall'avo creato Re d'Italia.
Un anno appresso, sul fine del 811, trapassò ancora Carlo primogenito dell'Imperadore, a cui il padre avea destinata la Francia colla Turenna ed una parte del Regno di Borgogna, e morì senza lasciar figliuoli: di maniera che de' tre figliuoli che egli avea destinati per successori ne' suoi Stati, non gli rimase che Lodovico Re dell'Aquitania; perciò associollo all'Imperio, e lo fece coronare in Aquisgrana nel mese di settembre dell'anno seguente 813. Morì pure in fine, dopo aver regnato 47 anni in età di 70 l'invitto Carlo, Principe che riempiè il Mondo della sua fama, e che meritamente acquistossi il soprannome di Grande: morì in Aquisgrana l'anno 814 il dì 28 del mese di gennajo, lasciando per suo successor dell'Imperio e dei Regni di Francia, di Aquitania e di Germania Lodovico suo figliuolo, soprannomato il Pio, ovvero il Buono, e Bernardo suo nipote Re d'Italia.