Libro undecimo

Ruggiero, che da qui a poco lo diremo I Re di Sicilia e di Puglia, avendo con tanta celerità, e senza richiederne investitura dal Papa, preso il possesso di queste nostre province, alle quali per la morte di Guglielmo senza figliuoli era succeduto, esacerbò in maniera l'animo d'Onorio, che non fu possibile, nè con Legazioni, nè con offerte che gli si fecero della città di Troja, placarlo; nè finalmente il timore di perdere Benevento, potè rimoverlo. Egli scomunicò Ruggiero tre volte; e vedendo che questi fulmini erano infruttuosamente lanciati, si rivolse alle armi temporali; e per maggiormente accalorare la spedizione, che intendeva fare contro questo Principe, portossi immantenente in Benevento, ove incoraggiò molti a prender l'armi per vendicarsi dell'offesa, che riputava aver ricevuta; e quelle già ragunate, l'affretta a tutto potere verso la Puglia, ove Ruggiero col suo esercito erasi accampato. Ma questo accorto Principe scorgendo, che l'armata del Papa era composta di truppe somministrategli da alcuni ribellanti Baroni, e che (siccome l'ira e lo sdegno d'Onorio) non poteva lungamente durare in quell'unione, non gli parve d'usargli ostilità, ma schivando ogn'incontro, lasciò passar quell'està senza combattere. Nel cominciar dell'inverno si dileguò tosto quell'unione, e restò il Papa senza gente; quindi abbandonando l'impresa tosto in Benevento tornossene. Ruggiero che non voleva con lui brighe, gli fece richieder di nuovo la pace, ed abboccatisi insieme presso Benevento sopra un ponte che fecero drizzare nel fiume Calore, fu quella subito conchiusa nel principio di quest'anno 1128, ed i patti furono, che Ruggiero, siccome i suoi predecessori aveano fatto, giurasse fedeltà al Papa, con promettergli il solito censo; ed all'incontro Onorio gli desse l'investitura del Ducato di Puglia e di Calabria, secondo il tenore dell'altre precedenti, siccome fu eseguito. Riuscì cotanto profittevole per la Chiesa romana questa pace, che ribellandosi poco da poi i Beneventani, Ruggiero, che con buona armata si trovava nella Puglia, tosto v'accorse, e ridusse quella città nell'ubbidienza della Chiesa.

Ma questo Principe avendo con tanta sua gloria composte le cose di queste province, ed acquistata l'amicizia del Pontefice Onorio, ritirossi in Palermo; e vedendosi per tante prosperità e benedizioni Signore di tante province, reputò mal convenirsi più a lui i titoli di Gran Conte di Sicilia, e di Duca di Puglia; ma un più sublime di Re doversene ricercare. Al che diede maggiori stimoli Adelaida sua madre, la quale essendo stata moglie di Balduino Re di Gerusalemme, ancorchè da poi ripudiata, riteneva il titolo Regio, ed alla conquista di quel Regno istigava il figliuolo Ruggiero, che movesse l'armi; aggiungendosi ancora il riflettere, che coloro, i quali anticamente aveano dominata la Sicilia, con titolo di Re aveanla signoreggiata; stimò dunque prender questo titolo, ed avendo costituita Palermo capo del Regno, Re di Sicilia, del Ducato di Puglia e di Calabria, e del Principato di Capua, volle chiamarsi; ed in cotal guisa da' suoi sudditi per Re salutato, ne' diplomi e nelle pubbliche scritture questi furono i titoli, che assunse: Rex Siciliae, Ducatus Apuliae, Principatus Capuae. Quindi il Fazzello narra, che nel mese di maggio dell'anno 1129, correndo allor il costume che i Re dalle mani de' loro Arcivescovi ricevessero la Corona e l'unzione del sacro olio, si facesse egli in Palermo in presenza de' principali Baroni, di molti Vescovi ed Abati, e di tutta la Nobiltà e Popolo, coronare per Re di Sicilia, e di Puglia da quattro Arcivescovi, da quelli di Palermo, di Benevento, di Capua e di Salerno: il che non poteva essere più legittimamente, e con più avvedutezza, e con maggior celebrità fatto. Altro non si ricercava perchè Ruggiero a tal sublimità s'innalzasse, e legittimamente il titolo di Re ricevesse. Al volere del Principe concorreva ciò che principalmente, anzi unicamente sarebbe bastato, cioè la volontà de' Popoli, che lo acclamarono, la quale prima d'essersi introdotta la cerimonia di farsi ungere e coronare da' Vescovi, era riputata sufficientissima. Così fu da noi altrove osservato, che Teodorico Ostrogoto fu gridato Re d'Italia, e così gli altri Re longobardi. I riti e le cerimonie furon sempre varie, siccome le Nazioni, alcune usavano innalzare l'eletto sopra uno scudo; altre si servivano dell'asta, ed altre d'altro segno.

