CAPITOLO VII.

Politica ecclesiastica delle Chiese e Monasteri del Principato beneventano

Divisa la Chiesa greca dalla latina, e vie più crescendo le occasioni d'una irreconciliabile separazione, e rimanendo sotto l'Imperio greco molte città di queste nostre province, si vide la politia delle nostre Chiese non in tutte uniforme, ma molto varia e discorde: secondando la politia della Chiesa quella dell'Imperio. Il Regno d'Italia trapassato da' Longobardi franzesi sotto Carlo M., che fu eletto ancora Imperadore d'Occidente, era governato da questo Principe non tanto con questo spezioso titolo, quanto come Re, ed amava non meno intitolarsi Re d'Italia, ovvero dei Longobardi che di Francia ed Imperadore. Quindi, ancorchè i nostri Principi beneventani si opponessero alla sovranità, ch'egli come Re d'Italia, e succeduto in luogo de' Re longobardi, pretendeva sopra il Principato di Benevento; nulladimanco il titolo d'Imperadore il rendè da poi più Augusto e più tremendo; e le occasioni, che si presentarono così a lui, come agl'Imperadori Lodovico e Lotario suoi successori, resero i nostri Principi longobardi beneventani agli Imperadori d'Occidente tributari; onde avvenne, che la politia di tutte le Chiese, ch'erano dentro i confini d'un sì vasto ed ampio Principato, s'adattò a quella dell'Imperio d'Occidente, ed alla disposizione che Carlo M. e gli altri Imperadori suoi successori diedero alle Chiese occidentali, delle quali, anche di quelle ch'erano dentro il Principato di Benevento, ne presero cura e protezione. Furono in conseguenza le Chiese di questo Principato sottoposte alla Chiesa latina, e dal Patriarca d'Occidente come prima erano rette e governate: in niente potendo in quelle prevalere il potere e l'ambizione del Patriarca d'Oriente.

Carlo M. adunque eletto Imperadore d'Occidente, e rendutosi per li segnalati servigi prestati alla Chiesa romana cotanto di lei benemerito, spinse Adriano e Lione III, romani Pontefici, a ricolmarlo de' più grandi onori, che si fossero giammai intesi. Fuvvi una vicendevol gara fra essi di liberalità e cortesia. Carlo in profondere province, città, giurisdizione ed altri beni temporali: i Pontefici all'incontro lo ricompensavano di beni spirituali. In cotal guisa terminaronsi a confondere le due potenze, e quando prima i confini che le separavano eran ben chiari e distinti, si resero da poi assai più confusi ed incerti: onde dai savj fu creduto, che Carlo M. venne assai più di quel che fece Costantino M. ad accelerare non meno la ruina della potestà politica dell'Imperio, che della Chiesa stessa, corrompendo vie più la sua antica disciplina.

Quantunque il Baronio e Pietro di Marca riputino favoloso il Concilio lateranense, che Sigeberto narra essersi convocato da Adriano in Roma, da poi che Carlo ebbe trionfato del Re Desiderio, creduto per vero da Graziano che seguì la fede di Sigeberto, dove narrasi essersi conferita a Carlo M. la potestà d'eleggere il Papa ed ordinare la Sede appostolica; nulladimanco, se a Carlo non fu tal facoltà espressamente conceduta da Adriano per quel Sinodo, siccome fece da poi Lione VIII a Ottone I, ebbe egli in effetto quella ragione, che niun Papa senza il suo consenso e permesso potesse consecrarsi: siasi ciò introdotto per consuetudine, come dice Floro Magistrato che visse ne' tempi di Lodovico Pio: siasi per concessione di Papa Zaccaria, come credette Lupo Ferrariense: sia perchè non volle egli esser riputato meno degl'Imperadori d'Oriente, i quali erano in possesso di confermare il Papa eletto, nè poteva esser consecrato, se prima l'Imperadore non l'approvava; egli è certo, che Carlo disponeva della Sede appostolica a suo modo, con compiacimento degli stessi romani Pontefici, li quali volentieri lo permettevano, così per rendersi grati a Carlo per li tanti e sì segnalati beneficj ricevuti, come anche per togliere affatto ogni speranza agl'Imperadori d'Oriente di racquistare sopra la Chiesa di Roma questa preminenza, della quale, perduto l'Esarcato e Roma, n'erano stati spogliati.

Stabilì per tanto Carlo l'elezione del Pontefice romano nella stessa guisa appunto com'era stabilito, quando gl'Imperadori d'Oriente dominavano Roma, cioè che fosse il Papa eletto dal Clero e dal Popolo, ed il decreto dell'elezione fosse mandato all'Imperadore, il quale se l'approvasse fosse l'eletto consecrato. Morto Carlo, li suoi successori Lodovico Pio e Lotario si mantennero in questo possesso; e quantunque alle volte i Papi eletti dal Clero e dal Popolo si fossero fatti consecrare, senza aspettar decreto dell'Imperadore, come accadde nell'elezione di Pascale; nulladimanco questi mandò tosto a scusarsi con Lodovico figliuolo di Carlo, che non era ciò proceduto per sua volontà, ma per forza del Popolo, che così aveva voluto. Restituì bensì Lodovico per suoi capitolari la libertà dell'elezioni non pur de' Papi, ma di tutti i Vescovi; ma non perciò derogò all'assenso ed all'approvazione del Principe, come ben pruova l'Arcivescovo di Parigi; anzi questo insigne Scrittore, per la testimonianza di Floro Magistro, Autore contemporaneo, dimostra che Lodovico sempre fu richiesto dell'assenso, nè permetteva la consecrazione senza il suo permesso, rapportando ancora, che dopo l'anno 820 essendo stato eletto Gregorio IV non fu prima ordinato, se non da poi che il Legato di Cesare giunto a Roma non esaminò l'elezione: tanto è lontano ciò che alcuni ingannati dall'apocrifo C. Ego Ludovicus , dissero, che Lodovico avesse rinunziata questa facoltà di confermare il Papa eletto. Essendo ancor certo, che non pur Lodovico, ma anche Lotario di lui figliuolo e Lodovico II suo nipote confermarono tutti i Papi eletti nelle loro età: e non se non quando s'estinse in Italia la posterità di Carlo M. nell'anno 884 Adriano III fece decreto, che il Pontefice si consecrasse senza l'Imperadore.

