CAPITOLO III.

Della compilazione de' libri feudali; e loro Commentatori.

In questi tempi si fece da' Giureconsulti di Milano quella compilazione de' libri feudali, che con progresso di tempo acquistò in Europa, ed in tutte l'Accademie e Tribunali del Mondo cristiano tanta autorità e vigore, che fu riputata, come una delle parti della ragion civile; essendo stati aggiunti i libri de' Feudi alle leggi romane, i quali dopo le Novelle di Giustiniano, costituiscono oggi la decima Collazione: non che veramente i libri feudali fossero del corpo della ragion civile, e perciò se ne fosse formata la decima collazione, come reputarono Giasone e Bartolo, ed altri nostri Dottori, ripresi perciò da Molineo; ma perchè la loro autorità fu tanta, che meritarono essere uguagliati a' libri delle leggi civili de' Romani.

Ma poichè da' nostri Scrittori questa parte non fu trattata con tutta quella diligenza e dignità che si conveniva, tanto che infinite controversie sono perciò in fra di loro poscia nate; perchè non bene han saputo distinguere i tempi, ne' quali questi libri acquistarono vigor di legge in queste nostre province; perciò, essendo ciò particolar nostro istituto, sarà bene, che qui se ne ragioni con tutta quella maggior esattezza, che possono promettere le nostre deboli forze, con l'avvertenza, che per non tornar di nuovo a favellar dell'uso e della varia fortuna di questi libri, qui si porrà insieme tutto ciò, che anche ne' tempi posteriori avvenne de' medesimi.

Da' precedenti libri di quest'Istoria ha ciascuno potuto comprendere, che introdotti in Italia i Feudi, non vi fu per essi, prima di Corrado il Salico, alcuna legge scritta, che regolasse le loro successioni, la lor naturalezza, e tutto ciò che ad essi s'apparteneva. Essi secondo gli usi e costumi introdotti nella città, così si regolavano; e poichè, siccome nell'altre cose, i costumi delle città sono varj e diversi, così ancora avvenne de' Feudi, che in una città d'Italia si regolavano d'una maniera; ed in un'altra, di un altro modo. Così in Cremona, Pavia e Milano il vassallo senza la volontà del Signore poteva alienare il Feudo, ma in Mantua, in Verona, ed in alcuni altri luoghi non poteva farlo senza il consenso del padrone.

In Piacenza colui, che investiva alcuno d'un Feudo con questa legge, che passasse al successore, non poteva, essendo vivo il vassallo, senza la sua volontà di quel medesimo Feudo investirne un altro; ma in Milano, ed in Cremona si praticava altrimenti.

Ne' Regni di Sicilia e di Puglia, aveano pure i nostri Re particolari Consuetudini intorno a' Feudi differenti da' costumi dell'altre città di Lombardia. Erano queste Consuetudini notate in certi libri, che chiamavansi con corrotto vocabolo Defetarj; ed erano conservati dal Re nel suo regal palagio; e quando a' tempi di Guglielmo I tumultuò Palermo, e fu dato a ruba il regal palazzo, fra l'altre perdite, che deplorava il Re Guglielmo, fu quella che si era fatta di questi libri: e perchè Matteo Notajo era di essi espertissimo, e quasi gli avea in memoria, fra l'altre cagioni, per le quali fu egli tratto di prigione, fu questa, ch'essendo pratico degli affari della Corte e della Camera del Re, poteva con facilità rifar que' libri, ne' quali, come dice Falcando, Terrarum, Feudorumque distinctiones, ritus, et instituta Curiae continebantur: siccome in fatti si rifecero. Ed Inveges per l'autorità dello stesso Falcando rapporta, che i famigliari del Re Guglielmo I che trattavano gli affari della sua Corte, li quali erano allora Riccardo Eletto Vescovo di Siracusa, Silvestro Conte di Marsi, ed Errico Aristippo Arcidiacono di Catania, non avendo cognizione della distinzione delle Terre e de' Feudi, de' riti, ed istituti della Corte, nè de' libri delle Consuetudini feudali, che appellavano Defetarios, essendosi tutte queste scritture e libri smarriti dopo il sacco del palazzo, persuasero al Re, che Matteo Notajo fosse scarcerato e reintegrato nel primo Ufficio; poich'essendo egli antico Notajo, ed avendo sempre assistito al fianco di Majone, avea gran perizia delle Consuetudini del Regno; e che poteva comporre novos Defetarios.

