CAPITOLO III.

Degli Studj generali istituiti da Federico in Napoli.

Napoli come città greca ebbe sin da' suoi natali le Scuole, ove la gioventù nelle buone lettere istruivasi; ma Federico in quest'anno 1224 le ristabilì e ridusse in forma d'Accademia. Non fu egli il primo autore degli Studj in Napoli, come si diedero a credere alcuni: egli gl'ingrandì, e ridusse in una più nobile forma, e da' Studj particolari, che prima erano, destinati per la città sola, gli rese generali per tutto il Regno di Sicilia, e trascelse Napoli, dove da tutte le province del nostro Regno e della Sicilia doveano i giovani portarsi per apprender le discipline.

Da più cagioni fu mosso questo savio Principe a ristabilir in Napoli sì illustre Accademia, com'egli medesimo ne rende testimonianza nelle sue epistole, che si leggono presso Pietro delle Vigne suo Secretario e Consigliero. In prima, dall'essere stata riputata sempre questa città antica madre, e domicilio degli studj; per secondo, dall'amenità del suo clima; e per ultimo, dall'esser collocata in parte comoda, e vicina al mare, dove per la fertilità così del terreno, come del traffico marittimo, era abbondanza di tutte le cose bisognevoli per l'uman vivere, e dove con facilità da tutte le parti così terrestri, come marittime, si potevan conducere i giovani a studiare.

Ci testifica Riccardo da S. Germano, Scrittor contemporaneo, che Federico nel mese di luglio di quest'anno 1224 ordinò quest'Accademia, mandando per tutte le parti del Regno, così di Puglia, come di Sicilia sue lettere a questo fine: Mense Julio ci dice, pro ordinando studio Neapolitano Imperator ubique per Regnum mittit litteras generales. Alcune di queste lettere si leggono ne' sei libri dell'epistole scritte da Pietro delle Vigne, nelle quali si prescrive la forma di quest'Accademia, alla quale di molti privilegi e prerogative fu liberalissimo. Primieramente furono da lui costituiti chiarissimi ingegni con grossi stipendj per Maestri di quest'Università in ciascuna facoltà; egli chiamò da parti anche remote Professori insigni che insegnar dovessero in quest'Accademia le discipline, proibendo loro, che in altra privata scuola, nè fuori, nè dentro il Regno insegnar potessero, se non in questa Accademia. V'invitò con grossi stipendj i Maestri Pietro d'Ibernia, e Roberto di Varano assai noti e celebri Dottori in quella età (poichè Maestro in que tempi valeva l'istesso, che al presente Dottore) uomini, come Federico istesso gli qualifica, civilis scientiae professores, magnae scientiae, notae virtutis, et fidelis experientiae . V'invitò ancora tutti gli altri Professori di ciascuna facoltà, perchè niente vi mancasse, com'ei dice nell'undecima epistola: In primis, quod in Civitate praedicta Doctores, et Magistri erunt in qualibet facultate.

Vi ebbero, oltre i Professori di legge, onorato luogo i Teologi; vi furono invitati perciò, o i Monaci del monastero di Monte Cassino, celebri in questi tempi per dottrina, o i Frati dell'Ordine di S. Domenico, ovvero i Frati Minori di S. Francesco; due religioni di fresco allora surte, che s'aveano acquistata molta stima per la santità non meno, che per la dottrina de' loro Religiosi. E quando nell'anno 1240 per le fazioni, che proccuravano mantener questi Frati contro Federico nelle discordie insorte tra lui e Gregorio IX, tanto che fu obbligato questo Principe a discacciargli tutti dal Regno, come perturbatori della pubblica quiete, mancando perciò in quest'Accademia i Professori di teologia, l'Università degli studj di Napoli scrisse una lettera ad Erasmo Monaco Cassinense Professore di teologia, invitandolo a venire in Napoli per riparare colla sua dottrina questo difetto, che per la mancanza di que' Frati pativa il napoletano studio. Questa lettera oggi giorno si conserva nella Biblioteca Cassinense, e vien rapportata dall'Abate della Noce, e porta in fronte quest'iscrizione: Honestissimo, et peritissimo viro Magistro Herasmo Monacho Casinensi Theologicae scientiae Professori; Universitas Doctorum, et Scolarium Neapolitani Studii salutem, et optatae felicitatis augumentum.

