Spedizione di Gregorio IX sopra il Regno di Puglia.
Papa Gregorio scorgendo, che questi sforzi non eran bastevoli ad impedire i progressi del Duca, il quale avea già sottoposta la Marca al dominio dell'Imperadore insino a Macerata, deliberò di muover guerra nel Reame di Puglia e spinger le sue armi contra queste province, acciocchè postele in isconvolgimento, dovesse per lor difesa prestamente accorrere il Duca, e lasciar liberi i suoi Stati. Congregati adunque nuovi soldati, ne creò Capitani Pandolfo d'Alagna suo Legato, Ruggieri dell'Aquila Conte di Fondi e Tommaso Conte di Celano ribelli e nemici di Federico.
Questi Capitani a' 18 gennaio del nuovo anno 1229 per la strada di Cepparano, entrarono in Terra di Lavoro co' loro soldati, che eran nomati Chiavesegnati; ed assalirono ed espugnarono in un subito il castello di Ponte Solarato, che era allora la Porta del Regno ed il primo luogo forte da quella parte a' confini dello Stato della Chiesa, e l'aveva in guardia, per l'Imperadore, Adenolfo Balzano. La caduta di questo castello cagionò sì fatto timore in Bartolommeo di Supino Signore di S. Giovanni in Carrico, ed in Roberto dell'Aquila Signore del castello di Pastena, che senza far altra difesa, di lor volere anch'essi si resero; indi passato il fiume di Telesa s'avviarono li soldati papali verso il Contado di Fondi.
Intanto Errico Morra Gran Giustiziero, avuta contezza della mossa di cotal guerra, ragunati in un subito molti soldati, ne venne a San Germano per contrastare colle genti del Pontefice, ed impedire di far altro acquisto. Ma queste opposizioni poco valsero per impedire i felici progressi dell'esercito del Pontefice, il quale scorrendo per molti luoghi di questa provincia avea occupato molte Rocche e castelli insino a Gaeta. Questa città, mentre si rendeano tanti luoghi al Legato del Papa, fu sempre fedele all'Imperadore, resistendo agli sforzi del Legato, apparecchiandosi valorosamente alla difesa, per la qual cosa fu dal Cardinal Pelagio, Vescovo d'Albano e Legato del Pontefice sottoposta all'interdetto. Si resero parimente al Legato Pontecorvo con tutte l'altre Terre di Monte Cassino, la Rocca d'Evandro, Trajetto, e Sugio e finalmente fu forza che si rendesse anche la città di Gaeta, nella quale fu abbattuto e spianato il castello, che l'Imperadore con molta spesa vi avea edificato, essendosene partiti, per non poter far altro molti fedeli di Federico, che non vollero rimaner sudditi del Pontefice; ed i Beneventani avuta contezza de' felici successi dell'esercito Papale, rompendo anch'essi da quel lato la guerra, ne andarono a far gravi danni e prede in Puglia di bovi ed altri animali, e nel lor ritorno ruppero, e posero in fuga il Conte Raone di Valvano, che lor s'era opposto; per la qual cosa il Gran Giustiziero con tutt'i Baroni fedeli all'Imperadore andarono con lor soldati contra quelli di Benevento e guastarono e distrussero molti lor poderi dalla banda di Porta Somma, ove era posta la lor Rocca.
Non tralasciavano ancora i Frati Minori ed i Monaci di S. Benedetto portar lettere del Papa ed ambasciate a molti Baroni, Prelati e Comunità delle città e castella, acciocchè si ribellassero dal lor Signore e passassero dalla banda del Pontefice, pubblicando falsamente, che Federico era morto e che però in Puglia non sarebbe più tornato; la qual novella fermamente creduta da molte di quelle città, da lui si ribellarono, come avrebbono ancor fatto tutte l'altre, secondo che scrive l'Abate Uspergense con uccidere quanti Oltramontani vi dimoravano, se non l'avesse trattenuto l'essersi scoverta la frode, e che Federico era per ritornar presto nel Reame; per la qual cosa furono dal Duca di Spoleti scacciati dal Regno e da' loro monasteri tutti i Frati Minori e tutti i Monaci Cassinensi, de' quali parte andarono via, altri buttando l'abito si nascondevano, vivendo da secolari.
Intanto aveano il Re Giovanni ed il Cardinal Colonna, dopo vari conflitti, costretto il Duca di Spoleto ad uscir dalla Marca, e ricovrare in Apruzzi, dove da coloro seguito, era stato dentro la città di Sulmona strettamente assediato: della qual cosa fatto consapevole il Cardinal Pelagio significò al Re Giovanni che prestamente fosse venuto a congiungersi seco per far con maggior sforzo la guerra in Terra di Lavoro; il perchè il Re Giovanni, sciolto l'assedio da Sulmona, per la Valle di Sangro venne nel Contado di Molise, e prese per istrada Alfidena col suo castello, prese parimente Paterno con altri luoghi, ed abbrugiò Castel di Sangro; e nello stesso tempo il Conte di Campagna con buona mano di fanti e cavalli, assoldati novellamente dal Pontefice per supplimento della guerra del Regno, gitone improviso sopra Sora in un subito la prese, rimanendo però la Rocca in poter degl'Imperiali: ed indi partito, colla stessa agevolezza, prese Arpino, Fontana e la Valle di Sora con tutto il paese de' Marsi; e dall'altra parte il Re Giovanni col Cardinal Colonna giunto in Terra di Lavoro e valicato il fiume Volturno, si congiunse con l'esercito del Cardinal Pelagio, che l'attendea presso Telesa, e così uniti andarono a campeggiare sopra Cojazza.
