CAPITOLO I.

Errico Re di Alemagna si ribella contro l'Imperadore Federico suo padre: vinto, s'umilia; e Federico move guerra a' Lombardi in Italia, al che s'oppone Papa Gregorio, da chi finalmente ne fu di nuovo scomunicato.

Per queste procedure di Gregorio, pur troppo inclinate a favorir le città nemiche di Federico, diede egli sospetto, che essendosi in quest'anno 1234 rubellato Errico contro l'Imperador suo padre, fosse ciò proceduto per opera del Pontefice, e Berardino Corio seguitato da' moderni Scrittori lo narra come cosa indubitata, dicendo ch'Errico primogenito di Federico e di Costanza d'Aragona, che ancor fanciullo era stato per opera del padre creato Re de' Romani, e poi casato con Agnesa d'Austria figliuola del Duca Leopoldo; per opera di Gregorio si collegasse co' Milanesi, e con l'altre città della Lega di Lombardia contro suo padre, e che gli avesser promesso i Milanesi, giunto ch'e' fosse in Italia, di farlo coronare colla Corona di ferro.

Il Sigonio in altra guisa narra il fatto, e dice che la ribellione d'Errico non cominciasse in Italia, ma in Alemagna (nel che va d'accordo con Riccardo da S. Germano) ove con alcuni Baroni congiurò contro l'Imperadore, e trasse dalla sua parte, tra per amore e per forza, molte città di quelle regioni, onde i Milanesi, e l'altre città collegate della Lombardia, volendo valersi di sì buona occasione, mandarono ad offerirgli la Corona di ferro, che avean negata al padre, e grosso ajuto di soldati e d'armi, se fosse venuto in persona a guerreggiar in Italia.

Il Campo nell'Istoria di Cremona aggiunge, che vennero in Italia il Maresciallo Anselmo Isticense, e Valcherio Tanvembro Arcidiacono d'Erbipoli per ricevere in nome d'Errico, come Re de' Romani, il giuramento di fedeltà; e che giunti in Milano a' 19 dicembre, convocarono un'Assemblea, ove convennero i Milanesi, il Marchese di Monferrato, e Bresciani, Bolognesi, Lodegiani, e Novaresi, e congiurarono tutti contro Federico, e contro Cremona, Padova, e l'altre città sue partigiane, lasciando da parte solamente di far dare il giuramento ad Errico Re de' Romani, e conchiusero, che sarebbero stati fedelissimi a lui. Ma nè il Sigonio, nè il Campo adducono cagion alcuna di tal discordia tra Errico e l'Imperadore; ed essendo tutti questi Autori moderni, bisogna rinvenir la certezza di cotal fatto in più antico Scrittore. Riccardo da S. Germano, accennando solamente tal sedizione d'Errico, non rapporta nemmeno egli le cagioni, le quali però si leggono nella Cronaca del Monastero di S. Giustina di Padova fatta da un Frate di quel monastero, che visse a tempo di Federico, e scrisse con molto avvedimento le sue gesta, e gli avvenimenti d'Italia insino all'anno di Cristo 1270, la qual Cronaca si conserva nel detto monastero, e si vede impressa nel volume dell'Istorie dette Rerum Germanicarum. Narrasi in questa Cronaca, che la cagione, la qual mosse Errico a far tal rivoltura contro il padre, fu follia, e disdegno per invidia, che Federico amava Corrado suo secondo figliuolo partoritogli di Jole, più che lui, e con effetto negli scritti di Riccardo, ed in altri Autori di que' tempi si scorge, che Federico amasse teneramente Corrado, e facesse più stima di lui, che di tutti gli altri suoi figliuoli.

Federico intanto, essendo entrato il nuovo anno 1235, avuta contezza della ribellion del figliuolo, e come tentava di movergli guerra in Italia, s'inviò verso Alemagna, e giunto a' confini di quella fu incontrato da alcuni Signori tedeschi, e ragunato un competente esercito, ebbe grave guerra col figliuolo, il quale era da molti Baroni e città seguito; ma abbandonato poscia da quelli, e quasi che solo rimasto, gitone agli alloggiamenti del padre, piangendo a' piedi di lui si gittò, chiedendogli mercede. Federico lo ricevè, ma fatto accorto per gli passati successi del suo feroce ingegno, il condusse seco prigione in Vormazia, ove, o che con effetto tentasse ciò fare, o oppostogli, che avesse voluto avvelenar Federico, fu in più stretta prigione dal padre sostenuto, dandolo prima in custodia al Duca di Baviera, e poscia, volendo affatto torlo da que' paesi, al Marchese Lancia di Lombardia, che con Margherita sua moglie, e co' suoi figliuoli d'ordine di lui il condusse in Puglia, e nella Rocca di S. Felice il racchiuse, la cui disavventurata morte a suo luogo racconteremo.