Ma trovandosi ora introdotto il costume, che questa celebrità si faceva per mano de' Vescovi, li quali ponevano all'eletto la Corona sul capo e l'ungevano coll'olio sacro: non fu trascurato in quest'occasione da Ruggiero; poichè essendo stato egli acclamato Re, oltre della Sicilia, anche del Ducato di Puglia e di Calabria, e del Principato di Capua e di Salerno, che abbracciava queste nostre province, furono perciò adoperati que' quattro Arcivescovi, a' quali per antica usanza s'apparteneva d'ungere e coronare i loro Principi; i quali rappresentando per le loro province, delle quali erano Metropolitani, tutta la Sicilia, e tutta questa nostra cistiberina Italia, venivan a coronarlo quasi di quattro Corone in un istesso tempo, cioè l'Arcivescovo di Palermo per la Sicilia, ed i nostri tre Arcivescovi per tutte quelle province, che anticamente eran comprese ne' Principati di Benevento, di Capua e di Salerno: il che non si fece senz'esempio, poichè avevano potuto osservare che gli altri Re solevano di tante Corone coronarsi di quanti Regni essi aveano; nè perciò da un solo Vescovo, ma da più era solito farsi incoronare, siccome Hinemaro Vescovo di Rems narra della coronazione di Carlo il Calvo fatta a Metz nell'anno 869.