Nel medesimo tempo, che Gregorio travagliava il Regno, Federico in Soria impiegava le sue forze per quella santa impresa; poichè giunto non molto dopo la sua partenza nel mese di settembre in Accone, indi passato in Cipro, dopo varie imprese, ne andò in Soria, e giunse coll'esercito de' Crocesignati in Joppe a' 15 novembre del passato anno, e fortificò quella città, che era disfatta. Dimorò in cotal opera tutta la quaresima, nella quale corse pericolo d'aver da abbandonar l'impresa, ed andarsene per terra a Tolemaida, per mancamento di vettovaglie, essendo dalla tempesta del mare impediti a condurvele i suoi vascelli, che colà dimoravano; ma tranquillatosi poi ne ebbe in gran copia. Pure, dopo aver fortificata Joppe, andò in Tolemaida, indi passò al castel di Cordana, ove dimorando inviò Bagliano Signor di Tiro ed il Conte di Lucerna per suoi Ambasciadori al Soldano d'Egitto, che era attendato col suo esercito presso Napoli, avendo seco suo fratello, a cui gli Ambasciadori, dati preziosi doni da parte dell'Imperadore, esposero in cotal guisa la loro imbasciata; che Federico il volea per fratello ed amico, se così di grado gli fosse, e che non era passato in Soria per torgli niun luogo del suo Stato, ma solo per ricuperare il Reame di Gerusalemme col Sepolcro di Cristo, il quale era stato già posseduto da' Cristiani, ed ora per cagione di Jole sua moglie, che n'era stata legittima Reina, spettava di ragione a Corrado lor comune figliuolo. Alla quale proposta rispose il Soldano, che considerato il tutto, avrebbe per suoi messi risposto all'Imperadore; ed onoratigli con altri convenevoli doni gli accommiatò. In questo punto giunsero al Patriarca di Gerusalemme le lettere, che Papa Gregorio gli mandava per due Frati Minori, nelle quali gli ordinava, che dichiarasse scomunicato Federico, e mancator di fede, per non esser passato in Terra Santa nello stabilito tempo, nè col convenevole apparecchio, proibendo a' Cavalieri dell'Ospedale e del Tempio, ed a' Teutonici, che non l'ubbidissero in cosa alcuna.
Il Soldano ancorchè avesse contezza, che l'Imperadore avea mancamento di vittovaglia, e che per essere in grave discordia col Pontefice, era stato novellamente dichiarato scomunicato, e che era poco ubbidito da' Peregrini (così chiamavano que' soldati, che stavan continuamente militando in Soria) pure temendo grandemente l'armi ed il valor de' Cristiani, gli inviò suoi Ambasciadori con parole cortesi, e con multi elefanti, camelli e cavalli arabi, ed altri nobilissimi presenti, senza però veruna conclusione d'accordo, con dirgli, che gli avesse di nuovo mandati alcuni suoi Baroni, che non avrebbe mancato di conchiudere con loro quel, che giusto e convenevol sarebbe; onde l'Imperadore gli spedì i primi uomini di sua Corte, i quali arrivati che furono in Napoli, il ritrovaron di colà partito, con ordine, che l'avesser seguito a Gaza, ma essi non volendo far ciò, se ne tornarono a dietro all'Imperadore. Or come Cesare conobbe essere stato con astuzia barbara deluso dal Soldano, che gli dava parole per menar la bisogna in lungo, convocati in Tolemaida i primi della città, ed i Peregrini e soldati, disse che voleva assalire il Zaffo per esser più presso a Gerusalemme, ove potevan anch'essi venire. A tal proposta di Federico risposero i Maestri dello Spedale e del Tempio in nome di tutti gli altri, che non ostante, che dal Pontefice romano, al quale dovevano ubbidire, fosse stato lor proibito il trattar seco, e secondarlo, pure per l'utile di Terra Santa e del Popolo cristiano, eran pronti a far con lui quell'impresa; ma volevano, che le grida e gli ordini, che nel Campo si aveano a fare, si facessero in nome di Dio, e della Cristiana Republica, senza che in essi di Federico sotto alcun titolo sì facesse menzione; della qual cosa sdegnato Federico, non volle in guisa alcuna consentirvi, e senza lor compagnia procedette avanti sino al fiume Monder, che corre tra Cesarea ed Artus; significato ciò a' Cavalieri dello Spedale ed a' Templarj, ed agli altri Peregrini, considerando quel che conveniva al pubblico bene, e temendo non fosse l'Imperadore offeso dal Soldano, che avea ragunato innumerabile esercito, cominciarono alquanto da lontano a seguirlo, attendandosi sempre a vista di lui per potere, se il bisogno il richiedesse, prestamente soccorrerlo; ma l'Imperadore accortosi più chiaramente del pericolo, che correa per tal divisione, da dura necessità fu costretto a cedere al lor volere, e si contentò che senz'esser lui nominato, le grida far si dovessero, in nome di Dio, e della Repubblica Cristiana; onde con lor si congiunse ad un rovinato Castello, mentre cominciavano a riedificarlo.
