Libro nono

I Normanni, che nel nostro linguaggio non altro significano, che uomini boreali, siccome i Goti ed i Longobardi, non da altra parte del Settentrione, che dalla Scandinavia uscirono ad inondare l'Occidente. Essi cominciarono la prima volta a farsi sentire nei lidi della Francia a tempo di Carlo M. verso il fine del secolo ottavo; e quaranta anni da poi, o poco meno, cominciarono a travagliare i marittimi Fiaminghi e' Frigioni, sotto i cui nomi si comprendevano allora Trajetto al Reno, l'Ollanda, e la Valacria. I Re di Francia per trattenergli furon a buon patto costretti nell'anno 882, di dar loro la Frisia per abitazione. Ma non essendo abbastanza soddisfatti di questa provincia, cominciarono ad invadere altri luoghi d'intorno con incendj e rapine sotto Rollone lor Capo, famoso e valorosissimo Pirata, il quale nell'istesso tempo, che i Saraceni con non minor crudeltà inondavano la nostra cistiberina Italia, egli co' suoi Normanni travagliava miseramente, e con inaudita barbarie la Francia. Portarono questi Popoli l'assedio insino a Parigi, invasero l'Aquitania, ed altre parti ancora di quel Reame sotto il regno di Carlo il Semplice; onde non potendo questo Principe resister loro, pensò avergli per amici e per confederati; onde convennero, che Carlo dovesse stabilmente assegnar loro la Neustria, una delle province della Francia per loro sede, e dovesse dar a Rollone per moglie Gisla sua figliuola, come scrive Dudone di S. Quintino, o sua parente, secondo il parer del Pellegrino, ed all'incontro Rollone, deposta l'Idolatria ed il Gentilesimo, nel quale questi Popoli viveano, dovesse abbracciare la religione cristiana. Così fu eseguito intorno l'anno 900 di nostra salute: a Rollone con titolo di Duca fu data stabilmente la Neustria, e sposata Gisla, il quale nell'istesso tempo fu da Roberto Conte di Poitiers tenuto al sacro fonte, dove insieme col nome, si spogliò di quella sua crudeltà e barbarie, e volle nomarsi Roberto dal nome del suo Compare; e seguendo l'esempio del lor Capo gli altri Normanni si resero da poi più culti ed umani. Rimasa questa provincia di Neustria sotto il lor dominio, le diedero dal loro il nome di Normannia, che oggi giorno ancor ritiene.

Da questo Roberto primo Duca di Normannia ne nacque Guglielmo, che il padre creò Conte d'Altavilla, città della stessa provincia. Costui generò Riccardo, dal quale nacque un altro Riccardo: di questo II Riccardo nacque Roberto II, ed un altro Riccardo che III diremo. E da Roberto II ne nacque Guglielmo II, dal quale comunemente si tiene, che fosse nato Tancredi Conte d'Altavilla, quegli che ci diede gli Eroi, per li quali queste nostre province furon lungo tempo signoreggiate.

Ebbe Tancredi di due mogli dodici figliuoli maschi oltre altre femmine, delle quali una nomossi Fredesinna, che fu moglie di Riccardo Conte d'Aversa e Principe di Capua, un'altra fu moglie di Gaufredo Conte di Montescaglioso, ed un'altra ebbe per marito Volmando. I figliuoli della sua prima moglie nominata Moriella furono Guglielmo soprannomato Bracciodiferro, Drogone ed Umfredo (i quali, come vedrassi, furono i tre primi Conti della Puglia) Goffredo e Serlone. Gli altri sette gli ebbe da Fredesinna sua seconda moglie, il primogenito de' quali fu Roberto soprannomato Guiscardo, ch'è lo stesso, che in antica favella normanna, scaltro ed astuto, e questi divenne Duca di Puglia e di Calabria, il II fu Malgerio, il III Guglielmo, il IV Alveredo, il V Umberto, il VI Tancredi, il VII ed ultimo fu Roggiero, che conquistò la Sicilia, e stabilì la Monarchia.

Questi però non furono i primi, che a noi ne vennero: essi, come vedremo, seguirono le pedate di alcuni altri Normanni, che poco prima si erano stabiliti in Aversa, onde bisogna distinguere gli uni dagli altri per non confondergli, come han fatto alcuni Scrittori. I primi vennero a noi intorno l'anno 1016. I figliuoli di Tancredi calarono in Italia intorno l'anno 1035. Ma non tutti, poichè due ne restarono in Normannia, nè gli altri tutti insieme ci vennero, ma secondo che le congiunture furono loro propizie, or due, or tre, ed in altra somigliante guisa incamminaronsi a queste nostre parti; nè maggiore fu il numero de' primi, come vedremo.

