CAPITOLO II.

Spedizione de' Siciliani in Grecia: nozze tra Costanza ed Errico Re di Germania; e morte del Re Guglielmo e sue leggi.

Ma ritornando al nostro Guglielmo, molto poco ci rimane da notare de' fatti di questo savio Principe; poichè terminando qui l'istoria dell'Arcivescovo Romualdo, e non essendovi altri autori di que' tempi, fuor che la Cronaca dell'Anonimo Cassinense, che si conserva in Monte Cassino, alla quale Camillo Pellegrino fece alcune note, l'altra di Riccardo da S. Germano, Roberto del Monte, e Niceta autor Greco, che alcune cose brevemente scrivono di Guglielmo, rimangono tutti gli altri avvenimenti del Reame con l'opere di sì buono e glorioso Re per lo spazio di undici anni poco men che nascose fra le tenebre dell'antichità. Alcune cose andarono rintracciando con somma diligenza Capecelatro, e l'accuratissimo Inveges, l'orme de' quali come più sicure, a noi piace di seguitare.

Intanto il Pontefice Alessandro ristabilito in Roma, volendo dare a' disordini passati qualche riparo, nel seguente anno 1179 come notarono l'Anonimo Cassinense e 'l Pellegrino, fece convocare in Roma un general Concilio nella chiesa di S. Giovanni Laterano, ove intervennero ben trecento Vescovi, oltre agli Abati e grosso numero d'altri Prelati. Si dannarono in esso molte eresie, che eran surte fra' Cristiani: si fecero molti decreti attinenti a reprimere l'avidità di coloro, che davano denari in prestanza con pattuir grosse usure, stabilendo i modi legittimi in queste contrattazioni; ed altri decreti furon statuiti bisognevoli a ristorar delle passate confusioni la Chiesa di Roma.

Ma nell'anno seguente 1180 ad impresa più gloriosa rivolse Alessandro i suoi pensieri: egli scrisse a tutti i Principi cristiani, ed a' Vescovi e Prelati della Chiesa, esortandogli a passar in Palestina, e contrastar con l'armi in que' santi luoghi al Saladino Soldano di Babilonia, Principe non men savio, che valoroso, ch'era al padre Saracone nella Signoria succeduto, e travagliava i Cristiani che colà dimoravano. I primi, che si disposero con grande e poderosa oste a passar oltre mare, furono Errico Re d'Inghilterra, e Filippo Re di Francia; ma Alessandro, che così lodevolmente avea mossi i Principi cristiani a quest'impresa, non potè vederne i successi; poichè verso la fine dell'anno seguente 1181 il settimo giorno di settembre passò di questa vita in Roma, dopo aver per ventidue anni retto il Ponteficato. Fugli tantosto dato il successore, che fu Ubaldo da Lucca Cardinal d'Ostia, il quale si nomò Lucio III.

Era poco prima in Costantinopoli accaduta parimente la morte dell'Imperador Emmanuele, e gli succedette nell'Imperio il suo figliuolo Alessio. Ed intanto il nostro Guglielmo avendo per l'occasione, che rapporta Roberto del Monte, fatta tregua per dieci anni col Re di Marocco, se ne passò nell'anno 1183 da Palermo in queste nostro parti, ed avendo visitato Monte Cassino, ritornando in S. Germano, andò da poi in Capua, donde poi a Palermo restituissi.

Intorno a questi tempi nacque in Assisi città della Umbria da Pietro Bernardone, uomo d'umil condizione, Francesco, quegli che acquistossi fama d'un gran Santo, e diede stabile fondamento alla Religion de' Frati minori, e che fu pianta così fertile, che in progresso di tempo empiè il nostro Reame di tanti monasteri di Frati del suo Ordine, che non fu il lor numero inferiore a quelli che vi si erano già fondati per la fama e santità de' Monaci di S. Benedetto; di che ci sarà data occasione di ragionare, quando della politia ecclesiastica di questo secolo tratteremo.

