CAPITOLO II.

Conquiste de' Normanni sopra la PUGLIA.

In que' medesimi tempi, che da Corrado si proccurava dar qualche provedimento alle cose d'Italia, sursero in queste nostre parti occasioni cotanto favorevoli per l'ingrandimento de' Normanni, che ricevute da essi con avidità gl'invogliarono a cose maggiori, ed a più alte imprese. Que' prodi e valorosi Campioni, che in Salerno militavano sotto gli auspicj di quello Principe, crebbero per varie congiunture in tanta potenza, che cominciò a rendersi sospetta a Guaimaro istesso: il credito, che s'acquistavano spezialmente i figliuoli di Tancredi, gli dava qualche ombra, quantunque non osasse dimostrarlo; onde per sottrarsi da questi sospetti, si pose a cercar modo d'allontanargli da se con qualche onorevole occasione, temendo insieme fargli bene, o male in sua casa; ma ecco che gliene venne offerta una, la quale fu profittevole ugualmente ad entrambi.

L'Imperio d'Oriente, che, come si disse, dopo la morte di Basilio e di Costantino, era governato dall'Imperador Romano Argiro, per gli frequenti disordini e rivoluzioni civili, andava miseramente decadendo dalla sua grandezza e splendore; ed essendo esposto alle irruzioni de' Saraceni, il furor de' quali non erano bastanti quegl'Imperadori a reprimere, era passato in gran sua parte sotto la loro dominazione. I Greci che imputavano la loro declinazione alla dappocaggine de' loro Sovrani, sovente tumultuando si facevano lecito ammazzare il proprio Principe, ed in suo luogo sostituirne un altro, ch'essi stimavano atto a poter restituire l'Imperio nell'antica grandezza; ma da' successi contrari, e fuori delle loro speranze, spesso trovandosi delusi, reiterando imprudentissimamente i medesimi mezzi di tumulti ed uccisioni, cagionarono finalmente la total ruina di sì grande e vasto Imperio. A questo riguardo, avendo innalzato su 'l Trono Michele Paflagone, permisero che da costui l'Imperador romano fosse miseramente ucciso. Questo accorto Principe per giustificare appresso i Popoli la sua elevazione, e rendergli sicuri di non essersi, com'altre volte, ingannati nella sua esaltazione al Trono, pensò con una rilevante conquista, accreditarsi, e disegnò discacciar dalla Sicilia i Saraceni, e riunirla come prima al greco Imperio, onde da que' Barbari era stata sottratta: mandò per tal effetto nell'anno 1037 un'armata in Italia sotto la condotta di Giorgio Maniace Catapano, il quale essendovi giunto, mise il tutto all'opra, per eseguire i disegni del suo Sovrano. La fama del valore de' Normanni era giunta sin nell'ultimo Oriente, onde Maniace riputò quasi che necessario, per agevolar l'impresa, aver di questi valorosi Campioni: fece perciò in nome dell'Imperadore pregare il Principe Guaimaro di fargli avere di questi prodi soldati, che poc'anzi nel suo paese aveansi acquistata tanta riputazione, assicurandolo, che non mancherebbe occasione di riconoscere e ricompensare un tale servigio. Ma egli non bisognava a Guaimaro far tante promesse, per farlo consentire a ciò che cercava. Questi assai più che Maniace, desiderava di dargli i Normanni, a' quali avendo esposta la cosa, dimostrolla di lor sommo vantaggio, e da non rifiutarsi, aggiungendo ancora per se medesimo promesse molto vantaggiose a quelle che avea loro fatte in nome dell'Imperadore.

I Normanni considerando quest'occasione poter loro portare non men gloria, che maggior stabilimento dei loro interessi, tosto accettarono il partito, e partirono da Salerno in numero di trecento, avendo alla loro testa Guglielmo, Drogone ed Umfredo figliuoli, di Tancredi, che non avea molto che dalla Normannia erano quivi venuti. Furono da Maniace con molta gioja ricevuti, ed immantenente, avendo fatto venire dalla Puglia e dalla Calabria, province che a' Greci ubbidivano, alquante truppe, fece preparar la flotta; e partito per dar fondo in Sicilia, giunto a Messina la cinse di stretto assedio: fu tale il valor de' Normanni in quest'impresa, che resasi ben tosto la Piazza, Maniace a' soli Normanni dichiarò tener obbligo di sì bella conquista, e raddoppiando la stima, in cui gli avea, fece loro de' presenti con nuove promesse per animargli sempre più a valorosamente combattere. Avanzossi nel paese, e si rese padrone di un gran numero di posti rilevanti, portando insino a Siracusa l'assedio. Comandava questa Piazza per li Saraceni un tal Arcadio, il quale con estremo valore assaltando l'armata de' Greci, la mise in disordine, di che grandemente gloriavasi, quando ecco che Guglielmo scaricogli sopra con furia un colpo di lancia, che lo rovesciò morto a' suoi piedi. I Greci e i Saraceni ne restarono ugualmente stupefatti, e tiensi che in quest'occasione fosse dato a Guglielmo il soprannome di Bracciodiferro.

