CAPITOLO VI.

Spedizione di Federico per Terra Santa.

Morto il Pontefice Onorio, nel seguente giorno fu da' Cardinali eletto in suo luogo Ugolino de' Conti, figliuol di Tristano d'Alagna fratello d'Innocenzio III de' Conti di Segna, a cui posero nome Gregorio IX. Questi tantosto che fu eletto, inviò lettere per tutto il Mondo della sua promozione, e della morte del suo predecessore, ed inviò Fra Guglielmo Frate Dominicano all'Imperadore, dandogli contezza per sua lettera della sua elezione, esortandolo a riverire e difendere la Chiesa di Dio, ed a badare al buon governo dei Popoli a lui soggetti, e ad abbracciare la guerra di Terra Santa, chiedendogli parimente che gli facesse da' Regnicoli portar vettovaglie ed altre cose bisognevoli per fornire le sue galee, che intendea inviare in Palestina, ciocchè Federico per mezzo d'Errico Morra Gran Giustiziero prestamente fece eseguire. Simone Scardio rapporta una lettera, scritta da Gregorio in questo primo anno del suo Ponteficato all'Imperador Federico, ripiena di molti encomj ed eccelse lodi, che questo Pontefice dava a quel Principe, il quale avendo convocati tutti i Giustizieri delle province de' suoi Regni di Sicilia diede lor contezza di ciò, che Gregorio gli avea scritto, acciocchè s'apparecchiassero al passaggio d'oltremare; per la qual cagione impose una general taglia a' suoi vassalli, ed indi significò ad Errico suo figliuolo in Alemagna, che dovesse ragunare una Dieta in Aquisgrana, per dar contezza a' Baroni tedeschi del general passaggio, che egli intendea fare in Soria nella metà del vegnente mese d'agosto: giorno in cui si celebra la salita al cielo di Nostra Signora, acciocchè coloro, che gir seco volessero, postisi all'ordine, fossero venuti in Puglia, ove sopra i navilj per ciò apprestati s'aveano ad imbarcare, ed ei gli attendea. Inviò di là al Pontefice l'Arcivescovo di Reggio, e Fra Ermando Saltza Gran Maestro de' Cavalieri teutonici, a significargli, che egli era all'ordine per imbarcarsi, ed a condurgli le vettovaglie, ed ogni altra provigione, che per le galee gli avea chiesto.

Intanto convocatasi da Errico l'Assemblea in Aquisgrana, secondo il comandamento del Padre, per invitare i Tedeschi al passaggio d'oltremare, vi convennero Signori e Prelati in gran numero, fra' quali furono Sifridio Arcivescovo di Magonza, Teodoro Arcivescovo di Treveri, Errico Arcivescovo di Colonia, con gli Arcivescovi di Salsburg, di Magdeburg e di Brema, e con tutti i Vescovi a loro soggetti. Vi furono i Duchi d'Austria, di Baviera, di Carintia, di Brabante e di Lorena: Errico Conte Palatino del Reno, Lodovico Lantgravio di Turingia, e Ferdinando Conte di Fiandra, quello stesso, che preso dal Re Filippo nella battaglia di Tornay, dopo esser dimorato ben dodici anni nella prigione di Parigi, per opra del Pontefice, e d'altri Signori, che il favorivano, n'era alla fine uscito. Tutti costoro per esortazione di Errico Re d'Alemagna, e per la pietà cristiana, s'apprestarono prontamente a così pietosa impresa; onde tra per questi che in buona parte vi vennero, e per gli altri invitati da diversi Frati ed altri Ecclesiastici inviati dal Pontefice per la Cristianità ad esortare i Popoli, che prendessero la Croce nel tempo stabilito, infinito numero di Fedeli concorse in Brindisi, e nelle circostanti regioni, in guisa tale, che solo dall'isola d'Inghilterra, scrive l'Abate Uspergense, che ne vennero ben sessantamila. Ma sopraggiunto intanto il calor grande della state in quegli aridi siti di Puglia, cominciarono, non avvezzi a ciò, e sofferendo ogni sorte di disagio, ad infermare e morire i soldati oltramontani a migliaja, insieme co' quali di questa vita passarono i Vescovi d'Angiò e d'Augusta, ed il Lantgravio di Turingia, onde afflitti da così gravi mali, s'avviarono per ritornare indietro a' lor paesi, ma invano, perciocchè la maggior parte per lo cammino perirono.