Dopo la qual cosa l'Imperadore prese per moglie Isabella figliuola del Re d'Inghilterra, colla quale, condottala in Vormazia, a' 13 agosto magnificamente si sposò: ciò che avvenne sett'anni appunto dopo la morte di Jole. Ben è vero, che Giovanni Cuspiniano, Autor tedesco di molta stima, nel suo libro de Caesaribus, atque Imperatoribus Romanorum, dice che Federico ebbe sei mogli legittime, riponendo fra Jole, e questa Isabella, Agnesa figliuola d'Ottone Duca di Moravia, la quale da lui ripudiatasi maritò con Udalrico Duca di Carintia; Rutina figliuola d'Ottone Conte di Wolhertzhausen in Baviera; ed Isabella figliuola di Lodovico Duca di Baviera; e di niuna di queste tre, dice, aver generato figliuoli.

Ma che si fosse di ciò, fece imporre Federico, dopo questo suo matrimonio, una general colletta nel Reame, e fatto creare, e coronare in Colonia Re de' Romani Corrado suo secondogenito in luogo del deposto Errico, e lasciato in Alemagna l'Imperadrice, calò col Re Corrado in Italia, ed andatone a Rieti dove era il Pontefice, volle Federico, ch'il figliuolo alla sua presenza giurasse al Papa d'esser sempre fedele ed ubbidiente a Santa Chiesa; e premendo col Pontefice, che l'ajutasse contro i Lombardi suoi fieri nemici, contro i quali era disposto a mover guerra; Gregorio, che non gli volea domati, lo dissuadea, dandogli grandissime speranze, che l'avrebbe egli accordati, e postigli sotto la sua ubbidienza; ed essendo già scorsi otto anni della tregua, che Federico avea conchiusa col Soldano per dieci anni, Gregorio, che voleva rinovar questa guerra, e con ciò distornar Federico da quella contro i Lombardi, rinovò gli ordini, comandando, che ciascuno dovesse prender la croce per così santa impresa di là a due anni, con significarlo per sue lettere particolari de' 9 settembre a tutt'i Principi e città del Cristianesimo. Ma Federico bramoso di guerreggiare in tutti i modi in Lombardia, appena giunto nel Reame, ritornò di nuovo in Alemagna all'esercito per tosto ricondursi in Lombardia, come scrive il Sigonio. Riccardo di S. Germano senza far menzione di cotal andata dell'Imperadore a Rieti, dice, che in quest'anno 1236 Federico lasciato il figliuolo e la moglie in Alemagna, con convenevole esercito, valicate l'Alpi, venisse a Verona, il che parimente fu vero; ma Riccardo scrivendo con particolar diligenza gli avvenimenti di Federico nel Reame, va solo accennando gli stranieri; onde per questi, è mestieri seguire il Sigonio, il quale raccolse cotai notizie da più altri antichi Scrittori, e particolarmente da Pietro Girardo padovano, Autor di veduta nella vita di Ezelino.