Ciò che apparirà di più portentoso ne' loro successi sarà, come un branco d'uomini che vengono di Francia a traverso di mille sciagure abbiano potuto rendersi padroni di uno de' più vaghi paesi del Mondo: come una sola famiglia di Gentiluomini di Normannia, soccorsi solamente da un picciol numero di suoi compatrioti, abbiano potuto stabilirsi una Monarchia ne' confini dell'Imperio d'Oriente e d'Occidente: abbiano potuto contro due potenti inimici riportar tante e sì maravigliose vittorie, liberar l'Italia e la Sicilia dall'incursioni, e dal giogo degl'infedeli Saraceni, ciò che a Potenze maggiori non fu concesso, e dopo avere debellati i Greci ed i Principi longobardi, fondare in Italia il bel Reame di Napoli e di Sicilia. Certamente a niun'altra Nazione, se ne togli i Romani, è sì fortunatamente avvenuto, che così bassi principj, in tanta potenza ed Imperio fossero arrivati. Le altre Nazioni, come abbiam veduto de' Goti e de' Longobardi, non in forma di pellegrini, di viandanti vennero in Italia, ma con eserciti ben numerosi, che inondarono le nostre contrade, si stabilirono il Regno.

All'incontro se si considererà lo stato infelice, nel quale erano ridotte queste nostre province infra di lor divise, ed a tanti Principi sottoposte; e l'estraordinario valore e bravura di questa Nazione, non saranno per apportar maraviglia i loro fortunati avvenimenti. Si aggiunse ancora che le maniere di guerreggiare usate in que' tempi, non eran come quelle d'oggidì: non vi era allora quasi regola alcuna per assaltare o per difendersi. Un esercito intero si vedeva alcune fiate disfatto senza sapersi nè come nè per qual cagione, e la più grande abilità consisteva, o in una gran forza di corpo incomparabilmente maggiore de' nostri tempi, poichè praticavansi con maggior frequenza quegli esercizj, che posson giovare ad acquistarla; o pure in una bravura eccessiva, che faceva concepire a' combattenti tanta confidenza, donde sovente maravigliosi successi sortivano, o alla perfine in alcune imprese orgogliose, la cui condotta in altra guisa non sarebbesi potuto giustificare, se non dall'avvenimento che ne seguiva.

Questo è quello, che produceva quei vantaggi, che noi ravviseremo ne' Normanni, i quali aveano quel medesimo lustro e grandezza, che nell'azioni de' Romani spesse fiate ammiravansi. Ed in fatti di poche altre Nazioni si leggono tante conquiste, quante dei Normanni: essi posero sottosopra la Francia, e molte regioni di quella conquistarono. Guglielmo Normanno discese da' medesimi Duchi di Neustria, acquistossi il fioritissimo Regno d'Inghilterra, e lo tramandò alla sua posterità. La nostra Puglia, la Calabria, la Sicilia, la famosa Gerusalemme e l'insigne Antiochia passaron tutte sotto la loro dominazione.

Ma come, e quali occasioni ebbero gli uomini di questa Nazione di venire in queste nostre regioni cotanto a lor remote, e come dopo vari casi se ne rendessero padroni, è bene che qui distesamente si narri; poichè non altronde potrà con chiarezza ravvisarsi, come tante e sì divise Signorie, finalmente s'unissero insieme sotto la dominazione d'un solo, e sorgesse quindi un sì bel Regno, che stabilito poscia con provide leggi, e migliori istituti, poterono i Normanni per lungo tempo mantenerlo nella loro posterità; nè se non per mancanza della loro stirpe maschile si vide, dopo il corso di molti anni, trapassato ne' Svevi, i quali per mezzo d'una Principessa del lor sangue, ad essi imparentata, vi succederono. Non potrebbe ben intendersi l'origine delle nostre papali investiture, e come fosse stato poi riputato questo Regno Feudo della Chiesa romana, se non si narreranno con esattezza questi avvenimenti, donde s'avrà ben largo campo di scovrire molte verità, che gli Scrittori, parte per dappocaggine, molti a bello studio tennero fra tenebre ed errori nascose.

Nel racconto delle loro venture, e di tutti gli altri avvenimenti di questa Nazione, non ho voluto attenermi, se non a' Storici contemporanei, ed a coloro, che più esattamente ci descrissero i loro fatti, la cui testimonianza non può essere sospetta. I più gravi e più antichi fra' Latini saranno Guglielmo Pugliese, Goffredo Malaterra, Lione Ostiense, Amato Monaco Cassinese, Orderico Vitale, Lupo Protospata, l'Anonimo Cassinese, Pietro Diacono e Guglielmo Gemmeticense. E fra' Greci, la Principessa Anna Comnena, Giovanni Cinnamo, Cedreno, Zonara ed altri raccolti nell'istoria Bizantina, i quali Carlo Dufresne illustrò colle sue note.

Guglielmo Pugliese rapporta in versi latini, ancorchè poco eleganti, ma molto buoni per lo stile del secolo in cui vivea, le azioni e' fatti d'armi de' Normanni nella Calabria. Questi scrive, non come un Poeta s'avviserebbe, ma come un Istorico, che vuole solamente ad un racconto fedele insieme ed ordinato aggiunger il numero ed il metro. Arriva il suo racconto insino alla morte dell'illustre Roberto Guiscardo accaduta circa l'anno 1085. Diegli alla luce ad istanza di Papa Urbano II, che nell'anno 1088 fu innalzato al Ponteficato, e dedicogli a Rogiero figliuolo e successore di Roberto Guiscardo. Questo suo poemetto istorico manuscritto fu ritrovato da Giovanni Tiremeo Hauteneo Avvocato Fiscale della provincia di Roven nella libreria del monasterio di Becohelvino vicino Argentina.