Morì poco tempo da poi in Palermo nell'istesso anno 1183 la Reina Margherita, la quale essendo stata donna di molto avvedimento, ebbe gran parte nel governo del Reame, così mentre visse il marito, come da poi che gli succedette il figliuolo. Fu ella con nobil pompa fatta seppelire dal Re Guglielmo in Monreale nella chiesa novellamente da lui edificata a lato alle sepolture de' suoi due figliuoli Ruggiero ed Errico. Donna d'incomparabile pietà, che oltre aver fondato una Badia in Sicilia alle falde del Monte Etna, che arricchita di molti beni diede a' Padri di S. Benedetto, accolse caramente in Palermo i compagni di Tommaso Arcivescovo di Cantuaria, i quali erano stati dal Re d'Inghilterra sbanditi dal suo Regno.

Intanto il Saladino stringeva aspramente i Cristiani in Palestina avendogli con la continua guerra ridotti in pessimo stato; onde vennero in Roma il Patriarca di Gerusalemme e l'Arcivescovo di Tiro, con altri Ambasciadori del Re Baldovino e degli altri Principi, che colà dimoravano, a chieder presto e potente soccorso contro sì fiero nemico. Questi essendo stati caramente ricevuti dal Pontefice Lucio, furono da lui con altre sue lettere inviati per tale effetto ad Errico Re d'Inghilterra, ed a Filippo Re di Francia, i quali avendo presa la Croce bandita dal Papa per opra sì pia, si posero di presente all'ordine con Guglielmo Re di Scozia, e con altri gran Signori e Baroni di Francia e d'Inghilterra per passare in Siria. Ma mentre il Papa sollecitava ciascun giorno frettolosamente il passaggio, sorpreso da grave infermità passò da questa vita in Verona li sette di dicembre del 1183, e fu nel Duomo di quella città onorevolmente sepolto, essendo stato tantosto eletto per suo successore Uberto Crivello milanese, il quale si nomò Urbano III.

Erano seguiti intanto nella città di Costantinopoli gravi movimenti e revoluzioni contro i Latini, che vi albergavano, per opra di Andronico tiranno, il quale tolto di voler de' Greci l'Imperio ad Alessio, entrando con oste armata dentro la città, investì furiosamente i Latini, facendene strage grandissima, ed incendiando i loro alberghi, ove perirono crudelmente abbruciate le donne, i vecchi, ed i fanciulli, senza perdonar nemmeno alle chiese, nè a' Preti, nè a' Frati, il tutto mandando indifferentemente a fuoco ed a fiamma. Questi avvenimenti ed oltraggi fatti dal Tiranno a' Latini, mossero il nostro Guglielmo a prender vendetta d'Andronico, il quale non contento di ciò, aggiungendo fallo a fallo, avea fatto morire strangolato con una corda d'arco il giovanetto Alessio, e n'avea occupato l'Imperio; perciò Guglielmo in quest'anno 1185 ragunò una ben grande armata in Sicilia, e v'ordinò Capitano il Conte Tancredi, che fu il quarto Re di Sicilia, inviandolo a' danni della Grecia sotto la scorta di Margaritone suo Ammiraglio, il quale prese e saccheggiò Durazzo e Tessalonica con molti altri luoghi, ove gli adirati Siciliani commisero ogni sorta di crudeltà senza aver riguardo a cos'alcuna, non avendo ardire Andronico d'uscir loro all'incontro, e porger alcun riparo a tanti danni. I Greci vedendosi così crudelmente da' Siciliani assaliti, e che Andronico mostrava di non molto curarsi de' loro travagli, cominciarono ad odiarlo in maniera, che tumultuando in Costantinopoli, tosto lo deposero dall'Imperio, e l'irata moltitudine, che non sa rattenersi fino che non pervenga all'ultima estremità, non contenta d'averlo deposto, avventossegli furiosamente sopra, e con gravi tormenti obbrobriosamente l'uccise. Surse tosto ad occupar la Signoria Isaac Angelo, il quale ragunate, come potè meglio, le forze de' Greci, diede sopra i Siciliani con tanto impeto, che postigli in fuga, gli discacciò alla fine da quelle regioni, come rapporta Niceta Coniate lor Scrittore.