Narra adunque il Sigonio, che Federico, oltremodo sdegnato per la pertinace ribellione fatta contro di lui dalla maggior parte d'Italia, scrisse sin da Alemagna al Pontefice, non poter più sostenere l'ingiurie continuamente fattegli da' Lombardi; onde il pregava, che o avesse proccurato comporre tai rumori con fargli pacificare onorevolmente coll'Imperio, o che gli avesse prestato ajuto contro di loro, e particolarmente contro i Milanesi autori di tutt'i mali, e favoreggiatori degli Eretici, e dell'altre persone di mal affare, essendo ben giusto, che egli lo corrispondesse di quello, che avea più volte fatto a favor della Chiesa contro i Romani e i Viterbiesi, e gli altri suoi ribelli, i quali per sua opera eransi ridotti alla sua ubbidienza. Ma Gregorio, che avea fini all'intutto contrarj a quei di Federico, ricevuta la lettera, rispose al medesimo, che non dovea pensare di guerreggiare in Italia, ma più tosto disporsi alla guerra di Terra Santa, e non frastornare con ciò il passaggio, che allora ardentemente si preparava di fare da' Lombardi in Soria; e che notificasse a lui le querele, che contro i Lombardi avea, perciocchè gli avrebbe fatta compiuta giustizia; e lo stesso gli significò di là a poco per Giacomo Pecorari di Pavia Cardinal di Preneste. Federico sdegnato di questa risposta, e conoscendo più apertamente i disegni del Papa, gl'inviò una forte lettera rapportata dal Sigonio, che comincia, Italia haereditas est mea, etc. , e non facendo conto delle parole del Papa, scrisse ancora il medesimo ad un altro Principe suo amico, aggiungendo voler nell'està vegnente passar in Italia, e tenere nel giorno di San Giacomo general Corte in Parma, e rendere il compenso a ciascuno delle passate ingiurie. Nè fur diverse l'opere dalle parole; perciocchè nel proposto tempo con potentissimo esercito di Tedeschi, Regnicoli, Siciliani, e Saraceni di Puglia, che avea assembrato in Alemagna, venne in Augusta, ove fu incontrato da Ezelino, che maggiormente l'accese a far guerra; e valicate le Alpi, il cui passo tentarono invano impedirgli i Milanesi, giunse a Trento, e di là a Verona. Indi passò nel Mantovano, e quivi congiuntisi seco i Cremonesi, Modanesi, ed altri Popoli a lui fedeli, venne a' confini de' Bresciani, e dopo avergli posto a sacco ed a fuoco ne andò a Cremona nel mese d'agosto, e di là a Parma, ove ragunò l'Assemblea di tutti i Principi e città amiche, e veggendo che i suoi nemici voleano fermamente persistere nella Lega, si conchiuse nel Parlamento, che far loro si dovesse aspra guerra. Fu presa Vicenza, e data a sacco ed alle fiamme, con morte e ruina di buona parte de' Vicentini suoi nemici: devastati poscia i campi di Padova, assediò Trivigi, ma non potè allora conquistarla, perciocchè fu da Pietro Tiepolo suo Podestà valorosamente difesa, e Salinguerra Signor di Ferrara cognato di Ezelino, lasciata la parte de' Lombardi, co' quali era in lega, passò all'ubbidienza di Cesare.

In questo vennegli avviso, che in Alemagna s'era contro di lui ribellato Federico detto il Bellicoso, Duca d'Austria, onde temendo non potesse ciò recargli alcun grave danno, lasciato a' suoi Capitani convenevole esercito in Italia, tornò prestamente in Alemagna, ove secondo che scrive Giovanni Cuspiniano nella sua Austria, dopo breve guerra, tolse al Duca Vienna, e tutti gli altri più importanti luoghi del suo Stato, con l'ajuto d'Ottone Duca di Baviera, del Vescovo di Bamberga, e di molti altri Prelati e Baroni tedeschi; ed il figliuol Corrado navigando all'ingiù per lo Danubio con nobilissima compagnia venne a ritrovar il padre, e seco tre mesi in Vienna dimorò; e veggendo, che al Duca ribello non rimanevano, che alcuni pochi luoghi del suo dominio, creò Vienna città imperiale, e le diede per insegna l'aquila d'oro coronata in campo negro, la qual fin oggi ancor usa. Celebrò poi una general Corte in Ratisbona; ed il Duca Federico dopo varj avvenimenti, avendo ricovrato in processo di tempo il suo Stato, venne con ducento ben armati Cavalieri a Verona, e gittatosi a piè dell'Imperadore, fu da lui non solo caramente accolto, perdonandogli i commessi falli, ma anche di nuove dignità e prerogative ornato, come nel privilegio rapportato da Cuspiniano si vede.

Ezelino intanto co' Capitani di Federico prese Pavia e Trivigi con altri luoghi di Lombardia e della Marca, usando orribilmente in tutti que' luoghi crudelissime stragi contro i nemici di Cesare, scacciando ancora dalle lor Chiese Giordano Prior di S. Benedetto, ed Arnaldo Abate di Santa Giustina.

