CAPITOLO IV.

Di Grimoaldo II Principe di Benevento, e delle guerre sostenute da lui con Pipino Re d'Italia.

I Beneventani, morto Arechi, mandarono Ambasciadori al Re Carlo a dimandargli con molta sommissione e preghiere Grimoaldo, i quali giunsero in tempo, quando non erano stati ancora scoverti al Re i trattati, che Arechi avea avuti con Costantino Imperador d'Oriente, de' quali non, se non dopo un'anno, ne fu avvisato dal Pontefice Adriano, che gli aveva scoperti per mezzo d'un Prete capuano chiamato Gregorio, per la qual cosa poterono con minore difficoltà tirare il Re ad assentire alle loro dimande, concedendo Grimoaldo per loro Principe, ma innanzi che partisse volle legarlo con questi patti: Ch'egli facesse radere a' suoi Longobardi le barbe: che nelle scritture e nelle monete prima si ponesse il suo nome e da poi quello di Grimoaldo: e che da' fondamenti facesse abbattere le mura di Salerno, d'Acerenza e di Consa.

(Queste parole della pace tra Carlo M. e Grimoaldo II Principe di Benevento sono conformi a ciò che scrisse Erchemperto in Chronico: Chartas quoque nummosque nominis sui caracteribus superscribi jusserat..... in suis Aureis ejus nomen aliquandiu figurari placuit. Questo articolo di pace ricevè maggior fermezza e lume, e nell'istesso tempo spiega nettamente quella moneta d'oro di Carlo M., rapportata da Mr. Le Blanc, che diede a più d'uno de' nostri Antiquari gran travaglio, per intenderne le iscrizioni, poichè portando da una parte il nome di Carlo M., e dall'altra quello di Grimoaldo, credendo, che si volesse dinotare Grimoaldo Re de' Longobardi, ed i tempi non concordando, si videro in maggiori inviluppi. Queste monete si coniarono così, in esecuzione di questa pace; ed il nome di Grimoaldo dinota questo Principe di Benevento, e non già Re alcuno di Longobardi. Nel Museo Cesareo di Vienna fra le altre monete d'oro, che conserva, si vede ancor questa di indubitata fede ed antichità).

Assai maggiori condizioni e più dure avrebbe potuto il Re esigere da Grimoaldo, essendo in suo potere. Ma questi tornato in Benevento, e ricevuto con infinito giubilo da' Beneventani, per qualche tempo fece correre le monete e le scritture col nome di Carlo, mostrandosi, per assicurarlo maggiormente delle sue promesse, in questi rincontri voler da lui dipendere, se bene della demolizione di quelle Piazze non se ne parlasse: anzi Grimoaldo per togliere ogni sospetto che mai potesse aversi di lui, da poi che Carlo scoprì i trattati d'Arechi suo padre, avendo già l'Imperador Costantino mandato nell'anno 788 in Sicilia Adalgiso con alquante truppe, perchè passato in Calabria, coll'aiuto de' Beneventani si facesse gridar Re d'Italia, crucciato ancora l'Imperador greco con Carlo, il quale avendogli promessa una sua figliuola per moglie, mutato consiglio, gliel'aveva poi niegata: Grimoaldo non solo non volle concorrere co' disegni di Adalgiso suo zio, ma avvisando Pipino di queste intraprese, pensò meglio unirsi con lui e con Ildebrando Duca di Spoleto mandato da Pipino, e fu allora che l'infelice Adalgiso, dopo essere sbarcato con molti Greci in Calabria, pugnando valorosamente, fugato e vinto il suo esercito, restasse fra le spoglie preda dell'inimico, che postolo ne' tormenti, lo fece spietatamente con morte crudele spirare l'anima, come narra il Sigonio. Ma il continuator d'Aimoino, Maimburg e coloro, che han letto in greco Teofane, scrivono, che colui che fu fatto morire ne' tormenti non fu Adalgiso, ma Giovanni Generale dell'armata dei Greci; poichè questo miserabile Principe salvossi dalla battaglia, e ritornò con poco seguito a Costantinopoli dove invecchiò; e cedendo finalmente alla sua fortuna non meno che il padre, passò ivi quietamente il resto della sua vita nella dignità di Patrizio; com'è il solito destino de' Principi spogliati, de' quali coloro a cui hanno ricorso, si contentano per ordinario di compatir la disgrazia, conservando loro un vano titolo di ciocchè sono stati, senza che ardiscano o che possano o, quando il potessero, che vogliano intraprendere di ristabilirli, abbracciando altri interessi, che stimano esser loro più considerabili e profittevoli.