Trovavasi però il Re Guglielmo assai più afflitto, ch'essendo già passati nove anni da che sposossi la Regina Giovanna, nè per la di lei sterilità vedendo di quella prole alcuna, cominciò a pensar seriamente ai mali, che dopo la sua morte, sarebbero accaduti nel Reame, se anticipatamente non provedesse, e pensasse al successore. Non vi era altro del suo sangue legittimo de' Re normanni, che Costanza postuma del Re Ruggiero suo avolo, poichè di Tancredi, ch'egli molti anni prima avea richiamato dalla Grecia, ed investito del Contado di Lecce, che fa di Roberto suo avolo materno, non si teneva alcun conto, riputandolo bastardo, come nato da Ruggiero figliuolo sì del Re Ruggiero, ma d'illegittimo matrimonio, come si è detto. Perciò questa Principessa era da molti ricercata; e narra il Sigonio, che a quest'istesso anno 1185 Federico Imperadore, il quale fin dall'anno 1177 avea con Guglielmo fermata per 15 anni la pace, mandò a richiederla per Errico suo figliuolo, e Re di Germania. Guglielmo, che si vedea senza speranza d'aver figliuoli, piegò l'animo alla dimanda, confortato ancora da Gualtieri Arcivescovo di Palermo; il quale covando odio grandissimo contro Matteo Vicecancelliere della Sicilia, per la cui opera era stata sottratta dalla sua giurisdizione la chiesa di Monreale dal Re Guglielmo, come dicemmo, pensò non d'altra maniera potergli venir fatto di porre a terra la potenza di Matteo suo emolo, come scrive appunto Riccardo da S. Germano, se non che dovendo il dominio del Regno passare ad altra famiglia per mezzo di Costanza, a cui di ragion toccava di proccurare che le nozze già diliberate, si conchiudessero con Errico di Svevia Re d'Alemagna figliuolo dell'Imperador Federico, acciocchè avendo egli a succedere nella Sicilia, riconoscesse tal beneficio da lui, e ponesse a terra la potenza di Matteo. In effetto si adoperò egli tanto, che finalmente indusse Guglielmo a pattovir le nozze con Errico, ed in quest'anno 1186 stando Costanza custodita nel palagio reale, non avendo più che trentuno anno, fu fatta partir da Palermo, e condotta in Milano, ove era Errico, ivi con nobil pompa furono le nozze celebrate.

Ma essendo questo un passo d'istoria, che gli Scrittori moderni l'han intralciato di molte favole, sarà bene, che per maggior chiarezza si scuoprano qui tutti i loro errori. Alcuni narrano, che Costanza fu Monaca lungo spazio d'anni nel monastero di San Salvatore in Palermo, postavi dal padre Ruggiero per una profezia fattale dal cotanto famoso Abate Giovachino calabrese, alla quale, essendo ella ancor fanciulla, disse che per cagion di lei si sarebbe acceso un gran fuoco in Europa, e che sarebbe stata la ruina della sua schiatta.

Altri, considerando, che questo racconto mal si adattava a ciò che gli Autori di quei tempi concordemente scrissero, che Costanza nacque dopo la morte di Ruggiero, onde non poteva l'Abate Giovachino predir nulla di lei a richiesta di Ruggiero, quando non era ancor nata: dissero, che il presagio fu fatto non già a richiesta del padre, ma di Guglielmo I suo fratello, il quale atterrito dell'infausto vaticinio, pensò per ischivarlo di chiuder la fanciulla nel soprannomato monastero.

Bernardo Giustiniano nipote del Beato Lorenzo, pur disse, che il Re maritò Costanza con Errico per instigazione e comandamento di Alessandro III quando Alessandro era già morto sin dall'anno 1181. S. Antonino Arcivescovo di Fiorenza, non ostante che Clemente III non era ancor Papa, e cominciò a seder l'anno 1188 scrisse, ch'essendo Costanza invecchiata nel monastero, il Pontefice Clemente III per escluder Tancredi dalla successione del Regno, e gratificar Errico, l'avesse fatta cavar di furto dal monastero, e dispensando al monacato, l'avesse maritata già vecchia con Errico per torre il Regno a Tancredi. Peggiore fu l'error del Fazzello, che rapporta, nell'Archivio romano, e ne' pubblici decreti, leggersi ancora i diplomi, ed i decreti di Celestino Papa, co' quali dispensò al monacato, e voto di virginità fatto da Costanza; quando Celestino ascese al Ponteficato nell'anno 1191, ed il Papa favorì sempre Tancredi contro Errico, come diremo da qui a poco. Ma questi favolosi racconti ben si convincono di menzogna dal considerare, che niuno degli Autori di que' tempi fan menzione di questi fatti, per altro da non tacersi.