Non poteva dunque essere più legittimamente fatta la coronazione di Ruggiero, nè poteva alcun dolersi, che questo Principe senza ricercar altro lo facesse. Ma i Pontefici romani, come si è altrove notato, fra le altre loro magnanime intraprese, onde proccuravan d'ingrandire la loro autorità, erano entrati nella pretensione, che niun Principe cristiano potesse assumere il titolo di Re senza loro concessione e permesso. E tanto più s'erano resi animosi a pretenderlo, quanto che l'istessa autorità s'arrogavano nell'elezione degli Imperadori d'Occidente, pretendendo che senza di essi niun potesse innalzarsi a quella sublimità, e che dalle loro mani dipendesse l'Imperio, nè s'arrossivano di dire che l'Imperio, siccome tutti gli altri Regni, dipendessero da loro, come credettero Clemente V ed Adriano. Nè mancò chi scrivendo all'istesso Imperador Federico I non avesse difficoltà di dirgli in faccia, che l'Imperio fosse un beneficio de' romani Pontefici, di che Federico ne fece quel risentimento che ciascun sa, obbligando quel Papa, per emendare la sua jattanza a ricorrere a guisa di pedante a spiegar la parola beneficio, ed in qual senso egli avessela presa. Essi adunque co' Principi si vantavano di poterlo fare, e d'aver tal potestà come Vicarj di colui, per quem Reges regnant. Ed i Principi all'incontro n'erano ben persuasi, e credevano, che siccome i Re d'Israele erano con molta solennità unti da' Profeti, così essi per esser riputati Re dovean da loro farsi ungere e coronare. Quindi nacque che molti Principi della Cristianità non aveano difficoltà di promettergli perciò tributo, o rendersi Feudatari della Chiesa romana. Così fin dall'anno 846 Etelulfo Re d'Inghilterra portatosi in Roma, e fattosi confermare il titolo di Re da Papa Lione IV, rese i suoi Regni tributarj alla Sede Appostolica d'anno in anno d'uno sterlino per famiglia, e cotesto tributo, che denominossi il denajo di S. Pietro, fu da poi pagato per insino al tempo d'Errico VIII. E vie più ne' tempi posteriori crescendo la loro ignoranza e stupidezza, si videro altri Principi seguitare quest'esempio, e rendergli tributo. Nel 1178 Alfonso Duca di Portogallo, avuto da Alessandro III il titolo regio per gli egregi fatti da lui adoperati contro i Mori di Spagna, gli promise il censo. Lo stesso fece Stefano Duca d'Ungheria, quel di Polonia, d'Aragona, ed altri Principi; tanto che l'istesso Bodino non ebbe difficoltà di dire, i Re di Gerusalemme, d'Inghilterra, d'Ibernia, di Napoli, Sicilia, Aragona, Sardegna, Corsica, Granata, Ungheria, e dell'isole Canarie essere Feudatarj della Chiesa romana. E l'accortezza de' Pontefici romani fu tanta, che per conservarsi con quei Principi questa sovranità, ancorch'essi fossero veri Re, e così da Popoli salutati, e dagli altri Principi d'Europa reputati, nulladimanco vedendo che non si curavano di ricever da essi questi stessi titoli, con facilità perciò loro gli davano, e quelli coll'istessa facilità gli accettavano, non badando all'arcano che si nascondeva sotto quella liberalità: così negli ultimi tempi a Paolo IV nostro Napoletano gli venne fantasia d'ergere l'Ibernia in Regno, e se bene Errico VIII l'avesse prima fatto, e questo titolo fosse continuato da Odoardo, da Maria e dal marito, nulladimanco dissimulando il Papa di saper il fatto d'Errico volle fare apparire ch'egli ergesse quell'isola in Regno, perchè in quella maniera il Mondo credesse, che de' soli Pontefici romani fosse l'edificare, e spiantar Regni, e che il titolo usato dalla Regina fosse come donato dal Papa, non come decretato dal padre. Lo stesso i nostri maggiori videro nella persona del Duca di Toscana, innalzato da' Pontefici con titolo di Gran Duca. E se la cosa si fosse ristretta a' soli Pontefici romani sarebbe stata forse comportabile, ma si giunse, che fino gli Arcivescovi di Milano s'arrogavano l'autorità di far essi i Re d'Italia, come si è veduto ne' precedenti libri di questa Istoria.

Ma dall'altra parte non era meno strana la pretensione, che aveano gl'Imperadori d'Occidente, di poter essi ancora dar titoli di Re, ed ergere gli Stati in Reami: essi lo pretendevano perch'essendo risorto l'Imperio d'Occidente nella persona di Carlo M., ed essendo successori di quell'Augusto Imperadore, credevano ben come tali di poterlo fare in tutto Occidente; e se il Senato romano intraprendeva ben questa potestà nello Stato popolare di fare Re, molto più essi credevano a loro appartenersi. Sopra tutti gl'Imperadori Federico I ebbe questa fantasia: egli mandò la spada e la Corona regale a Pietro Re di Danimarca, attribuendogli il nome di Re per titolo d'onore solamente, con espressa riserva (come rapporta Tritemio) della sovranità del suo paese all'Imperio; il che fu dannoso allo stesso Imperio, poichè perciò li Re di Danimarca presero a poco a poco occasione di sottrarsi dalla soggezione dell'Imperio, e da poi si sono resi affatto Sovrani in conseguenza del titolo di Re.