Goffredo Monaco, di cognome Malaterra, è un Autore più degno di fede: scrisse egli in prosa molto a lungo l'istoria delle conquiste fatte in Italia da' Normanni, per ordine di Rogiero Conte di Sicilia e di Calabria, fratello che fu di Roberto Guiscardo. Quest'opera essendo stata lungo tempo sepolta in obblio, il di lei manuscritto fu ritrovato in Saragozza infra l'istoria de' Re d'Aragona l'anno 1578 da Geronimo Zurita, che la diede alla luce; ed il Baronio di questo ritrovamento, come d'un vero tesoro ne parla; quindi coloro, che hanno scritta l'Istoria di Sicilia, per non aver letto quest'Autore, in molti abbagli sono incorsi.

Lione Vescovo d'Ostia è un Autore assai noto, e che va per le mani d'ognuno; essendo egli Religioso di Monte Cassino scrisse la Cronaca di quel monastero poco dopo il tempo, di cui saremo per ragionare; ed ancorchè il suo impegno fosse di far apparire al Mondo la santità e grandezza di quel Monastero, nulladimeno ci somministra molti lumi per bene intendere le cose de' Normanni, nel Regno de' quali egli scrisse.

Amato Monaco Cassinense fiorì intorno a questi medesimi tempi: fu anch'egli da poi fatto Vescovo, ancorchè non si sappia qual Cattedra gli si fosse data. Pietro Diacono tra gli uomini illustri di Cassino novera quest'Amato, e rapporta esser egli stato intendentissimo delle sacre scritture, e versificatore ammirabile. Fra le altre sue opere, che compose, fu quella de Gestis Apostolorum Petri, et Pauli, indirizzata a Gregorio VII, R. P., e l'istoria de' Normanni divisa in otto libri, che dedicò a Desiderio, quel celebre Abate di Monte Cassino, che assunto da poi al Ponteficato fu detto Vittore III. Quest'istoria de' Normanni scritta da Amato, per quel che sappiamo, non uscì mai alla luce del Mondo per mezzo delle stampe: Giovanni Battista Maro nell'annotazioni a Pietro Diacono rapporta, che a' suoi tempi questa istoria si conservava manuscritta nella Biblioteca Cassinense, ove molte cose degne da sapersi intorno alle gesta ed a' riti de' Normanni erano accuratamente descritte. Ma l'Abate della Noce piange questa perdita, e nelle note alla Cronaca Cassinense, rapporta essere stata tolta da quella Biblioteca, siccome molte altre cose degne d'eterna memoria. Visse quest'Autore intorno l'anno 1070 nel qual tempo, secondo ciò che comportava quel secolo, essendo la letteratura, per lo più presso a' Monaci, ne fiorirono molti altri, come Alberico, Costantino, Guaifero, Alfano, che poi fu Arcivescovo di Salerno, ed altri, che possono vedersi presso Pietro Diacono.

Scrissero ancora de' Normanni qualche cosa Lupo Protospata, l'Anonimo Cassinense, e Pietro Diacono stesso; ma Orderico Vitale, e Guglielmo Gemmeticense molto più diffusamente, oltre di molti Scrittori moderni, che sono a tutti notissimi.

La Principessa Anna Comnena, detta ancora Cesaressa, si rese più famosa al Mondo per la sua mente e per la sua erudizione, che per la sua qualità e per li suoi natali: ella fu figliuola d'Alessio Comneno, detto il Vecchio, Imperador di Costantinopoli, e di Irene. Zonara e Niceta ci assicurano, che questa Principessa amava lo studio con un ardore estremo, e che la sua ordinaria occupazione era su i libri. Non solo s'applicava all'istoria ed alle belle lettere, ma ancora alla filosofia: ella scrisse in quindici libri la Istoria d'Alessio Comneno suo padre, al quale il nostro Roberto Guiscardo mosse una crudelissima guerra, che fu parte del soggetto della sua istoria; ed ancorchè alcune fiate, secondo il costume della sua nazione, manchi di rapportare con esattezza la verità, nulladimanco deve esser creduta, qualora favella in commendazione di Roberto Guiscardo, cui per essere fiero inimico di suo padre, grandemente odiava. Promette ella nel proemio della sua istoria di non dire cosa, per la quale possa essere accusata di compiacenza o d'adulazione, e che non sia uniforme alla verità; nientedimeno si vede, che ciò ch'ella scrive di suo padre, è un elogio continuato. Gli Autori latini non sono di questo sentimento, poichè questi non parlano d'Alessio, che come d'un Principe furbo e simulatore, di cui il Regno fu più notabile per le sue viltà, che per le sue belle azioni: ed in vero la sua ingiusta gelosia fece gran torto a' Franzesi, che crocesegnati militavano sotto il famoso Goffredo di Buglione per la conquista di Terra Santa; ma forse evvi troppa asprezza nelle Opere de' Latini, siccome soverchia lode in quella d'Anna Comnena. Della sua istoria Hoeschelio ne pubblicò gli otto primi libri, ch'egli avea avuti dalla libreria Augustana. Giovanni Gronovio vi faticò da poi; e nel 1651 Pietro Poussin Gesuita gli diede fuori colla sua traduzion latina, che abbiamo della stampa del Louvre. Da poi il Presidente Cousin ce ne ha ancora data una traduzione in lingua franzese, e finalmente Carlo Dufresne l'illustrò colle sue note.