Questi progressi dell'armi di Federico dispiacquero grandemente al Pontefice, il qual vedendo ogni giorno debilitarsi le forze de' Collegati, ed all'incontro elevato l'Imperadore in maggiore alterigia per la vittoria, che avea riportata del Duca d'Austria, pensò rattener il corso di tante vittorie con frappor trattati d'accordo; ed in fatti mandò a Federico il Protonotario Gregorio da Montelongo, perchè gli significasse, che se avea cara la pace della Chiesa, e la sua grazia, ricevesse sotto la sua fede i Lombardi, con le stesse condizioni, con le quali l'avolo suo Federico nella pace fatta a Costanza, ed il padre Errico ricevuti gli aveano, e che a sua richiesta dovesse lor cortesemente rimettere alcuna delle ragioni che vi avea. Ma Federico pien di cruccio, veggendo, che quando dal Pontefice dovea aspettar più tosto ajuto contro i Milanesi nel suo ritorno in Italia, ora usasse intercessione a lor beneficio, non ostante d'esser quelli nemici, non pur suoi, ma della Chiesa istessa, come macchiati la maggior parte di varie eresie, non volle sentire gli progetti fattigli dal suo Messo; onde Gregorio composti, come potè meglio i rumori e tumulti contro di lui eccitati in Roma per opera di Pietro Frangipane, per potere con maggior forza attendere alla difesa di Lombardia, assai più chiaramente si scoverse nemico di Federico: ed ancorchè un'altra volta si ripigliassero questi trattati, e per parte dell'Imperadore si trattassero per mezzo del Gran Maestro de' Teutonici, e Pietro delle Vigne; e per quella del Pontefice, per mezzo del Cardinal Rinaldo de' Conti nipote di Gregorio, e del Cardinal Tommaso di Capua destinati dal Papa Legati per trattar questa pace fra l'Imperadore ed i Lombardi: fu però ogni trattato vano, perciocchè gli animi d'amendue le parti erano così pieni di baldanza e d'orgoglio, che non solo nulla si conchiuse, ma anco di là a poco si cominciò fra di loro quella rinomata e crudel guerra, nella quale succedette la famosa battaglia di Cortenuova con total ruina de' Milanesi, e dell'altre città collegate, descritta da molti Autori, e perciò da noi volentier tralasciata, della quale Federico avendo riportata piena vittoria si gloriò, e più d'ogni altro, d'avervi fatto prigione Pietro Tiepolo figliuolo di Giacomo Doge di Venezia suo crudel nemico, ch'era Podestà e Governadore di Milano; ed in Cremona, a guisa degli antichi Romani volle entrar in trionfo, e nel Carroccio, che prese a' Milanesi, ove in que' tempi stava riposta la gloria della vittoria, fece legar ad un legno il Podestà Tiepolo con un laccio alla gola, che poco da poi fece impiccare.

Questa vittoria, siccome recò a Federico grandissima riputazione, così diede a tutta la Lombardia tale spavento, che da Milano e Bologna in fuori, tutte le altre città di quella al suo dominio si sottoposero, sgomentandosi ancora gli scolari dello Studio di Bologna, i quali contro l'ordine dell'Imperadore, che d'indi partir dovessero ed andare a Napoli, pur vi dimorarono, per trovarsi in cattivo stato ridotto lo Studio di quella città a cagion delle continue guerre.

Mentre l'Imperadore era in Lodi, venne a lui di Napoli nobile Ambasciaria a pregarlo in nome sì del Comune, come de' Maestri e Scolari, che dovesse far con effetto riformare e riporre detto Studio in quel lodevole stato, che conveniva; a' quali Ambasciadori lietamente di ciò, che gli chiesero compiacque, e comandò di nuovo a' suoi Ministri, che il tutto ordinassero, vietando sì bene il poter ivi venire i Milanesi, Bresciani, Piacentini, Alessandrini, Bolognesi e Trivigiani, rubelli suoi e dell'Imperio, e che dalla Toscana, dalla Marca, dal Ducato di Spoleti e da Campagna di Roma quelli solo vi potessero andare, che erano stati seguaci e partigiani d'Enzio Re di Sardegna suo figliuolo da lui creato General Vicario in Italia, come si scorge da alcune scritture del registro di Federico, ch'è l'unico di detto Imperadore, che si conserva nel reale Archivio; poichè fra le poche memorie, che de' Principi svevi si ritrovano nei reali Archivi di questa città per essere stati da' vincitori franzesi a tempo di Carlo I tolte vie e mandate a male, vi è solamente rimaso un intero Registro di Federico dell'anno di Cristo 1239 in cui si favella delle lodi della nostra città e delle franchigie degli scolari, e de' modi particolari, come esso Studio s'avea da governare.