Era, quando queste cose successero, nel mezzo del verno, ed ecco che sopraggiunse a Federico un veloce navilio, con un messo, rapportandogli la novella che il Reame di Puglia era da' Capitani del Pontefice tutto sconvolto, e che molte province erano state da coloro occupate, e che l'altre correan gran pericolo di perdersi.
Questa rea novella fece precipitare le cose di Soria; poichè Federico prestamente s'indusse a concordarsi col Soldano per tornare al soccorso de' suoi Stati in Italia; onde a ragione scrisse Riccardo da S. Germano: Verisimile enim videtur, quod si tunc Imperator cum gratia, et pace Romanae Ecclesiae transiisset, longe melius et efficacius prosperatum fuisset negotium Terrae Sanctae, sed quanta in ipsa sua peregrinatione adversa pertulerit ab Ecclesia, cum non solum ipsum Dominus Papa excommunicaverit, verum etiam quod ipsum excommunicatum scirent et tanquam excomunicatum vitarent eundem Patriarco Jerosolimitano mandavit. E l'Abate Uspergense non potè parimente, considerando questi fatti, non esclamare, e dire: Quis talia facta recte considerans non deploret, et detestetur, quae indicium videntur, et quoddam portentum, et prodigium ruentis Ecclesiae?
La pace conchiusa col Soldano, ancorchè fatta in tempo, che men si conveniva per le cagioni già dette, fu nondimeno per quanto si potè, per Federico vantaggiosa; essendosi accordati i seguenti capitoli. Si conchiuse fra loro triegua per dieci anni, in virtù della quale il Soldano restituiva a Federico la città di Gerusalemme con tutti i suoi tenimenti; e si convenne, che il Sepolcro di Cristo dovesse essere in custodia de' Saraceni: perchè quelli lungamente aveano usato ivi orare, ma che ciò non ostante, il Sepolcro fosse esposto a' Cristiani, i quali similmente potessero con tutta la lor libertà andar ivi per adorarlo; gli restituì ancora la città di Bettelemme e di Nazzaret; e tutte le ville, che sono per lo dritto cammino sino a Gerusalemme, e la città di Sidone e Tiro, ed alcun'altre castella possedute già da' Cavalieri del Tempio, con condizione, che potesse l'Imperadore fortificare, e munire Gerusalemme con muri e torri a suo talento; fortificare il castel di Joppe, e quel di Cesarea, Monteforte, e castel Nuovo. Che fossero restituite a Federico tutte quelle cose, che erano state in potestà di Balduino IV, e che gli furono tolte dal Saladino; e che si ponessero senz'altra taglia in libertà tutti i prigionieri.
(Contro questa pace declamò tanto Gregorio IX che Federico trattasse meglio i Maomettani, che i Cristiani; e da Lunig si rapporta la Bolla, che istromentò in quest'anno 1228 in Roma, dove vien imputato Federico di molti delitti. All'incontro questo medesimo Collettore rapporta alla pag. 879 le risposte, che i Vescovi e Principi di Germania, e d'Italia fecero alle accuse di Gregorio, confutando una per una le imputazioni ingiustamente fattegli. Questa pace si appartiene solamente al Regno di Gerusalemme; poichè Federico nell'anno 1230 ne conchiuse un'altra col Soldano, che riguarda la libera negoziazione tra Cristiani e Maomettani in Corsica, Marsilia, Venezia, Genova e Pisa, e la libera navigazione ne' porti d'Affrica, d'Egitto, ed altre regioni adiacenti al mare Mediterraneo; l'istromento della quale vien anche rapportato da Lunig ).