(Girolamo Muzio Chron. Germ. lib. 20 Crusius Annal. Suevie. part. 3 lib. 2 cap. 2 Bodin. de Rep. lib. 2 cap. 3 ciò attribuiscono a Federico II non al I: vedasi Sigonio de Regno Italiae Lib. 13 che rapporta il fatto di Barisone creato Re di Sardegna ad istanza, e con denari de' Genovesi).

L'istesso Imperadore diede titolo di Re al Duca d'Austria; ma a costui avvenne tutto il contrario che a' Re di Danimarca, poichè avendo ottenuto questo titolo con egual riserba della sovranità, volle troppo presto allontanarsi dal suo Sovrano, ed avendo rifiutato d'ubbidirlo, ne fu privato dodici anni da poi di questa qualità di Re, e costretto chiamarsi solamente Duca. Questo medesimo Imperadore diede ancora titolo di Re al Duca di Boemia con la medesima ritenzione di Sovranità: nel che non ci ebbe da poi alcuna mutazione, sì per la picciolezza del suo Reame vicino alla sede imperiale, come perchè questo Re è uno degli Elettori.

Altrove fu notato, che alcuni credettero, l'Inghilterra avere un tempo ancor ella salutato l'Imperadore come Feudataria, come fra gli altri scrisse Cujacio, la Francia non giammai. Ma gl'Inglesi glie ne danno una mentita, ed Arturo Duck dice, che Cujacio senza ragione ciò scrisse; poichè nell'istesso secolo, che la Francia scosse la dominazione dell'Imperio, la scosse ancora l'Inghilterra, e che non meno i Franzesi, che i Brittanni sono indipendenti dall'Imperio.

Da queste pretensioni, che il Papa e l'Imperadore tennero di poter creare Re, e che tutti i dominj dipendessero da loro, ne surse da poi presso i nostri Dottori, secondo le fazioni, un ostinato contrasto, e chi sosteneva secondo i sentimenti di Clemente e di Adriano, che l'Imperio e tutti i Regni dipendessero dal Papa: chi all'incontro dall'Imperadore; e Bartolo sostenitore delle ragioni dell'Imperio, s'avanzò tanto in questa opinione, e passò in tale estremità, che non ebbe difficoltà di dire esser eretico chi niega l'Imperadore esser Signore di tutto il Mondo: ciocchè meritò la riprensione di Covarruvia, e d'altri Scrittori, che riputarono cotal proposizione degna di riso.

Ma se bene erano fra lor divisi in sostenere le pretensioni, o dell'uno o dell'altro, furono però d'accordo in dire, che tutte le Sovranità del Mondo cristiano dipendessero, o dal Papa o dall'Imperadore. Proposizione quanto falsa, altrettanto repugnante al buon senso, ed a quel che osserviamo negli altri Regni e Monarchie; poichè la Sovranità non procede altronde, che o dalla conquista, o dalla sommessione de' Popoli; nè il Papa, secondo quel che si sarà potuto notare in più luoghi di quest'Istoria, come successore di S. Pietro, o Vicario di Cristo ha ragione di poterlo pretendere, non essendo stata questa la potestà data a S. Pietro da colui, che si dichiarò il Regno suo non esser di questo Mondo, ma quella fu tutta spirituale, e tutta drizzata al Cielo, come a bastanza nel primo libro. quando della politia ecclesiastica ci fu data occasione di ragionare, fu dimostrato. E se oggi lo vediamo Signore di tanti Stati, ed aver sì belle ed insigni prerogative negli Stati altrui, tutto fu o per concessione de' Principi e loro tolleranza, o per consuetudine, che col tempo introdotte, per la loro esquisita diligenza ed accortezza, avendo a lungo andare poste profonde radici, non poteron poi in molte parti più sradicarsi, come ne può esser ben chiaro esempio questo nostro Reame, che per volontaria esibizione de' suoi Principi fu reso a quella Sede feudatario, i quali o per loro concessione o tolleranza molte cose su di esso le permisero: delle quali avremo molte occasioni di notare nel corso di questa Istoria.