Riunirono ben tosto i Saraceni le loro truppe, ma essendosi Guglielmo co' suoi posto alla testa de Greci, le dissipò in maniera, che i Greci restarono padroni del Campo; ma approfittandosi i Greci della vittoria a' Normanni sol dovuta, poich'essi altra parte non vi avevano avuta, che di spettatori, si presero tutte le spoglie de' nemici, e le divisero infra loro, senza lasciar nulla a' Normanni, che l'avevano col lor valore acquistate. Essi ancora col solito lor fasto ed alterigia cominciavano a tener poco conto di questa inclita gente, ed il comando delle Piazze a' Greci solamente era dato, senza farne parte alcuna a loro, come furono le promesse di Maniace. Mal soddisfatti di tanta ingratitudine pensarono far penetrare a Maniace questi torti, che loro usavano i Greci, per iscorgere come egli la sentiva, e se approvava ciò ch'era avvenuto. Erasi accompagnato co' Normanni in questa spedizione un valentuomo lombardo della famiglia dell'Arcivescovo di Milano, come narra Ostiense, appellato Arduino; ma Curopalata e Cedreno vogliono, che quest'Arduino fosse stato Capitano della squadra normanna; il quale scaltro ed intendentissimo dell'idioma greco, serviva loro d'Interprete: mandarono costui a Maniace, affinchè venendogli in acconcio gli rappresentasse le loro querele, come fu destramente fatto; ma questo Capitano si tenne offeso di queste doglianze, e riconoscendole come un'attentato alla sua autorità, se la prese con colui, che glie l'espose. Di vantaggio avendo Arduino preso un bel cavallo da un Saraceno, cui avea rovesciato a terra, vennegli richiesto da poi per parte di Maniace, al quale egli costantemente avendolo negato, gli fu tolto a forza con molto suo rossore e vergogna, insino a farlo frustare intorno al Campo. Guglielmo Pugliese e Cedreno rapportano questo affronto essere stato fatto ad Arduino non già da Maniace, ma da Ducleone, che a lui succedè nel comando. Comunque siasi, reputando i Normanni gl'ignominiosi tratti essere stati usati non meno a loro, che ad Arduino, che gli ricevette, fortemente irati, volevano sul campo istesso incontanente prendere le armi contro de' Greci per iscancellare col loro sangue l'ingiuria, che dianzi aveano ricevuta; ma Arduino, che meditava vendicarsi con più frutto, l'impedì, e mostrandosi più scaltro, ch'i Normanni istessi, gl'impegnò a dissimulare, come lui, il fatto, infino ch'egli adempiesse un certo disegno, il quale avrebbe loro aperta strada a maggiori e più grandi conquiste.

Vennegli in pensiero, che per lo stato, nel quale erano le forze de' Greci nelle province di Puglia e di Calabria, non era da disperare, che invase da' Normanni non dovessero cedere sotto la loro dominazione; ed in fatti non potevano essi aspettar migliore tempo che questo; poichè queste province, per l'impresa della Sicilia, che aveano allora i Greci per le mani, erano tutte sfornite di truppe, avendole Maniace fatte trasportar, come si disse, in Sicilia a quell'impresa: nè era da temer de' provinciali, i quali per l'aspro governo de' Catapani che le reggevano, e per il loro fasto ed alterigia sovente aveano ribellato, e sol la forza gli tenea ristretti: tanto era lontano, che si volessero opporre a coloro, che proccuravano di sottrargli dall'Imperio de' Greci, cui essi abborrivano e detestavano in guisa, che per sottrarsene aveano tentato di sottoporsi a Melo ch'era lor Nazionale, e fatto cittadino Barese. Erano ancora le lor forze indebolite per le guerre, che spesso erano lor mosse da' nostri Principi longobardi; ma sopra tutto per le frequenti scorrerie de' Saraceni, i quali fortificati nel Monte Gargano tenevano la Puglia in continui timori e sconvoglimenti.

Dall'altra parte i Normanni si vedevan crescere tuttavia in gran numero, venendone altri da giorno in giorno, o dalla Normannia, ovvero da Terra Santa, ove andavano in pellegrinaggio. Lo stabilimento di Rainulfo nel Contado d'Aversa conferiva molto a mantenere gli interessi della Nazione; poichè oltre la parentela e l'alleanza con Sergio Duca di Napoli, teneva questi così ben esercitati nell'arte militare i suoi guerrieri normanni, che non v'era impresa grande, alla quale essi non fossero adoperati.

Ma sopra tutte queste cose, non si può credere quanto vi cooperassero i sconvolgimenti, e' disordini che avvennero nella città di Costantinopoli, che posero sossopra gl'interessi di quell'Imperio, e di tutte le sue province. Queste furono le congiunture più favorevoli, che finalmente gli fecero venir a fine de' loro disegni nella maniera, che saremo qui a poco a narrare.

Arduino per coprire sotto contrario manto questi disegni, mostrossi con Maniace niente toccato degli affronti, siccome lo dissimularono i Normanni parimente, e come nulla di ciò fossegli avvenuto, trattenevasi tranquillamente con tutti i Greci suoi conoscenti. In breve seppe così ben simulare, che come narra Malaterra, avendosi con doni guadagnato il Secretario di Maniace, oprò tanto, che ottenne un passaporto per andar in Calabria con alquanti de' suoi. Lione Ostiense narra, che per aver tal licenza diede a sentire, che voleva andar in Roma per sua divozione a visitar que' luoghi santi: comunque siasi, imbarcatisi una notte i Normanni con lui, traversarono il Faro col favor del passaporto senz'alcun ostacolo. Appena sbarcati in Calabria si misero a rovinar tutto il paese, e verso la Puglia s'incamminarono, pensando di rendersene padroni, e ne avean già conceputa una ben fondata speranza. Intanto Arduino portossi in Aversa a sollecitare per la medesima impresa il Conte Rainulfo; gli espose i suoi disegni, la facilità della conquista, essere la Puglia senza difensori, i Greci all'intutto effeminati, la provincia ben ampia ed opulentissima, ed ormai doversi vergognare, ch'essendo cresciuto il numero dei Normanni insigni nell'armi, e per tante vittorie illustri, di tenergli più ristretti tra le penurie e disagi, e fra gli angusti confini d'un picciol Contado. Piacque a Rainulfo il consiglio, approvando quanto Arduino aveagli esposto, e senza frappor dimora unisce alquante truppe, le dispone sotto dodici valorosi Capitani, e perchè fra essi non nascesse alcuna discordia, fu di buon accordo, convenuto, che gli acquisti si sarebbero egualmente fra di lor partiti; ma ad Arduino primo autor dell'impresa se gli fosse data la metà di tutto ciò che si sarebbe conquistato, giurando ciascuno con solenne sacramento d'osservar esattamente quel che fra d'essi erasi concordato. Ne rimandò adunque Arduino con trecento soldati, il quale unitosi con gli altri Normanni nella Puglia, portò l'assedio immantenente in Melfi, una delle città più considerabili allora della Puglia. Sorpresi gli abitanti, tosto resero la Piazza; indi immantenente occuparono Venosa, alla quale ben tosto aggiunsero Ascoli e Lavello. La città di Melfi, che per lo suo sito naturale era ben forte, avendola poscia ben fortificata, e di alte torri munita, si rese inespugnabile; quindi la costituirono sede del loro dominio, e capo delle altre città convicine da essi conquistate. Così i Normanni rendutisi in quest'anno 1041 padroni d'una considerabil parte della Puglia cominciarono indi a poco a dilatar i confini della loro dominazione sopra tutta questa provincia.