In cotal maniera fu conchiusa questa pace da Federico, contro il quale non mancò chi lo dannasse, e biasimasse, perchè avesse lasciato il sepolcro di Cristo in mano de' Saraceni, per cui era stata impresa questa guerra: lo biasimarono ancora alcuni altri più moderni Autori trattandolo da timidissimo e vile, opponendogli, che sofferse dal Soldano, e da' suoi soldati mille obbrobriosi scherni. Ma la Cronaca di Riccardo da S. Germano Scrittor contemporaneo a que' successi, ben convince le costoro bugie e malignità contro quel Principe. Ed i nostri Italiani, come ancora il Patriarca di Gerusalemme nelle sue lettere, per esser stati la maggior parte Guelfi suoi nemici e partigiani, ed aderenti del Pontefice, non meritano in ciò credenza alcuna. In fatti per quel, che s'attiene al sepolcro di Cristo, Riccardo da S. Germano attesta la necessità, che ebbe di lasciar la custodia di quello in mano dei Saraceni, rapportando la cagione di questo articolo: Quia, parlando de' Saraceni, diu consueverant orare ibidem, et ut liberum introitum, et exitum habeant illuc accedentes orationis causa: ma si convenne ancora, che a' Cristiani fosse in libertà far il medesimo, et Christianis similiter orationis causa sit expositum; donde si convince quanto sfacciata sia la menzogna insieme, e l'adulazione del Bossio, che nell'istoria della religione di Malta, dice, che fu proibito a' Cristiani di potervi entrare. Ed il voler accagionare Federico di timidezza e viltà, è contro tutta l'istoria; poichè fu egli un Signor grande e valoroso, e di cuor feroce e magnanimo, come per tant'imprese, che egli fece, chiaramente si scorge; nè par verisimile, anzi è impossibil cosa l'aver voluto soffrire dagli effeminati Popoli d'Egitto, e da' vilissimi Arabi quei dispregi ed oltraggi, che non sofferì, nè da' Lombardi, nè dai Tedeschi, nè da tante valorose Nazioni, delle quali ottenne più volte nobilissime vittorie per tutto il tempo di sua vita.
Federico adunque, dopo la pace fatta, volendo partir di Soria, e tornare al soccorso de' suoi Stati d'Italia e della Puglia, propose di voler prima prender la possessione, e la Corona regale dell'acquistato Regno di Gerusalemme; fece adunque, che Ermanno Saltza significasse per sue lettere al Patriarca di Gerusalemme, che fosse andato per tal affare insieme con lui in quella città; ma il Patriarca partigiano del Pontefice, gli rispose, che ciò non potea farlo, se prima non vedesse le capitolazioni dell'accordo seguito tra l'Imperadore ed il Soldano. Il Maestro Ermanno tosto glie le inviò per un Frate di S. Domenico. Veduto che ebbe l'accordo il Patriarca, negò d'intervenirvi, dicendo, che non avea sicurezza alcuna di porsi nelle mani di quei barbari, non facendosi nell'accordo menzione del Clero, nè essendo giurato dal Soldano in Damasco, a cui quel Regno di ragione appartenea, e che perciò non era nè sicuro, nè durabile: anzi col pretesto, che il tempio ed il sepolcro di Cristo fosse rimasto in custodia dei Saraceni, e per impedire, che Federico in quello si incoronasse, mandò l'Arcivescovo di Cesarea per suo Legato, e fece dal medesimo di suo ordine interdire tutta la città santa di Gerusalemme, e spezialmente sottopose all'interdetto il sepolcro istesso di Cristo, vietando, che non potessero ivi celebrarsi i divini Uffici.
(È singolare ciò, che Giovanni Vito Durano nella Cronaca al 1243 scrisse parlando della coronazione di Federico in Gerusalemme, dicendo, che non ostante l'interdetto vi si cantò messa, e che il Soldano, che stava a lato di Federico gli dimandò, che voleva dire quel pane in mano del Sacerdote, e ch'egli adorava: udito che l'ebbe, mossesi ad un sorriso, e con uno scipito motto schernì il Mistero. Seguitando la fede di Durano rapporta ancora questo fatto il diligentissimo Aulisio).
Onde Federico in cambio in questa impresa di riceverne benedizioni, ebbe maledizioni, come dice Riccardo: Primitias recuperationis ipsius, non benedictione, sed anathemate prosecutus; ma l'Imperadore poco di ciò curando entrò a 17 marzo a Gerusalemme, e nel vegnente mattino con convenevol pompa accompagnato dal Maestro Ermanno, e da tutti i suoi famigliari ne andò alla chiesa del sepolcro, e dopo aver lungamente orato, e dato grazie al Signore, scorgendo, che per l'interdetto niuno ardiva celebrar la messa, nè si poteva far altro ufficio a ciò bisognevole, non avendovi voluto intervenire nè anche gli stessi Prelati tedeschi, che egli avea richiesto di ciò, con rispondergli, che non volean per tal atto essere scomunicati dal Papa: prese egli colle proprie mani la Corona dell'altare ove ella era, e se ne incoronò; ed il Gran Maestro dei Teutonici orò lungamente in lode di Federico, esagerando, che col suo avvedimento e valore quella città, ed il suo Reame a' Cristiani restituito avea; e coronato che fu, diè subito provedimenti per fortificar Gerusalemme, e rifar le sue mura, che da Corradino Soldano di Damasco erano state abbattute e disfatte. Dopo la qual cosa, camminando velocemente per la novella del Reame di Puglia invaso dal Papa, passò al Zaffo, e di là a Tolemaida, ove creò due Capitani della gente, che avea a rimanere in presidio de' luoghi acquistati; e de' Tedeschi, che aveano a navigar seco in Puglia, creò Capitano il Maestro de' Teutonici, ed avendo in questo ritorno sofferte e superate molte ostilità fattegli dal Patriarca di Gerusalemme, e dai Maestri Ospitalieri e Templari, finalmente con felice viaggio capitò prima di tutti gli altri, che seco venivano, nel mar di Brindisi.