Ed in questa maniera insino a questi tempi di Federico I si era vivuto nelle città di Lombardia, e nei Regni di Sicilia e di Puglia. A queste costumanze furono aggiunte da Corrado il Salico, e da altri Imperadori alcune loro Costituzioni appartenenti a' Feudi, come abbiamo di sopra notato, le quali non ancora erano state raccolte in certo volume. Venne dunque in pensiero a' tempi di Federico ad alcuni Giureconsulti di Milano, con privato studio di ridurre insieme queste Consuetudini e Costituzioni, e così unite, alla memoria de' posteri tramandarle; e raccogliendo, ancorchè alla rinfusa e con molta confusione, gli usi di varie città di Lombardia, ne formarono in prima due libri a' quali, secondo che quelle costumanze venivano o approvate o ampliate o moderate dalle Costituzioni imperiali, promulgate insino a' loro tempi intorno ai Feudi, così essi vi aggiunsero le sentenze, o il contenuto di quelle colle loro interpretazioni, non già le intere Costituzioni.

Chi fossero stati questi Giureconsulti, e quale il lor nome, non è di tutti conforme il sentimento. Prima di Cujacio comunemente da' nostri Scrittori si credea principal Autore di questa Compilazione Oberto de Orto grand'Avvocato del Senato di Milano, e Console di quella città, il quale coll'aiuto di Gerardo del Negro, altrimente detto Capagisto, anch'egli Console di Milano e Giureconsulto non ignobile, si fosse accinto a quest'impresa.

Ma l'incomparabile Cujacio ha ben provato, che Oberto non fu Autore del primo libro, poichè in quello alcune sentenze si leggono, che dispiacquero, e furono riprovate da Oberto stesso. E perchè quelle sentenze s'attribuiscono a Gerardo del Negro, ha egli per questa conghiettura reputato, che del primo libro ne fosse stato autore, non già Oberto, ma Girardo. Alcuni, e fra gli altri il nostro Montano, non ben persuasi della conghiettura di Cujacio, dicono sì bene non esser di quello Autore Oberto, ma che resti ancora dubbio ed incerto se veramente fosse stato Gerardo, o pure altro Autore anonimo, il quale dalle sentenze di Gerardo l'avesse compilato. Che che ne sia, non si è dubitato da niuno, che il secondo libro fosse di Oberto, il quale lo compilò per privata istruzione di Anselmo suo figliuolo.

Ma poichè questo secondo libro, secondo l'antica divisione, abbracciava non pur le sentenze d'Oberto, ma di altri Giureconsulti di questi tempi, le quali erano contrarie a quelle d'Oberto, onde non era credibile, che di tutto quel libro Oberto ne fosse il solo Autore; perciò molto dobbiamo noi all'industria, e somma diligenza di Cujacio, che togliendo questa confusione, l'abbia diviso in più libri. Ciò fu anche avvertito dai nostri Giureconsulti antichi, ma s'astennero di mutargli per timore, che nelle citazioni si sarebbe poi cagionata maggior confusione; imperocchè trovandosi già questa compilazione in due libri distinta, volendo il secondo in più altri dividerlo, non avrebbero le citazioni corrisposto all'antica divisione.

Ma per sì lieve cagione non dovea lasciarsi così confuso, ond'è che Cujacio saviamente reputò di distinguergli, e dividere il secondo in quattro libri. Così secondo la divisione del medesimo, il primo libro è di Gerardo. Il secondo insino al vigesimo quinto titolo è di Oberto. I rimanenti titoli egli divide in due altri libri, cominciando il terzo libro dal titolo 23 ivi: Obertus de Orto, Anselmo filio suo salutem. Il quarto, che comincia dal titolo 25 ivi: Negotium tale est, è chiaro dall'istesso titolo 25 che sia compilato da vari ed incerti Autori, nel che e Cujacio e Montano consentono. E nel quinto unì tutte le Costituzioni degl'Imperadori attenenti a' Feudi, di che più innanzi ci tornerà occasione di favellare.