Comandò ancora la stessa riforma dello Studio per una sua particolar lettera al Capitano del Regno di Sicilia, rapportata da Pietro delle Vigne; ed avendo parimente ordinato, che si dismettessero nel Reame ed in Sicilia ogni altro Studio pubblico, scrive poi per altre sue lettere al Giustiziero di Terra di Lavoro, che non dia per cotal ordine molestia alcuna a' Maestri, che leggeran grammatica, i quali come bisognevoli a' primi ammaestramenti de' fanciulli, non volea, che in esso ordine fossero compresi.

Nel medesimo tempo per aver dimostrato Ezelino nella battaglia di Cortenova e nell'altre guerre avvenute in Italia sommo valore e fede, seguitando le parti dell'Imperadore, Federico per essergli grato, il volle per suo genero e gli diede per moglie una sua figliuola bastarda nomata Selvaggia.

Federico ancorchè vittorioso, ed a cui quasi tutta l'Italia erasi resa ubbidiente, meditava però soggiogarla all'intutto e conquistar Milano, Piacenza, Bologna, Faenza, ed alcune altre città, che ancor duravano nella ribellione; onde partito da Italia ritornò di nuovo in Alemagna per ragunare colà di nuovo grosso esercito e ritornare nella seguente Primavera in Italia.

Il Pontefice Gregorio amaramente soffriva questi disegni di Federico, e temea non la sua potenza in Italia ponesse anche lo Stato della Chiesa in sconvolgimento; onde pensò, non avendo a chi ricorrere in Italia, d'implorare l'aiuto de' Principi stranieri: inviò perciò suoi Ambasciadori a Giacomo Re d'Aragona, detto il Conquistatore, Principe sopra ogn'altro di grandissima stima in questi tempi per le magnifiche e valorose imprese da lui fatte in discacciando i Mori da molti Regni di Spagna, acciocchè il richiedessero in nome di lui e delle città collegate sopraddette, che venisse a guerreggiare con Federico, che l'avrebbero creato Signore di Lombardia, con pagargli tutte quelle rendite e fargli tutti quegli onori che si solevano fare agl'Imperadori. Dimorava allora il Re Giacomo all'assedio di Valenza tenuta da' Mori e sdegnato con Federico per la prigionia del suo figliuolo Errico, il quale per cagion della madre Costanza gli era fratello consobrino concorse nel voler del Pontefice e promise di venire in suo soccorso con dumila cavalli e con altre condizioni, le quali vengono rapportate da Girolamo Zurita; ma poscia, qual che se ne fosse la cagione, il Re Giacomo non venne mai in Italia, ma sì bene da poi ci venne il Re Pietro suo figliuolo, benchè contro la volontà de' seguenti Pontefici e con le ragioni della Casa di Svevia che la sua moglie Costanza gli avea recate, dal quale, secondo che appresso diremo, fu la Sicilia valorosamente signoreggiata.

