De' Giureconsulti, che fiorirono fra noi a questi tempi.
Si rese ancora più celebre Napoli, per la sapienza e dottrina de' nostri Giureconsulti, e de' Giudici, che Federico prepose alla Gran Corte. Pietro delle Vigne, Taddeo da Sessa, e Roffredo Beneventano, famosi Giureconsulti di questa età, la illustrarono sopra tutte le altre. Abbiamo ancora tra l'epistole di Federico, una scritta a Roffredo, per la quale l'invita ad andar tosto a Napoli a regger la sua Corte, di cui egli l'avea eletto Giudice. E Riccardo di S. Germano narra, aver Federico impiegato questo Giureconsulto in affari assai più rilevanti, avendolo mandato a Roma, perchè lo difendesse dalle censure che Gregorio IX aveagli scagliate contro. Così da questo tempo Napoli, per l'eccellenza di quest'Accademia, e per gl'illustri Professori, che in quella istruivano la gioventù, per lo Tribunale di questa Gran Corte, e per li Giudici, che vi presiedevano insigni Giureconsulti, cominciò a distinguersi sopra tutte le altre città del Regno, onde meritò poi, che Carlo I d'Angiò collocasse quivi la regia sua sede, tal che resa capo e metropoli di tutte le altre fosse divenuta col lungo correr degli anni tale, quale oggi tutti ammirano.
Quindi avvenne ancora, che le leggi longobarde cominciassero nel nostro Reame a cedere alle romane, e pian piano cedendo andar poi ne' secoli seguenti in disuso ed in oblivione; poichè avendo istituito Federico quest'Accademia in Napoli, ed avendo già in tutte l'altre Università d'Italia, come in Bologna, Padova, ed in altre posto gran piede le Pandette, e gli altri libri di Giustiniano, tal che pubblicamente ivi si leggevano, ed i Professori tratti dall'eleganza dell'orazione, e dalla sapienza di quelle leggi, abborrendo come barbare le leggi longobarde, si diedero allo studio di quelle, onde oltre a coloro, che fiorirono a' tempi di Federico I si renderono a questi tempi di Federico II celebri Accursio fiorentino, e tanti altri: così ancora avvenne presso di noi, dove in quest'Accademia i Professori di legge, non meno che nell'altre città d'Italia, spiegavano que' libri nelle loro Cattedre. E dalle Cattedre per conseguenza si passò poi a' Tribunali, i Giudici de' quali instrutti in quella Scuola, ricevevano molto volentieri quelle leggi, e così pian piano si cominciarono ad allegar nel Foro, e ad acquistar presso di noi forza e vigor di legge. Non è però, che le longobarde allora affatto mancassero, già che Andrea Bonello da Barletta Avvocato fiscale di Federico II in questi tempi compilò quel suo trattato delle differenze dell'une e l'altre leggi, di che a bastanza si è discorso nel libro decimo di quest'Istoria.
Fiorirono presso noi in questa età, oltre Andrea Bonello, altri insigni Giureconsulti, secondo che comportavano questi tempi; d'alcuni de' quali ci sono rimasti ancora vestigi delle loro opere. Di Pietro d'Ibernia, di Roberto da Varano, e di Bartolommeo Pignatello Professori di leggi e di canoni nell'Università di Napoli, non abbiamo altro riscontro di quello, che Federico istesso ce ne dà, d'essere stati civilis scientiae professores, magnae scientiae, notae virtutis, et fidelis experientiae .
Il famoso Pietro delle Vigne da Capua, chi non sa essere stato un insigne Giureconsulto di questi tempi, e che per la sua eminente dottrina, ingegno ed eloquenza, ancorchè nato in Capua da umili parenti, fosse stato innalzato da Federico a' gradi più sublimi del Regno, di suo Consigliero, e intimo Secretario, di Giudice della Gran Corte, di Protonotario dell'Imperio e Luogotenente d'amendue i Reami di Puglia e di Sicilia; e, quel ch'è più, reso degno della sua privanza? I Germani tentarono d'involarci questo Giureconsulto, facendolo non già capuano, ma tedesco (non altrimenti che i Franzesi fecero da poi del nostro Lucca di Penna), e Giovanni Tritemio chiaramente lo scrisse, ingannato forse dal suo cognome, che credette averlo preso da Vigna celebre monastero di Svevia, posto non molto lungi da Ravenspurgo. Ma egli è chiaro più della luce del giorno, che fosse nato in Capua, com'è manifesto dalle sue medesime lettere, e da una scritta a lui dal Capitolo capuano, che veggiamo inserita ne' sei libri delle sue epistole.