I. Dell'uso ed autorità di questi libri nelle nostre province.

La compilazione di questi libri fatta da' Giureconsulti milanesi non ebbe in queste nostre province niuna autorità di legge, siccome in questi tempi nemmeno l'ebbe nell'altre parti d'Europa; ma dopo il corso di molti anni, più tosto per uso e Consuetudine de' Popoli, che per Costituzione d'alcun Principe, acquistò quell'autorità, che oggi vediamo. Ma l'autorità, che acquistarono questi libri feudali, non fu assoluta, ma solamente in quelle cose, che non ripugnavano alle proprie leggi delle Nazioni, ed a' particolari loro costumi.

Certamente presso di noi quest'autorità non l'acquistarono nel Regno di Guglielmo, nè degli altri suoi successori normanni. Seguì questa compilazione intorno l'anno 1170 come ben pruova l'accuratissimo Francesco d'Andrea, non già circa l'anno 1152 che fu il primo dell'Imperio di Federico I, come scrisse Arturo Duck, quando tra il nostro Re Guglielmo, e Federico ardeva crudele ed ostinata guerra, e quando tra noi, ed i Lombardi era interdetto ogni commercio per le guerre intestine, che sin da' tempi di Lotario ebbero sempre i nostri Principi con gl'Imperadori di Alemagna. Nè prima dell'anno 1177 si conchiuse tra Guglielmo e Federico quella tregua, della quale si è parlato, che non fu pattovita, che per soli quindici anni; ed avendo questi Regni proprie e particolari Consuetudini notate in que' libri chiamati Defetarii, non vi era questa necessità di ricorrere a' costumi dei Lombardi, quando vi erano i propri, per li quali i Feudi si regolavano.

Egli è credibile, che questa compilazione cominciasse a farsi nota a' nostri Giureconsulti dopo l'anno 1187 quando il nostro buon Guglielmo per quiete de' suoi sudditi conchiuse le nozze di Costanza sua zia con Errico Re di Germania; onde vennero a cessare le occasioni delle discordie con gl'Imperadori di Occidente. Ma questo non bastò, perchè più fiere ed ostinate guerre non seguissero, poichè morto poco da poi Guglielmo, i Baroni del Regno abborrendo la dominazione d'Errico come forastiero, elessero in loro Re Tancredi, il quale anche dal Pontefice romano ottenne l'investitura del Regno, come diremo. Per la qual cosa è da credere che questi libri cominciassero ad esser conosciuti da' nostri da poi che Errico nell'anno 1194 discacciati i Normanni, si rese padrone del Regno per le ragioni dotali di Costanza sua moglie.

Furono ben presso di noi conosciuti, ma non già acquistarono allora autorità alcuna di legge. Nemmeno l'acquistarono quando Federico II suo figliuolo promulgò le sue Costituzioni fatte compilare da Pietro delle Vigne; nè quando, ad esempio dell'altre città d'Italia, avendo ristabilita in Napoli l'Università degli studj, introdusse, che nelle nostre Scuole si leggessero le Pandette, e gli altri libri di Giustiniano; poichè non è vera la costante opinione de' nostri Autori, che questi libri da Federico II acquistassero forza ed autorità, e che questi fosse il primo Imperadore che gli approvasse, mandando il libro in Bologna a' Professori di legge di quella città affinchè ivi pubblicamente nelle Scuole si leggesse, e ch'egli fosse stato l'Autore, per comandamento datone ad Ugolino, della decima Collazione, nel che vaglionsi della testimonianza d'Odofredo.

A torto i nostri Scrittori ciò imputano ad Odofredo, il quale non mai scrisse, che Federico mandasse il libro de' Feudi in Bologna; e qual bisogno vi era mandar questo libro in Bologna, quando in questa città da molti anni era conosciuto, e non pur letto da' Bolognesi, ma anche molto prima vi avea scritte le sue glose Bulgaro, che per più anni professò legge in Bologna sin ne' tempi di Federico I, da chi anche fu fatto Prefetto di quella città? Quando parimente era notissimo in tutte l'altre città di Lombardia, come in quelle nato, e molti Scrittori d'Italia più antichi di Federico II aveano già cominciato a farvi le glose, come oltre a Bulgaro, fece Pilco, ed altri rapportati da Arturo, e notati anche dal nostro Andrea d'Isernia.