Si prese anche Carlo pensiero d'ordinare le Chiese d'Occidente con suoi Capitolari, convocando di sua autorità i Sinodi, dove fece intervenire non meno i Prelati della Chiesa, che i Signori del secolo, stabilendovi regolamenti non meno per lo temporale, che per la disciplina delle Chiese stesse, facendo egli diverse leggi ecclesiastiche per la distribuzione delle rendite e possessioni delle Chiese e delle decime: rinovando molti degli antichi canoni, ch'erano andati in disuso.

Ma assai maggiore autorità s'assunse Carlo, eletto che fu Imperadore, intorno all'elezione ed ordinazione de' Vescovi, ed il tutto fece con permessione degli stessi romani Pontefici. Restituì egli bensì la libertà a' Popoli ed al Clero d'eleggere li Vescovi, ma prescrisse loro più leggi intorno all'elezione: che dovessero eleggere uno della propria Chiesa o Diocesi: che i Monaci dovessero eleggere l'Abate, dal loro proprio monastero; e con autorità della Sede appostolica, e consenso dei Vescovi fugli ancora attribuito, che dopo eletto il Vescovo o l'Abate si fossero presentati all'Imperadore, e quando fossero da lui approvati, dovess'egli investirgli, dando loro il Pastorale e l'anello, e poi dovessero essere consecrati da' Vescovi vicini: donde nacque la ragione delle investiture, per cagion delle quali ne' seguenti secoli sursero tante discordie e contese tra i Papi e gl'Imperadori.

L'intento suo era, rendendosi in cotal guisa ligi i Vescovi e gli Abati, stabilir meglio il suo Imperio, e contenere i suoi sudditi con più stretti legami nell'ubbidienza. Perciò egli, oltre di aver cotanto innalzata la Chiesa romana, e resala signora di tante città e terre, arricchì anche l'altre Chiese e monasteri di baronie, di contadi e di ben ampj e ricchi Feudi, rendendogli signori temporali de' luoghi ove tenevano i loro benefizj, con unire alla dignità spirituale la temporale, come a quella accessoria e dependente: ed investivagli per la temporalità con l'anello e col Pastorale, ricevendone perciò il giuramento e l'obbligo di molte prestazioni ed angarie, anche del servizio militare, come qualunque altro Feudatario: ciò che da Guglielmo Malmesberiense fu riputato un saggio tratto di fina politica, dicendo che Carlo omnes pene Terras Ecclesiis conferebat, consiliosissime perpendens, nolle sacri Ordinis homines tam facile quam laicos fidelitatem dominii sui rejicere. Praeterea, si laici rebellarent, illos posse excommunicationis auctoritate et potentiae severitate compescere.

Accrebbe Carlo eziandio la conoscenza de' Vescovi, e molto più di quello di Roma: concedè loro Territorio ed il Jus carceris , del quale i Pontefici prima di Carlo M., non erano in Roma stessa stati mai in possesso: e gli altri Principi a sua imitazione lo concedettero a' Vescovi delle loro città. Ordinò Carlo di vantaggio ne' suoi Capitolari, che indistintamente tutti i Cherici e Monaci o Monache non potessero essere accusati avanti il Magistrato secolare, ma solamente avanti il Vescovo; e nel civile che potessero dimandar la remissione d'ogni causa innanzi al Vescovo. Questo privilegio fu poi generalmente in ogni causa civile e criminale confermato dall'Imperador Federico I, e la sua ordinanza fu incorporata nel Codice di Giustiniano, tanto che passò in legge comune; onde nacque poi quella distinzione, che vi erano due generi d'uomini, Cherici e Laici; i Laici erano subordinati alla giurisdizione secolare, ed i Cherici all'ecclesiastica. E se la bisogna fosse rimasta a questi termini, sarebbe stata comportabile; ma in decorso di tempo, oltre ad essersi la giustizia ecclesiastica maravigliosamente accresciuta per le cagioni, che si noteranno nel progresso di questa Istoria, i Papi ed i Vescovi, a' quali per privilegio de' Principi fur conceduti e Feudi e giurisdizione, spogliarono i Principi dell'investiture ed assensi nelle loro elezioni, e si ritennero i Feudi e la giurisdizione, vantando di vantaggio, che non per loro concessione o privilegio, ma per diritto divino esercitavan essi giurisdizione sopra le persone ecclesiastiche.

I medesimi favori, morto Carlo, furono continuati da' successori del suo sangue all'Ordine ecclesiastico, e Lotario I gli concedè giurisdizione sopra i loro Patrimonj, concedendo a richiesta degli Abati e degli altri Preposti alle Chiese un Giudice particolare in quel luogo, che chiamavasi Difensore, il quale avesse la conoscenza delle cause, proibendo al pubblico Magistrato di potervisi ingerire.