Grimoaldo intanto se bene per togliere ogni sospetto a Pipino ed a Carlo suo padre, posposta ogni ragion di sangue e di natura, fossesi in cotal guisa portato, non depose però dal suo cuore gl'istessi sentimenti del padre, e di volgere tutti i suoi pensieri come potesse giungere a reggere il Principato di Benevento con autorità assoluta ed independente; non pensava più alla demolizione di Salerno, d'Acerenza e di Consa secondo le capitolazioni stabilite con Carlo, e pian piano nelle monete e nelle scritture faceva tralasciare il nome di Carlo; e per aversi sposata Vanzia nipote dell'Imperador greco dava di se maggiori sospetti. Si venne perciò a nuova guerra co' Franzesi, e tanto più ostinata, quanto che Carlo distratto altrove, Pipino giovane spiritoso ed ardente, essendo egli rimaso in Pavia Re d'Italia, non poteva soffrire in conto alcuno quest'imperio assoluto, che Grimoaldo s'arrogava del Principato di Benevento: non passarono perciò molti anni, che Pipino nel 793 gli mosse incontro innumerabile oste de' suoi Franzesi, che di ogni intorno lo cingevano e gli minacciavano guerre crudeli. Pensò allora Grimoaldo di placarlo con rimovere ogni ombra di sospetto, che si potesse avere della sua persona per cagione d'aversi poco prima sposata Vanzia. Ripudiolla come sterile, e con inaudita inumanità la fece per forza condurre in Grecia alle proprie case. Ma niente giovarono a Grimoaldo queste simulazioni ed astuzie, poichè Carlo, oltre di aver comandato a Pipino di combatterlo, gli avea anche in suo soccorso mandato Lodovico suo fratello, che dall'Aquitania, ove era, si condusse in Italia, ed unite le loro milizie furono sopra il Principato di Benevento: fu per più anni guerreggiato ferocemente, e narra Erchemperto, che sebbene Carlo co' suoi figliuoli, che aveva già costituiti Re, e con immensi eserciti avesse proccurato impiegar le sue più valide forze per soggiogar Grimoaldo e' suoi Longobardi beneventani, non per tutto ciò sotto questo valoroso Principe potè porre in effetto i suoi disegni; anzi sovente attaccatasi ne' suoi eserciti la peste, bisognò che pien di scorno se ne ritornasse. Solamente dopo il corso di sette anni, e dopo tante fiere ed ostinate contese gli riuscì negli anni 800 ed 801 prender Chieti in Abruzzo con alcuni luoghi d'intorno; e se bene nel seguente anno prendesse ancor Lucera in Puglia fu questa ben tosto da Grimoaldo ricuperata, e vi fece prigione anche Guinichiso, Duca di Spoleto, con tutto il presidio, che qui Pipino per guardia di quelle città aveva lasciato. In breve in tutto quel tempo che Pipino regnò in Pavia, e Grimoaldo in Benevento, narra Erchemperto, che fra essi non fuvvi un sol momento di pace; imperocchè erano questi due Principi amendue giovani, ed alle guerre propensi, ciascuno impegnato con tutte le forze che aveano a sostener il proprio punto. Pipino per vedersi cinto di tanti prodi e valorosi Capitani e d'eserciti poderosissimi: Grimoaldo sostenuto con forze pari da' suoi più grandi Baroni, e per le molte città, ch'e' s'aveva pure munite e presidiate, deludeva gli sforzi dell'inimico, e per più dispregio mostrava far poco conto de' suoi eserciti. Soleva spesso Pipino mandar Legati a Grimoaldo con queste ambasciate: Volo quidem, et ita potenter disponere conor, ut sicuti Arichis genitor illius subjectus fuit quondam Desiderio Regi Italiae ita sit mihi et Grimoalt. A quali proposte riponeva in contrario Grimoaldo questi versi.

Liber, et ingenuus sum natus utroque parente.

Semper ero liber, credo, tuente Deo.

In cotal guisa Grimoaldo finchè regnò in Benevento ripresse l'ardire e le forze de' Franzesi. Morì questo invitto Principe nell'anno 806 senza lasciar di se prole maschile, poichè Gotofredo suo figliuolo, di cui nella chiesa di S. Sofia in Benevento si vede il tumulo, rapportato anche dal Pellegrino, premorì a lui. I Beneventani dopo averlo amaramente pianto, gli alzarono, non meno che ad Arechi, un magnifico tumulo, celebrando e scolpendo in quello le sue eccelse virtù e famose gesta. Fu non meno co' Franzesi che co' Greci sempre vittorioso, ed i versi posti nel suo tumulo dimostrano ancora il suo valore contra i Franzesi, i quali non poterono darsi vanto di averlo soggiogato giammai.

Pertulit adversas Francorum saepe phalangas,

Salvavit Patriam sed, Benevente, tuam:

Sed quid plura feram? Gallorum fortia Regna

Non valuere hujus subdere colla sibi.

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