Intanto Federico coll'Imperadrice Jole da Sicilia era passato in Otranto nel mese d'agosto, donde, avendo quivi lasciata l'Imperadrice, passò in Brindisi, ove era l'esercito de' Crocesignati, e quantunque fosse rimasto con picciol numero di soldati per la mortalità seguita, e per lo ritorno di molti, fece imbarcar nell'armata apparecchiata molta gente nel stabilito giorno dell'Assunzione per dover egli da poi seguirla; e ritornato in Otranto, ove avea lasciata l'Imperadrice, per prender da lei congedo, quivi infermossi: ma non ostante la sua infermità, riavutosi appena, tornò in Brindisi, ed ivi imbarcossi: ed avendo navigato tre giorni, non potendo soffrire per la sua convalescenza l'agitazione del mare, volse le prore addietro, e a Brindisi ritornò. Il Fazzello narra, che Federico giugnesse in questa sua navigazione sino allo Stretto dell'isole della Morea e di Candia, e che da' venti contrarj, e dalla sua infermità fosse stato costretto con coloro, che eran in Lacedemonia far ritorno a Brindisi insieme con quarantamila persone di quelle, che si erano imbarcate, se diam credenza a ciò, che ne scrive il Sigonio.

(Sigonio seguitò la fede di Matteo Paris, il quale ad An. 1227, pag. 286 scrisse: Animo nimis consternati, in eisdem navibus, quibus venerant, plusquam XL armatorum millia sunt reversi).

Gregorio IX dimorando in Anagni, avendo inteso il ritorno di Federico, attribuendolo a poca volontà del medesimo, trasportato da fiero sdegno, il penultimo giorno di settembre, in cui si celebrava la festa della dedicazione di S. Michele Arcangelo, dichiarò esser Federico incorso nella scomunica, che da Onorio in S. Germano gli era stata minacciata, se non passava in Soria, fulminando contro di lui la censura, la cui sentenza vien riferita dal Bzovio e da Carlo Sigonio, che comincia: Imperatorem Federicum qui nec transfretavit, etc.

Aggiunge lo Bzovio, che Gregorio, non solamente per lo sturbato passaggio di Terra Santa, ma per molte cagioni ancora avea motivi di sdegno contro Federico; poichè oltre all'aver rapiti i beni degli Ecclesiastici da' suoi Regni, con far loro pagare tutte le taglie e gabelle, che egli imponeva, aveva di vantaggio, per vendicar suo privato sdegno, con la cagione del passaggio d'oltremare, fatto gir per forza in Soria il Vescovo d'Aversa e Ruggieri Conte di Celano suoi nemici, e posto il figliuolo del Conte in una stretta prigione, con altri mali che di Federico racconta Gio. Villani; ma perchè quest'Autore non rapporta, onde ciò ricavato se l'abbia, se non l'autorità del detto Villani, non merita veruna fede; poichè il Villani come straniero negli avvenimenti del Reame e massimamente in quelli di Federico, come Guelfo e di fazione a lui nemica, o per poco avvedimento o per mal talento infiniti errori commise, scrivendo cose che non mai avvennero, per non favellarne niuno degli altri Autori che allora vissero, come furono Riccardo ed altri che con molta diligenza le cose de' lor tempi raccolsero.

Federico recandosi a gravissima ingiuria cotal sentenza, partendosi di Puglia, ove ancor dimorava per dar più chiare pruove, che egli era infermo, ne andò a' bagni di Pozzuoli, secondo scrive Riccardo, per curarsi dalla sua infermità, e di là inviò a Roma, ove il Papa da Anagni era passato, l'Arcivescovo di Reggio e quel di Bari con Rinaldo Duca di Spoleto ed Errico di Malta per suoi Ambasciadori al Pontefice a scusarsi perchè non era passato oltremare, significandogli la cagione della dimora: ma fu tutto vano, perciocchè il Pontefice non dando credenza alcuna a tutto ciò che egli in sua difesa addusse, ragunando in Roma i Prelati oltramontani e quanti del Regno unir potè, nell'ottavo giorno dopo la festa di S. Martino lo dichiarò di nuovo pubblicamente scomunicato, interdicendo i suoi Regni, e mandò lettere generali per tutto l'Occidente a tutti i Principi e Signori della Cristianità pubblicandolo per tale. La qual cosa risaputasi da Federico, scrisse anch'egli a Lodovico Re di Francia del torto fattogli da Gregorio, come si legge nell'epistole di Pietro delle Vigne ed in Carlo Sigonio, con le seguenti parole: Gregorius IX sub ea occasione quod nos in termino nobis dato, infirmitate gravati, transire nequivimus ultramare, contra justitiam primitus excomunicationi subjecit. Dal che si vede, che essendo la primiera volta stato scomunicato da Gregorio, è vanità e bugia tutto quel ch'hanno scritto il Villani ed altri Autori, che Onorio l'avesse un'altra volta scomunicato, contro quel che ne riferisce Riccardo. Scrisse ancora a' Cardinali, dolendosi aspramente con loro, che non fossero stati in nulla uditi i suoi Ambasciadori. Scrisse a tutti i Principi e Signori d'Alemagna; e mandò un'altra sua epistola a tutti i Re e Principi del Mondo, gravandosi di cotal scomunica, con scusarsi de' falli imputatigli e narrando la cagione, perchè l'avea il Pontefice scomunicato, e gl'impedimenti che l'avean trattenuto dal non passare in Soria, dolendosi di tutti i Prelati e ministri della Chiesa, riprendendo acerbamente i Romani, che a cotal sentenza non s'erano opposti. Ordinò parimente a tutti i Giustizieri di Sicilia e di Puglia, che facesser celebrar da' Preti e da' Frati le messe nelle lor province e che non gli facessero partir dal Regno, nè gire da un luogo ad un altro senza loro licenza, nelle quali scritture si serviva della penna di Pietro delle Vigne suo Secretario: uomo, come si è detto, in quei tempi di somma dottrina ed avvedimento, e a lui carissimo, secondo che si scorge nel libro delle sue epistole che più volte abbiamo nomato.