Giovanni Cinnamo visse sotto l'Imperador Emanuele Comneno, i cui fatti egli distese nella sua Istoria: egli è uno scrittore elegante, e si studia imitare Procopio. De' nostri Normanni sovente egli favella, e va ora la sua Storia parimente illustrata colle note di Carlo Dufresne. Cedreno, Zonara e gli altri Scrittori raccolti nell'istoria Bizantina, de' nostri Normanni alle volte anche favellano.

L'occasione che si diede a' Normanni, che fin dalla Neustria si portassero in queste nostre parti, non deve attribuirsi ad altro, che al zelo ch'ebbero questi Popoli della nostra religion cristiana, dappoichè deposta l'Idolatria si diedero ad adorare il vero Nume. Correva allora appo i Cristiani il costume d'andar pellegrinando il Mondo, non tanto come oggi, per veder città e nuovi abiti e costumi diversi, quanto per divozione di veder i santuarj più celebri. Per tal cagione si resero in questa e nella precedente età famosi in Occidente, ed appresso di noi due celebri luoghi delle nostre province, quello del Monte Gargano per l'apparizione Angelica, l'altro del Monte Cassino per la santità e miracoli di S. Benedetto e dei suoi Monaci: ma sopra tutti i santuarj, com'era di dovere, estolse il capo nell'Oriente Gerusalemme, città santa, ove il nostro buon Redentore lasciò asperso il terreno del suo sangue, ed ove fu sepolto.

Fra tutti i Cristiani del Settentrione è incredibile quanto a quest'esercizio di pietà fossero inclinati i Normanni della Neustria: ad essi, nè la lunghezza del cammino, nè la malagevolezza de' passi, nè il rigor de' tempi e delle stagioni, nè la necessità di dover sovente traversar per mezzo di ladroni e d'infedeli, nè la fame, nè la sete, nè qualunque altro si fosse maggior periglio o disagio, recava terrore. Per rendersi superiori a tante malagevolezze s'univan a truppe a truppe, e tutti insieme traversando que' luoghi inospiti essendo di corpo ben grandi, robusti, agguerriti e valorosi, valevano per un'intera armata, e sovente sopra i Greci, e sopra gl'Infedeli diedero crudelissime battaglie; e ruppero gli ostacoli. Solevano con tal occasione, o nell'andare o nel ritorno venire a visitare i nostri santuari di Gargano e di Cassino.