Federico intanto, assoldata gross'armata in Alemagna, commise al figliuol Corrado che a Verona con essa il seguitasse; ed egli passato innanzi soggiogò senz'alcun contrasto Vercelli, Torino e tutte l'altre città e luoghi circostanti; e nel seguente mese di luglio, passate l'Alpi, venne il Re Corrado con molti Prelati, e Signori tedeschi e numeroso esercito a Verona, dove il padre l'attendea e di là passò a Cremona, ed indi a Padova, ove tenne una general Corte. I Milanesi spaventati per tant'apparati, per vedersi rimasti con poca compagnia, pregarono il Pontefice, che per loro s'adoperasse appresso l'Imperadore: inviarono Ambasciadori a chiedergli umilmente la pace, con offerirgli diecimila soldati, per mandargli in soccorso di Terra Santa, purchè egli avesse conservata la città in quella libertà, nella quale allor vivea. Della cui proposta facendosi beffe Federico allor rispose, che egli gli avrebbe ricevuti, purchè senza alcun patto essi e la lor città se gli rendessero a suo arbitrio e volontà; ma i Milanesi temendo della ferocia di Federico, risolvettero morir meglio sotto l'armi in campo combattendo da valorosi soldati, che o bruciati, o di fame in prigione, o impiccati per la gola; onde ostinati alla difesa rinforzarono le mura ed i fossi della città, e la munirono di soldati e di armi, collegandosi con chiunque poterono. Ma Federico, compiuta ch'ebbe l'Assemblea, divise in due parti l'esercito, e con una assediò Brescia e l'altra inviò sopra Alessandria, ed amendue con continui assalti travagliando distrusse e rovinò il lor territorio; e mancandogli denaro per sostenere sì crudel guerra per mezzo di suoi Ministri imponeva taglie e dazj sopra i beni delle Chiese e degli Ecclesiastici, di che isdegnato Gregorio, mentre l'Imperadore dimorava in quest'assedio gli significò, che lasciasse stare in pace le ragioni della Chiesa: onde Federico stimò per racchetarlo e per difendersi da tali accuse, mandare in Alagna, ove allor dimorava, l'Arcivescovo di Palermo, il Vescovo di Reggio, Taddeo da Sessa e Ruggiero Porcaprello suoi Ambasciadori: i quali favellando col Pontefice il ritrovarono oltremodo crucciato; onde rimandarono in Lombardia l'Arcivescovo di Palermo a significare a Federico quel che bramava Gregorio, il quale, non ostante tante rivolture in Italia, che obbligavano Federico a non partirsi da quella, non tralasciava però di promuovere in questi tempi l'espedizione di Terra Santa, con invitare al passaggio molti Principi; e Federico al contrario intento alle cose d'Italia, non volea intricarsi in tale impresa; anzi compiuto il tempo della tregua col Soldano, la rinnovò per altri dieci anni, ed ordinò a Rinaldo di Baviera suo Vicario in quel Regno, che in guisa alcuna non movesse l'armi contro i Saraceni. Nè per questo si rimase Gregorio, poichè mandò molti Frati in diverse province della Cristianità ad esortare i Popoli a prender la Croce per passare in Soria, laonde s'assembrò grosso numero di Fedeli così d'Alemagna, come d'Italia e di Francia; ma quest'espedizione fu molto infelice, poichè, ancorchè Federico l'avesse dato libero il passaggio per lo suo Reame, non essendovi armata di mare, nè navi sufficienti per così gran numero di persone, la maggior parte dell'esercito s'avviò per terra, ove di disagi quasi tutti perirono.