Dopo la qual cosa convocò un general Parlamento a Capua di tutti i Baroni del Regno, a cui impose, che ciascun di loro pagar gli dovesse per ogni Feudo che possedea, otto oncie d'oro, e per ogni otto Feudi un soldato, acciocchè ragunar potesse esercito per passare in Terra Santa nel seguente mese di maggio, nel qual tempo intendeva andarvi, posposta ogni altra dimora. Statuì ancora un'altra Assemblea da ragunarsi per tal cagione a Ravenna nel prossimo mese di marzo, ove convocò tutte le città e signori d'Italia e suoi partigiani; ed indi inviò in Roma Roffredo Epifanio da Benevento, famoso Giureconsulto di que' tempi, con le discolpe, che egli in suo favore adducea, le quali Roffredo, come si disse, fece pubblicamente leggere in Campidoglio di volontà del Senato e del Popolo romano.

Federico nel principio del seguente anno 1228 convocò in Puglia tutt'i Prelati e Baroni, che seco avea per passare in Palestina, e venuto il giorno di Pasqua, quella celebrò con grandissima pompa ed allegrezza in Barletta; perciocchè aveva avuta contezza, che Tommaso d'Aquino Conte dell'Acerra, che dimorava per suo Maresciallo in Soria, venuto a battaglia con Corradino Soldano di Damasco l'avea vinto e ucciso, e ritornando dopo questo il Conte nel Reame, inviò per soccorso in Terra Santa Riccardo di Principato, parimente suo Maresciallo, con altri cinquecento soldati che imbarcatisi in Brindisi passarono felicemente in que' paesi.

In questo mentre i Francipani e gli altri partigiani di Federico in Roma, essendo Gregorio, dopo aver celebrata la Pasqua in S. Gio. Laterano, passato nella chiesa di S. Pietro, per rinovar le censure contro Federico, gli mossero contro il Popolo, mentre faceva quell'atto, con grave sedizione e tumulto, e dopo averlo oltraggiato con molte ingiuriose parole, lo scacciarono dalla città e 'l costrinsero a ricovrar fuggendo a Perugia, ove per alcun tempo dimorò.

Federico intanto raccolta per l'espedizione di Terra Santa molta moneta dalle Chiese e dalle persone ecclesiastiche, non ostante che il Pontefice avesse ordinato per sue lettere, che nulla pagassero, s'avviò verso Barletta, ove intendea celebrare un general Parlamento, e giunto ad Andria, l'Imperadrice, che era seco partorì ivi un fanciullo, a cui fu posto nome Corrado, il quale fu dal padre, più di ciascun degli altri suoi figliuoli teneramente amato, ed indi a non molto, come sovente avvenir suole, se ne morì per li travagli del parto nella medesima città.

La morte di questa Imperadrice vien da Gio. Villani e da altri moderni Autori, che l'han seguito, descritta con molte favole e novelle, le quali non meritano fede alcuna; perciocchè Riccardo il veritiere Cronista di que' tempi, altro non racconta, salvo che la morte dell'Imperadrice nel parto; e lo stesso scrisse il Corio nell'istorie di Milano e Carlo Sigonio ed il Frate di Santa Giustina, e niun degli altri Autori, che con la dovuta diligenza scrissero gli avvenimenti di que' tempi, fan menzione, che ella morisse in prigione battuta dall'Imperadore come dice il Villani, e pur quelli non tacendo l'altre malvagità commesse da lui, avrebbero registrata ancor questa, se fosse stata vera; oltre che pare impossibil cosa aver potuto Federico amar tanto il figliuolo Corrado, come nel progresso di quest'Istoria si vedrà, se avesse in prima così acerbamente odiata la madre, che l'avesse ridotta a morire, come costoro raccontano.