E molto meno gl'Imperadori d'Alemagna potean ciò pretendere; poichè se si parla di que' Regni, che da Carlo M. non furono conquistati, come le Spagne, e tanti altri, non vi può cader dubbio alcuno, che rimasero vere Monarchie, e dall'Imperio independenti. Nè restituito l'Imperio d'Occidente nella persona di quell'Augustissimo Principe si fece altro, che siccome egli parte per successione, parte per conquista, si vide ingrandito di tanti Regni e province, onde meritamente potesse darsegli titolo d'Imperadore; così essendosi da poi in tempo de' suoi successori molti Regni e molte province perdute, e sottratte dall'Imperio, ritornarono essi così come erano prima, che Carlo M. assumesse quel titolo; e per conquista, o per sommessione de' Popoli, essendo passati sotto la dominazione d'altri Principi, questi come veri Monarchi e veri Re independenti gli possederono, siccome fu l'Inghilterra, ed il Regno di Francia; ed i Franzesi pretendono, che la Francia non solo non fu unita da Carlo M. all'Imperio, ma vogliono che più tosto l'Imperio, fosse stato membro della Monarchia franzese.

Così Ruggiero, per quel che s'attiene alla Sicilia, come quella che non mai fu da Cario M. conquistata nè all'Imperio d'Occidente sottoposta, ma più tosto a quel d'Oriente, non avea alcun bisogno, volendo ridurla in forma di Regno, come fu anticamente, di ricorrere all'Imperador d'Occidente. E se bene, per quel che riguarda a queste nostre province, v'avessero avuta i medesimi in alcune d'esse la Sovranità, e per Sovrani da' Principi longobardi fossero riputati, come furon quelle, che nel Ducato beneventano, quando era nella sua maggior grandezza, erano comprese; nulladimanco i Normanni le sottrassero da poi totalmente dall'Imperio, così dall'occidentale, come, per quel che riguarda la Puglia e la Calabria, dall'orientale, e come independenti da quest'Imperj le dominarono. E quantunque dagl'Imperadori d'Occidente avessero nel principio ricevute l'investiture della Puglia, nientedimeno, come si è veduto, ciò non ebbe alcun effetto, perchè i Normanni da poi più tosto si contentarono essere Feudatarj della Sede Appostolica, che dell'Imperio. Nè gl'Imperadori d'Occidente molto se ne curarono. Egli è però vero, che così Lotario II come gli altri suoi successori, quando le occasioni loro si presentavano, non si ritennero di movere queste loro pretensioni di Sovranità: così Lotario, quando s'ebbe da investir Ranulfo del Ducato di Puglia e di Calabria contro il nostro Ruggiero, pretese volerlo egli investire, e pretendendo il Papa Innocenzio II all'incontro ciò appartenersi a lui; per non far nascere infra lor discordie, delle quali se n'avrebbe potuto profittar Ruggiero, inimico comune, si convenne che tutti due insieme l'investissero, come fecero investendolo per lo stendardo. E del Principato di Salerno e d'Amalfi, del quale i Papi non si trovavano aver ancora fatta alcuna investitura a' Normanni, vi fu tra Innocenzio II e l'istesso Lotario contrasto; pretendendo Lotario doverlo investir egli: al che s'oppose fortemente il Papa, onde nacquero fra loro quelle discordie, delle quali si seppe ben valere il nostro Ruggiero. E per quest'istesse pretensioni in tempi men a noi lontani Errico VII, il primo Imperadore che fu della illustre Casa di Lucemburgo, citò Roberto Re di Napoli, e Conte di Provenza avanti il suo Tribunale a Pisa, perchè pretendeva che il Regno di Napoli fosse Feudo dell'Imperio: come in fatti lo bandì, e lo depose dal Reame, del quale investì Federico Re di Sicilia, il quale in effetto venne in Calabria per conquistarlo, e prese Reggio, e molte altre Piazze di quella riviera. Ma essendo poco da poi morto Errico, svanì l'impresa ed egli deluso in Sicilia fece ritorno.