Ugone Falcando, favellando due volte di Costanza, in un luogo parla di lei come educata e nudrita nel regal palagio, non già in alcun monastero: Sic et Constantia primis a cunabulis in deliciarum tuarum affluentia diutius educata, tuisque instituta doctrinis, et moribus informata, tandem opibus suis barbaros ditatura ditescit. E nell'altro luogo della sua istoria, narrando che i Messinesi credevano, quando si rivoltarono contro Odone Querello, e gli dieder morte, che i partiggiani del Cancelliere Parzio la volessero dare per moglie a Gaufrido Parzio fratello del Cancelliere, per dargli convenevol cagione di occupare il Reame, dice: Et Constantiam Rogerii Regis filiam uxorem ducere, inde sibi dandam occasionem existimans, ut videretur Regnum justius occupare; nè dice cos'alcuna del Monacato, del quale se fosse stato, era mestiere favellare in amendue i luoghi.

Arnaldo Abate Autor di que' tempi, che scrisse particolarmente la magnificenza, con che fur celebrate queste nozze in Milano, nemmeno ne fa parola. L'Arcivescovo Romualdo, il Neubricense, le Appendici all'Abate Uspergense, Papa Innocenzio nel 3 libro delle sue Epistole, ove più volte fa menzione di Costanza, di ciò non ne dicon parola; e pure come cosa sconvenevole, nè mai intesa, che una Monaca prendesse marito, era mestieri, che ne favellassero. Al quale fatto apertamente anche repugna il dire, che si facesse il matrimonio di voler del Pontefice, ritrovandosi tutto in contrario; perciocchè il Pontefice favoreggiò Tancredi all'acquisto del Regno; e non disapprovando il fatto de' Siciliani, che l'incoronarono Re, gliene diè tosto l'investitura, come innanzi vedremo.

Goffredo da Viterbo autor di veduta, parlando di Costanza, per cagion della pace fatta tra Cesare ed i Lombardi, dice esser nata postuma del Re suo padre, ed essersi maritata di trenta anni con Errico: ecco i suoi versi:

Fit Regis Siculi filia sponsa sibi.

Sponsa fuit speciosa nimis, Costantia dicta.

Posthuma post patrem materno ventre relicta,

Jamque tricennalis tempore virgo fuit.

E fatto il conto dall'anno, nel qual morì Ruggiero, che fu di Cristo il 1154 come scrive Roberto Abate ed il Fazzello, vedesi, ch'essendo ella nata dopo la morte del padre, quando prese marito, che fu in quest'anno 1186 non poteva avere, che trentuno anno in circa. E secondo il conto d'Inveges, che nell'anno 1185 dice esser conchiuse queste nozze, non avea più che trent'anni.

E finalmente Riccardo da S. Germano, la cui Cronaca non capitò alle mani del Baronio, parlando di tal maritaggio, dice chiaramente Costanza esser dimorata nel real palagio e non nel monastero di S. Salvatore, nè favella cos'alcuna del Monacato; e dice essere stata data ad Errico per opera dell'Arcivescovo Gualtieri, e non del Papa: ecco le sue parole: Erat ipsi Regi amita quaedam in Palatio Panormitano, quam idem Rex, de consilio jam dicti Archiepiscopi, Henrico Alamannorum Regi filio Federici Romanorum Imperatoris in conjugem tradidit. Il qual Autore aggiunge, che per consiglio dell'istesso Arcivescovo Gualtieri anche si stabilì la dote, che fu l'indubitata successione del Regno di Sicilia: Quo etiam procurante factum est, ut ad Regis ipsius mandatum, omnes Regni Comites Sacramentum praestiterint, quod si Regem ipsum absque liberis mori contingeret, amodo de facto Regni tanquam fideles ipsi suae Amitae tenerentur, et dicto Regi Alemanniae viro ejus. Onde il Re mandò Costanza da Palermo a Rieti, accompagnata con gran corteggio di Conti e Baroni, ove il Re Errico per suoi Ambasciadori pomposamente la ricevè, e condotta a Milano, fu ivi dall'Imperador Federico suo suocero ricevuta, e negli orti di S. Ambrogio con splendidissimo apparato fecero celebrare le nozze in quest'anno 1186.