Nel medesimo tempo sopravvenne una nuova cagione di disturbo tra il Pontefice e Federico: Enzio suo figliuol bastardo, secondo che racconta Riccardo da S. Germano, si casò in Sardegna, per cagione del qual maritaggio occupò poi il Giudicato di Torre e Galluri: se n'offese Gregorio, il quale pretendea anch'egli que' luoghi esser per antiche ragioni della Chiesa; onde allegando per messi particolari più volte il diritto, che vi pretendea, richiese Federico, che quelle ragioni fossero restituite alla Chiesa; ma l'Imperadore replicava, che quell'isola appartenea all'Imperio e che l'avolo suo Barbarossa, riconoscendone il dominio n'avea investito con titolo di Principe Guelfo suo zio materno, e poi con titolo di Re Barisone Judice d'Arborea, ed indi in processo di tempo i Pisani, e' Genovesi; sicchè non solo non glie le volle rendere, ma ne creò allora Re Enzio suo figliuolo, il quale tolta la Corona di quel Regno, operò, che alcuni potenti Baroni dell'isola occupassero molti territori e castella, che i Vescovi di quel Regno s'aveano appropriate. Per queste nuove cose, mal sofferendo il Pontefice, che Cesare divenisse più potente, entrato il nuovo anno 1239 inviò sue lettere a Federico, esortandolo a lasciar stare in pace le ragioni della Chiesa; ma avendogli risposto l'Imperadore che infino da che fu coronato, avea proposto di riporre in piedi le ragioni dell'Imperio e che perciò avea fatto occupare que' luoghi a se spettanti, e che ciò non dovea aver egli a male, essendo lecito a ciascuno ricuperar il suo. Gregorio sdegnato gravemente gli comandò di restituirgliele sotto pena di scomunica, la qual parimente dispregiata da Federico, fu cagione che nel giovedì santo di quest'anno lo scomunicasse pubblicamente in Roma alla presenza di tutti i Cardinali, e di numeroso Popolo a cotal atto ivi concorso. Questa scomunica, che contiene molte accuse contro Federico, vien rapportata da Carlo Sigonio, e dagli Annali del Bzovio e comincia: Excommunicamus et anathematizamus ex parte Dei Omnipotentis, etc. Dopo aver Gregorio con terribili formole dichiarato scomunicato l'Imperadore, diede contezza di cotal scomunica a Balduino Imperador di Costantinopoli, a Giacomo Re d'Aragona, a Ferdinando Re di Castiglia, a Lodovico Re di Francia, ad Errico Re d'Inghilterra, al Re di Scozia ed a tutti gli altri Re e Principi cristiani, inviando altresì ordine a tutti i Prelati, e particolarmente a quelli d'Alemagna, che nelle loro Chiese pubblicassero per iscomunicato l'Imperadore, assolvendo i sudditi dal giuramento di fedeltà, e sottoponendo all'interdetto tutti coloro, che l'ubbidivano. E narra Matteo Paris, che Gregorio dopo aver assoluto i sudditi dell'Imperadore dalla sua ubbidienza, scrisse a Roberto fratello di Lodovico Re di Francia, offerendogli l'Imperio; ed il Re di Francia su quest'offerta, fece convocare a consiglio tutti i Principi della Francia, per risolvere ciò che dovesse farsi, i quali detestando questo sforzo del Pontefice in pubblica Assemblea così esclamarono: Quo spiritu vel ausu temerario Papa tantum Principem, quo non est major inter Christianos, non convictum, et confessum de objectis sibi criminibus exheredavit, et ab Imperiali apice praecipitavit? Scimus quod Domino Jesu Christo fideliter militavit, moriens, et bellicis se periculis confidenter opponens, tantum religionis in Papa non invenimus. Imo qui eum debuit promovisse, et Deo militantem protexisse, eum conatus est absentem confundere, et nequiter supplantare. Nolumus nos metipsos in tanta pericula praecipitare, ut ipsum Federicum tam potentem impugnemus, quem tot Regna contra juvabunt, et causa justa praestabit adminiculum. Quid ad Romanos de prodiga sanguinis nostri effusione, dummodo irae suae satisfecerimus, si enim per nos, et alios devicerit omnes Principes mundi, conculcabit sumens cornua jactantiae, et superbiam, quoniam ipsum Federicum Imperatorem Magnum contrivit.

Era l'Imperadore nella città di Padova, celebrando ivi con gran festa la Pasqua di Resurrezione, quando gli venne novella il lunedì d'essa, come il giovedì santo era stato dal Pontefice pubblicamente scomunicato; ed ancorchè espressamente se ne dolesse nell'interno, pure simulò il contrario, e riputando la censura ingiusta, tantosto convocò un'Assemblea de' più stimati cittadini padovani, ed altri Signori italiani e tedeschi nel palagio del Comune, ed ivi, secondo scrive Pietro Girardo, favellò Pietro delle Vigne suo Gran Cancelliero lungamente in difesa di lui, lagnandosi di Gregorio, con cominciare il suo discorso da questa sentenza: Leniter ex merito quidquid patiere ferendum est: quae venit indigne poena, dolenda venit; dicendo che Federico governando sì giustamente il suo Imperio, n'era in sì fatta guisa oltraggiato dal Pontefice, e che non perchè l'avea egli scomunicato così iniquamente dovesse riputarsi fuori del grembo di Santa Chiesa, essendo egli prontissimo a sottoporsi alla Sede Appostolica in tutte quelle cose, che ricerca la divina giustizia, non già al capriccio d'un uomo, essendo egli vero e fedel Cristiano. Per la qual cosa niente curando di quella scomunica, partito da Padova con nobilissima compagnia di Baroni n'andò a Trivigi, ove onorevolmente ricevuto scrisse sue lettere a' Cardinali ed a' Romani, rampognandogli, come avean consentito, che Gregorio ingiustamente lo scomunicasse.

(Queste Lettere di Federico scritte nel 1239 si leggono presso Lunig. Cod. Ital. Diplom. Tom. 2 pag. 887, 889 e 898, siccome in contrario un Breve di Gregorio IX drizzato al Card. Ottone pag. 895).

Scrisse ancora a tutti i Re e Principi di Cristianità, purgandosi delle malvagità oppostegli dal Pontefice, gravando lui di gravissime colpe con tutti i Cardinali; e veggonsi sin ad oggi l'epistole di Federico ne' libri di Pietro delle Vigne, per le quali egli mostra, quanto a torto fosse stato così oltraggiato dal Pontefice. E ritornato poscia a Padova ingegnossi con ogni suo potere farsi partigiani ed amici i più stimati Signori d'Italia, per valersene contro il Pontefice, ed alla guerra d'Italia pose tutti i suoi pensieri.