Da questo mescolamento di potenze vicendevolmente comunicate fra' Principi del secolo e Prelati della Chiesa, ne nacquero in questo secolo e nel seguente quei tanti disordini e mostruosità: si videro i Vescovi ed i maggiori Prelati frequentare le Corti de' Principi ed esser de' loro consigli: guidare come Feudatarj truppe d'eserciti armati: impacciarsi ne' governi e nelle consulte di Stato: nè in questi tempi era riputata deformità il vedersi, che chi era Vescovo di Napoli ne fosse insieme Duca; e quello di Capua essere insieme Vescovo e Conte di quella città; ciò che fece loro tener a vile ogni altro esercizio delle cose sacre e spirituali.

Quindi nelle province, che nel Principato di Benevento erano comprese, come tributarie agl'Imperadori d'Occidente, seguitandosi la medesima politia, cominciarono i monasteri e le Chiese ad acquistar Feudi e Baronie; poichè prima di Carlo Magno i Re longobardi nè a' Monaci, nè a' Cherici concedevan Feudi, riputando non ben ciò convenire al loro stato; ma i Pontefici romani non vi trovarono niun inconveniente, nè ricusarono la liberalità di Carlo nè degli altri Principi, i quali a sua imitazione di molti Feudi e Contadi arricchirono le Chiese e monasteri; ed avendo avuto l'ordine Arnoldo da Brescia di sostenere, che i Feudi non si potevano concedere alle Chiese, fu nel Concilio di Laterano condennato per eretico.

Non fu riputato inconveniente, che la potenza temporale sia annessa e resa accessoria e dependente dal Sacerdozio, e che le Chiese e monasteri investiti dei Feudi, per ciò che riguarda la temporalità, riconoscessero per signor Sovrano il Principe, dal quale n'erano investiti, e per ciò che s'appartiene alla spiritualità ed in tutte l'altre cose il Sommo Pontefice loro Capo e Moderatore. Quindi in decorso di tempo si videro, particolarmente nella Germania, più Vescovi, Abati e Priori essere Signori temporali delle città, villaggi e luoghi, dove i loro benefizj erano situati, ne' quali fanno essi esercitare in nome loro, e sotto la loro autorità tutta la giustizia civile e criminale come signori laici. E sembrando cosa molto strana, che per se medesimi esercitassero la giustizia criminale, la fanno esercitare da' loro Ufficiali, li quali per le ordinanze del nostro Regno, non altrimenti che si pratica in Francia, devono essere Laici. Per la qual cosa queste loro Signorie temporali si governano colle medesime regole, che le altre che sono in mano de' Secolari, e non ci si può niente notare di particolare, se non che queste essendo fra i beni ecclesiastici, non sono nè vendibili, ne ereditarie, ma restano perpetuamente attaccate co' benefizj; donde dipende, affinchè la sovranità, che vi tiene il Principe, non riesca inutile ed infruttuosa, togliendosele per ciò ogni speranza di devoluzione, che siano obbligati a tutte quelle prestazioni, che gli altri Baroni sono tenuti, esigendosi perciò in vece di rilevj, i quindennii e riputandosi in ciò come tutti gli altri Feudatarj. Quindi parimente deriva, che presso di noi, secondo l'uso di Francia, le appellazioni, che s'interpongono nelle cause di queste loro giustizie temporali, vanno innanzi a' Magistrati regali, non davanti a' Superiori ecclesiastici: e che le cause debbano essere decise secondo le nostre Costituzioni ed ordinanze del Re e de' costumi de' luoghi, non già secondo il diritto canonico.

Il primo fra noi, che per concessione de nostri Principi longobardi abbia posseduto castelli e Baronie, fu il monastero di M. Cassino, onde a ragione il suo Abate oggi vanta essere egli primo Barone del Regno, e che ne' Parlamenti generali fra tutti i Baroni gli appartenga il primo luogo. Marino Freccia, dando forse credenza alle favole di Pietro Diacono, continuatore della Cronaca di Lione Ostiense, scrisse, che Giustiniano Imperadore avesse donato a questo monastero più città e terre del Regno; quando Lione, che nella sua Cronaca par che non avesse avuto altro in pensiero, che far un inventario di tutte le donazioni e concessioni fatte a quel monasterio da varj Principi e Signori, e da persone private ancora, di cose anche di picciol momento, non ne fa alcun motto: tralasciando che Pietro Diacono accenna privilegi non pur di Giustiniano, ma anche di Giustino seniore, che regnò in Oriente, quando i Goti dominavano tutta l'Italia, e quando S. Benedetto non ancora era passato nella nostra Campagna, e gito a Cassino.

(Niccolò Alemanni nelle note ad Historiam Arcan. Procop. c. 6, dove questo Istorico rapporta, che Giustino per non sapere scrivere fecesi formare certo istromento di legno per sottoscrivere i Diplomi, per lo quale potesse esprimere con quattro sole lettere la sua firma, accuratamente ponderò, che i Diplomi di Giustino, che diconsi conservarsi nell'archivio di Monte Cassino, avendo l'intiero suo nome, siano apertamente apocrifi, dicendo: Audieram in Archivio Cassinensi haberi Justini Diplomata ejusdem manu consignata: ex quibus formam illarum quatuor literarum excipere, earumque longitudinem latitudinemque et apicum ipsorum ingenium summa, qua fieri potuisset industria adamussim exprimere, tibique Lector proponere constitueram. Sed perfertur ad me ibi Justini nomen integrum esse. Quare diplomata, quae aliis etiam de causis suspectae fidei olim Baronio visa sunt, ex hoc Procopii loco imposturae jam quisque facile convincat).