Nel cominciar adunque dell'undecimo secolo, quaranta, come scrive Lione Ostiense, ovvero, secondo l'opinion d'altri, cento di questi Normanni partiti dalla Neustria s'incamminarono verso Oriente, e fin che in Gerusalemme giungessero, fecero nel cammino molta strage di que' Barbari. Nel ritorno tennero altra strada; ed imbarcati sopra una nave solcarono il Mediterraneo, e nella spiaggia di Salerno giungendo, sbarcarono in que' lidi, ed in quella città entrati, furono da' Salernitani, sorpresi dalla robustezza de' loro personaggi, onorevolmente ricevuti. Reggeva Salerno in questi tempi, come si è narrato, dopo la morte del Principe Giovanni, Guaimaro III suo figliuolo, chiamato, come si disse, da Ostiense, il maggiore, per distinguerlo dall'altro Guaimaro suo figliuolo, che gli succedette. Questo Guaimaro dall'anno 994 che morì Giovanni suo padre, resse il Principato di Salerno ora solo, ora con suo figliuolo insino all'anno 1031, nel quale il di lui figliuolo morì. Furono per tanto da questo Principe invitati a trattenersi in Salerno per ristorarsi dalle fatiche del viaggio, e per goder un poco l'amenità del paese. Ma ecco che sopraggiunse un accidente, nel quale a questi pochi Normanni diedesi opportunità di mostrare il lor valore, e di compensare insieme con Guaimaro le accoglienze, che usò loro. Nel corso di quest'Istoria sovente si è narrato, che i Saraceni non mancaron mai d'infestare il Principato di Salerno, che ora dall'Affrica, e spesso dalla vicina Sicilia sopra molte navi giungendo alla spiaggia di quella città, depredavano i contorni della medesima, ed a campi e castelli vicini di molti danni e calamità eran cagione: Guaimaro, non avendo forze bastanti per potergli discacciare, proccurava per grossa somma di denaro comprarsi la quiete ed il minor danno. Essi ora ci vennero sopra molte navi, mentre questi Normanni erano in Salerno, e fattisi da presso Salerno minacciavano saccheggiamenti e ruine, se con grossa somma di denaro non si fosse ricomprata: Guaimaro, che non avea alcun modo da difendersi, si dispose a condiscendere alle loro richieste, ed intanto ch'egli co' suoi Ufficiali erasi occupato a far contribuire i suoi vassalli, i Saraceni calati dalle navi in terra, riempirono lo spazio ch'è tra il mare e la città, ove aspettando il riscatto, si diedero alle crapole ed alle dissolutezze. I Normanni, che non erano avvezzi soffrire quest'obbrobrio rimproverando a' Salernitani, come lasciassero trionfare con tanta insolenza i loro nemici, con disporsi più tosto da se medesimi a pagare le spese del trionfo, che pensare a difendersi, vollero essi con inaudita bravura vendicare i loro oltraggi, e prese l'armi, mentre i Saraceni a tutto altro pensando stavano immersi tra le crapole ed il riposo, gli assalirono all'improviso con tanto impeto e valore, che d'un numero considerabile di loro fatta strage crudele, gli altri sorpresi si misero tosto in fuga, e così costernati e dissipati, pensarono rientrar ne' loro vascelli assai più presto di quello ne erano usciti, e pieni di scorno ritirarsi da quella piazza. Un fatto così glorioso portò a' Salernitani non minor allegrezza, che ammirazione, ed il Principe Guaimaro non sapeva in che modo dar segno della sua riconoscenza al lor merito: pregogli che restassero nel paese, offerendo loro abitazioni e carichi i più onorevoli; ma essi si protestarono in quell'azione non aver avuta mira ad alcun loro privato interesse; e che non volevano altra ricompensa, che il piacere d'aver soddisfatto alla loro pietà in combattendo a favor de' Cristiani contro degl'Infedeli. Del resto per corrispondere alle cortesie di Guaimaro, ed al desio che mostrava d'aver appo di se uomini di tal sorta, gli promisero, o di ritornare essi medesimi, o d'inviargli de' giovani loro compatrioti di pari valore. Si risolsero per tanto di ritornar alla loro patria, per cui rivedere ardevano di desiderio. Il Principe, non potendo più arrestargli, usò loro tutte le maniere perchè almeno nel loro arrivo gl'inviassero gente di lor nazione; e mentre imbarcaronsi per la Normannia, fecegli accompagnare da molti suoi Ufficiali con barche cariche di frutti i più squisiti insino al loro paese: donò loro ancora delle vesti preziose d'oro e di seta, e ricchi arnesi di cavalli. I disegni di Guaimaro ebbero il loro effetto, e quell'aria di liberalità e di magnificenza fu non solo un invito, ma ben anche una forte attrattiva alla Nazione normanna, per farla venire in queste nostre regioni. Poichè giunti in Normannia, avendo esposto il desiderio de' nostri Principi che aveano di loro gente, valse molto a far prendere questo cammino ad un gran numero di persone, e ben anche di chiarissimo sangue. Al che diede mano un'occasione, che saremo per rapportare.

Nella Corte di Roberto Duca di Normannia fra gli altri Signori, che frequentavano il suo Palazzo, furono Guglielmo Repostel ed Osmondo Drengot: questi offeso da Guglielmo, ch'erasi pubblicamente vantato d'aver ricevuto de' favori da sua figliuola, lo sfidò a singolar tenzone, e con tutto che Guglielmo si trovasse presso del Duca Roberto, il quale colla sua Corte prendevasi il piacere della caccia, s'abbattè col suo nemico nel bosco, gli passò attraverso del corpo la sua lancia, e l'uccise. Il Duca Roberto, riputando ciò suo oltraggio, proccurava averlo nelle mani per farne pubblica vendetta, laonde Osmondo per scappar via dallo sdegno del suo Sovrano, salvossi prima in Inghilterra; ed alla fine veggendo aperta sì bella strada in Italia, risolse quivi ritirarsi co' suoi parenti, e proccurò ancora tirar altri con se per imprendere il cammino. Si portò in fatti questo prode Normanno seco molti suoi fratelli, li quali, secondo narra Ostiense, furon Rainulfo, Asclittino, Osmondo e Rodulfo, seguitati da' figliuoli e nepoti, e da molti de' loro amici. Questo Rainulfo fu il primo Conte d'Aversa, e poi Asclittino, chiamato da Ordorico Vitale Anschetillo de Quadrellis, che a Rainulfo succedè, dal quale traggono origine i primi Normanni, che ebbero il Principato di Capua, come vedremo.

Questi Eroi di chiarissimo sangue usciti dalla Francia con molta comitiva de' loro Normanni, furono da' nostri Principi ricevuti con allegrezza, e con molti segni di stima, memori di ciò che pochi anni prima aveano adoperato i loro nazionali in Salerno. Alcuni rapportano, ch'essi da prima andarono in Benevento, altri che si posero al servigio del Principe di Salerno, ed altri che vennero in Capua: tutte queste cose posson essere vere, poichè questi novelli Normanni, poco men disinteressati di quelli, che aveano combattuto in Salerno, erano pronti di darsi al servigio di colui, che gli avesse meglio riconosciuti: ed i nostri Principi longobardi avendosi ugualmente a difendere contro i Greci, e contro i Saraceni, ciascuno dalla sua parte bramava d'aver appresso di se uomini così valorosi, per mezzo de' quali speravano di conseguire qualunque vantaggio. Comunque ciò siasi, egli è certo che ancorchè non fosse appurato in qual anno precisamente passassero in Capua, prima però dell'anno 1017 in quella città si fermarono, mentre Melo fuggito da Bari avea in quella città ritrovato il suo asilo, ed era stato accolto da Pandolfo IV, il quale dall'anno 1016 insieme con Pandolfo II figliuolo di S. Agata reggeva in quelli tempi il principato di Capua. Ciò che diede occasione a questi novelli Normanni unitisi con lui di segnalarsi in più nobili imprese.