Così avendo Guglielmo conchiuse queste nozze con Errico, credette aver dato qualche sesto alle cose del suo Reame; ma d'altra più remota parte venner queste disturbate coll'infauste novelle de' progressi, che Saladino faceva nella Siria. Questi avendo ragunata un'immensa moltitudine di soldati prese a forza la città di Tiberiade; ed indi affrontandosi con l'esercito cristiano il ruppe e pose in fuga, e prese il santo legno della Croce. Fece prigioniero il Re di Gerusalemme con orribil uccisione di Cavalieri Templari, e dell'Ospedale, e di altri soldati minori, campando a gran fatica con la fuga Fr. Terrico Gran Maestro dei Templari, il Conte di Tripoli e Rinaldo da Sidone, con alcuni altri pochi soldati. Col favor della quale vittoria prese il Soldano Accone, Cesarea, Nazarette, Bettelemme e tutti gli altri circonvicini luoghi, ed assediò strettamente la città di Tiro; ed indi a poco diviso il suo esercito, n'andò con una parte di esso sopra la città santa di Gerusalemme e quella prese il secondo giorno d'ottobre dell'anno di Cristo 1187. Ed ecco come i giudizj del Signore sono inarrivabili: questa città, che da Goffredo Buglione, con altri illustri Capitani italiani, tedeschi e francesi erasi con tanta gloria sottratta dall'indegna servitù degl'Infedeli, ora dopo lo spazio d'ottanta sette anni, ritorna di nuovo in man de' Barbari, senza che abbiasi speranza mai più liberare dalla loro dura e crudele dominazione.

Nè terminarono qui i mali d'Oriente ma, per maggior danno de' Fedeli, si collegò Saladino con Isaac Angelo Imperadore di Costantinopoli, il quale ricevendo in dono da lui tutta la Terra di promissione, gli promise all'incontro d'aiutarlo nella guerra con cento galee armate, e di dare impedimento a tutti i Latini che passavano per guerreggiare in Siria: onde il Pontefice Urbano udita la rea novella della perdita del Sepolcro di Cristo e del santo legno della Croce, della presura del Re di Gerusalemme e della Lega del Soldano coll'Imperador di Costantinopoli, si afflisse sì gravemente, d'esser ciò avvenuto a' suoi tempi, che ne cadde perciò in una grave malattia, della quale in breve si morì in Ferrara il decimo sesto giorno di novembre, 44 giorni appunto dopo la perdita di Gerusalemme, e nel dì seguente fu tosto in suo luogo creato Papa Alberto Cardinal di S. Lorenzo in Lucina e Cancelliere di Santa Chiesa, nato in Benevento della famiglia Mora, che si volle nomare Gregorio VIII. Fu questi un uom santissimo, nè altro fece in quel breve tempo, che e' visse Papa, che sollecitare i Principi cristiani, che con grossa armata gissero in Palestina a soccorrere i Latini; e mentre era tutto rivolto a così lodevole opera si morì anche egli in Pisa, ove dimorava, avendo men di due mesi retto il Ponteficato; e venti giorni dopo la sua morte fu eletto Pontefice nella medesima città Paolino Scolari romano, nato d'umil condizione, Cardinal di Palestrina, che fu detto Clemente III.