Gisulfo Duca di Benevento, come fu detto, fu il primo che di Castelli e Baronie arricchì questo monastero; onde in decorso di tempo per munificenza d'altri Principi si vide signore anche della stessa città di Cassino, e posseder eziandio Feudi in altre province, come in Calabria il Cetraro, nel Contado di Molise S. Pietro di Avellana, nell'Apruzzi Serra dei Monaci e molti altri in altri luoghi, di cui il Registro di Bernardo Abate e la Cronica di Lione sono buoni testimonj. Quindi gli Abati del monastero Cassinense agli Imperadori d'Occidente, da' quali, secondo il costume, si proccuravan le conferme o sian Precetti, chiamati anche Mundeburdj delle precedute concessioni, prestavano il giuramento di fedeltà, siccome fecero con Lotario II Imperadore, riputandosi perciò quel monastero Camera imperiale: e nella divisione seguita del principato di Benevento tra Radelchisio e Siconolfo, fu perciò eccettuato questo monastero, come immediatamente posto sotto la protezione dell'Imperadore: ed Errico VI concedè all'Abate Rofrido privilegio, esentandolo dalla prestazione di soldati, alla quale come Feudatario era obbligato: ciò che poi non fece il Re Guglielmo il Buono: il quale nella spedizione di Terra Santa, ricevè da questo monastero sessanta soldati e ducento servienti.

Non meno i monasteri dell'Ordine di S. Benedetto, che tutti gli altri, in decorso di tempo sotto i nostri Principi normanni, si videro Signori di castelli e Baronie. Cacciati intieramente da queste nostre province i Greci, e l'uso de' Feudi disseminato da per tutto, anche i monasteri sotto l'Ordine di S. Basilio, e sotto altre Regole ebbero Feudi. Quello di S. Elia dell'Ordine di S. Basilio ebbe la terra di Carbone intorno al civile. Gli Abati di S. Marco in Lamis, di S. Demetrio e tanti altri: gli Ordini di S. Giovanni gerosolomitano, di S. Stefano e moltissimi altri di diverse religioni, che possono vedersi presso Ughello, tengono Baronie.

Non meno de' monasteri, le nostre Chiese e' Vescovi ne furono ampiamente arricchiti. L'Arcivescovo di Salerno possedè un tempo le terre dell'Olibano e di Monte Corvino: quello di Taranto la terra delle Grottaglie intorno al civile: l'altro di Consa pure nel civile le terre di S. Menajo e di S. Andrea. L'Arcivescovo di Bari ebbe un tempo Bitritto, Cassano, Casamassima, Modugno, Laterza ed altre terre: quello di Brindisi la terra di S. Pangrazio: quello di Reggio ritiene ancor oggi li castelli di Bova e Castellace: e l'altro di Otranto altre terre. Il Vescovo di Lecce S. Pietro in Lama, a Vernotico ed altri Feudi. Il Vescovo di Bojano dominò un tempo la terra di S. Polo: quello di Tricario la terra di Montemuro; e molte altre Chiese, come quella di Cassano, di Teramo, di S Niccolò di Bari ed altri molti Feudi e Castelli possedono; le quali per non tesserne qui un più lungo catalogo, possono vedersi ne' volumi dell'Ughello della sua Italia sacra. Per la qual cosa quantunque nel nostro Regno lo Stato ecclesiastico non faccia Ordine a parte, come in Francia, ne' Parlamenti generali intervengono i Vescovi e gli Abati per mezzo de' loro Proccuratori, ma come dell'Ordine de' Baroni e de' Signori, non già dell'Ordine ecclesiastico.

Questa era la Politia delle Chiese e de' monasteri in questo nono secolo del principato di Benevento, dipendenti come prima dal Patriarca d'Occidente, ed alla Chiesa latina in tutto uniti. Lo Stato monastico si vide sempre più in maggior splendore e grandezza: molti altri monasteri dell'Ordine di S. Benedetto tuttavia in quello vi si andavano ergendo per munificenza de' Principi beneventani e degli Imperadori stessi d'Occidente. Surse nell'anno 872 per Lodovico Imperadore il monastero di S. Clemente nell'isola di Pescara dell'Ordine di S. Benedetto. Nel Gargano e presso Siponto quelli di Calena e di Pulsano, de' quali ora appena serbasi vestigio.

Benevento si vide anche ornata d'un nuovo santuario; poichè i Saraceni avendo occupata la Sicilia, e devastando nel 831 l'isola di Lipari, ove narrasi che fin dall'India fossero state trasferite l'ossa dell'Appostolo Bartolomeo, violarono anche il sacro deposito, e gettate per terra le gloriose ossa, furono per revelazione dello stesso Santo, da un certo Monaco raccolte e da Lipari in Benevento trasportate; il Principe Sicardo le accolse con somma stima e venerazione, e per lungo tempo furon ivi adorate; ed i Beneventani persuasi, che non fossero state poi da Ottone trasferite in Roma, rendono a quelle tuttavia i medesimi onori ed adorazioni.

