CAPITOLO II.

Ritrovamento delle Pandette in Amalfi; e rinovellamento della giurisprudenza romana, e de' libri di Giustiniano nell'Accademie d'Italia.

Fu in quest'incontro, che la città d'Amalfi ancorchè espugnata, si rese luminosa e chiara ne' secoli seguenti sopra tutte le altre città d'Europa: poichè alla sua gloria d'aver un suo cittadino trovata la bussola, s'accoppiò quella d'essersi con tal occasione trovato in questa città il volume delle Pandette di Giustiniano Imperadore da taluni creduto che fosse propriamente quello istesso, che questo Imperadore fece compilare. Gli esemplari di questo volume erano quasi che sepolti, per le molte Compilazioni seguite appresso de' Basilici, e per le molte altre cagioni, che si dissero nel settimo libro di quest'Istoria: solo per la Francia, come fu altrove notato, ne girava attorno qualcheduno, poichè osserviamo che Ivone Carnotense, che fiorì a' tempi di Pascale II verso l'anno 1099 nelle sue epistole allega sovente le leggi delle Pandette. Ma in Italia n'era affatto perduta ogni memoria: solamente, come si disse, il Codice, le Istituzioni, e le sue Novelle erano conosciute, più per diligenza de' romani Pontefici, e per li Monaci, appresso i quali era allora la letteratura, che per altro.

In fatti molte leggi del Codice vediamo noi da' Pontefici romani rapportate nelle loro decretali, come in quelle di Gregorio III e d'altri Pontefici: delle Istituzioni, e delle Novelle non era così rara la notizia, poichè abbiam veduto che il celebre Abate Desiderio nella sua Biblioteca Cassinense ne conservava gli esemplari; ma la più bella parte, ch'era quella delle Pandette, ed ove racchiudesi il candore e la pulitezza delle leggi Romane, era a noi molto più nascosta, e rara la notizia. In Ravenna non è ancor deciso il dubbio, se veramente se ne conservasse qualche parte. Guido Pancirolo rapporta l'opinione di alcuni, che credevano nell'anno 1128 in Ravenna in un'antica Biblioteca essere state ritrovate le Pandette, le quali offerte a Lotario, avendole riconosciute per legittimo parto dell'Imperador Giustiniano, avesse ordinato, che pubblicamente si spiegassero nelle Scuole. Ma l'istesso Pancirolo riputa più vera l'opinione di coloro, che scrissero in Ravenna il Codice di Giustiniano essersi ritrovato, non già le Pandette, le quali in Amalfi in quest'anno 1137 per l'occasione già detta furono scoverte. Alla città dunque di Amalfi non molto da Napoli lontana si dee questa gloria; non già a Melfi di Puglia, come alcuni Oltramontani scrissero i quali non ben intesi de' luoghi particolari, e delle città di queste nostre Province, hanno sovente preso abbaglio in confonder l'una coll'altra città; siccome per contrario il Concilio celebrato in Puglia a Melfi nell'anno 1059 sotto Niccolò II, dissero che si fosse celebrato ad Amalfi. Alcuni altri, forse tratti dall'amore della gloria della loro patria, non si ritennero di dire che non in Amalfi, ma che in Napoli i Pisani mentre entrarono a soccorrerla, l'avessero trovate, e che toltele a' Napoletani in Pisa le trasportassero; della qual credenza ancorchè vana, e che non ha alcun appoggio, e ripugnante a tutta l'istoria, è gran maraviglia che avesse trovato chi ne restasse preso come fu il Summonte e Francesco de' Pietri, il quale fra gli altri suoi deliri, onde tessè la sua istoria, non tralasciò inserirvi anche questo. E novellamente un moderno Scrittore pugliese pur sognò che nè in Amalfi, nè in Napoli si fossero trovate le Pandette, ma in Molfetta, e non per altra ragione, se non per la somiglianza del nome, e se non perchè Molfetta era la patria dello Scrittore: così oggi (non altramente, che della patria d'Omero e del Tasso) contrastano molte città per appropriarsi la gloria di questo ritrovamento.