Questo Pontefice, calcando le medesime orme dei suoi predecessori, s'adoperò efficacemente, che con effetto si gisse al soccorso di Terra Santa, confermando l'indulgenze, che per tal cagione concedute avea Papa Gregorio; laonde, e per la sua diligenza, e per quella di Guglielmo Arcivescovo di Tiro, che era andato in Francia, si ragunò un'Assemblea tra Gisorzio e Trie, ove convennero Filippo Re di Francia ed Errico Re d'Inghilterra co' Prelati e Baroni de' lor Regni, e Filippo Conte di Fiandra, i quali presa dalle mani dell'Arcivescovo Guglielmo la Croce, subito nell'anno 1188 s'incamminarono per così santa e lodevol impresa, e per conoscersi fra di loro con particolar segno, presero il Re Filippo ed i suoi Franzesi la Croce rossa, il Re Errico e gl'Inglesi la bianca, ed i Fiamenghi con Filippo lor Conte la preser verde. L'Imperador Federico, che non meno degli altri volle in quest'occasione mostrar la sua pietà, racchetatosi col Papa, col quale era stato in qualche discordia, prese anch'egli per mano d'Errico Cardinal di Albano la Croce, per passare in Palestina, e si apprestò al passaggio sì frettolosamente, che fu il primiero a girvi.

Nè deve altrui recar maraviglia, se fra tanti Principi illustri, ch'erano esortati da' Pontefici a gire in Gerusalemme, non s'annovera mai il nostro Re Guglielmo, il quale per la ricchezza de' suoi Reami e per la vicinanza d'essi alla Grecia, donde si facea comunalmente il passaggio, e più per le sue poderose armate di mare, era sopra ogni altro atto a passarvi potentissimo; perciocchè (siccome disse di lui l'Arcivescovo Romualdo favellando in Vinegia a Cesare) attendeva egli continuamente a così lodevole opera, aiutando con sue galee i peregrini, che givano al Sepolcro, e porgendo soccorso a' Fedeli, che colà militavano; onde non era mestieri sollecitarlo a tal bisogna, alla quale egli continuamente badava.

Con tale occasione narrasi che Federico, prima di passare in Palestina, avesse scritto quella lettera minatoria al Saladino, ordinandogli con gravi e pesanti parole, che restituisse tosto i luoghi da lui ingiustamente occupati in Siria; e che all'incontro il Soldano con non disugual orgoglio gli avesse risposto, burlandosi di lui, e de' suoi Collegati, e de' suoi vanti e minacce, ond'era ripiena la sua lettera. Amendue queste epistole si leggono negli Annali d'Inghilterra di Ruggiero e di Matteo Paris; e furono anche inserite da Capecelatro nella sua Istoria de' Re normanni. Che che sia della lor verità, egli è costante che Cesare avendo ragunato un grande esercito, che giungeva a cento cinquantamila soldati con un armata di mare di cinquantacinque navi, s'avviò in Terra Santa nel seguente anno 1189, ma per le frodi dell'Imperador greco (che oltre alla Lega fatta col Soldano, temea, siccome gli era stato falsamente predetto da Dositeo Monaco, che Federico fingendo d'andare in Palestina, non poscia si volgesse sopra Costantinopoli, ed occupasse quella città) dimorò a giungervi un anno intero, avendo sofferto nel passar per le regioni de' Greci, secondo i lor costumi rapaci e senza fede, danni ed ostacoli gravissimi.