Odofredo nel luogo additato non scrisse altro, se non che Federico II mandò a' Dottori bolognesi, non già il libro de' Feudi, ma le Costituzioni sue, e di quelli Imperadori d'Occidente, che furono dopo Giustiniano, affinchè siccome Irnerio dalle Novelle avea inserito nel Codice ciò, che parvegli essersi per quelle di nuovo aggiunto o corretto: così essi anche facessero di quelle Costituzioni, e l'aggiungessero al Codice, non già al libro de' Feudi, sotto que' titoli, che pareva loro convenire; siccome in fatti ragunati a S. Petronio da quelle Costituzioni estrassero molte cose, che aggiunsero, e adattarono alle leggi del Codice sotto i titoli convenienti; e quindi è che nel Codice, oltre all'Autentiche d'Irnerio, si leggano ancora l'Auth. cassa, et irrita, C. de Sacr. Eccl. presa dalla Costituzione dell'istesso Federico de Statut. et Consuet. L'Auth. Sacramenta puberum, C. si adver. vendit. cavata dalla Costituzione di Federico I de pace tenenda. L'Auth. habita, C. ne filius pro patre, presa da un'altra Costituzione del medesimo Federico I de privil. bonor. art. ed alcune altre. E questa fu l'incumbenza data da Federico ai Professori di Bologna e non altra. Ma soggiunge Odofredo, che da poi Ugolino, uno di que' Professori, di suo capriccio al corpo delle Novelle di Giustiniano, già diviso in nove collazioni, onde veniva chiamato la nona Collazione, aggiunse il libro feudale, e raccolte insieme tutte quelle Costituzioni degli Imperadori, che s'appartenevano a' Feudi, l'inserì in quel libro, secondo l'ordine che oggi abbiamo, e che i nostri antichi chiamarono per ciò, sin da' tempi d'Odofredo, decima Collazione, il qual parimente testifica, che ai suoi tempi pochi erano coloro, che aveano quelle Costituzioni così ordinate, come le avea disposte Ugolino.

Così mal credono i nostri, che Federico II avesse data autorità e forza di legge al libro de' Feudi, e che sino da' suoi tempi avesse acquistato tal vigore nel nostro Regno e negli altri Reami: comunemente tutti i più eruditi Scrittori han dimostrato, che non fosse stato quello ricevuto per qualche Costituzione di Federico, o di qualche altro Principe: ma che non altrimenti che avvenne de' libri di Giustiniano, tutta la forza l'avesse molti anni da poi acquistata per l'uso e consuetudine de' Popoli, e per connivenza de' Principi, i quali permisero che nell'Accademie pubblicamente s'insegnasse, da' loro Giureconsulti con Commentarj s'illustrasse e ne' loro Tribunali per le controversie forensi s'allegasse; come ben provò Molineo, riputato il Papiniano della Francia, il qual però a torto riprende Odofredo, quasi ch'egli avesse data occasione agli altri d'errare, quando questo Autore mai disse, che Federico avesse data forza di legge a quel libro, nè che quella compilazione d'Ugolino si fosse fatta per suo ordine: siccome ancora a torto riprende Bartolo, quasi ch'egli fosse stato il primo, che quella raccolta di Ugolino avesse appellata decima Collazione. Questo nome è pur troppo antico e più di cento anni prima di Bartolo così era dal comun uso chiamata, come lo testifica il medesimo Odofredo, e la chiamarono tutti gli altri Scrittori prima di Bartolo.