Ma oltre agli antichi Annali, non deve ciò parer cosa strana a coloro, i quali dal corso di quest'Istoria avranno appreso quanto gli Amalfitani fossero stati per le navigazioni celebri, e quanta fosse la frequenza de' traffichi e del commercio, che avean nelle parti d'Oriente e nella Grecia, ciocchè non l'ebbero quelle città, le quali ancor esse aspirano a questa gloria; onde fu cosa molto propria, che gli Amalfitani fra le altre cose che da Levante portarono nella loro città, v'avessero anche portate le Pandette, volume così raro, e nel quale era riposto il candore delle leggi romane; ed in fatti comunemente si narra, che per opera d'un Mercante paesano, navigando in Levante, l'avesse quivi comprate, e nel suo ritorno ne avesse fatto un dono alla patria. Nè può recarsi in dubbio, che i Pisani fra le altre prede, che fecero in Amalfi, fu questa delle Pandette, e questa sola, in premio delle loro fatiche sofferte in quell'impresa, cercarono ardentemente a Lotario Imperadore, il quale gliele concedette di buona voglia; onde trasportate da loro in Pisa, acquistarono perciò il nome di Pandette Pisane, che lo ritennero poco men di tre secoli insino all'anno 1416, nel quale surta guerra fra i Pisani e' Fiorentini, Guido Caponio Capitano de' Fiorentini avendo espugnata e presa la città di Pisa, come una gran parte del suo trionfo, trovate in quella le Pandette, le trasferì in Fiorenza, ove oggi giorno con venerazione, e come cosa di gran pregio si conservano nella Biblioteca de' Medici in due tomi divise: onde quando prima erano appellate Pisane si dissero da poi Fiorentine, come oggi giorno ritengono il nome. Gli antichi Annali di Pisa appresso Plozio Grifo, Rainero Grachia Pisano antichissimo Istorico, che scrisse sono più di 300 anni de Bello Tusco in cotal guisa narrano questo ritrovamento insieme e trasportamento da Pisa in Firenze, e Plozio presso Taurello afferma, aver tenuto egli in casa un antico istromento di questa donazione che Lotario fece a' Pisani delle Pandette Amalfitane. Così ancora lo rapportano il Sigonio, Raffael Volaterrano, Angelo Poliziano, Antonio Gatto, Francesco Taurello, Arturo Duck, e tutti gli altri Scrittori, insino a Burcardo Struvio, ch'è l'ultimo fra i moderni a confermarlo.

(Dopo tutti costoro, ultimamente Errico Brenemanno nella sua Historia Pandectarum, impressa ad Utrecht l'anno 1722, esaminando questo punto d'istoria, tolse ogni dubbio, con far imprimere pag. 410 le parole della Cronica antica o siano Annali Pisani, che egli trascrisse da un antico Codice manuscritto, che si conserva nella Biblioteca de' Domenicani di Bologna: dove parlandosi della guerra, che Papa Innocenzio, e Lotario coll'aiuto de' Pisani, mossero contro il Re Ruggiero di Sicilia, si leggono queste parole: Li Pisani pridie nonas Augusti armorono 46 Galee, et forono a la costa de' Malfi, et quello dì per forzia lo presero con septe Galee et doe Nave; in la quali ritrovarono le Pandette composte dalla Regia Maestà di Justiniano Imperatore, e dopoi quella brusorono etc.)

Lotario se bene avesse a' Pisani conceduta una cosa di tanto pregio, essendo egli un Principe dotto, e sopra a tutto riputato saggio facitor di leggi, non trascurò

di osservarle, e scorto che in esse v'era il candor delle leggi romane, pensò non doversi trascurare l'utile che poteva da quelle ritrarsi, e che non doveano, siccome prima, rimaner così tra le tenebre nascoste e sepolte. Evvi gran contrasto tra i Bolognesi e gli altri Scrittori, se Lotario avesse con suo editto stabilito che le Pandette pubblicamente si leggessero in Bologna, ovvero per privato studio d'Irnerio si fossero ivi insegnate insieme con gli altri libri di Giustiniano. Li Dottori bolognesi narrano, che Lotario diede ordine ad Irnerio, il quale in Bologna leggeva filosofia, che pubblicamente le dichiarasse, il che egli cominciò a fare nell'anno 1128 ciò che sarebbe accaduto prima, che le Pandette si fossero trovate in Amalfi. Corrado Uspergense dopo aver narrata l'istoria di Lotario, dice che Irnerio lo facesse a petizione della Contessa Matilda; e negli Argomenti dell'Istoria di Bologna, che s'attribuiscono a Carlo Sigonio, nell'anno 1102 si legge che la Contessa Matilda ad Irnerio che ivi leggeva filosofia, avesse imposto spiegarle, e che vi facesse le prime chiose. Ma Burcardo Struvio stima favoloso ciò che Corrado narra della Contessa Matilda, che mentre imperava Lotario avesse ciò imposto ad Irnerio, essendo indubitato, che Matilda morì nell'anno 1115 prima dell'Imperio di Lotario, e l'istesso Sigonio riprova ancora ciò che Corrado dice, per questa istessa ragione. Quindi Struvio crede, che quegli Argomenti, che si leggono dopo l'istoria di Bologna non han potuto esser mai opera del Sigonio, il quale manifestamente nella sua Istoria del Regno d'Italia dice il contrario, e riprende Corrado che l'avea scritto.