I. Politia delle Chiese del Ducato napoletano e delle altre città sottoposte all'Imperio greco.

Ancorchè nella Chiesa greca non si osservasse tanta deformità e rilasciamento de' costumi e cotanta ignoranza, quanto nella latina, ne' Preti e ne' Monaci; nè i suoi Vescovi, nè gli Abati si fossero veduti possedere Castelli e Baronie, poichè i Greci non conobbero Feudi; nulladimanco assai maggior discordanza in quella si ravvisava per l'ambizione del Patriarca di Costantinopoli, e per la dottrina che sosteneva difforme in alcuni dogmi a quella che insegnava la Chiesa latina, discordante ancora da quella sopra alcuni punti di disciplina, oltre a' riti varj e diversi; onde la divisione si rendè maggiormente ostinata e irreconciliabile. Impugnavano i Greci il primato del Vescovo di Roma, al quale volevano preferire o per lo meno render uguale quello di Costantinopoli. Insorsero perciò vari contrasti intorno a' confini de' loro Patriarcati, e quello di Costantinopoli invase perciò molte province, che s'appartenevano al Patriarcato di Roma. Fuvvi gran contrasto sopra la Bulgaria, pretendendo i Patriarchi di Oriente, ch'essendo stato quel paese tolto a' Greci, e prima governato da' Vescovi greci, al Patriarca di Costantinopoli doveva esser soggetto: ebbero in ciò anche il favore dell'Imperador Basilio e di Lione suo figliuolo, che avea associato all'Imperio; onde la Bulgaria, non ostante le opposizioni ed i protesti de' Legati del Papa, fu aggiudicata a' Greci e cacciati i Vescovi e' Sacerdoti latini.

L'ambizione de' Patriarchi di Costantinopoli, favoriti dalla potenza degl'Imperadori d'Oriente, tolse al Patriarcato d'Occidente molte altre Chiese, le quali al trono di Costantinopoli furono attribuite; onde nacque, che siccome fu fatta nuova descrizione delle province dell'Imperio d'Oriente, partendolo in più Temi, dei quali Costantino Porfirogenito compilò due libri; e nuova descrizione degli Ufficiali del Palazzo e della Camera costantinopolitana, de' quali Codino e Giovanni Curapalata tesserono lunghi cataloghi; così per ciò che s'attiene alla politia della Chiesa greca e del Trono costantinopolitano, i loro Patriarchi proccurarono dagl'istessi Imperadori d'Oriente, che si facesse nuova descrizione, così delle Chiese sottoposte al Trono costantinopolitano, molte delle quali eransi tolte al Trono romano, come degli Ufficiali della gran Chiesa di Costantinopoli, de' quali similmente Codino e Curapalata ed altri presso Leunclavio rapportano i nomi e gli uffici: affinchè quelle Chiese, che si tolsero al Patriarcato d'Occidente, facendosi per autorità imperiale tal disposizione, ovvero Notizia, rimanessero stabilmente affisse e dipendenti dal suo Trono.

Comunemente si crede, che intorno all'anno 887, a' tempi di Lione soprannominato il Filosofo, da poi che il Patriarca Fozio fu scacciato dalla Cattedra di Costantinopoli, si fosse fatta tal disposizione; e Leunclavio fra le novelle di Lione il Filosofo la rapporta; ma Lione Allacci sostiene, che quella fosse fatta alcuni anni prima nel 813 nell'Imperio di Lione Armeno: che che ne sia, si vede per questa disposizione, quanto in questi tempi avessero i Patriarchi d'Oriente stesa la loro autorità sopra molte Chiese, e particolarmente sopra quelle di queste province, che prima s'appartenevano al trono Romano, come province suburbicarie.

Nilo Archimandrita cognominato Doxapatrius in un suo trattato De quinque Thronis Patriarchalibus , ch'egli scrisse nell'anno 1143 a Roggiero I nostro Re di Sicilia, per una occasione, che sarà da noi rapportata, quando de' fatti di questo Principe ci toccherà ragionare, fa vedere quanto prima possedeva il romano Patriarca, e ciò che poi fugli tolto da quello di Costantinopoli. Possedeva, egli dice, tutta l'Europa, le Spagne insino alle colonne d'Ercole coll'isole dell'Oceano Occidentale, le Gallie, l'isole Britanne, la Pannonia, tutto l'Illirico, il Peloponeso, gli Avari, i Sclavi, i Sciti insino al Danubio, la Macedonia, Tessalonica, la Tracia insino a Bizanzio, la Mauritania, l'isole del Mediterraneo, Creta, Sicilia, Sardegna e Majorica. Tutta l'Italia, cioè superiores Alpes, et quae ultra eas extenduntur: nec non inferiores Gallias, quae Italiae sunt, sive Lombardiam, quae nunc dicitur Longibardia, et Apuliam et Calabriam et Campaniam omnem et Venetiam et Provincias, quae ultra sinum Hadriaticum se se effundunt. Haec omnia, e conchiude, Romano subdebantur.

Ma da poi al Trono costantinopolitano furono sottomesse molte province e città non meno d'Oriente, che d'Occidente. I Metropolitani di Tessalonica e di Corinto si sottoposero al Patriarca di Costantinopoli, e molti altri Metropolitani ed Arcivescovi seguitarono il loro esempio: Sicilia praeterea, e' soggiunge, et Calabria se Costantinopolitano supposuerunt, et Sancta Severina, quae et Nicopolis dicitur.