Nè perchè fosse appellata decima Collazione, ed in progresso di tempo per l'uso e consuetudine dei Popoli avesse cominciato ad acquistare qualche vigore negli dominj de' Principi cristiani, era la sua autorità tanta, che potesse abbattere e derogare i propri instituti e le particolari leggi di quelle Nazioni; poichè fu ricevuta ed approvata in quanto non s'opponeva alle proprie leggi e costumi. Così Cujacio attesta del Regno di Francia, che ricevè quelle leggi feudali, delle quali si vale l'Italia, ma in ciò che non ripugnava alle leggi e costumi di quel Regno; non altrimenti che usavano i Romani della legge Rodia, la quale nelle cose nautiche era da essi abbracciata, nisi qua in re juri publico Pop. Rom. adversaretur, come testificò l'Imperador Antonino. E nel nostro Regno più d'ogni altro, ancor che fosse una delle più ampie e preclare parti d'Italia, non si cominciò di questa Collazione ad aver uso, se non da poi, che Federico ebbe promulgate le sue Costituzioni fatte compilare da Pietro delle Vigne, dove furono molte Costituzioni da lui stabilite riguardanti a' Feudi, alla lor successione, ed a tutto ciò che stimò a quelli convenire. Ma non ricevè, nè approvò ciò che in quella veniva compreso, se non quanto non ripugnasse alle Costituzioni, o non fosse stato per quelle provveduto, ma omesso; in maniera, che presso di noi fu prima l'autorità delle Costituzioni, e da poi quella de' libri de' Feudi, non altrimenti che prima fu l'autorità delle leggi longobarde, che quella de' libri di Giustiniano; anzi osserviamo che dopo pubblicate le Costituzioni nell'anno 1231 vi fu tra' nostri Giureconsulti gran litigio nella Gran Corte, se questi libri feudali, anche in quelle cose, che non ripugnavano alle nostre Costituzioni, avessero presso noi forza di legge, siccome lungamente disputò la glosa: donde si raccoglie, che anche a questi tempi era dubbio, se questi libri aveano acquistata forza di legge, e se ciò era incerto, per quest'istesso, non potevan riputarsi di tanta autorità, che avessero uguagliata quella delle leggi. E se Roffredo nostro Beneventano, che fiorì in questi medesimi tempi di Federico II parlando di queste Consuetudini feudali, disse, servari in Regno Apuliae, non fu per altro, se non perchè egli portava quest'opinione opposta agli altri Periti del Regno, che sostenevano il contrario; oltre che non si niega, che in questi tempi si fossero osservate, non già per autorità di legge, ma di ragione e per quanto non si opponevano e non erano contrarie alle nostre Costituzioni.

Ma siccome ciò è vero, così anche è verissimo, che dopo Federico ne' tempi degli altri Re suoi successori e degli Angioini più d'ogni altro, non si fosse più di ciò disputato, essendo chiaro, che avessero acquistata da poi nel nostro Regno tutta la lor forza ed autorità, in ciò che non s'opponevano alle nostre Costituzioni, siccome l'acquistarono in tutti gli altri dominj de' Principi d'Europa; ed anche i Pontefici romani ne' loro Tribunali ecclesiastici, gli diedero pari autorità e vigore; anzi in decorso di tempo fu lo studio di questa parte di giurisprudenza presso di noi cotanto coltivato, e tenuto in pregio, che i nostri superarono tutti i Giureconsulti dell'altre Nazioni, così d'Italia, come d'oltre i monti; ed oggi giorno questo è particolar vanto del nostro Regno, che in niun'altra parte si sia saputo, e si sappia tanto della dottrina feudale, quanto da' nostri Giureconsulti. Testimonio ben chiaro ne fu il contrasto, ch'ebbe il nostro Andrea d'Isernia con Baldo, il quale chiamato a Napoli dalla Regina Giovanna I a consiglio in concorso d'Isernia, mostrossi così ignaro della materia feudale, che non senza discapito della sua fama, bisognò che nella vecchiaja s'applicasse a questo studio, per ristorare la sua perduta stima. E si vide da poi colla sperienza, che le quistioni più ardue e difficili, che mai avessero potuto insorgere in questa materia, non si siano trattate più sottilmente, e con tanta accuratezza e dottrina, quanto da' nostri Autori. Nè niun'altra Nazione può vantarsi aver avuti tanti Scrittori, intorno a questo soggetto, quanto il Regno di Napoli.

§. II. Autori che illustrarono i libri feudali.

Cominciarono prima ad illustrar questi libri con semplici glose, Bulgaro, Pileo, Ugolino, Corradino, Vincenzo, Goffredo, ed altri: ma poi Giovanni Colombino superò tutti, in guisa che dice Giasone, che dopo lui niun altro ebbe ardimento di scriver glose sopra que' libri.

Altri si presero la briga di comporre Somme, e particolari trattati de' Feudi, ed i primi furono Pileo, Giovanni Fasoli, Odofredo, Rolandino, i due Giovanni, Blanasco e Blanco, Goffredo, Giovanni Lettore, Martino Sillimano, Giacomo d'Arena, Giacomo de' Ravanis, Ostiense, Pietro Quessuael e Giacomo Ardizone, seguitati poscia da Zasio, da Rebuffo, da Annettone, da Rosental e da infiniti altri moderni.