Giunto appena Federico in Brindisi, inviò suoi Ambasciadori al Pontefice Gregorio, che furono gli Arcivescovi di Reggio e di Bari, col Gran Maestro Ermanno, i quali andati prima a Cajazza, ove erano ad assedio il Cardinal di S. Prassede, ed il Cardinal Albano, ed avute da amendue lettere per lo Pontefice, a Roma da lui n'andarono; e datogli conto di quel, che s'era fatto in Palestina, gli chiesero poi in nome dell'Imperadore, che l'avesse assoluto dalla scomunica, e si fosse pacificato seco.
Ma Gregorio adirato di quel, che contro l'Imperadore gli avea scritto il Patriarca di Gerusalemme, dicendo, che l'accordo col Soldano era fatto in pregiudizio de' Cristiani, non volle far nulla di quanto gli chiesero gli Ambasciadori; per la qual cosa rimastosi in Roma il Gran Maestro, ritornarono gli altri due Arcivescovi nel Reame.
Intanto si resero all'Imperadore per opera di Adinolfo, e di Filippo d'Aquino le castella d'Atino e di Celio; ed essendo Federico col suo esercito de' Crocesegnati venuto in Terra di Lavoro contro il Re Giovanni, ed i Cardinali Legati, che stavano coll'esercito de' Chiavesegnati all'assedio di Cajazza, pose sì fatto timore colla sua venuta, che sciolto l'assedio, ed abbruciate le macchine, si ritrassero frettolosamente a Teano, andandone in Roma il Cardinal Colonna a chieder moneta al Pontefice per pagare i soldati, e l'Imperadore ne venne a Capua, ove alloggiato il suo esercito, passò a Napoli e chiese, ed ottenne da' Napoletani soccorso d'armi e di soldati.
Racconta ancora Riccardo, che il Cardinal Pelagio non avendo modo per sostener l'esercito, si prese tutto il tesoro, ed ogni altro suppellettile d'argento e d'oro, che era in Monte Cassino, per farne moneta, ed intendendo fare il medesimo nella chiesa di S. Germano, gli Ecclesiastici di quel luogo si composero in una certa somma di danari, perchè il Cardinal Pelagio non si pigliasse il tesoro della lor chiesa: ed intanto l'Imperadore ritornato da Napoli a Capua, n'andò poi a Calvi, la qual città prese a forza, e molti soldati del Pontefice che la difendevano, fece crudelmente morire impiccati per la gola, e quantunque il Re Giovanni cercasse impedirgli il cammino, passò per Riardo a S. Maria della Ferrata, ove per tre giorni dimorato, ebbe in sua balia Vairano, Alife, Venafro e tutto lo Stato de' figliuoli di Pandolfo, per li cui felici progressi sgomentato il Re Giovanni col Cardinal Pelagio, per la strada di Venafro se n'andò a Mignano, ed indi con veloce cammino se n'andò a S. Germano; ma sentendo che l'Imperadore frettolosamente veniva a quella volta, tosto fu disciolto l'esercito papale, e passò frettolosamente in Campagna di Roma, e tutti gli altri Prelati partigiani del Pontefice eran passati col Re Giovanni a Roma.
L'Imperadore intanto entrato col suo esercito nelle Terre della Badia di Monte Cassino, prese, e diede a sacco a' soldati la villa di Piedemonte, con dar la sua Rocca a' Signori d'Aquino. Tentò poi di prender Monte Cassino, ma ne fu ributtato da' difensori; e mentre colà dimorava, per opra di Taddeo di Sessa Giudice della sua Gran Corte, se gli rese la città di Sessa. Se gli rese ancora Presenzano, la Rocca d'Evandro, Isernia, Arpino, e Fontana, con tutte l'altre Terre di S. Benedetto; alla fine se gli rese anche S. Germano colla sua Rocca. E volendo dar poi sesto agli altri suoi affari d'Italia, e trattare di concordarsi col Pontefice, fece chiamare tutti i Potestà e Comuni delle città di Lombardia, significando loro la sua venuta nel Reame, e le sue vittorie con una sua lettera scritta da San Germano, che si legge presso Riccardo, nella quale fra l'altre cose si leggono queste parole: Nos de ultramarinis partibus prospere per Dei gratiam redeuntes, de inimicis nostris, qui Regnum nostrum invaserant foeliciter triumphavimus, dum audientes nos contra eos in manu valida, et potenti venturos, non expectatis, aut expertis viribus nostris, in Campaniae finibus, fugae sibi praesidium elegerunt. Sicque Domino cooperante, et nos comitante justitia, qui de coelo prospexit, quod ipsi de Regno nostro, nobis absentibus, per anni dimidium occupaverant, nos brevi dierum spatio recuperavimus, et revocavimus ad demanium, et dominium nostrum.