I Greci che col nuovo Magistrato di Catapano, aveano reso insopportabile il lor governo nella Puglia, diedero occasione che in Bari, principal sede di quel Magistrato, nascessero perciò nuovi disordini e tumulti; poichè i Baresi non potendo più soffrire l'aspro governo, che d'essi faceva Curcua nuovo Catapano, animati da Melo prode e valoroso Capitano di sangue longobardo, che dimorava in Bari, ove da molto tempo avea trasportata la sua famiglia, si ribellarono dall'imperio greco, e sperando dare alla lor patria la libertà, si misero sotto la guida di Melo, che per lor Capo insieme con Dato suo cognato l'elessero. Ma gl'Imperadori d'Oriente avvisati di questa rivoluzione, mandarono tosto in Italia Basilio Bagiano nuovo Catapano, il quale giunto nella Puglia con buona compagnia di Signori e di soldati di Macedonia pose l'assedio alla città di Bari. I Baresi vedutisi così stretti, invece di pensare a difendersi, attesero solamente a rappacificarsi co' Greci a costo di Melo, offrendo di darlo loro nelle mani; di che accortosi Melo, tosto se ne fuggì furtivamente in Ascoli con Dato, ed ivi non tenendosi a bastanza sicuro, ritirossi ben anche più lungi, ed intanto i perfidi suoi cittadini, per guadagnarsi la buona grazia de' Greci, inviarono a Costantinopoli Maralda sua moglie, e 'l suo figliuolo Argiro. Melo, che da Ascoli erasi ritirato in Benevento, indi in Salerno, erasi finalmente con Dato fermato in Capua, chiedendo a Pandolfo, siccome a' Principi di Benevento e di Salerno suoi Longobardi a volergli prestar ajuto contro i Greci. Arrivando in Capua ritrovò ivi i Normanni, che poc'anzi eranvi giunti: era egli già consapevole del lor valore, onde trovandogli opportuni a' suoi disegni, per le grandi promesse che lor fece, si diedero al suo servigio, ed avendo arrolate eziandio altre truppe presso de' Principi longobardi, delle quali sollecitava il soccorso, ragunò un'armata, che immantenente menò contro i Greci; ed avendogli assaliti, furono in tre successive battaglie disfatti, e si rese padrone d'alcune città della Puglia; ma poscia perdette tutto il frutto delle sue vittorie nel quarto combattimento, che accadde intorno l'anno 1019 presso la città di Canne, luogo già rinomato per l'antica disfatta de' Romani. Vinto Melo più tosto per lo tradimento de' suoi, che per la forza de' Greci, i Normanni gli si mantennero fedeli, combattendo con estremo valore. Pensò Melo, veggendo il suo partito assai debole, di chiedere soccorso altrove, ed avendo raccomandati tutti i Normanni che gli restavano a Pandolfo Principe di Capua, ed a Guaimaro Principe di Salerno, tosto partissi per Alemagna a ritrovare l'Imperador Errico, a cui avendo esposto lo stato lagrimevole di queste nostre province, che per l'ingrandimento de' Greci erano in pericolo di esser tutte smembrate dall'Impero d'Occidente, lo confortava ad inviare una grossa armata contra de' Greci, o pure che venisse egli stesso in persona a comandarla: Errico, che trovavasi distratto in altre imprese, e che alle promesse non ben corrispondevano i fatti, obbligò ben due fiate Melo a ripigliar quel viaggio per sollecitarlo a mandare i promessi soccorsi; ma nel mezzo di questi affari finì Melo la sua vita presso l'Imperador Errico, tanto che i Normanni per la perdita di questo lor valoroso Capitano si diedero a prender altri partiti.

Adinolfo fratello di Pandolfo Principe di Capua ed Abate di Monte Cassino, era travagliato quasi sempre da' Conti d'Aquino, i quali sovente facevano delle scorrerie sopra i beni di quella Badia, onde pensò l'Abate per difendergli valersi dell'opra e del valore de' Normanni, i quali assai bene, e con ogni fedeltà adempierono la commessione, che loro era stata data, guardando di continuo le terre di quel monastero da un Borgo appellato Piniatario, non lungi dalla città di San Germano, ove s'erano fortificati. Altri Normanni seguendo Dato s'erano ritirati sotto gli auspicj di Benedetto VIII R. P., il quale aveva loro dato in guardia la Torre del Garigliano, ch'era del dominio della Chiesa; parendo così a Dato d'esser sicuro, posciachè la città di Capua lo copriva dall'insulto de' Greci.