Ma tra quelli, che con pieni Commentarj illustrarono questa parte, s'innalzarono sopra tutti i nostri Giureconsulti. È vero che Giacomo di Belviso fu il primo, ma da poi il nostro Andrea d'Isernia oscurò il costui vanto, il quale negli ultimi anni del Regno di Carlo II che morì nel 1309 scrisse sì copiosi Commentari sopra i Feudi, che oscurò quanti mai prima di lui s'eran accinti a quest'impresa. Scrisse ancora, dopo aver professato quaranta sette anni di legge civile, i Commentari sopra i Feudi Baldo da Perugia, e poco da poi Giacomo Alvarotto da Padova, Giacobino di S. Giorgio e Francesco Curzio juniore, ma sopra gli altri surse il nostro Matteo degli Afflitti, il quale oscurò la costoro fama. Scrisse egli i Commentari sopra i Feudi sotto Ferdinando I, allora che con pubblico stipendio ed universale applauso insegnava nella nostra Accademia gl'interi libri feudali co' Commentari d'Isernia, ciò che niuno ardì di farlo nè prima, nè dopo lui; e cominciò a scrivergli nell'anno 1475 com'egli medesimo testifica, quando era di trentadue anni: ciò che è stato necessario avvertire per non lasciarci ingannare da Camerario, da cui furono ingannati i nostri Autori, che credette Afflitto avere scritto questi Commentari, quando era già vecchissimo e che perciò non bene avesse penetrato la mente d'Isernia. Taccia per tutti i versi da non comportarsi di quell'insigne Giureconsulto; poichè oltre che gli scrisse nella età sua più verde e florida niente anche vi sarebbe stato che riprendere, se pure gli avesse scritti in età di 80 anni, nella quale morì. Egli trapassò nell'anno 1523 e fu sepolto in Napoli nella Chiesa di Monte Vergine, ove ancora s'addita il suo sepolcro, nel qual ancora si legge, che ancorchè carco d'anni, fu però in età senile cotanto vigoroso di mente che potè sostenere tanti studj insino all'ultima vecchiaja. Ciocchè i suoi domestici, che ebbero la cura d'ergergli quel sepolcro, vollero fare scolpire in quel marmo, per manifestare essere stato tutto livore de' suoi nemici, i quali dando a sentire al Re cattolico, che in quella età decrepita sentisse dello scemo, fecero sì che il Re lo privasse della dignità di Consigliero di S. Chiara, della quale era adorno, e morisse senza toga; ond'è, che nel suo testamento non si vegga nominato Consigliero, ma semplice Dottore. E quanto sopra gli altri s'innalzasse in commentando i Feudi, non è da tralasciarsi il giudicio che ne diede il nostro incomparabile Francesco d'Andrea, il quale non ebbe difficoltà di dire, che fra tutti coloro, che prima e da poi scrissero i Commentari sopra i Feudi, pochi sono coloro, che potranno con lui compararsi, ma niuno che a lui si possa preporre.

Sursero, dopo questi lumi della giurisprudenza feudale, fra noi, altri Scrittori un Camerario, un Sigismondo Loffredo, un Pietro Giordano Ursino, un Bammacario, un Revertero, un Pisanello, un Montano e tanti altri, de' quali nojosa cosa sarebbe tesserne qui lungo catalogo; tanto che niun'altra Nazione può vantar tanti Scrittori in materia Feudale, quanti il Regno di Napoli.

Ma non possiamo infra gli esteri fraudar della meritata lode l'incomparabile Cujacio. Egli fu il primo, che rifiutando gli altri come barbara questa parte della nostra giurisprudenza, l'accolse e le apparecchiò una abitazione più elegante, e quando prima tutta squallida ed incolta andava, egli coll'aiuto de' libri più rari, e degli Scrittori di que' tempi, le diede altra più nobile ed elegante apparenza; tanto che gli altri Eruditi, che prima come barbara la discacciarono, s'invogliarono dal suo esempio ad impiegarvi ancora i loro talenti, come fecero Duareno, Ottomano, Vultejo ed altri nobili ingegni; ond'è che oggi la vediamo esposta ed illustrata non meno dagli uni, che dagli altri Professori.