Ebbe ancora quest'Università Professori di legge Canonica; ed il Summonte rapporta, nel regio Archivio di Napoli nel registro dell'Imperador Federico II al fol. 21 leggersi una scrittura, che parla dell'istituzione di questo generale Studio, che comincia: Scriptum est Clero, Baronibus, Militibus, Bajulis, Judicibus, et universo Populo Neapolitano: nella quale tra l'altre cose s'ordina, che non fossero ricevuti in questo Studio gli uomini nati nelle città, che poco prima se gli erano ribellate nella Lombardia; e tra gli altri Dottori, che v'invitò, fu Bartolomeo Pignatello di Brindisi famoso Canonista, chiamato a leggere ivi il jus canonico.

Non vi mancarono ancora i Professori di Medicina; tanto che Napoli cominciò allora a contendere di pari col Collegio de' Medici di Salerno, ordinando Federico in una sua Costituzione, che niuno ardisse leggere nel Regno medicina o chirurgia, se non in Salerno o in Napoli; nè che potesse alcun ricever grado di Medico o di Chirurgo, se prima non fosse stato esaminato da' Medici di queste due Università; il quale dopo aver ricevuto da' medesimi le lettere d'approvazione, non avesse l'esercizio di medicare, se prima non si presentasse innanzi a' suoi Ufficiali e Professori di quell'arte, da lui per tal effetto deputati: e da costoro quantunque dichiarato abile ed idoneo, nemmeno potesse esercitar il mestiere senza espressa licenza del Principe, ovvero, essendo quello assente dal Regno, del suo Vicario. Ond'è che Luca di Penna ed Agnello Arcamone dissero, che prima nel nostro Regno il solo Re approvava i Medici, e dava la licenza di curar gl'infermi. Ciò che poi, secondo che scrisse Andrea d'Isernia, fu variato per le nuove ordinazioni de' Regnanti, per le quali fu stabilito, che coloro che volevano esser graduati in medicina, dovessero presentarsi innanzi a colui, che il Re avea ordinato sopra la cura degli studj; ed oggi in Napoli, questa prerogativa di graduare in medicina ed in tutte l'altre professioni, è presso al Gran Cancelliero del Regno, e suo Collegio, che in vece del Re dottora, ed in Salerno per la medicina presso quel Collegio; quindi è che presso di noi l'Università degli studj di Napoli non abbia, come nell'altre Università d'Europa, la facoltà di dar grado di Dottore, ma solo lettere d'approvazione, avendosi il Re riserbata questa prerogativa, e conceduta al Gran Cancelliere, che l'esercita in suo nome.

Oltre d'aver Federico fornita quest'Accademia di Professori in ciascuna facoltà, e d'averle conceduta potestà di spedir lettere d'approvazione a coloro, che volevano in quelle graduarsi, le concedè ancora, così per quel che riguarda le persone de' Professori, come degli Scolari, molto nobili prerogative.

Perchè quest'Accademia si rendesse più celebre e numerosa, ordinò che solamente in quella potessero i Professori insegnar le scienze, e che gli Scolari in niun'altra città così di questo Regno, come di quello di Sicilia, nè fuori potessero andare ad apprender lettere, che in Napoli. Nel che si procedeva con tanto rigore, che per essersi così severamente vietati gli studj in tutte le parti del Regno si dubitò dal Giustiziero di Terra di Lavoro, se s'intendessero proibite anche le scuole di grammatica, delle quali non doversi intendere il suo editto, dichiarò Federico in una sua lettera, che pur leggiamo ne' sei libri dell'epistole di Pietro delle Vigne.