Sicilia autem universa unum Metropolitam habebat Syracusanum: reliquae vero Siciliae Ecclesiae Syracusani erant Episcopatus, etiam ipse Panormus et Therma et Cephaludium et reliquae.

Calabria quoque unum Metropolitam Rheginum, reliquas vero Ecclesias Episcopatus Rheginus sibi vendicabat.

Taurianam, in qua Sancti Fantini Monasterium est.

Bibonem, cujus locum occupavit Miletum.

Constantiam, quae Cosentia nunc dicitur et reliquos omnes Calabriae subjectos.

Erat et Sancta Severina Metropolis, habens et ipsa sub se varios Episcopatus.

Callipolim: Asyla Acherontiam et reliquas: et sunt hae Ecclesiae descriptae in Tacticis Nomocanonis sub Throno Constantinopolitano.

Adnexae itaque Siciliae, Calabriae, Sanctae Severinae Sedes Throno Constantinopolitano, a Romano avulsae: quemadmodum et Creta, sub Romano cum esset, sub Constantinopolitano facta est. Nihilominus Pontifex viles quasdam partes et Episcopatus nonnullos in Sicilia et Calabria habere deprehenditur. Metropoles enim et urbes in eadem illustriores et digniores, Constantinopolitanus possidebat usque ad Francorum adventum; intendendo de' Normanni, i quali avendo discacciati i Greci da queste province, restituirono al Trono romano tutte queste Chiese, le quali a quel Patriarcato s'erano da' Greci tolte, come al suo luogo diremo.

Sic etiam, soggiunge Nilo, in Longobardia et Apulia et in omnibus his Regionibus, maritimas Metropoles antea possidebat Constantinopolitanus, reliquas Romanus, ut Regiones illae per partes possiderentur. Namque Melodus ac Poeta Dominus Marcus, Hydruntum a Constantinopolitano missus fuisse comperitur. Cum autem universae Longobardiae Ducatus, quae vetus Hellas erat, sub Imperatore erat Constantinopolitano, Papa vero separatus sub aliis Gentibus vivebat, propterea Patriarca Ecclesias obtinebat; num Brundusium et Tarentum a Costantinopolitano Sacerdotes accipiebat; idque nullum latet.

Conforme a quanto scrisse Nilo è la disposizione ovvero Notizia de' Metropolitani e de' Vescovi a costoro suffraganei, sottoposti al Trono costantinopolitano, descrittaci dalla Novella di Lione rapportata da Leunclavio. Egli ne fece tal Pianta, con questo ordine.

Ordo praesidentiae Metropolitanorum, qui subsunt Apostolico Throno Constantinopolis, et subjectorum eis Episcoporum.

Novera tutti i Metropolitani co' loro Vescovi suffraganei, ed in primo luogo colloca il Metropolitano di Cesarea di Cappadocia: nel secondo l'Efesino dell'Asia, e di mano in mano tutti gli altri sino al numero di LVII Metropoli. Nel XXXII luogo vien collocato il trono di Reggio, ovvero di Calabria coi suoi Vescovi suffraganei in cotal guisa.

XXXII Rhegiensis, sive Calabriae.

1. Bibonensis.

2. Taurianae.

3. Locridis.

4. Rusiani.

5. Scylacii.

6. Tropoei.

7. Amanteae.

8. Crotonae.

9. Constantiensis.

10. Nicoterensis.

11. Bisuniani.

12. Novocastrensis.

13. Cassani.

Nel luogo XLIX vien collocato il trono di S. Severina co' suoi Vescovi suffraganei.

XLIX. Severianae, Calabriae.

1. Euryatensis.

2. Acerentinus.

3. Callipolitanus.

4. Aisylorum.

5. Castriveteris.

Si pongono appresso quelle metropoli, le quali non hanno Trono a se soggetto, cioè non han Vescovi suffraganei, e fra le altre nel LV luogo si pone Otranto.

LV. Hydruntino qui subsit, nullus est Thronus.

Ed in fine separatamente si noverano i Metropolitani co' Vescovi lor suffraganei, che furon tolti al Trono romano e sottoposti al costantinopolitano: quelli che furon tolti dalle diocesi d'Occidente, si osserva essere i Metropolitani di Reggio in Calabria, e di Siracusa in Sicilia.

Avulsi a Dioecesi Romana, jamque Throno Constantinopolitano subjecti Metropolitani, et qui subsunt eis Episcopi, sunt hi.

1. Thessalonicensis.

2. Syracusanus.

3. Corinthius.

4. Rhegiensis.

5. Nicopolitanus.

6. Atheniensis.

7. Patrensis.

Sub Syracusano, Siciliae.

1. Taurominitanus.

2. Messanensis.

3. Agrigentinus.

4. Croniensis.

5. Lilybei.

6. Drepani.

7. Panhormitanus.

8. Thermarum.

9. Cephaludii.

10. Alesae.

11. Tyndarii.

12. Melitensis.

I Greci non potendo alle volte innalzar i Vescovi in Metropolitani, perchè forse loro non veniva in acconcio toglier le Chiese all'antico Metropolitano vicino ed attribuirle al nuovo, solevano quando volevan ingrandire alcun Vescovo, decorarlo col nome d'Arcivescovo, del quale (essendo solo di dignità, non di potestà, come il nome di Metropolitano) coloro che n'eran fregiati, non acquistavano altro, che un maggior splendore e prerogativa sopra gli altri Vescovi di quella provincia, a' quali negli onori erano preferiti ed anteposti: Quosdam Antistites, dice Balsamone, non propterea vocari Archiepiscopos, quod Episcoporum Principes et Ordinatores sint: sed quod primi Episcoporum habeantur . Quindi nella disposizione delle Chiese sottoposte al Trono di Costantinopoli, oltre a' gradi dei Metropolitani, si legge nell'istessa novella di Lione, ed anche nel libro delle Sentenze Sinodiche impresso pure da Leunclavio un catalogo d'Arcivescovi sottoposti al Patriarca d'Oriente, ed infra gli altri al luogo XIV si legge l'Arcivescovo di Napoli, e dopo lui quello di Messina in questa maniera.