Cujacio accrebbe in prima i libri feudali co' frammenti e capitoli, che furono prima restituiti da Ardizone e da Alvarotto, e gli divise in cinque, in quella maniera che si è detto di sopra. Prima di lui Antonio Mincuccio di Prato vecchio, Giureconsulto bolognese, per comandamento di Sigismondo Imperadore intorno l'anno 1436 avea disposto questi libri in altra forma; ed avendogli divisi in sei, gli offerì all'Università di Bologna, perchè proccurasse da Sigismondo la conferma di questa sua Raccolta; ma non costa, che l'Imperadore l'avesse loro data; onde non essendo stata da tutti ricevuta, richiesero i Bolognesi di nuovo la conferma dall'Imperador Federico III, il quale loro la diede; onde avvenne, che questi libri nell'Accademia di Bologna pubblicamente si leggessero, ma non acquistarono giammai autorità pubblica; la qual Raccolta fu da poi data alla luce da Giovanni Schiltero . Un'altra tutta nuova ne fece Cujacio, il quale non solo con somma diligenza diegli altro miglior ordine e ridusse que' libri alla vera lezione; ma anche con pellegrina erudizione gli commentò, spiegando il vero sentimento di quelli. E sopra tutto accrebbe di molte Costituzioni imperiali il quinto libro, le quali da Ugolino furono tralasciate, dandogli miglior ordine e disposizione.

§. III. Costituzioni imperiali attenenti a' Feudi e legge di Federico I.

Il primo che promulgasse leggi riguardanti la successione feudale, fu, come più volle si è detto, Corrado il Salico. Errico IV ne stabilì dell'altre; sieguono in terzo luogo quelle di Lotario III ma sopra gli altri Imperadori niuno ne stabilì tante, quante Federico Barbarossa; e colle Costituzioni di questo Imperadore Cujacio termina il libro; onde se bene nelle vulgate edizioni se ne leggono anche di Federico II, dovrebbero quelle togliersi; poichè di Federico II come Imperadore non abbiamo Costituzioni attenenti a' Feudi; ne abbiamo sì bene moltissime nelle Costituzioni del Regno, ma queste non han che farvi, non essendo Augustali, ma furono da lui stabilite come Re di Sicilia, e solo per questi suoi Regni ereditarj non per altri. Quelle Costituzioni di Federico II che si leggono nella fine del libro secondo de' Feudi, secondo l'antica compilazione, sotto il titolo de Statutis, et Consuetudinibus circa libertatem Ecclesiae editis, etc. non han niente che fare co' Feudi; onde a torto furono quivi aggiunte, e per questa cagione dice Cujacio non averle egli unite coll'altre feudali, come affatto impertinenti; siccome per l'istessa cagione le due altre di Errico VII poste sotto il titolo di Estravaganti, come non appartenenti a' Feudi, non meritano quel luogo.

Di questi Imperadori niuno quanto Federico I promulgò tante Costituzioni feudali, del quale otto se ne leggono.

La prima è sotto il titolo de Feudis non alienandis, ove tre o quattro cagioni si propongono, per le quali si perde il Feudo, proibendosi con maggior rigore di quello avea stabilito Lotario, le alienazioni dei Feudi. La seconda sotto il titolo, de Jure Fisci, ovvero de Regalibus, ristabilisce in Italia le regalie, le quali per disusanza andavano mancando, di che abbiam parlato nel libro precedente. La terza, sotto il titolo de pace tenenda, appartiene alla pubblica pace di Germania, onde da' Germani volgarmente s'appella Fried-brief, cioè Breve di pace; e fu promulgata in Ratisbona dopo sedate le intestine guerre tra' Principi di Germania, i quali lungamente aveano infra di lor guerreggiato per lo Ducato di Sassonia e di Baviera tolto da Corrado Imperadore ad Errico il Superbo, e poich'in essa alcune cose attenenti a' Feudi ed a' Baroni, ed alla pubblica pace si stabiliscono, perciò tra le Costituzioni feudali di questo Principe fu annoverata. La quarta, sotto il titolo de incendiariis, et pacis violatoribus, che Cujacio prese dall'Abate Uspergense, parimente appartiene alla pubblica pace di Germania, ed alcune cose de' Feudi dispone; oltre che anche se de' Feudi non parlasse, i nostri maggiori, come ben osserva Cujacio, han tenuto costume di congiungere co' Feudi tutte quelle Costituzioni, che trattavano della pace pubblica, per motivo, che quella non mai potrà aversi, se non dalla fede e costanza de' vassalli. La quinta sotto il titolo de pace componenda et retinenda inter subjectos, appartiene alla pubblica pace d'Italia, e fu stabilita in Roncaglia co' Milanesi nella prima guerra, che ebbe Federico co' medesimi, della quale abbiam parlato nel precedente libro. La sesta sotto il titolo de pace Constantiae, appartiene anch'ella alla pace d'Italia. La precedente fu promulgata in Roncaglia, questa nell'anno 1183 in Costanza: poichè Federico già stanco delle tante guerre avute co' Lombardi, volle intimare a tutti una Dieta in Costanza per poter quivi componere questi affari. Vi intervennero molti Principi e Baroni; ed i Deputati delle città di Lombardia, de' quali in detta Costituzione si legge un ben lungo catalogo. Furono in essa accordati molti articoli e stabilite le condizioni delle città di Lombardia intorno a' servizj, che devono prestare all'Imperadore, oltre a' quali non potessero esser gravati di vantaggio: concedè Federico per questa Costituzione alcune regalie alle città suddette ed alcune altre egli si ritenne, massimamente Fodrum et investituram Consulum, et Vassallorum, ed aggraziò Opizo Marchese di cognome Malaspina.