I più gravi Autori perciò condannano per favoloso questo racconto, e rapportano che Irnerio, nè per autorità della Contessa Matilda, nè per comando di Lotario avesse nella Scuola di Bologna interpretati i libri di Giustiniano, ma per privato studio, e per soddisfare la sua ambizione.

Irnerio a questi tempi, ne' quali la Giurisprudenza insieme colle altre discipline cominciavano a risorgere, fu riputato uno de' migliori Giureconsulti. Della sua patria contendono i Germani ed i Milanesi, ed i Fiorentini pur ne vogliono la lor parte: egli prima fu dato a' studj di Filosofia e delle Lettere umane secondo che comportava l'uso di que' tempi, e si crede che navigasse in Levante, ed in Costantinopoli le avesse apprese; indi a Ravenna tornato, avessele quivi insegnate, ed acquistasse gran fama d'uomo di lettere. Ma dismesso poi lo studio di Ravenna, fu da' Bolognesi chiamato nella loro città, dove si pose a leggere Filosofia. Erasi in Bologna stabilita una Scuola, ove s'insegnava anche giurisprudenza, ed eravi Pepone che la professava; ed essendo tra' Professori insorta disputa sopra la parola AS denotante le dodici oncie, Irnerio con tal occasione si diede a studiare i libri di Giustiniano, e divenne famoso Giurista, tal che oscurò la fama di Pepone. Fece sommo studio sopra il Codice, e sopra le Instituzioni e le Novelle di Giustiniano, accorciandole, ed adattandole poi alle leggi del Codice, perchè si conoscesse in che le Novelle discordavan da quelle; fece ancora le prime sue chiose a questi libri; ed egli fu il primo che nell'anno 1128 commentasse le leggi romane. Coloro che scrissero in Ravenna in quest'anno essersi trovato un altro esemplare de' Digesti, oltre di quello, che correva per la Francia, dicono che Irnerio prima che fossero in Amalfi trovate le Pandette (che Angelo Poliziano credette essere quelle istesse che pubblicò Giustiniano, nel che discordano Andrea Alciato, ed Antonio Augustino, e dalle quali egli è almen certo, per essere antichissime, che furon tratti gli altri esemplari impiegasse i suoi talenti anche sopra i Digesti, e che insieme con gli altri libri di Giustiniano le insegnasse in Bologna, e vi facesse le prime sue chiose. Ma gli altri, che ciò niegano, e dicono che i primi esemplari delle Pandette fossero usciti in Italia da quelle d'Amalfi, sostengono che Irnerio spiegasse in quella Accademia i Digesti da poi che furono ritrovate in Amalfi, ma non già per autorità e comandamento che ne avesse avuto dall'Imperador Lotario: ma per privato suo studio, siccome prima in Bologna faceva sopra gli altri libri di Giustiniano, e sopra l'altre discipline, senza ordine dell'Imperadore. Nè quell'Accademia in questi tempi fu istituita da Lotario, nè per suo editto si legge, che avesse comandato, che quivi si dovessero spiegare, ed insegnare per sua autorità i libri di Giustiniano, siccome sostiene Federico Lindenbrogio; soggiungendo Ermanno Conringio, che se Lotario avesse ciò ordinato, e gli fosse stato tanto a cuore la Scuola di Bologna, trovate che furono in Amalfi le Pandette, non a' Pisani, ma a' Professori bolognesi ne avrebbe fatto dono.