I Greci sorpresi per questa perdita, ed impazienti per ripararla, furono impediti da disordini, che opportunamente quasi per favorire i Normanni accaddero in Oriente, e che posero in iscompiglio tutta la Corte di Costantinopoli. L'Imperador Michele sopra nominato Paflagone, cui l'Imperatrice Zoe amò tanto, che in ricompensa del commercio, che seco avea avuto, lo innalzò al Trono imperiale, cadde in una sorte di mal caduco, che attediato del governo l'obbligò a rendersi Monaco. Questi lasciò l'Imperio al suo nipote, chiamato parimente Michele, cognominato Calefato, sotto il governo di Giovanni suo zio; ma questo novello Cesare si rese per le sue crudeltà e per avere discacciato Giovanni, a cui tanto dovea, e molto più per aver trattato ingratamente l'Imperadrice Zoe, dalla quale era stato adottato per figlio, e che avea proccurato innalzarlo alla dignità imperiale, cotanto odioso ed abbominevole presso i suoi sudditi, che apertamente tumultuando rimisero Zoe nel Trono. Costei tosto, che fu in quello ristabilita, scacciò Calefato, facendogli anche cavar gli occhi, e sposossi con Costantino Monomaco, che divenne ancora consorte all'Imperio. A cagione di questi torbidi, che precederono e seguirono da poi, gli affari della Puglia, della Calabria e della Sicilia givan molto male per li Greci. Maniace pensò approfittarsene, e diede qualche sospetto, che volesse per se occupar la Sicilia, ed essendone stato accusato alla Corte, fu ben tosto richiamato e condennato in una stretta prigione. Queste diverse catastrofi impedirono la Corte di Costantinopoli a poter arrestare i disegni de' Normanni, i quali in quel mentre aveano felicemente eseguito in Puglia ciò, che Maniace disgraziatamente avea tentato di fare in Sicilia.

Ma alla perfine i Greci ruppero ogni indugio e l'Imperadore, unendo un valido esercito, lo mandò in Puglia sotto il comando d'un nuovo Generale Duclione appellato, per ripigliare le città, ch'erano state loro involate, con ordine di non far quartiere a' Normanni, ma di sterminargli affatto. Ecco che si pugna ferocemente presso il fiume Olivento, ma fu cotanta la bravura e il valore de' Normanni, che ancor che di forze e di numero molto inferiore, ruppero i Greci, ne fecero strage immensa, e Duclione appena scappato potè avvisarne di sì infausto avvenimento l'Imperadore in Costantinopoli. Questo Principe fortemente crucciato fece unir altre truppe, e tosto le mandò a Duclione: si pugnò la seconda volta presso Canne, e pure i Greci restarono vinti. Vollero di nuovo presso il fiume Ofanto attaccar altra battaglia, ma i prodi Normanni sempre, forti e maravigliosi, lor diedero in questa terza volta sì terribile rotta, che sconfitti affatto, si resero padroni di molti altri castelli di quel contorno, e delle spoglie de' Greci arricchiti, si stabilirono con maggiore potenza in quella provincia.

Questi valorosi insieme e scaltri guerrieri, temendo che la lor potenza non portasse gelosia a' vicini Principi longobardi, e per maggiormente rendersi benevoli gli animi delle genti del paese, pensarono eleggersi un supremo Comandante, che fosse della lor Nazione, al quale come commilitoni ubbidissero. Il Principe Pandulfo III, che reggeva in questi tempi Benevento teneva un suo fratello, Adinolfo appellato: pensarono a costui, e per lor Duca concordemente lo elessero.

Intanto la Corte di Costantinopoli, cui quest'infelici successi aveano oltremodo sorpresa, imputando a Duclione ogni difetto, tosto richiamollo, e fatto unire una più considerabile armata, la fece passar in Calabria sotto la condotta d'un altro Generale. Questi fu Exaugusto, soprannomato Annone da Malaterra, figliuolo di quel Bugiano, il quale nell'Imperio di Basilio si era così egregiamente portato contro il famoso Melo, ma questi, che non ebbe miglior fortuna del suo predecessore, venuto a battaglia co' Normanni sotto monte Piloso, o come rapporta Cedreno presso Monopoli, ebbe sì strana e terribile sconfitta (nella quale segnalossi sopra tutti Guglielmo Bracciodiferro) che tagliata a pezzi la maggior parte del suo esercito, fugati e totalmente dissipati i Greci, fu ancor egli miseramente preso e fatto prigioniero. I Normanni tutti allegri e trionfanti per un'azione cotanto gloriosa, avuto fra d'essi consiglio che dovessero fare della persona d'Exaugusto, deliberarono di farne un dono al Duca Adinolfo, come fecero; ma questo Principe lasciati i Normanni, avendolo seco portato in Benevento, e pensando poterne da questa preda ritrarre grandi ricchezze, contro l'aspettazion de' Normanni, lo vendè a' Greci, e trassene una rilevante somma d'argento.

Di che sdegnati fortemente i Normanni, i quali nè tampoco avevan avuto in tanti incontri gran saggi del suo valore, furono risoluti d'elegger altri per lor Duca, e concordemente elessero Argiro figliuolo del famoso Melo, il quale poco prima, stando carcerato in Costantinopoli, fuggì destramente dalle carceri coll'occasione della morte di Michele Paflagone, e ricovratosi in Puglia, fu da' Normanni ricevuto con grande applauso e stima; li quali non arrischiandosi ancora per li motivi di sopra addotti, far cadere questa elezione in uno della lor propria Nazione, stimarono meglio di portar questi ad onore sì grande, innalzandolo su d'uno scudo, secondo la maniera usata in quel tempo da' Popoli di Francia.

La Corte di Costantinopoli, non sapendo quai Capitani più eleggere, pensò Calefato di valersi di bel nuovo di Maniace, onde trattolo da prigione, lo mandò tosto in Calabria contro i Normanni. Questi volle segnalar sopra gli altri la sua venuta con crudeltà inudita, e pose tanto terrore nel paese, che i Normanni, essendosi con lui cimentati presso Monopoli e Matera, e scorgendosi di forze disuguali pensarono meglio di ritirarsi dentro alcune Piazze forti, attendendo intanto che questa gran furia e tempesta per qualche prospero avvenimento passasse.