Ma poichè il Pontefice, dopo questa scomunica per mezzo di Monaci e Frati, tentava di sconvolgergli questo Reame, Federico ancorchè intrigato nella guerra di Lombardia, vi diede però riparo, per mezzo di vari ordinamenti, che vi drizzò, discacciando dal monastero di Monte Cassino tutti que' Monaci, a riserba di solo otto Frati, che sopra il Corpo di S. Benedetto i divini Uffici celebrassero, mandandovi per custodia di quel monastero molti soldati a guardarlo: ed il munì a guisa di forte Rocca, con toglierne l'antico tesoro ed i sacri vasi d'argento e d'oro, che dopo molt'anni vi furono riposti per la previdenza de' Frati, e per la magnificenza de' passati Re ed altri Signori e Baroni del Regno. Tolse parimente a' Padri Pontecorvo e Rocca Janala. Ordinò ancora che tutti i Regnicoli, che si trovavano nella Corte romana partir dovessero da Roma, fuorchè quelli, che dimoravano a' servigi del Cardinal Tommaso e di Giovanni da Capua suoi vassalli. Discacciò dalle loro Chiese e dal Regno i Vescovi d'Aquino, di Carinola, di Teano e di Venafro. E da tutte le Chiese cattedrali, e dal monastero Cassinense, e da' suoi sudditi fece esigere un adjutorio per l'Imperadore, dando la cura a Ruggiero di Landolfo ed a Giacomo Gazzolo, a ciò eletti per lo Giustizierato di Terra di Lavoro, di raccorre la metà delle loro rendite, con parte delle quali sostentò i soldati, che dimoravano a guardia di Monte Cassino e di Pontecorvo.

E nell'istesso tempo furono da Federico ordinati gl'infrascritti Capitoli da doversi pubblicare nel Regno, e da osservarsi irremissibilmente, rapportati da Riccardo.

Primo, che tutt'i Frati di S. Domenico ed i Frati Minori di S. Francesco, nativi delle terre rubelle di Lombardia, uscissero prestamente da' suoi Stati, e da tutti gli altri Religiosi si togliesse sicurezza di non trattar cos'alcuna in disservigio di lui. II Che tutt'i Baroni e Cavalieri, che per l'addietro avessero seguito le parti del Pontefice, e particolarmente quelli, che aveano le loro Baronie a' confini d'Apruzzo e di Campagna, dovessero andare in ordine con armi e cavalli in Lombardia per servirlo in Campo a loro spese, e quegli che non eran agiati di moneta, col soldo, che egli avrebbe lor fatto pagare. III Che dalle Chiese cattedrali s'esigesse per lui, e s'imponesse per l'imperial Corte un adjutorio secondo il modo e potere delle loro ricchezze, e parimente da' Canonici e Preti sudditi di quella diocesi e da' Cherici ancora, secondo le loro facultà: ed il medesimo si dovesse esigere dagli Abati, Monaci negri e bianchi. IV Che tutti quei che sono nella Corte romana, eccetto gli esclusi ed i sospetti debbiano ritornare tosto nel Regno, e facendone il contrario, i loro beni saranno confiscati e dopo la citazione, se non ubbidiranno, non si permetterà loro più ritornare. V Che i beni ed i beneficj di quelli Cherici, che non sono del Regno, debbiano tutti confiscarsi. VI Ordinò, che niuno potesse nè gire dal Regno in Roma, nè venir da Roma nel Regno senza licenza de' Giustizieri delle province d'Apruzzi e di Terra di Lavoro. VII Che si stabilissero esploratori acciocchè niuno, sia mascolo o sia femmina, entrando nel Regno, portasse lettere, o altre scritture del Papa contro di lui, e che se fossero trovati, fossero fatti morire o Chierico o Laico che egli si fosse.

Ma non perchè queste ostilità fra di loro si praticassero, tralasciò Federico di mandare a Roma li Vescovi di S. Agata e di Calvi per trattar co' Cardinali di trovar modo di composizione; ma tosto che Gregorio seppe la lor venuta in Roma, furono da lui discacciati, e ritornarono indietro nel Reame senza conchiuder cosa alcuna.

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