Ma ecco che nuovo ed inaspettato turbine pose in gravi sconvolgimenti e rivolture i Reami del Re Guglielmo. Questo Principe, che appena giunto a perfetta età avea con tanta prudenza e giustizia governato i suoi Regni, assalito in Palermo da grave malattia nel più bel fiore di sua età, non giungendo più che a trentasei anni, vien a noi rapito da troppo acerba ed immatura morte nel mese di novembre di quest'anno 1189 dopo ventitrè anni di Regno. Fu egli con nobil pompa sepolto nella chiesa di Monreale a piè della tomba del Re suo padre. Nè si può esprimere quanto fosse stato grande il dolore de' suoi vassalli, i quali per le molte e lodevoli virtù ch'erano in lui, aveano nel suo Regno goduto con rara felicità una ben tranquilla e lieta pace. A ciascuno fu lecito intender le cose come volle, e dirle come l'intese: nè eran gravati d'esorbitanti ed eccessive taglie, come in tempo del Re Guglielmo suo padre; tanto che non solo Federico II, ma, ne' tempi posteriori, Carlo II d'Angiò volendo dar tranquillità e pace al suo Regno, non seppe farlo in altra forma, se non di comandare, che si vivesse senza gravezze, siccome al tempo di questo buon Guglielmo. Egli trapassò per le sue egregie virtù non solo tutti gli altri Re, che allora furono, ma parimente Roberto Guiscardo e Ruggiero suoi Avoli, Principi di fama magnifica. Era, come scrive Riccardo da S. Germano, i! fiore de' Re, corona de' Principi, specchio de' Romani, onore dei Nobili, confidanza degli amici, terrore de' nemici, vita e virtù del Popolo, de' poveri e de' peregrini salute, e fortezza de' travagliati: il culto della legge e della giustizia nel suo tempo fioriva nel Regno, ognuno era della sua sorte contento, in ogni parte vi era pace e sicurtà, il viandante non temeva le insidie de' ladroni, nè il navigante i pericoli de' corsari. Ma assai più deplorabile e funesta sperimentarono i suoi Regni la di lui acerba morte, perchè mancando egli senza prole, si videro assorti da infinite calamità, che sotto il governo d'Errico Svevo soffrirono, onde tanto maggiormente apparve chiara, e si fece desiderabile la sua bontà. Non avendo egli generato prole alcuna da Giovanna figliuola d'Errico Re d'Inghilterra, lasciò che gli succedesse nella Signoria Costanza sua zia la quale, da ch'egli era in vita, avea fatta giurare erede insieme col marito Errico in un'Assemblea tenuta per tal cagione a Troja di Puglia.

§ I. Leggi del Re Guglielmo II.

Poche leggi di questo Principe ci lasciò Pietro delle Vigne nella compilazione, che fece d'ordine di Federico delle nostre Costituzioni, ma tutte sagge e prudenti.

La prima è quella, che si legge nel libro primo sotto il titolo de Usurariis puniendis, ove si comanda, che tutto le quistioni attinenti a' contratti usurarj s'abbiano a diffinire secondo i decreti modernamente stabiliti in Roma dal Pontefice Alessandro nel Concilio, che tenne in Laterano; ond'è, che tal Costituzione non a Guglielmo I ma a lui ed alla sua pietà debba riferirsi, come abbiamo sopra notato trattando delle leggi di suo padre.

La seconda, che leggiamo nel medesimo libro sotto il titolo Ubi Clericus in maleficiis debeat conveniri, riconosce parimente questo Guglielmo per suo Autore. Fu quella, come si è detto, da Guglielmo stabilita a richiesta dell'Arcivescovo di Palermo, colla quale ordinò, che la cognizione de' delitti de' Cherici, per quanto s'appartiene alle lor persone, sia degli Ordinarj, i quali possano giudicargli secondo i canoni ed il diritto canonico, eccettuando i delitti di fellonia ed altri atroci, la cognizione de' quali fosse riserbata al Re ed alla sua Gran Corte.

La terza ed ultima, che abbiamo di questo Principe è quella che si legge nel libro terzo sotto il titolo de Adulteriis coërcendis. Fu questa insieme colla precedente ordinata da Guglielmo a richiesta parimente dell'Arcivescovo di Palermo. Si concedeva per quella la cognizione de' delitti d'adulterio, quando non vi era violenza, parimente agli Ordinarj de' luoghi; la quale ebbe per lungo tempo il suo vigore ed osservanza in ambedue i Reami di Sicilia; e nel Regno di Costanza abbiamo una carta della medesima rapportata dall'Ughello, nella quale s'ordina il medesimo. Ma in progresso di tempo con disusanza venne quella a mancare, ed oggi presso noi i delitti d'adulterio vengono indifferentemente, o vi sia violenza o non vi sia, conosciuti da' Giudici secolari, e nemmeno si concede agli Ecclesiastici di riputargli come di misto Foro, come più a lungo vedrassi, quando della politia ecclesiastica degli ultimi secoli parleremo.