Federico dopo la morte di Jole celebrò il Parlamento in Barletta, ed intento al passaggio di Terra Santa, prima di partire, volle provedere a' suoi Regni nel caso, che venisse egli a mancare; onde in presenza de' Prelati e Grandi del Regno, ed infinita moltitudine accorsavi, fece ad alta voce leggere i seguenti capitoli formati da lui in modo di testamento rapportati da Riccardo. Primo, voleva che tutti i Regnicoli tanto Prelati, quanto Signori e loro sudditi vivessero in quella pace e tranquillità, ch'eran soliti di vivere al tempo del buon Re Guglielmo II, e perciò lasciava per suo Vicario e Balio del Regno Rinaldo Duca di Spoleti. Secondo, se egli nella guerra che intendea di fare in Soria, fosse mancato di vita, gli succedesse nell'Imperio e nel Regno il suo maggior figliuolo Errico, al quale, se fosse morto senza prole, succedesse Corrado suo minor figliuolo e se costui ancor senza figliuoli fosse mancato, succedessero gli altri figliuoli da esso Imperadore procreati di legittima moglie, facendo giurare a Rinaldo Duca di Spoleti, ad Errico Morra, ed agli altri più stimati di coloro, che erano ivi adunati che se non fosse venuto a morte, ed altro testamento non avesse da poi fatto quel che allora avea statuito compiutamente osservassero. Terzo, che niuno del Regno per dazio, ovvero colletta fosse obbligato dare alcuna cosa, se non per l'utilità del Regno, e per le necessità che potevano occorrere.

Letti questi capitoli e fattigli giurare in suo nome dal Duca di Spoleti e da Errico Morra suo Gran Giustiziero, l'undecimo giorno del mese di giugno si imbarcò in Brindisi sopra venti galee, secondo che il Bzovio e l'Abate Uspergense scrivono, ed avendo in prima comandato, che tutti i vassalli che con lui navigar dovevano, si fossero assembrati a S. Andrea dell'Isola, ivi con lor si congiunse, e passò ad Otranto, ed indi in Terra Santa, dove di là a poco felicemente giunse ed a nobili imprese si accinse.

Gregorio IX ch'era in Perugia, udita la partenza dell'Imperadore, senza che prima da lui fosse stato assoluto dalle censure, come pretendea, si accese di tanto sdegno, che scrisse lettere al Patriarca di Gerusalemme ed al Maestro dello Spedale del Santo Sepolcro in Soria, colle quali premurosamente gl'incaricava, che si guardassero di Federico, nè loro prestassero aiuto, poichè era partito scomunicato, e che potea perciò apportar loro grave danno; di vantaggio stimolò in Italia i Milanesi nemici di Federico a collegarsi con lui a' suoi danni, dividendo l'Italia in fazioni, onde crebbero in maggior numero i Guelfi; e medita intanto per l'apparecchio d'una nuova espedizione sopra il Regno di Puglia, per toglierlo a Federico nell'istesso tempo, che questo Principe era lontano ed inteso all'impresa di Terra Santa.

Dall'altra parte Rinaldo Duca di Spoleti lasciato da Federico per Vicario del Regno, per impedire i disegni del Papa ed intricarlo con una guerra ne' propri Stati, invase col suo esercito la Marca, ed il suo fratello Bertoldo assalì da un altro lato i tenimenti di Norcia e distrusse il castello di Brusca, che si era a lui ribellato, dando gli abitatori in potere de' Saraceni, che seco di Puglia avea condotti, i quali con vari tormenti gli fecer tutti crudelmente morire.

Questi avvenimenti significati a Papa Gregorio, e come il Duca era entrato ostilmente nello Stato della Chiesa, e fatti quivi gravissimi danni, lo ammonì, che via si partisse, lasciando in pace i suoi sudditi; ma il Duca facendo poco conto di cotal ordine, irato il Pontefice lo scomunicò con tutti i suoi seguaci: e vedendo che nulla giovavano le censure, ragunò grosso esercito con gli aiuti de' Milanesi, e di tutte l'altre città della Lega di Lombardia, e chiamata la milizia di Cristo, l'inviò contro il Duca Rinaldo creandone Capitano Giovanni di Brenna già Re di Gerusalemme ed inimico di Federico, ed il Cardinal Legato Giovanni Colonna.

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