Non andarono ingannati, però che non passò molto tempo, ch'essendo stato, come si disse, l'Imperador Calefato deposto dall'Imperio, e dall'Imperadrice Zoe innalzato al Trono Costantino Monomaco, a cui ella sposossi: Maniace sentendo dispiacere dell'innalzamento di Costantino, de' tanti disordini della Corte pensò di approfittarsi, e ribellando apertamente da Zoe e Monomaco, con disegno di farsi egli da' suoi aderenti acclamare Imperadore, perduta ogni speranza di soccorso da Costantino, s'intrigò a più pericolose imprese, che lo tennero occupato, e distratto in molte parti. Egli allora deposto ogni rispetto ed ubbidienza al suo Principe, devastò crudelmente e barbaramente tutti i contorni di Monopoli, di Matera: nell'istesso tempo, che dall'altra parte Argiro aveva preso Giovenazzo, e posto l'assedio a Trani: indi essendo stato dall'Imperador Costantino mandato Pardo con un tesor grande d'oro e d'argento in Puglia per nuovo Catapano, affin di reprimere la perfidia di Maniace: questi che ne fu avvisato, se gli fece incontro co' suoi soldati, ed ammazzatolo miseramente, gli tolse via ogni cosa, se medesimo arricchendone e profondendone ancora molta parte all'esercito, si fece gridare Augusto, vestendosi di tutte l'insegne imperiali; da poi avendo in vano sforzata Bari, ritirossi a Taranto, ove avea collocata la sua sede. Quivi da Argiro e da' Normanni fu assediato, ma giti vuoti questi disegni, egli da poi in Otranto fermossi, donde finalmente nella Bulgaria, traversando l'Adriatico portossi: quivi pugnando con Stefano Sebastoforo, restò in battaglia vinto e preso: fugli troncato il capo, e mandato all'Imperadore in Costantinopoli.

I Normanni in tante rivoluzioni non tralasciarono approfittarsene; onde senza molta fatica attesero a riacquistare ciò che aveano abbandonato all'arrivo di Maniace. E rassodate ora con maggior fermezza le loro fortune per altre conquiste, che di giorno in giorno facevano, pensarono per maggior sicurezza a non voler altri Capitani, che della loro Nazione; e se bene Argiro era da essi tenuto in molta stima, nulladimeno avendo scorto, che sotto la di lui condotta mal aveano potuto sostenere gli sforzi di Maniace, e che le maggiori azioni, e più gloriose a Guglielmo Bracciodiferro si doveano, credettero di far meglio di sottomettersi a lui; onde radunatisi in quest'anno 1043 nella città di Matera, ove Maniace pochi mesi prima avea esercitato le più grandi crudeltà, l'elessero lor Comandante, e datogli per onore il titolo di Conte, fu perciò, ch'egli fosse il primo, il quale Conte di Puglia si nomasse.

§. I. Di Guglielmo Bracciodiferro I Conte di Puglia, creato l'anno 1043.

Questi fu il primo Titolo, e principio di tutti gli altri Titoli, che la regal Casa normanna ebbe in Puglia e da poi in Sicilia, il qual non l'ebbe, nè per autorità di Papa Benedetto IX, nè dall'Imperador greco Costantino XI, che allor imperava in Oriente, ma, come narrano Lupo Protospata e Lione Ostiense, per elezione de' Capitani, de' soldati e del Popolo cioè de' Signori italiani, longobardi e normanni Capi e maggiori dell'esercito, i quali unitisi a consiglio, decretarono che si conferisse il titolo di Conte a Guglielmo Bracciodiferro; il qual decreto approvando tutti i Capitani minori, e tutto l'esercito italiano e normanno, la soldatesca tutta l'acclamò Conte, che fu il meglio dato, e più legittimo, che se o dagli Imperadori di Oriente e d'Occidente, o dal Papa lo ricevesse. Egli è credibile, come suspica Inveges, che i Normanni in questa elezione avesser usate particolari cerimonie nel crearlo Conte, e che oltre il suono de' timpani e delle trombe, che comunemente accostumavasi nella promozione de' Conti (come può vedersi presso Ugone Falcando, quando Riccardo di Mandra fu fatto Conte di Molise) l'avessero eletto Conte coll'antica cerimonia italiana di dargli in mano lo stendardo; quasi che fosse stato costituito Gonfaloniere della nostra Lega italiana e normanna contro l'Imperador greco; e che da ora sopra dell'arme per segno di Corona usasse un semplice cerchio senza gioja, per distinguerlo dai titoli di Marchese e di Duca, e senza raggi, per distinguerlo da' titoli di Principe, ma così schietto, come era allora de' Conti.

I Normanni adunque avendosi in cotal guisa eletto per Conte di Puglia Guglielmo, acciocchè pacificamente potessero godere delle loro conquiste, ed infra di loro non potesse allignare alcun seme di discordia, pensarono a dividersi di buon accordo le terre conquistate, e quelle ancora che aveano in animo di conquistare. Essi nel cominciamento della loro dominazione nella Puglia introdussero una politia e forma di governo non dissimile a quella, che per dieci anni tennero i Longobardi, quando morto Clefi non curandosi di rifare un nuovo Re, distribuitesi infra di loro le città del Regno, ciascuno colle medesime leggi ed istituti amministrava il Contado a se commesso, e nelle deliberazioni più gravi e di momento, in Pavia città principale solevan tutti convenire, ove assembrati consultavano degli affari più rilevanti della Repubblica.