Dopo la qual cosa se gli rese la città di Teano, con patto, che il suo Vescovo potesse a suo talento o partirsi, o colà rimanere. Inviò altresì ducento soldati ne' Marsi, con Bertoldo fratello del Duca di Spoleto, ed ottenne agevolmente tutta quella regione; e dopo essersi trattenuto sette giorni in S. Germano passò ad Aquino, donde scrisse sue lettere a tutti i Signori e Principi della Cristianità, per difendersi dalla sinistra opinione, che di lui s'era conceputa e divulgata intorno all'accordo fatto col Soldano, dando lor conto degli affari di Terra Santa, con mostrare ch'eran passati altrimenti di ciò, che figurati gli avea il Patriarca di Gerusalemme al Pontefice, chiamandone in testimonio i Vescovi di Vintona, e di Lancastro, i Maestri dello Spedale e de' Teutonici, e di molti altri Cavalieri degl'istessi Ordini, ed ancora dei Frati Predicatori, che intervennero in quell'accordo. Nell'istessa città andarono a ritrovarlo alcuni Ambasciadori romani, per rallegrarsi seco del suo ritorno, da parte del Senato e del Popolo, e per trattare d'altri loro affari, i quali dopo tre giorni a Roma di nuovo se ne ritornarono. E fatto in miglior forma fortificare S. Germano, si partì d'Aquino, ed andò ad assediar Sora, la quale per essersi voluta difendere prese a forza ed abbruciò con morte e ruina de' suoi cittadini.
Intanto Ermanno Saltza, ch'era restato in Roma per trattar la pace col Pontefice, partito di là, insieme con Giovanni Cardinal di Santa Sabina, e con Tommaso Cardinal di Capua Legati del Pontefice, andarono tutti e tre a ritrovar l'Imperadore in Aquino, ove era da Sora ritornato il quarto giorno di novembre, e dopo aver favellato con lui, la stessa sera passarono a Monte Cassino, e persuasero al Cardinal Pelagio, che di colà partisse co' soldati, che vi aveva introdotti senza ricever noja alcuna. Fu ancora conceduto a' Vescovi il ritornar senza molestia alcuna alle loro sedi. Restituì ancora Federico tutt'i luoghi tolti all'Abate di Monte Cassino Adenolfo, commettendone però la cura al Gran Maestro Ermanno, sinchè si fosse compiuto il trattato della pace col Pontefice; ed Ermanno dovendo ritornare in Perugia, ove di nuovo andò col Cardinal Pelagio per accordare alcuni capitoli della pace, vi sostituì un tal Fra Lionardo Cavalier teutonico insino al suo ritorno. E Federico passato indi a Capua, ove celebrò la festa del Natal di Cristo, diede libertà a molti cittadini di Sora, che avea fatti imprigionare dopo la presa di quella città.
Con tai successi compiuto l'anno di Cristo 1229 nel seguente anno 1230 nel mese di gennajo comandò l'Imperadore al suddetto Fra Lionardo sustituito Governador della Badia, che da quelle Terre raccogliesse eletti soldati, e gli ponesse in guardia di Monte Cassino, facendogli dare il giuramento d'averlo a custodire, e difendere con tutt'i beni, ed i Frati che vi eran dentro, nè consignarlo ad altri, che al Gran Maestro Ermanno. E poco da poi l'Arcivescovo di Reggio, il Gran Maestro de' Teutonici, ed il Cardinal Pelagio, dopo esser più volte andati e tornati da Roma in Puglia per lo trattato della pace, celebrarono finalmente un'Assemblea in S. Germano, ove parimente convennero il Patriarca d'Aquileja, i due suddetti Legati, Giovanni Cardinal di Santa Sabina e Tommaso Cardinal di Capua, e Eberardo Arcivescovo di Salsburg, Sifrido Vescovo di Ratisbona, Leopoldo Duca d'Austria e di Stiria, Bernardo Duca di Moravia, con Fra Lionardo Cavalier Teutonico, nella quale, dopo varj discorsi, diedero cominciamento alla pace, che poco da poi, come diremo, si conchiuse fra l'Imperadore ed il Papa. Ed intanto si diedero all'Imperadore alcune città della Puglia, le quali nei passati tumulti se gli erano ribellate, come Civitate, Larino, S. Severo, Casal nuovo e Foggia. Nè si dee dar fede all'Autor della scrittura intitolata Itinerario dell'Imperador Federico, perchè è piena di favole e di sogni, convincendosi di sfacciata menzogna sin dal suo incominciamento; poichè Federico dimorò in Terra Santa solo sei mesi, e non tre anni; non assediò Gerusalemme, perchè il Soldano glie la diede subito; non fu in Sicilia quando tornò d'oltremare, ma solo a Brindisi, la qual città non fu mestieri soccorrere, perchè non era altrimenti cinta d'assedio, nè per tal cagione assoldò Saraceni nell'isola de' Gerbi, mentre potea averne di vantaggio in Sicilia ed in Puglia.
Intanto mentre l'Imperadore celebra in Foggia la Pasqua del Signore, Gregorio nel giovedì santo scomunica Rinaldo Duca di Spoleto, ed il suo fratello Bertoldo, come assalitori della Marca, ed altri luoghi della Chiesa.