Ma la perfidia di Pandolfo Principe di Capua cagionò nuovi sconcerti in queste regioni, che finalmente tutti terminarono a maggior ingrandimento de' Normanni. Questo Principe, ancorchè mostrasse in apparenza favorir le parti di Errico Imperador d'Occidente come a lui soggetto, nulladimanco nudriva di soppiatto con Basilio Imperador d'Oriente una stretta corrispondenza ed amicizia, e s'avanzò tanto, che finalmente s'indusse a mandar in Costantinopoli le chiavi d'oro, e sottopporre sè, la sua città, e l'intero Principato all'Imperio d'Oriente, in quel modo ch'era prima a quello d'Occidente. L'Imperador Basilio, a cui per gl'interessi suoi molto importava quest'acquisto, tosto avvisonne Bagiano, al quale commise, che per mezzo di Pandolfo proccurasse aver in mano Dato co' Normanni, ch'erano in sua difesa. Questi eseguì con efficacia ed esattezza il comandamento del suo Principe, e perchè Pandolfo non fosse distolto dall'Abate Adinolfo suo fratello, pensò tirare al suo partito anche costui, come lo fece opportunamente per un mezzo assai efficace, qual si fu d'una gran donazione, che fece al suo Monastero dell'intera eredità d'un tal Maraldo di Trani, ch'erasi devoluta al Fisco; ed avendo mandata una grossa somma di denaro a Pandolfo, lo priegò insieme, che se veramente era fedele all'Imperadore Basilio, gli permettesse il passaggio per gli suoi Stati per aver in mano Dato. Gli fa ciò tosto accordato, e posto in ordine un non piccolo esercito venne ad assalir Dato nel Garigliano; gli assediati ancorchè colti improviso si difesero con molto coraggio per due giorni: ma alla fine bisognò, che il valore cedesse alla forza. Bagiano prese la Piazza, e trattò con estremo rigore tutti coloro, che vi trovò, fuorchè i Normanni in riguardo d'una calda preghiera, che l'Abate Adinolfo gliene fece. Ma non usò pietà con Dato; e questo disgraziato Capitano condotto in Bari sostenne il supplizio de' parricidi, essendo stato buttato in mare dentro un sacco.

L'Imperadore Errico avendo intesa l'invasion dei Greci, la perfidia del Principe Pandolfo, e la crudelissima morte di Dato, reputando fra se medesimo, che perduta la Puglia ed il Principato di Capua, se non affrettava i soccorsi, era in pericolo di perdere Roma e tutta l'Italia, tardi avveduto di ciò che Melo tante volte aveagli presagito, scosso finalmente da tanti avvenimenti, avendo unito una grossa armata, e chiamati i Normanni (ch'erano stati a preghiere di Adinolfo lasciati liberi) che militassero sotto le sue insegne, tosto in quest'anno 1022 verso Italia incamminossi. Divise in tre corpi la sua armata: ad uno composto di undicimila soldati prepose per Capitano Poppone Patriarca d'Aquileja, che incamminossi verso Abruzzi, acciò che per quella parte entrasse nel dominio de' Greci: l'altro corpo era di ventimila soldati comandato da Belgrimo Arcivescovo di Colonia (poichè in questi tempi non vi avea niente di stranezza, che i maggiori Prelati della Chiesa si vedessero alla testa degli eserciti, come ben tosto lo vedremo ancora praticare dagli stessi Pontefici romani) e questo fu mandato per la strada di Roma per avere in mano l'Abate Cassinense col Principe di Capua suo fratello, che ambedue venivano imputati presso l'Imperadore della cattura e morte di Dato: l'altro ritenne seco Errico, volendo egli in persona per la Lombardia e per la via della Marca venire a' danni de' medesimi Greci.

L'Abate Adinolfo subito, che fu avvisato, che gli andava contro un esercito intero, abbandonò il monastero, e per salvarsi in Costantinopoli, ad Otranto con gran fretta fuggissene, dove imbarcato nell'acque del mare Adriatico, nel quale Dato era stato sommerso, rotta la nave con tutti i suoi, affogò.

Il Principe suo fratello, quando si vide assediato dentro Capua dall'Arcivescovo di Colonia, dubitando d'esser tradito da' suoi vassalli, che l'odiavano a morte, si diede in man del Prelato, acciocchè il menasse da Errico, in presenza di cui promise provar la sua innocenza. Lo ricevè Belgrimo sotto la sua custodia, e menollo da Errico, il quale allora teneva strettamente assediata Troja in Puglia, città, che i Greci in questo medesimo anno aveano edificata, la quale pochi giorni da poi si rese a lui. Rallegrossi l'Imperadore, e fatti assembrare tutti i suoi Baroni, così italiani come oltramontani, perchè conoscessero della sua causa, fu con universal consentimento sentenziato a morte; ma l'Arcivescovo, sotto la cui protezione si era egli posto, tanto seppe oprar con preghiere e pianti presso l'Imperadore, che la pena di morte la fece commutare in esilio perpetuo; onde fattolo strettamente incatenare, in cotal guisa se lo menò seco in Germania.