I Normanni ancorchè militassero sotto un Capitano, che l'elessero per evitar le confusioni ed i disordini, che sogliono accadere quando nell'imprese un solo non imperi; nulladimeno ciascuno, più come compagno che come ministro in guerra, erasi adoperato, e molti v'aveano avuto nelle conquiste egual parte, e somministrata ugual opra e soccorso. Rainulfo Conte d'Aversa v'avea mandata molta gente sotto dodici Capitani: Guglielmo Bracciodiferro erasi cotanto in quell'impresa segnalato: eransi ancora distinti sopra gli altri Drogone e Umfredo suoi fratelli: Arduino primo autor dell'impresa; e molti prodi e valorosi Campioni i quali non lasciarono ancora in tante occasioni esporre le loro persone in ogni pericolo e cimento. Perciò essi sin dal principio, che s'accinsero a sì nobili impresa, di buon accordo convennero, che ciò che si sarebbe conquistato, non dovesse ad un solo darsi, che ne fosse sol padrone, ma ugualmente infra di lor partirsi. E quantunque Guglielmo fosse stato eletto Conte, questo non fu, che a sol titolo d'onore, non che, come fu da poi variato, la Puglia cedesse sotto la dominazione d'un solo.

Per queste cagioni fu da essi introdotto in questi principj un tal governo, che s'accostava più all'aristocratico, che al monarchico; perciò consultando il tutto con Guaimaro Principe di Salerno loro antico alleato, intimarono una Dieta in Melfi, ove tutti per quest'effetto dovessero convenire, alla quale invitarono ancora Guaimaro e Rainulfo a dovervisi trovare. Essi in questa guisa si divisero le città. A Rainulfo Conte d'Aversa si diede la città di Siponto col Monte Gargano con tutte le sue terre e luoghi appartenenti al medesimo. A Guglielmo Bracciodiferro si diede la città d'Ascoli, confirmandogli il titolo di Conte, che di comun consenso già gli si era concesso. A Drogone Venosa. S'assegnò ad Arnolino Lavello: Monopoli ad Ugone: Trani a Pietro: Civita a Gualtiero: a Ridolfo Canne: a Tristaino Montepiloso: Trigento ad Erveo: Acerenza ad Asclittino: S. Arcangelo a Rodulfo: Minervino a Raimfrido: e ad Arduino, secondo ciò, che aveano giurato, fugli ancora assegnata la porzion sua. Così fu partito ciò ch'essi infinora aveano conquistato in Puglia. Solo la città di Melfi, che era la prima e la più forte Piazza, che infino allora aveano acquistata, restò a tutti comune. Essi se la serbarono per aver un luogo ove potessero ragunarsi, qualora doveano deliberare delle cose più rilevanti della lor Nazione: quindi Melfi cominciò ad estollere il capo sopra l'altre città della Puglia, onde i romani Pontefici la riputaron capace di potervi ivi ragunare qualche Concilio, come fecero; ed essendosi anche Amalfi resa celebre per la navigazione, quindi avvenne, che presso gli Scrittori oltramontani, non bene intesi de' nostri luoghi, spesso confondendo l'una coll'altra città, prendono l'una per l'altra, ingannati dall'uniformità del nome.

Ecco come i Normanni si resero padroni della maggior parie della nostra Puglia: nè s'arrestò qui il corso delle loro conquiste, che poco da poi portarono sopra l'altre province, come qui a poco ravviseremo. Essi la tolsero a' Greci, che la possedevano; ancorchè l'Imperador di Occidente vi pretendesse avervi dritto, come Re d'Italia, a' quali nel Regno de' Longobardi fa sottoposta, e da' Duchi di Benevento era amministrata per mezzo de' Castaldi, che vi mandava, e perciò ricaduta in poter de' Greci, aveano ne' tempi degli Ottoni sovente preteso di sottoporla all'Imperio d'Occidente, ancorchè i successi non corrispondessero a' loro disegni.

Intanto Argiro essendosi diviso da' Normanni, veduto che da essi nella distribuzione delle città non se gli era assegnata parte alcuna, avea rivolti i suoi pensieri ad altre imprese: egli non si curò molto di questo, poichè il suo intento era di farsi Principe di Bari, come Melo suo padre, ed avendo avute opportune occasioni di rendersi nella grazia dell'Imperadore Costantino Monomaco, per aver ripressa la fellonia di Maniace, ed obbligatolo a fuggir in Bulgaria, ove fu fatto morire, ottenne da questo Principe non sol la sua grazia, ma gli concedè Bari col titolo di Principe e Duca di Puglia, facendolo anche Patrizio, affinchè come suo dipendente mantenesse i suoi interessi, che avea in queste province. Così Argiro in questa altra parte della Puglia fermato, militando sotto gli auspicj dell'Imperador d'Oriente, diede principio al Principato di Bari, che finalmente passò pure sotto la dominazione de' Normanni, come diremo.

Intanto i Normanni siccome andavano maggior forza acquistando, così si facevano più animosi, e poco men che insolenti con invadere i vicini. Quelli che sotto Rainulfo Conte d'Aversa militavano, sovente molestavano il monastero di Monte Cassino, e finalmente vennesi a manifeste invasioni; ma essendosi loro opposto l'Abate, era la cosa per terminare in una fiera guerra, se Guaimaro loro collegato, ed insieme amico dell'Abate non si fosse frapposto per pacificargli, come fece.

Ma in quest'anno 1046 rimasero i Normanni afflittissimi per la morte accaduta di due loro famosi Capitani. Quei di Puglia perderono il famoso Guglielmo, il Condottiero di tutti i loro affari, nella di cui persona s'univano con maraviglia l'intrepidezza ed il valore contro i nemici, e la dolcezza e l'affabilità verso i suoi. Egli, come scrive Guglielmo Pugliese suo contemporaneo, era un Lione in guerra, un Agnello nella società civile ed un Angelo nel consiglio. Non regnò in Puglia, che tre anni, ed abitò in Italia dal 1035 che vi venne, insino alla sua morte dodici anni; e fu sepellito nella chiesa della Trinità di Venosa, città, la quale nella riferita divisione era stata assegnata a Drogone suo fratello. Gli altri d'Aversa poco da poi perderono il Conte Rainulfo al quale, non avendo di se lasciati figliuoli, diedero per successore Asclittino, che fu cognominato, secondo Ostiense, il Conte giovane, e da Orderico Vitale, de Quadrellis. Questi resse il Contado di Aversa picciol tempo, poichè morto nell'anno 1047 ancorchè avesse di se lasciati figliuoli, invase tosto il Contado Rodolfo, da Ostiense cognominato Cappello, e da Guglielmo Pugliese, detto Drincanotto; ma ben presto ne fu costui scacciato dagli Aversani, i quali elessero per Conte un altro Rodolfo, Trinclinotte appellato; e questi, morto poco da poi, gli Aversani posero in suo luogo Riccardo figliuolo d'Asclittino, il quale trovandosi allora nella Puglia militando agli stipendj di Drogone, che aveagli anche data per moglie una sua sorella, fu da essi richiamato, ed al Contado d'Aversa proposto. Questi fu, che nell'anno 1058 avendo discacciato il Principe Pandolfo V da Capua, si rendè padrone di quel Principato, che poi trasmise a' suoi posteri, come diremo. Tanto che i primi Principi di Capua normanni dal sangue di questo Asclittino tutti discesero; nè bisogna confondergli con gli altri Normanni della Puglia e della Calabria, che furono della razza di Tancredi Conte d'Altavilla.