Sieguono per ultimo dell'istesso Imperadore due Costituzioni de Jure protimiseos, il qual diritto al sentir di Cujacio (che che ne dica il nostro Reggente Marinis) competendo non meno agli agnati, che a' padroni de' Feudi; perciò egli volle anche inserirle nel quinto libro de' Feudi; alle quali parimente aggiunse una Novella greca dell'Imperador d'Oriente Romano Lecapeno, che tratta del medesimo diritto, donde Federico prese ciò che si vede stabilito nella prima sua Costituzione attenente al Jus protimiseos. Nel che non possiamo tralasciar di notare, che questa Costituzione Sancimus, de Jure protimiseos, dai nostri Dottori con gravissimo errore è creduta, che fosse Costituzione di Federico II, e sopra tal supposizione disputano, se abbia a reputarsi come sua Costituzione Augustale, ovvero come una delle Costituzioni del nostro Regno, stabilita solo per li Regni di Sicilia e di Puglia; ed alcuni sostengono, che come tale abbia forza di legge nel nostro Regno. E l'errore è nato, perchè la veggono unita insieme coll'altre Costituzioni e Capitoli del nostro Regno; ed anche perchè han veduto, che il nostro Matteo d'Afflitto, che commentò le nostre Costituzioni, fece anche sopra la detta Costituzione un particolar Commento, tratto nella sua maggior parte da un altro non impresso, che ne fece prima di lui Antonio Caputo di Molfetta, dal quale, come dice Giovan-Antonio de Nigris, soppresso il nome, Afflitto prese tanto, sì che ne distese quel suo trattato; onde vedendola commentata da' nostri antichi Scrittori, la riputarono come una Costituzione del Regno nostro. L'errore è gravissimo ed indegno di scusa; onde non possiamo non maravigliarci esservi incorso anche il Cardinal di Luca, il quale da questa credenza, che tal Costituzione fosse di Federico II, fa nascere mille inutili quistioni, le quali cadono per se stesse, come appoggiate sopra un falso fondamento; poichè non Federico II, ma Federico I la promulgò, il quale niuna autorità avea di far leggi ne' Reami di Sicilia e di Puglia; onde non poteva obbligar con quella i sudditi di Guglielmo ad accettarla. Acquistò ella sì bene da poi presso di noi forza di legge, non già per autorità del Legislatore, ma per l'uso e consuetudine dei Popoli, i quali dopo lungo corso di tempo la ricevettero, non altrimente che fu fatto delle istesse Pandette, e degli altri libri di Giustiniano, e di questi libri ancora de' Feudi; ond'è, che oggi abbia tutto il suo vigore nel Regno, ma non già nella città di Napoli, ove intorno a ciò si vive con particolare e propria Consuetudine. Le altre leggi di Federico I, così le Militari, stabilite nel 1158 in Brescia nell'Assemblea de' Principi dell'Imperio, come le Civili; non appartenendo punto a' Feudi, nè a noi, volentieri tralasciamo, potendo ciascuno osservarle presso Goldasto, che le raccolse tutte ne' suoi volumi.

FINE DEL LIBRO DECIMOTERZO.

STORIA CIVILE

DEL

REGNO DI NAPOLI

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