(Fra i Codici Filosofici MS. che si conservano nell'Augusta Biblioteca Cesarea di Vienna n. 179 pag. 80 si legge una epistola d'Errico d'Isernia Notajo d'Ottocaro Re di Boemia, il quale per aver seguito le parti di Corradino, essendo stato scacciato dal Regno, scrive al Vescovo Blomucense, pregandolo, che interceda per lui presso il Re Carlo I d'Angiò, ed infra l'altre cose gli dice: Si autem ad aetatis modernae tempora nostrae mentis aciem convertemus, inveniemus equidem, quod Magistrum Petrum de Vineis exilibus Parentibus editum, et fama reconditum obscura, ad ipsius Petri postulationem Panormitanus Archiepiscopus apud Imperatorem promovit Fredericum, eumque splendore clari nominis titulavit. E nell'Epistola scritta dell'istesso affare ad un tal Frate Bonaventura, che si legge alla pag. 82 pur gli raccorda, quod Panormitanus Archiepiscopus Petrum de Vinea olim egregium Dictatorem, et totius Linguae Latinae jubar, pro unica tantum Epistola, quam eidem misit Archiepiscopo, Imperatori affectuosissime commendaverit Federico, licet nunquam prius ipsius Petri habuisset notitiam, et jaceret tunc temporis mole inopiae consternatus.)
Fu egli peritissimo nelle leggi romane, e tutto inteso a restituirle nel loro antico splendore; onde avvenne, che in queste nostre parti cominciasse a piacere lo studio delle Pandette e del Codice, e ne' Tribunali cominciassero ad allegarsi le leggi in que' volumi comprese. Ecco ciò, che di lui ne disse l'istesso Federico: Nam legis armatus peritia, digesta digerit, et Codicis scrupolositates elimat. Ond'è, che presso i nostri Autori de' tempi più bassi, fu riputato uno de' più dotti e sublimi Giureconsulti di questi tempi, come lo qualificano Matteo d'Afflitto, ed altri.
Quindi fu, che Federico commise a lui la compilazione delle nostre Costituzioni del Regno, della quale più innanzi farem parola; e che della di lui opera si servisse nelle cose più ardue e difficili, e che per la sua fedeltà l'impiegasse negli affari più gravi e riposti dello Stato, onde Dante nella sua Comedia introducendolo a parlare gli fe dire:
Io son colui che tenni ambo le chiavi
Del cuor di Federico, ec.
Compose, oltre i libri delle nostre Costituzioni, sei libri d'Epistole, così in nome suo, come del suo Signore, scritte con molta eleganza, per quanto comportava l'uso di quest'età; nelle quali vi sono molte cose utili e commendabili, e quel ch'è più, danno molto lume all'istoria di questi tempi; e Giovanni Cuspiniano chiarissimo Istorico e Poeta ci testifica, che da questi suoi libri si cavano con molta chiarezza quasi tutte le azioni di Federico, e gli avvenimenti di questi tempi; ond'è che i più diligenti e accurati Istorici, come Teodorico di Niem, Nauclero, ed altri non solo di quelle vaglionsi nella descrizione delle gesta di Federico, ma spesso le citano per gli altri punti della istoria d'altri successi. Stettero questi libri in obblivione per molto tempo, insin che Simone Scardio dalle tenebre gli cavò fuori alla luce del Mondo, e nell'anno 1566 gli fece imprimere in Basilea, dei cui esemplari oggi si è resa ancor rara la notizia.
Scrisse ancora questo Giureconsulto un libro Apologetico intitolato: De Potestate Imperatoris et Papae, in difesa delle ragioni imperiali contro i romani Pontefici; e narrasi che Innocenzio IV s'avesse presa la briga di confutarlo. Compose molte Orazioni in difesa di Federico contro le scomuniche, che si lanciavano contro di lui da' romani Pontefici, e ne recitò in Padua una assai dotta ed elegante, su la scomunica, che Gregorio IX avea fulminato all'Imperadore. Compose anche alcune vaghe Canzoni italiane, che ancor oggi si leggono con quelle di Federico, ed Enzio suo figliuol bastardo Re di Sardegna.