Questi ancora, per la morte di Guglielmo, pensarono immantenente a sustituire in suo luogo un altro, che potesse ugualmente sostenere le sue veci; onde elessero per Conte di Puglia Drogone suo fratello, prode e valoroso Capitano; Pirri, su la credenza che Guglielmo avesse lasciato di se figliuoli, scrisse, che intanto i Normanni, questi figliuoli esclusi, avessero in suo luogo eletto Drogone suo fratello, perchè quest'era il lor costume di preferire a' figli i fratelli maggiori del defunto; ma come ben osservò, questa è una ragione in tutto vana; poichè appresso i Normanni medesimi il Ducato di Normannia si trasferiva da padre a figlio; siccome il notano la Cronaca Normanna, e Gordonio; e mancando la descendenza del figliuolo, allora succedeva il fratello; siccome al III Riccardo, V Duca già sterile, succedè il II Ruberto, VI Duca suo fratello, come notò Gordonio nell'anno 1028. Onde è più verisimile, che in quest'anno al titolo di Conte succedesse il fratello e non il figliuolo di Guglielmo I, perchè questi o non ebbe moglie in Italia ed in Francia; o se l'ebbe, fu donna sterile ed infeconda, come crede Inveges; ovvero che in questi principj non per successione, ma per elezione erano rifatti i Conti di Puglia.

§. II. Di Drogone II Conte di Puglia.

Mentre Drogone governava la Puglia, fu incredibile l'ardore e l'impazienza, che gli altri suoi fratelli minori, ch'erano rimasi in Normannia, aveano di venire a ritrovarlo; il loro padre Tancredi faticò molto per ritenerne almeno due appo lui, per mantenere la sua casa in Normannia. Roberto e gli altri suoi fratelli qui si condussero, seco portando molti altri gentiluomini della lor Nazione, i quali passavano in Italia non armati, o con levata di fanti e di cavalli, ma travestiti in abito di pellegrini, col bordone in mano e colla tasca alle spalle, come se andassero a' santuarj de' monti Cassino e Gargano, per non esser fatti prigionieri da' Romani, i quali vedendo in Puglia cotanto fiorire questa straniera Nazione, già l'avean per sospetta e nemica così degl'Italiani, come de' Greci. Stabilivansi perciò, e augumentavansi sempre più i Normanni nella Puglia; al che conferiva l'accuratezza di Drogone, il quale, per meglio stabilirsi, fece creare Conte Umfredo III, suo fratello, e primogenito a riguardo degli altri suoi fratelli minori; ed a Roberto, che fu poi detto Guiscardo, il primo nato della seconda moglie di Tancredi, conoscendolo per un Cavaliero più spiritoso ed intraprendente degli altri, lo impiegò ad imprese più nobili e generose. Egli avendo conquistata la Fortezza di S. Marco posta su la frontiera di Calabria, vi mise Roberto dentro per guardarla, ed insieme perchè potesse secondo le occasioni dilatar i confini sopra la Calabria.

Ma mentre così Drogone proccurava gli avanzamenti della sua Nazione, accaddero in questi tempi altri fortunati successi, che gli portarono maggior stabilimento e fermezza sopra la Puglia di recente conquistata. L'Imperador Errico II, che come si disse, a Corrado suo padre era nell'Imperio succeduto, essendo distratto per la guerra d'Ungheria, non avea potuto molto badare alle cose d'Italia; ma disbrigato come potè meglio di quell'impresa, fu per varie cagioni da dura necessità costretto di calare in Italia. Lo richiamavano in queste parti il sentire i tanti ravvolgimenti, che alla giornata accadevano in queste nostre province, sopra le quali egli come Re d'Italia non voleva perdere quella sovranità e que' diritti che v'aveano esercitato i suoi predecessori; e se bene non molto si curasse dell'ingrandimento de' Normanni nella Puglia e nella Calabria, riputando suo vantaggio se tutte intere queste due province si togliessero a' Greci; nulladimeno desiderava, che i Normanni fossero da se dipendenti, e siccome i Principi longobardi lo riconoscevano per Sovrano, così essi dovessero riconoscer lui. Ma molto più lo richiamavano in Italia i disordini e le confusioni, e le detestabili enormità di Roma nate per l'elezioni de' romani Pontefici; poichè essendo diminuita in Roma l'autorità imperiale, ed avendo il Popolo riassunta l'autorità d'eleggere il Papa, ritornarono in quella Chiesa le confusioni ed i disordini. Non fu mai veduta questa città così miseramente afflitta per l'avarizia ed esecrandi costumi dell'Ordine ecclesiastico come in questi tempi. Non facevano allora difficoltà i maggiori Prelati comprare sfacciatamente per danari i più alti ministerj, fino al Sommo Sacerdozio, e scambievolmente vendere da poi le cose più sante. Non avean alcun riparo a viva forza, e colle armi alle mani invadere la Cattedra di S. Pietro; e quando le fazioni e le armi mancavano, di ricorrere alle ambizioni, alle simonie, a' veleni, ai tradimenti ed alle uccisioni; poichè non s'era ritenuto Benedetto vender parte del Ponteficato a Silvestro III, ed un'altra parte a Gregorio VI, sedendo tutti e tre in Roma in un medesimo tempo con molta confusione; massimamente, che questo Gregorio essendosi armato di soldati a piedi ed a cavallo, e con molta uccisione avendo occupata la Chiesa di S. Pietro con le armi, aggrandiva notabilmente la sua parte. Erano ite in bando le lettere, e la dottrina de' Padri e del Vangelo non avea in loro lasciato alcun vestigio. Non s'arrossivano i Diaconi, i Preti ed i Vescovi stessi nelle loro case, ed in Roma medesima tener pubblicamente le concubine, nè si vergognavano ne' loro testamenti lasciar eredi i loro figliuoli sacrilegi, che da quelle avean generati. In breve avean ridotta Roma in una Babilonia, nè v'era scelleraggine, che non commettessero; tanto che que' pochi, che per la loro somma virtù non furono contaminati, e che scrissero delle calamità di questi tempi, confessano non aver parole bastanti per esprimere tante enormità e scelleratezze: ed il celebre Abate Desiderio, che visse in questi medesimi tempi, e che poi assunto al Ponteficato fu detto Vittore III, narrando in parte questi orribili eccessi, testifica sgomentarsi di rapportargli tutti per l'orrore, che tante enormità aveangli recato.