Archiepiscopatus.

14. Neapolis.

15. Messana.

La politia ed il governo delle Chiese del Ducato napoletano, come compreso nella Campagna, provincia Suburbicaria, s'apparteneva di ragione al Patriarca di Roma, il quale in effetto, com'è manifesto dall'Epistole di S. Gregorio M., vi esercitava tutte le ragioni patriarcali, ancorchè nel politico e temporale all'Imperio d'Oriente s'appartenesse; ma da poi i Patriarchi di Costantinopoli, favoriti dalla potenza degl'Imperadori greci, cominciarono a trattar i Vescovi di Napoli, come di città metropoli d'un non dispregevol Ducato, con fastosi e resplendenti titoli di Arcivescovi, ed attribuir loro molti onori e prerogative, per le quali sopra tutti gli altri Vescovi del Ducato fossero distinti. Si è veduto come Sergio Vescovo di Napoli dal Patriarca costantinopolitano ricevè la prerogativa d'Arcivescovo; ma ripreso dal Pontefice romano, pentitosi dell'errore, impetrò da costui il perdono.

Si opponevano a tutto potere i romani Pontefici a queste intraprese de' Patriarchi di Costantinopoli, ma dopo Lione Isaurico e Costantino Copronimo Imperadori d'Oriente, crescendo vie più la divisione fra queste due Chiese, e resi più audaci i Patriarchi costantinopolitani, per la potenza e favore degl'Imperadori, implacabili nemici de' romani Pontefici, pretesero che i Vescovi di quelle Chiese che erano rimase sotto l'Imperio greco, dovessero riconoscergli per loro Patriarchi; da essi dovessero ricevere le Bolle della Confermazione e della Consecrazione, ed in tutto ciò che riguardava lo spirituale dovessero ubbidirgli, siccome nel temporale ubbidivano agl'Imperadori d'Oriente. E quantunque Bari, Taranto, Brindisi ed altre città della Puglia e di Calabria si vedessero ora sotto la dominazione de' Principi longobardi: nulladimeno, essendogli state poi da' Greci, ritolte e ritornate sotto l'Imperio d'Oriente, come diremo ne' seguenti libri, i Greci parimente soggettarono le Chiese di quella città al Patriarcato di Costantinopoli.

La Chiesa di Napoli adunque, se voglia riguardarsi ciò che osarono i Patriarchi costantinopolitani, fin da questi tempi fu renduta arcivescovile, non già metropolitana, perchè da que' Patriarchi sol per onore fugli dato quel titolo di dignità. In Metropoli fu eretta poi nel decimo secolo da Giovanni romano Pontefice, come diremo al suo luogo; e per questa cagione nelle Novella di Lione e nel libro delle Sentenze Sinodiche, Napoli non vien posta nel numero delle metropoli subordinate al trono di Costantinopoli, ma fra quello degli Arcivescovadi, che il Patriarca d'Oriente pretendeva a se soggetti. Del rimanente, toltone questo onore e questa pretensione che vi aveano, non s'avanzarono alla Consecrazione, poichè i Vescovi di Napoli eletti ch'erano dal Clero e dal Popolo, andavano come prima in Roma a farsi consecrare da' romani Pontefici.

Da ciò nacque, che la Chiesa di Napoli, non essendosi mai separata dalla Chiesa latina, ed all'incontro essendo in città a' Greci sottoposta, e per lo continuo commercio che avea co' Popoli orientali, frequentata da' Greci, ebbe Sacerdoti e Cherici dell'uno e dell'altro rito: due Capitoli, l'un greco e l'altro latino; e più Parocchie e Chiese non men latine, che greche furono erette, le quali a questi tempi ed a tali occasioni, non già a quelli di Costantino M. devono riportarsi. Si noveravano insino a sei greche Chiese parrocchiali, quella di S. Giorgio ad Forum: l'altra di S. Gennaro ad Diaconiam: le chiese de' SS. Giovanni e Paolo: di S. Andrea ad Nidum: di S. Maria Rotonda e di S. Maria in Cosmedin : nelle quali i Sacerdoti secondo il rito greco celebravano i sacrificj ed i divini uffici, i quali ne' dì stabiliti unendosi co' latini nella maggior Chiesa, con promiscui riti, e canto latino e greco lodavano il Signore.

Dall'aver avuto Napoli due Cleri, un latino e l'altro greco, credette il nostro Chioccarelli, che in Napoli vi fossero parimente stati due Vescovi, l'un greco e l'altro latino, non altrimenti di ciò, che narrasi di Cipri a tempo di Papa Innocenzio IV d'aver avuti due Arcivescovi un latino e l'altro greco: così egli interpretando gli atti della vita di S. Attanasio Vescovo di Napoli. Ma ciò ripugna a tutta l'istoria ed a' tanti cataloghi che abbiamo de' Vescovi di questa città; ne' quali non mai si legge tal deformità nella Chiesa di Napoli; onde il P. Caracciolo riprovò quest'errore, e spiegò l'ambiguità degli atti di quel Santo, compilati per Pietro Diacono Cassinese, che diedero la spinta maggiore al Chioccarelli di così credere.