Alcuni anche credettero, che fosse stato egli l'Autore del libro De tribus Impostoribus; ma questa è un'impostura, anzi vi è ancor chi dubita, se mai questo libro vi fosse stato, o sia al Mondo, tanto è lontano, che Federico per opra di lui l'avesse fatto comporre.
Ma l'infelice fine, ch'ebbe questo insigne Giureconsulto, sarà un chiaro documento dell'istabilità delle mondane cose, del quale ci toccherà ragionare più innanzi nell'anno 1243 come in proprio suo luogo.
Fiorì ancora in questi tempi Taddeo da Sessa, che cotanto si distinse nel Concilio di Lione, pur egli chiaro Giureconsulto e Giudice della Gran Corte ed adoperato da Federico, non meno che Pietro, negli affari dello Stato; ma di costui niente abbiamo, che lasciasse alla memoria de' posteri.
Non così fece Roffredo Epifanio da Benevento. Fu questi famosissimo Dottore, ed uomo così insigne, che nella Corte di Federico, di cui era Giudice, tra tutti i dotti avea il vanto. Compilò molti trattati, che in questi tempi grandemente illustrarono la disciplina legale; compose un trattato De libellis, et ordine Judiciorum; il quale divise in questo modo: I De Praetoriis actionibus. II De Interdictis. III De Edictis. IV De Actionibus civilibus. V De Officio Judicis. VI De Bonorum possessionibus. VII De Senatusconsultis. VIII De Constitutionibus. Nelle stampe moderne vi sono aggiunti, Libellorum opus in Jus Pontificium, ac quinquaginta quatuor Sabbatinae quaestiones. Oltre di queste opere, il Vescovo Liparulo afferma ne' Commentari alla somma di Odofredo che appresso il famoso legista Bartolommeo Camerario si conservavano dodici grossi volumi di materie civili e canoniche, composti da Roffredo, e per quanto si credea, scritti di propria sua mano, i quali il Camerario teneva pensiero di mandargli in luce.
Egli dalla sua giovanezza portossi per apprender leggi in Bologna, dove per la celebrità di quell'Accademia concorrevano tutti i giovani delle città d'Italia; ed ebbe per maestri i principali Dottori, che fiorissero in questi tempi. Il primo, per quel che rapporta Odofredo, il quale lo commenda cotanto, fu Ruggieri, uno de' primi Chiosatori delle nostre Pandette. Appresso fu Azone, e poi Kiliano, Ottone Papiense, e Cipriano, tutti famosi legisti, com'egli in più luoghi afferma. Fatti maravigliosi progressi in questi studj, fu nell'anno 1215 (com'egli stesso testimonia nella prima delle sue quistioni Sabatine) invitato in Arezzo per interpretar le leggi. Ed avendo conosciuto, che le Quistioni di Pileo, che si recitavano in Bologna per ammaestrare i giovani alla difesa delle cause, poco profitto facevano, lasciate queste in disparte, pensò di esporre a' suoi scolari quelle quistioni, che alla giornata accadevano nel Foro, le quali per averle recitate in ogni sabato, pose loro nome di Quistioni sabatine. Tornato poi nel Reame, fu nell'anno 1227 trascelto da Federico per suo Avvocato, e mandato in Roma per le contese insorte con Gregorio IX. La sua fama presso i posteri crebbe tanto, che sulla credenza, che Papiniano fosse di Benevento, gli diedero perciò nome di secondo Papiniano. Giace egli sepolto in Benevento, ove, per quel, che ne scrive il moderno Scrittor di Sannio, s'addita il suo tumulo nella chiesa di S. Domenico, che quivi egli fece edificare.
Fiorì ancora negli ultimi tempi di Federico Andrea di Capua Avvocato fiscale della sua Corte, che fu padre di Bartolommeo, grande e famoso Dottor dei suol tempi, che con la sua virtù e valore pose il suo legnaggio in quella fortuna e grandezza, nella quale ai presente il veggiamo.