Venne perciò Errico in Roma in questo anno 1047.

(Sembra fra Scrittori esservi qualche varietà intorno a fissar l'anno di questa venuta d'Errico in Roma. Alcuni la fissano nell'anno 1046, altri nel 1047; ma tutti però dicono lo stesso; poichè que' Cronografi antichi, che cominciavano a contar gli anni dalla natività del Signore, la coronazione d'Errico seguita in Roma per mano di Papa Clemente II, nel giorno di Natale la portano nell'anno 1047. Così Lione Ostiense l. 2 c. 79 scrisse: Henricus Imperator Chuonradi filius, tot de Romana, et Apostolica sede nefandis auditis, caelitus inspiratus, anno Domini MXLVII. Italiam ingrediens, Romam accelerat. Siccome fè eziandio Ottone Frisingense VI c. 33 dicendo: Anno ab incarnatione Domini MXLVII. Henricus Rex victoriosissimus, in die Natalis Domini a Clemente coronatus, Imperatoris et Augusti XC, ab Augusto nomen suscepit. Inde per Apuliam exercitum ducens, cum honore ad Patriam revertitur. Ed Ermanno Contratto ad An. 1047. In ipsa Natalis Domini die, praefatus Suidegerus etc. ex more consecratus et nomine auctus, Clemens II vocatus est. Qui mox ipsa die Henricum Regem et Conjugem ejus, Agnetem, Imperiali Benedictione sublimavit, etc. Altri Cronografi, che non fan cominciar l'anno da dicembre nel giorno di Natale, ma che da gennaro seguente o da marzo, collocano questi avvenimenti nell'anno precedente 1046 siccome fanno Sigeberto Gemblacense ad An. 1046 Alberico ad An. 1046 Mariano Scoto ad An. 1046 ed altri Germani Scrittori rapportati da Struvio Syntag. Histor. Germ. disert. 14 §. 18 pag. 407).

Ed ancorchè a tanti mali proccurasse dar qualche rimedio, con fugare Benedetto, mandarne via Silvestro e relegare in Germania Gregorio; con tutto ciò erano cotanto i costumi degli Ecclesiastici detestabili, e l'ignoranza sì grande, che dovendosi eleggere il nuovo Pontefice, con intenso dolore esclama Ostiense, che non si potè trovare alcuno in Italia, che fosse degno d'un tanto Sacerdozio; tanto che per minore male bisognò, che si venisse ad eleggere un Sassone, Vescovo ch'era di Bamberga, il quale Clemente II nominossi.

I Romani soddisfatti d'Errico per queste cose sì prosperamente adoperate, lo elessero per loro Patrizio, ed oltre della imperiale, lo fregiarono dell'aurea Corona patriziale. Disbrigato Errico dagli affari di Roma, a fin di comporre le cose di queste province, incaminossi verso le medesime con Papa Clemente, e visitato ch'ebbe Monte Cassino, in Capua fermossi. Il Principe Guaimaro per nove anni avea tenuto il Principato di Capua, di cui da Corrado, tolto che l'ebbe a Pandulfo, n'era stato investito; ma questo Principe portava molta gelosia agli altri per tanti acquisti; egli dopo avere al Principato di Salerno aggiunto l'altro di Capua, aveasi ancora sottoposto il Ducato di Sorrento, e l'altro più ragguardevole di Amalfi: teneva per suoi dipendenti i Duchi di Gaeta: ed oltre a ciò coll'aiuto degli stessi Normanni che Argiro, tenendo assediata Bari, aveagli mandati, aspirava alla conquista della Puglia e della Calabria; nè s'era ritenuto, come si disse, per mostrar il suo fasto, tra i suoi titoli usurparsi anche quello di Duca di Puglia e di Calabria.

Dall'altro canto Pandolfo, che da Corrado era stato scacciato, e che dopo la morte di Calefato, liberato dal successore dall'esilio, era ritornato in Italia, coll'aiuto de' Conti d'Aquino, e del Sesto cominciò a pensare come potesse riporsi nel suo Principato; laonde morto Corrado, il quale non potè mai per la sua crudeltà sopportarlo, e succeduto Errico, entrò in migliori speranze. In fatti venuto Errico a Capua per l'incessanti sue preghiere e ricchi doni, aggiungendosi ancora la gelosia della soverchia potenza di Guaimaro, l'Imperadore senza usargli violenza, si adoperò destramente con Guaimaro per farsi renunciare in sue mani il Principato di Capua, siccome seguì; e con ciò fu da lui restituito a Pandolfo ed a Landolfo suo figliuolo.

§. III. Prime investiture date dall'Imperadore Errico a' Normanni.