Ma quantunque sopra ciò non si leggesse particolar editto di Lotario, non è però, che questo Principe non favorisse questi studj, e che a' suoi tempi la Scuola di Bologna non fiorisse molto più che ne' passati, avendovi Irnerio sopra le leggi romane fatti progressi maravigliosi; onde avvenne che questi studj furon coltivati e promossi, e molti vi s'applicarono in guisa, che dalla Scuola d'Irnerio ne uscirono poi valenti Dottori, i quali o in voce, e per mezzo delle loro chiose in iscritto, illustrarono le leggi di Giustiniano, e diffusero il loro studio, non pure in Bologna, ma per tutte le Accademie d'Italia. Sursero quindi Martino da Cremona: Bulgaro, che a' tempi di Federico Barbarossa fiorì cotanto in Bologna: Ugone, e Giacomo Ugolino, Ruggieri, Ottone e Placentino, che si resero cotanto celebri nell'Accademia di Montpellier in Francia. Pileo discepolo di Bulgaro, che in Bologna ed in Modena si rese illustre per le sue Quistioni Sabbetine. Alberico della Porta di Ravenna: ed il di lui discepolo Azone, il quale fra i Giureconsulti della sua età tenne il primo luogo, maestro del nostro Roffredo Beneventano, di Balduino e di tanti altri.

Da questo risorgimento de' libri di Giustiniano nell'Accademie d'Italia, e dalla Scuola d'Irnerio comunemente si crede, che avessero origine le solennità da poi praticate in creare i Dottori, attribuendosi ad Irnerio, che per autorità di Lotario concedesse a' Professori di legge il grado del Dottorato, leggendosi, che avesse dichiarati Dottori Bulgaro, Ugolino, Martino e Pileo. E narra Acerbo Morena, ch'essendo Irnerio nell'ultimo di sua vita, se gli accostarono i suoi scolari, e gli domandarono, chi voleva, che dopo la sua morte fosse il lor Dottore, ed egli lor nominò Bulgaro, Martino e Ugone, ma che tenessero Giacomo in suo luogo, onde questi fu costituito lor Dottore. Ma Itterio e Conringio reputano, che queste solennità in conferire i gradi di Dottore nell'Accademie, traesse origine da' Francesi, donde poi l'appresero gl'Italiani.

Credettero il Sigonio, Arturo Duck, ed altri, che Lotario, oltre d'aver comandato, che i libri di Giustiniano si leggessero per sua autorità nelle pubbliche Accademie, ordinò che anche ne' Tribunali si allegassero, e che tralasciate le leggi longobarde, quelli solamente i Giudici seguissero. Ma la costoro opinione non ha fondamento veruno d'istoria, non leggendosi, non pure editto alcuno di Lotario, come sarebbe stato necessario che ciò comandasse, ma nemmeno Istorico contemporaneo, che lo scrivesse; ond'è che i più gravi Scrittori, e lungamente Lindenbrogio ripruovano il costoro errore. Quel che poi manifestamente convince il contrario, è il vedersi, che le leggi longobarde in Italia, e più in queste nostre province lungamente da poi si mantennero, e ne' Tribunali secondo quelle si decidevano i litigi, e la legge romana come per tradizione era mantenuta da' provinciali; nè a questi tempi da' libri di Giustiniano era allegata, i quali non aveano ancora acquistata nel Foro autorità alcuna, siccome tratto tratto l'acquistaron da poi per uso più, e per forza della ragione, che per legge di alcun Principe.

Ma se mai di Lotario fossevi stata legge, che ciò comandasse, quella certamente nelle nostre province, ch'erano sotto la dominazione del Re Ruggiero suo inimico, non avrebbe avuto alcun vigore. Questo Principe, come qui a poco vedremo, ricuperò ben tosto tutte quelle province, che Lotario avea invase, e debellò tutti i suoi nemici, riunendole al suo Regno di Sicilia, che stabilito in forma di vera Monarchia non ubbidiva altre leggi, se non quelle, che i Longobardi v'introdussero, e quelle che egli stabilì da poi. E ciò non pur accadde imperando Lotario, e durante il Regno di Ruggiero, ma anche nel tempo de' Re normanni suoi successori, i quali continuando perpetua guerra con Corrado e Federico I che a Lotario successero, non permisero mai, che le costoro leggi fossero in queste province osservate, e che avessero alcuna forza ed autorità; ed in fatti come più innanzi vedrassi, non per le leggi romane contenute in questi libri, ma per le leggi longobarde, e per le romane, che come per tradizione erano ritenute da questi Popoli, si decidevano le liti. Nè appresso di noi vi fu anche occasione che questi libri si potessero leggere nelle nostre pubbliche Scuole; poichè insino a Federico II gran fautore delle lettere, che l'introdusse in Napoli, noi non avevamo Accademie; nè se non ne' tempi più bassi, essendo gli ultimi a seguitare l'esempio delle altre città d'Italia, cominciarono in queste province gli studj di questi libri, e ad allegarsi nel Foro più per forza di ragione, che di legge, come si vedrà nel corso di quest'Istoria.

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