Dopo tutto questo ritornarono di Roma, ove erano andati dopo l'Assemblea tenuta in S. Germano, tutti quei Prelati e Signori, che abbiam nominati nel trattato della pace, e con essi i Cardinali Legati, per assolvere l'Imperadore della scomunica, i quali commisero al Maestro de' Teutonici, che significasse all'Imperadore, che venisse a Capua, ove essi perciò l'averiano atteso con tutt'i Prelati, che per timor di lui s'eran fuggiti dal Reame; ma avendo poscia avuta contezza, che egli avea fatto abbattere le mura di Foggia, S. Severo e Casal nuovo, e che partitosi di Puglia veniva a Capua con intenzione, che tra gli articoli della pace s'accordasse ancora, che Gaeta e S. Agata ritornassero sotto il suo dominio, e non già rimanessero in balia della Chiesa, come pretendea il Pontefice: fecero ritornare tutti i Prelati regnicoli a Cepparano, ed essi se ne girono coll'Abate Adinolfo a Capua, nella qual città a' 30 maggio arrivò poscia Federico, con cui abboccatisi i Cardinali, disconvenendo nell'articolo di Gaeta e S. Agata passarono a Sessa, ed avendo trattato con quelli di Gaeta, fecero venire da loro Pietro delle Vigne, e Filippo di Citro Contestabile di Capua; ma non potendo effettuar la pace, per le nuove cagioni e difficoltà, che ogni giorno sopravvenivano, fu mestiere, che l'Arcivescovo di Reggio ed il Maestro de' Teutonici più volte andassero, e ritornassero da Roma a Cesare; onde alla fine, per l'opera d'un tal Fra Gualdo dell'Ordine dei Predicatori, essendo il Pontefice venuto al monastero di Grotta-Ferrata, e l'Imperadore a S. Germano, per esser più da presso, si conchiuse con comune letizia la pace, e se ne fecero dimostrazioni d'allegrezza in S. Germano, e ne' circonvicini luoghi, e per darvi compimento, vennero il nono giorno di luglio i Cardinali Legati nella maggior chiesa di S. Germano, ove parimente convennero il Patriarca d'Aquileja, l'Arcivescovo di Salisburg, il Vescovo di Ratisbona e quel di Reggio, i Duchi di Carintia e di Moravia, Principi dell'Alemagna; e del nostro Reame v'intervennero gli Arcivescovi di Palermo, quel di Reggio di Calabria, e quel di Bari, l'Abate di Monte Cassino, ed altri molti Prelati, ch'eran via fuggiti in Roma, Rinaldo Duca di Spoleto, Tommaso d'Aquino Conte della Corra, Errico di Morra Gran Giustiziero con altri Baroni e Ministri imperiali in gran numero, in presenza de' quali promise l'Imperadore di soddisfare alla Santa Romana Chiesa in tutte quelle cagioni per le quali era stato scomunicato, facendolo così giurare da Tommaso Conte della Cerra, e da tutti quei Prelati e Signori Alemani, i quali fecero la scrittura colle Capitolazioni dell'accordo, che vien inserita da Riccardo nella sua Cronaca, la qual contiene i seguenti Capitoli.
I. Che per quel che s'attiene alle città di Gaeta e S. Agata fra un anno s'abbia da trovar modo da comuni arbitri eliggendi, di dar compimento a questo articolo; e di trattar la forma, affinchè facciano ritorno all'ubbidienza dell'Imperadore Gaeta e S. Agata e tutti i Regnicoli, co' loro beni nel Regno; ed intanto l'Imperadore non offenderà le città predette, nè gli uomini di quelle; nè permetterà farle offendere dai suoi.
II. Che l'Imperadore rimetterà ogn'offesa a' Teutonici, Lombardi, a coloro della Toscana, e generalmente a tutti gli uomini de' Regni di Sicilia, ed ai Franzesi, i quali hanno aderito alla Chiesa romana contro di lui, nè permetterà che siano per detta cagione offesi da' suoi.
III. Il suddetto Imperadore rimetterà tutte le sentenze, costituzioni e bandi contro di loro promulgati coll'occasione della suddetta guerra.
IV. Promette ancora, che le terre della Chiesa nel Ducato di Spoleto e nella Marca, ed in altri luoghi del patrimonio della medesima, non saranno invase, nè devastate per se, o per altri.
Promettendo i suddetti Principi d'Alemagna, essere mallevadori di quanto ne' suddetti articoli s'era convenuto.