Composte in cotal guisa le cose di Capua, volle Errico assicurarsi de' Normanni, de' quali prendeva gran cura avergli per suoi dipendenti. Non aveano trascurato intanto Drogone Conte di Puglia, e Rainulfo Conte d'Aversa subito ch'Errico giunse a Capua, di mostrarsegli riverenti e rispettosi: essi lo visitarono e regalarono di molti cavalli e di grossa quantità di denaro. Allora fu ch'Errico diede l'investitura a questi Principi normanni del Contado d'Aversa (siccome già Corrado avea fatto all'altro Rainulfo), ed a Drogone di tutto ciò ch'egli possedeva nella Puglia. Così proccuravano questi novelli Principi stabilirsi con maggior fermezza in quelli Stati, ch'essi finora possedevano non con altro titolo, se non per quello, che veniva lor fornito dalla ragion della guerra. La Puglia e la Calabria ancorchè i Normanni l'avessero tolte a' Greci, non è però che gl'Imperadori d'Occidente non pretendessero appartenersi a loro come Re d'Italia, a cui queste province, durante il Regno de' Longobardi, erano sottoposte; perciò essi molte guerre ebbero co' Greci per riacquistarle, e per questa cagione non deve parere strano, se essi ancora di queste province in qualunque maniera che loro si offerisse la occasione, ne investissero coloro i quali a' Greci l'avean tolte, come fecero a' Normanni.

Ma non pure Errico investigli di questi Stati, ma concedè loro ancora tutto'l territorio beneventano, per l'occasione, che diremo. Reggeva in questi tempi il Principato di Benevento Pandolfo III, col suo figliuolo Landolfo: Errico, da poi che in Capua ebbe investiti i Normanni, partissi da questa città per portarsi in Benevento; i Beneventani per ciò che potrà osservarsi dalle cose precedenti, riputando aver ricevuto sempre de' maltrattamenti dagl'Imperadori d'Occidente, come avevano sperimentato sotto i due ultimi Ottoni, di mal animo ricevevano nella lor città gli Imperadori quando essi calavano in Italia: ora che intesero la venuta d'Errico, e che ivi si portava insieme con Papa Clemente II, gli resisterono, e chiuse le porte della città, e dentro di quella fortificatisi non vollero riceverlo. Errico fortemente sdegnato per quest'oltraggio, nè potendo allora colle armi vendicarsene, fece scomunicar dal Papa tutta la città, dal qual fatto, siccome altrove fu avvertito, maggiormente si conferma, che molto prima di Gregorio VII, l'uso degli interdetti generali d'una intera città fosse stato introdotto nella Chiesa; e non bastandogli questo, tolse ai Beneventani tutto il lor territorio, e que' luoghi aperti del Principato, che potevano di facile conquistarsi, ed a' Normanni per la sua autorità furono conceduti. Così avendo Errico maggiormente stabiliti i Normanni ne' Contadi d'Aversa e di Puglia, e parte del Principato di Benevento, in Germania fece ritorno, seco menando Clemente R. P. e Gregorio già Pontefice, che avea in Germania relegato. In quest'anno adunque 1047 la regia Casa normanna cominciò a sottoporsi ad investitura, ed infeudazione non già da' romani Pontefici, i quali a questi tempi non si sognarono di pretenderlo; ma dagli Imperadori d'Occidente, che come Re d'Italia, per le ragioni altre volte ricordate, credeano queste province appartenere al loro Imperio.

Ma mentre l'Imperadore d'Occidente così disponeva di queste nostre province, l'Imperador d'Oriente, a cui era stato rapportato, che Errico avea conceduta l'investitura a' Normanni della Puglia, e che disponeva di questa provincia come se appartenesse al suo Imperio, e non già a quello d'Oriente, com'era; e che perciò venivano i Normanni a stabilirsi in maniera, che non vi sarebbe poi stata speranza di scacciargli, pieno di rabbia e di cordoglio, si risolse di mandare tosto in Puglia un nuovo Ufficiale, Argiro appellato, carico d'oro e d'argento, e di preziosi drappi, affinchè non potendo colle forze discacciargli, s'ingegnasse di farlo per questo mezzo, e con invitargli in nome dell'Imperadore a passare colle loro truppe nella Grecia, avendogli destinati per Capitani d'una guerra che esso intendeva di fare a' Persiani, nella quale n'avrebbono ritratto un gran vantaggio. I Normanni, che tosto s'accorsero dell'inganno, gli risposero con libertà, ch'essi non mettevano mai il piede fuori d'Italia, se non quando ne fossero colla forza scacciati. Il dispetto che n'ebbe Argiro di vedersi scoverto ogni suo artifizio, lo fece rivoltare ad altri più scellerati mezzi. Egli co' tesori, che avea recati da Costantinopoli, proccurò corrompere molti Pugliesi, e' più famigliari del Conte Drogone, e fra gli altri si guadagnò un uomo appellato Riso, ch'era anche suo compare. Questo traditore, mentre Drogone era in una delle sue Piazze, appellata Montoglio, ed andava su'l mattino alla chiesa, si nascose dietro la porta, ed avventandosegli sopra con un pugnale l'uccise; gli altri congiurati, i quali si erano parimente nascosti con Riso, uccisero un gran numero di gente della guardia del Conte, e presero il Forte. Lo stesso fu eseguito in diversi luoghi della Puglia, ch'erano intesi della congiura; tanto che fu de Normanni fatta maggior uccisione per questo tradimento, che non in tante guerre di molti anni.

Ma Umfredo, che vivente ancora Drogone era stato fatto Conte, subito che con estremo cordoglio ebbe intesa la morte di suo fratello, ed il barbaro assassinamento, che i Pugliesi aveano fatto alla sua Nazione, unì tutte le sue truppe, e rigorosamente avendo assediato il Forte Montoglio, se ne rese dopo questo assedio padrone; ed avuto in mano l'assassino co' suoi complici, fecegli morire con differenti sorti di rigorosissimi supplicj. Volle opporsi Argiro, mettendosi alla testa d'alquante truppe che unì; ma Umfredo gli fu sopra, lo disfece, ed obbligollo a ritirarsi confuso e vinto, il che gli tirò sopra la disgrazia dell'Imperadore, onde poco tempo dapoi ne morì di dolore. Da questo avvenimento, i Normanni per vendicarsi dei Greci rivoltarono tutti i loro pensieri per discacciargli dalla Calabria, e cominciarono a star più cauti coi Pugliesi, ed a trattargli con più rigore; i quali male sofferendo perciò il lor dominio, cominciarono ad empire di querele il Mondo, ed inventare contro i Normanni le più atroci calunnie, con accagionargli di mille delitti; e qualificando il loro dominio per tiranno e per crudele, portarono le loro querele ad Errico, e poco da poi al Papa Lione, onde nacquero tante novità e disordini, come saremo ora a narrare.

Share on Twitter Share on Facebook