Queste poche leggi sono a noi rimase di così saggio e buon Principe, nel Regno del quale nemmeno le leggi delle Pandette di Giustiniano ebber forza ed autorità di legge, ma duravano ancora nel lor vigore le leggi longobarde, a tenor delle quali nel Foro venivano le cause decise. Bella testimonianza, siccome altrove fu notato, ce ne somministrò a noi il diligentissimo Pellegrino, il quale tra le reliquie dell'antichità cavò fuori un istromento di sentenza, siccome allora praticavasi, profferita a' tempi di questo Guglielmo nell'anno 1171 sopra una controversia insorta tra i cittadini di Sessa, ed il Vescovo e cittadini di Teano per un corso d'acqua; la quale si decise a favor de' Suessani, secondo le leggi longobarde, le quali l'accuratissimo Pellegrino si prese la cura additare nella margine di quella.

Fu la morte di Guglielmo non guari da poi seguita da quella dell'Imperador Federico, il quale dopo aver superati i tanti ostacoli frappostigli da' Greci, e dopo aver più volte felicemente combattuti i Turchi, e notabilmente sconfittigli, prese per forza d'arme, e diede a ruba la città d'Iconio; ma pervenuto poi nella minore Armenia, ed albergato un sabato da sera in un luogo detto Jaradino, s'avviò poi verso il fiume Calep, ove a gran disagio per asprissimi monti giunse la vegnente domenica nel quarto giorno di giugno; ed avendo desinato in riva del fiume, dove trovò una piacevole valle, fastidito dalla noja delle continue battaglie e del viaggio, che per un mese intero patito avea, volle ristorarsi alquanto con bagnarsi nuotando; il perchè entrato ignudo nel fiume, che rapido e profondo correva, miseramente vi s'affogò; ed il suo corpo raccolto dall'acque, fu in processo di tempo condotto da' suoi in Alemagna, ed ivi onorevolmente sepolto. Ma l'Arcivescovo di Tiro, seguitato dal Sansovino, rapporta in una maniera più verisimile questa morte; che volendo Federico passare quel fiume, inciampò il cavallo, ed essendo egli vecchio, cadde giù con tanta ruina, che fu portato in braccio da' suoi, ed indi a poco morì, e fu sepolto in Tiro; non avendo niente del verisimile, che un Imperadore così grave d'anni, deposto il suo decoro, si spogliasse, ed andasse a nuotare nel fiume per rinfrescarsi, e s'affogasse.

(Le varie relazioni degli Scrittori intorno a questa morte di Federico, possono leggersi presso Struvio).

Ecco come muore questo glorioso Principe: muore per maggior danno de' Cristiani di Palestina, e della nostra religione in quelle parti; e vedi intanto quanto siano incomprensibili i divini giudizj. Egli con felicissimo corso di vittoria, siccome avea già incominciato, avrebbe agevolmente ricuperati dalle mani del Saladino tutti que' santi luoghi, che novellamente avea presi, ed avrebbe fatto correr la Croce di Cristo in più remote regioni ove non era adorata; all'incontro quando favoreggiava lo scisma contro Alessandro III e perseguitava gli altri romani Pontefici, visse per incomodo della Chiesa di Dio, ed ora, ch'era rivolto a così pietoso passaggio, e così giovevole al Cristianesimo, per morte pur troppo acerba ed immatura venne a' Fedeli involato.

Fu Federico (toltane quella boria, nella quale l'avean posto i nostri Giureconsulti, d'essere Signore del Mondo, non altrimente che vantavano essere gli antichi Imperadori romani, ciò che fece parer gravoso e duro il suo Imperio alle città di Lombardia, ed a' Pontefici romani) un grande e valorosissimo Principe, e sopra tutto amator delle lettere e degli uomini letterati di que' tempi. Quindi fu, che col suo favore s'accrebbe in Italia lo studio della giurisprudenza, e sursero quei tanti Giureconsulti, che cominciarono, tratti dalla novità ed eleganza delle Pandette e degli altri libri di Giustiniano, ad esporle nelle loro Accademie; e scrive Ulrico Uber che Federico Barbarossa fosse stato il primo, che all'Accademie, oltre la nozione, avesse conceduto anche la giurisdizione, ed imperio ne' suoi. E furono da lui i Giureconsulti favoreggiati in guisa, che ad esempio degli antichi Imperadori romani, erano fatti partecipi delle maggiori deliberazioni ed assunti al suo Consiglio, e sovente preposti al Governo e Consolati di molte città d'Italia.

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