Dopo la qual cosa l'Arcivescovo di Salisburg favellò lungamente del buon voler dell'Imperadore verso la Chiesa romana, con iscusarlo dalle passate discordie, a cui rispose con pari eloquenza il Cardinal di Santa Sabina. E nell'istesso giorno i Cardinali Legati in nome del Papa fecero giurare all'Imperadore di restituire ciò, ch'egli avea occupato, o fatto occupare da' suoi Capitani nella Marca, e nel Ducato di Spoleto, ed in ogni altra parte del patrimonio della Chiesa, e tutt'i territori e castelli de' monasteri, o Badie, e particolarmente del monastero di S. Chirico d'Introducco, e tutt'i beni de' Cavalieri del Tempio e dello Spedale, e di qualsivoglia altro Barone, e d'altri Nobili del Reame, che fossero stati aderenti e partigiani del Pontefice, e di rimettere parimente nelle loro sedi l'Arcivescovo di Taranto, e tutti gli altri Vescovi e Prelati, che avea scacciati dal Reame. E di vantaggio gli fecero giurare; Ut de caetero nullus Clericus in civili, vel in criminali causa conveniatur, et quod nullas talleas, vel collectas imponat Ecclesiis, Monasteriis, Clericis, et viris Ecclesiasticis, seu rebus corum; et quod electiones, postulationes, et confirmationes Ecclesiarum, ac Monasteriorum libere fiant in Regno secundum statuta Concilii Generalis .
Dopo questo, d'ordine del Papa fu tolto l'interdetto da Frate Gualdo, con dar libertà di celebrare i divini Ufficj alle Chiese di S. Germano, ed all'altre Terre della Badia di Monte Cassino, e di tutti gli altri luoghi, ove dal Cardinal Pelagio era stato posto, escludendo però di potere esser uditi come scomunicati dal Duca di Spoleto, e da tutti gli altri, che in sua compagnia avevano guerreggiato nella Marca. E l'Imperadore, per eseguire il concordato fatto, restituì indi a poco Trajetto e Suggio col Contado di Fondi a Ruggieri dell'Aquila, ed il monastero di Monte Cassino, e Rocca Janola all'abate Adinolfo, con patto sì bene, che detta Rocca dovesse esser custodita da Rinaldo Belenguino di Sant'Elia insinattanto, che fosse l'Imperadore assoluto dalle censure. E passato Federico alla Rocca d'Arce, fece restituire all'Abate Adinulfo da' Signori d'Aquino, a cui commessi gli avea, Ponte Corvo, Piedemonte, e Castel Nuovo, e di là passò a Cepparano con buon numero di suoi soldati, e quivi nella cappella di S. Giustina il dì di S. Agostino nel mese di agosto, fu Federico assoluto dalla scomunica dal Cardinal di Capua Vescovo Sabinense, e nell'ultimo del detto mese andò a trovar Gregorio, che in Alagna l'attendea, avendo nello stesso tempo inviato per lo Reame sue lettere favorevoli per la libertà de' monasteri e delle Chiese, delle persone Ecclesiastiche, e dei beni di quelle, ordinando a' Conti, Baroni, Giustizieri, Camerarj e Baglivi del Regno di Sicilia, che niuno Monasteriis, Ecclesiis, personis Ecclesiasticis, aut rebus eorum talleas, vel collectas praesumat imponere, salvis illis servitiis, ad quae certae Ecclesiae, vel personae tenentur nobis specialiter obligatae, come dal suo diploma trascritto da Riccardo nella sua Cronaca.
Federico attendatosi col suo esercito fuori delle mura d'Alagna, il primo giorno di settembre vi entrò, accolto, ed incontrato con ogni onore da' Cardinali, e da tutti gli altri Prelati e famigliari del Pontefice, dal quale fu invitato a mangiar seco, e per tre continui giorni dimorarono insieme favellando de' loro importanti affari in presenza solo del Maestro de' Teutonici. Accommiatato poscia caramente da Gregorio ritornò a' suoi alloggiamenti, ove dimorando diede a Gio. di Poli il Contado d'Albi in luogo del Contado di Fondi, che gli avea tolto, per restituirlo a Ruggieri dell'Aquila; ed allora l'Abate di S. Vincenzo, ed i Prelati, che si trovavano scomunicati per aver aderito all'Imperadore, furono a preghiere del medesimo dal Papa assoluti. Ed intanto i Vescovi di Tiano, d'Alife, di Venafro, e tutti gl'altri Prelati, ch'erano usciti del Regno, alle proprie sedi ritornarono, e li Prelati e Principi d'Alemagna ritornarono a' loro paesi. Aggiunge il Bzovio ne' suoi annali, che alcuni Autori tedeschi scrivono, che l'Imperadore per pacificarsi col Pontefice gli pagasse per gli danni, che con la guerra avea patiti, cento e ventimila oncie d'oro. Girolamo dalla Corte nell'istoria di Verona, dice non essere stati più che dodicimila ducati; ma Riccardo, che particolarmente scrive questo fatto, non favella in guisa alcuna di tal pagamento.
Conchiusa dunque in cotal maniera questa pace, l'Imperadore partito d'Alagna ritornò a S. Germano, e di là per la strada di Capua passò in Puglia, e nella città di Melfi fermossi, e disbrigato dagli affari di questa guerra, quietato il Regno, pensò poi nel seguente anno 1231 a ristabilirlo con varj provedimenti, e ad ordinar nuove leggi per la quiete e tranquillità del medesimo, e per ristorarlo da' passati danni.
(Nell'anno stesso 1230 fu questa pace confermata da' Principi di Germania, i quali n'entrarono mallevadori; e l'istromento della garantia è rapportato da Lunig).