Concedè parimente a quest'Università e suoi Dottori e Maestri, giurisdizione di poter conoscere delle cause civili degli scolari, come si legge in quell'epistola, che drizzò agli scolari medesimi, invitandogli a questo Studio: Item omnes scholares in civilibus, sub eisdem doctoribus, et Magistris debeant conveniri . E per renderla vie più numerosa, ordinò a tutti i Moderatori delle province, che sotto severe pene costringessero gli scolari di quelle a venire a studiare in Napoli, con proibir loro d'andare altrove, o dentro, o fuori del Reame. Mandò ancora altri pressanti ordini al Capitano di Sicilia, d'invitare i giovani di quell'isola a voler venire a studiare in Napoli, ove avrebbero godute molte prerogative, franchigie ed immunità. E nell'anno 1226 essendosegli ribellata Bologna, ordinò che gli scolari, che ivi erano, venissero a studiare in Napoli, o in Padoa; e nell'anno 1233 avendo per le turbolenze accadute nel Regno a cagion delle discordie tra Federico ed il Papa, patito questi studj danni gravissimi, Federico gli ristorò, e nella pristina forma gli ridusse.

Ed infatti, per invitare questo Principe la gioventù allo studio delle lettere, concedè a' scolari moltissimi privilegi. Si dichiarò voler tenere de' medesimi particolar cura e protezione, in maniera, che stassero sicuri, che ne' loro viaggi, o dimore, che dovessero far in Napoli, sarebbero ben trattati, e così nelle loro persone, come nelle loro robe non riceverebbero molestia, nè danno veruno. Che le migliori case, che fossero nella città sarebbero loro date in affitto a piacevol mercede; nè nelle cause civili fossero riconosciuti da altri, che da Maestri dell'Università. Che troverebbero persone, che ne' loro bisogni loro darebbono danari in prestanza. Che sarebbe loro provvisto di grano, vino, carni, pesci, ed ogni altro appartenente al loro vitto, siccome ad ogni altro cittadino napoletano; ed oltre di quelle altre prerogative, che si leggono in una sua epistola registrata da Pietro delle Vigne nel libro terzo, moltissimi altri provvedimenti diede Federico per questa Università, dei quali, secondo l'opportunità, farem parola. Manfredi suo figliuolo seguitò le pedate di suo padre; ed appresso il Baluzio si leggono alcune sue epistole, dove mostra la sua particolar cura e pensiero di provvedere quest'Università di valenti Professori, perchè vi fiorissero le lettere.

L'avere Federico in questa città istituita Accademia sì illustre, per la quale concorrevano a quella gli scolari del Regno dell'una e l'altra Sicilia, fece che Napoli cominciasse ad estollere il capo sopra tutte le altre città di queste nostre province: e questa fu la prima fondamental pietra, onde poi si rendesse metropoli del Regno.

L'altra pure, che dobbiamo a quest'inclito Principe, e' la gettò quando gli piacque fare spesse dimore in Napoli: poichè avendo egli innalzata tanto la sua Gran Corte, Tribunale a questi tempi il più supremo, ed al quale erano riportate le più gravi cause: questo fece, che per le frequenti sue dimore, Napoli si rendesse più frequentata; e se bene a' tempi di Federico non acquistasse quella superiorità sopra tutte le cause d'altre Corti dell'altre città di queste province, in guisa, che ogni lite potesse a lei riportarsi per via d'appellazione, tenendo ciascuna provincia il suo Giustiziero, innanzi al cui Tribunale si finivano le liti; nulladimanco Federico accrebbe questa Gran Corte d'altre conoscenze sopra le cause criminali, di Maestà lesa, feudali, e di tutto ciò, che si vede stabilito nelle sue Costituzioni, sopra le quali non potevan impacciarsi l'altre Corti.

Favorì ancora Napoli di maggior numero di Giudici, che non erano nell'altre città d'altre province. In queste il lor numero non poteva sormontare quello di tre Giudici, ed un Notajo; ma in questo Reame, in Napoli solo, e in Capua, siccome in Messina in quello di Sicilia, furono stabiliti cinque Giudici, ed otto Notai.

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