Il Principato di Capua fu da Errico conceduto a Pandolfo Conte di Tiano, e nell'istesso tempo investì di questo Contado Stefano, Melo e Pietro, nipoti del celebre Melo, i quali erano sottentrati a sostenere quell'impegno medesimo contro i Greci, che promosse il loro zio. Ecco come gl'Imperadori d'Occidente disponevano del Principato di Capua e de' Contadi dei quali era composto. Ma essendo stato obbligato Errico a richiamar la sua armata per cagione degli eccessivi caldi della Puglia, che gli Alemani, ond'era composta, non potevano più soffrire: confidò i disegni che avea su l'Italia al valore de' Normanni, lasciando a loro la cura di discacciar da Italia i Greci. Raccomandò loro spezialmente di soccorrere, qualora il bisogno il richiedesse, i nepoti del rinomato Melo, ai quali diede parimente in aiuto alcuni altri celebri Normanni: questi, secondo rapporta Ostiense, furono Giselberto e Gosmanno, Stigando, Turstino, Balbo, Gualtiero di Canosa ed Ugone Fallucca con diciotto altri valorosi compagni.

Raccomandò ancora l'Imperador Errico questi Normanni a' Principi di Benevento e di Salerno, ed a Pandolfo di Tiano novello Principe di Capua, a' quali impose dovessero di loro in tutti i bisogni valersi. Ma questi Principi tosto dimenticatisi della grande obbligazione che aveano i Longobardi a' Normanni, da' quali erano stati tanto ben serviti contra de' Greci, cominciarono poscia a disprezzargli; sia perchè credessero di non aver punto bisogno di loro; sia perchè sentissero male il vedergli interessati nel servigio dell'Imperadore Errico. Gli lasciarono dunque errar pe' boschi senza nè pure conceder loro un luogo di ritirata; anzi giunsero infino a negar loro quel soldo, ch'era in costume pagarsi a' medesimi.

I Normanni, che non aveano gran sofferenza di sopportar questa ingiustizia, presero le armi contro gli abitanti del paese, e giunsero ben tosto a fargli stare a lor discrezione; e per ottenere più sicuramente ciò che volevano, crearonsi un Capo della loro Nazione. Il primo ch'elessero fu veramente abile a mantenere i loro interessi: fu questi Turstino, uno di quei valorosi nomati da Ostiense, uomo di merito singolare per lo posto a cui innalzavasi, e sopra tutto d'una forza di corpo presso che miracolosa. Ma essendosi indi a poco questo valoroso Capitano per fraude dei Pugliesi incontrato con un dragone, ancorchè l'uccidesse, restò dal velenoso fiato di quel serpente estinto, come rapporta Guglielmo Gemmeticense. Non mancarono però successori valevoli a vendicarsi di sua morte, poichè i Normanni in luogo di Turstino concordemente si elessero per lor Capo Rainulfo prode e scaltro guerriero, che giunse il primo in Italia in qualità di Principe, e che fu il primo tra' Normanni a stabilirsi in queste nostre province certa e ferma sede, come qui a poco vedremo.

Intanto Errico, dopo aver regnato ventidue anni, finì i giorni suoi in Alemagna nell'anno 1025 senza aver lasciato di se prole alcuna; ed ora per la sua pietà, e più per la singolar sua castità, narrandosi, che anche ammogliato volle serbarla, gli prestiamo que' onori che a Santi son dovuti. Egli edificò in Bamberga molte chiese, che sottopose al romano Pontefice. Principe prudentissimo, il quale considerando, che per non lasciar di se figliuoli, avrebbero potuto nell'elezione del suo successore nascere disordini e confusioni, avvicinandosi alla morte, chiamò a se i Principi dell'Imperio, e per suo successore designò loro Corrado Duca di Franconia detto il Salico, Principe saggio e valoroso della illustre Casa di Sassonia. I Principi dell'Imperio acconsentendovi lo elessero per Re di Germania ed Imperadore; onde non per eredità, ma per elezione, com'era il costume, fu innalzato Corrado al soglio, ancorchè proposto da Errico suo predecessore, come se gli Elettori di comune consenso avessero nella persona d'Errico rimessa la elezione, quasi per un compromesso. Nè fu osservato nella sua elezione ciò che Ottone III, avea prescritto, poichè non da' soli sette Elettori, ma da tutti i Principi fu eletto: fu molto tempo da poi, che come si disse, per evitar le turbolenze ed i disordini, si pose in pratica ciò, che Ottone prescrisse.

Morì in quest'istesso anno 1025 Basilio Imperatore d'Oriente ancora, e poco da poi nel 1028 Costantino, e per lor successore fu eletto Romano, cognominato Argiro.

(Abbiamo indicato adesso la morte d'Errico sotto la data dell'anno 1025 avendo seguito in ciò l'attestato di due Autori degni di fede. Lione Ostiense lib. 2 c. 58. Defuncto igitur augustae memoriae Imperatore Herrico anno Domini M.XXV; ed Ottone Frisingense VI c. 27. Anno ab incarnatione Domini M.XXV defuncto sine filiis Herrico. Ma secondo Lamberto Schafnaburgense, Ermanno Contratto, ed altri germani Scrittori rapportati da Struvio Syntag. Hist. German. dissert. 13 §. 28 pag. 387 morì nel mese di luglio del precedente anno M.XXIV).

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