Il Vescovo adunque di Napoli, ancorchè decorato dal Patriarca di Costantinopoli con nome di Arcivescovo, sopra i Vescovi del suo Ducato non esercitava ragione alcuna di Metropolitano, gli precedeva solamente nell'onore e in dignità, come Vescovo di città Ducale; ed in quest'età i Vescovi del suo Ducato erano Cuma, Miseno, Baja, Pozzuoli, Nola, Stabia, Sorrento ed Amalfi: in decorso di tempo, Sorrento ed Amalfi furono innalzate a metropoli; e Cuma, Miseno, Baja e Stabia distrutte. Ma se Napoli perdette queste città, resa poi anch'ella metropoli, acquistò Avversa edificata da' Normanni, Ischia, Acerra, Nola e Pozzuoli, che lungo tempo al suo Trono furono suffraganei.

Nelle altre nostre Chiese delle città, sottoposte al greco Imperio, maggiore autorità fu veduta esercitarsi da' Patriarchi di Costantinopoli, e particolarmente nella Chiesa di Reggio, di S. Severina e di Otranto: e da poi ch'ebbero i Greci ricuperato Taranto, Brindisi e Bari ed altre città di Puglia e di Calabria, la medesima autorità in quelle vi pretesero esercitare.

Costituirono Reggio metropoli, e gli attribuirono, come si è veduto, tredici Vescovi suffraganei. Eressero in metropoli S. Severina, ed al suo Trono sottoposero cinque Vescovi. Al Metropolitano d'Otranto non assegnarono Trono; ma a' tempi di Niceforo Foca intorno l'anno 968, sedendo nella Chiesa di Costantinopoli Policuto Patriarca, gli furono dati i Vescovi d'Acerenza, di Turcico, di Gravina, di Matera e di Tricarico per suffraganei, la consacrazione de' quali, come narra Luitprando Vescovo di Cremona, volle che al Metropolitano d'Otranto s'appartenesse; e dilatò cotanto Niceforo i confini di questa metropoli e 'l rito greco, che comandò che in tutta la Puglia e la Calabria, i divini uffici non più latinamente, ma in greco si celebrassero; ed ampissimi altri privilegi furono a quello conceduti, che possono vedersi appresso Ughello nella sua Italia Sacra.

Brindisi e Taranto, da poi che furono restituite all'Imperio greco, dice Nilo, a Constantinopolitano Sacerdotes accipiebant.

Ritolte anche da' Greci a' Saraceni e Longobardi, Bari, Trani ed altre città della Puglia, si videro parimente le Chiese loro sottoposte a quel Patriarca. Teodoro Balsamone nell'esposizione ch'egli, regnando l'Imperador Andronico Paleologo il Vecchio, fece delle Sedi al Patriarcato di Costantinopoli sottoposte, oltre le orientali, novera tra le occidentali la Chiesa di Bari nel numero 31, quella di Trani nel 44, quella d'Otranto al 66 e quella di Reggio in Calabria al 38.

Quindi, secondo che ci testificano il Beatillo e 'l Chioccarelli, nell'Archivio del Duomo di Bari si conservano molte greche Bolle originali spedite dai Patriarchi di Costantinopoli agli Arcivescovi di quella città, per le quali agli Arcivescovi eletti si conferma l'elezione: ciò che durò per tutto il tempo che Bari (renduta anche metropoli d'uno non dispregevol Ducato, dove il Magistrato greco fece sua residenza) fu colla Puglia al greco Imperio soggetta, e fin che da questa provincia i Greci non furono scacciati da' nostri valorosi Normanni. Quindi è che ancor oggi serbino tutte queste città molti vestigi di greci riti e costumanze; e ritengano ancora molti nomi greci denotanti dignità ed uffici, come Reggio ancor ritiene il Protopapa, ed altre città i Cimiliarchi ed il Clero non men latino, che greco. E quindi eziandio avvenne, come notò anche Lione Allacci, che per lungo tempo nel nostro Regno la dottrina della Chiesa orientale si vide anche sostenuta da' Monaci, particolarmente dell'Ordine di S. Basilio, nel che si rendè celebre appresso noi il famoso Barlaam, di cui a suo luogo farem parola.

Quando gli Ottoni imperavano in Occidente, fu tentato da questi Imperadori togliere nella Puglia e nella Calabria questa servitù dalle nostre Chiese, e ridurle tutte come prima sotto il Patriarca d'Occidente. Fu spedito perciò intorno l'anno 968 all'Imperadore Niceforo Foca Luitprando Vescovo di Cremona, ma con inutile ed infruttuoso successo: poichè questa riduzione di tutte le nostre Chiese al Pontefice romano, stava riserbata a' nostri Principi normanni, i quali avendo dalla Sicilia e da queste nostre province discacciati non meno i Saraceni che i Greci, renderonsi cotanto benemeriti della Chiesa di Roma, che oltre agl'importanti altri servigi a lei prestati, unirono tutte le nostre Chiese, com'erano prima, sotto la cura e disposizione del romano Pontefice, al quale di ragione si appartenevano, come si vedrà ne' seguenti libri di questa Istoria.

FINE DEL LIBRO SESTO.

STORIA CIVILE

DEL

REGNO DI NAPOLI

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