Ma essendosi da poi l'Imperio di costoro ristretto nell'Alemagna, ed oggi giorno considerandosi come semplici Principi, senza che possan pretender Sovranità nell'istesso Imperio, dove in effetto quella risiede come ha ben provato Bodino; ed all'incontro essendosi gli altri Principi per lungo corso di anni ben stabiliti ne' loro Stati e Reami con totale independenza dall'Imperio, vantano oggi con ben forte ragione essere i loro Stati vere Monarchie, siccome se ne vanta il nostro Reame, non ostante l'investiture che i nostri Principi ricevano da' Sommi Pontefici; le quali, come vedrassi nel corso di quest'Istoria, non derogano punto all'independenza ed alla sovranità, ed alle supreme regalie, delle quali sono adorni, e per le quali son reputati, come lo sono, veri Monarchi.

Ma ritornando alla coronazione del nostro Ruggiero se bene in questi tempi gl'Imperadori d'Occidente pretendessero Sovranità sopra queste nostre province; nulladimeno i Pontefici romani l'aveano di fatto esclusi e solamente era loro rimasa la pretensione. I Principi normanni non si curavano per ciò aver da essi l'investiture, e niun pensiero se ne prendevano. Ma all'incontro era in ciò, ed a questi tempi così grande l'autorità de' Papi, che i Principi senza di loro stimavano non poter assumer nè titolo di Re, nè altro più spezioso, che vi fosse, e sopra gli altri ne stavano ben persuasi i Principi normanni, e Ruggiero stesso.

Anzi non sono mancati diligenti Autori, che scrissero Ruggiero non mai aver avuto quest'ardimento per se solo d'incoronarsi Re, ed assumere quel titolo senza loro permissione e beneplacito; e che una sola volta fosse stato incoronato da Anacleto nell'anno 1130 non già due, una da se solo nell'anno 1129, l'altra da Anacleto nel seguente anno. Nel che non vogliamo miglior testimonio dell'accuratissimo Pellegrino, il quale per l'autorità di Falcone beneventano, e dell'Abate Telesino, sostiene che sol una volta Ruggiero si facesse incoronare, e ciò per autorità d'Anacleto: poich'essendo per la morte d'Onorio, accaduta in febbraio dell'anno 1130 nato lo scisma tra Innocenzio II ed Anacleto II, eletti ambedue nell'istesso giorno da due contrarie fazioni per romani Pontefici, piacque a Ruggiero seguire il partito d'Anacleto, il quale riputando ciò a sua somma ventura, perchè munito di sì valido appoggio potesse resistere al partito d'Innocenzio, proccurava di non negargli cosa che gli cercasse; in fatti venuto Anacleto in Avellino nel mese di ottobre di quest'istesso anno, quivi s'appuntò di coronarlo, siccome nell'istesso mese ritornato in Benevento, in questa città gli spedì la Bolla, che si legge presso il Baronio; ed avendo Anacleto mandato in Sicilia un suo Cardinale perchè lo incoronasse, fu Ruggiero dal medesimo coronato in Palermo nel mese di dicembre dell'istesso anno nel giorno di domenica della Natività di N. S. con quella celebrità ed apparato, che ci descrive l'Abate Telesino Scrittor contemporaneo, che vi fu presente, e che fu molto famigliare, e cotanto caro a Ruggiero. Falcone Beneventano, Pietro Diacono, ma sopra tutti più minutamente l'Abate Telesino, e tutti gli antichi parlando di questa coronazione la narrano come la prima e l'unica, nè fanno memoria alcuna d'altra coronazione che Ruggiero per se stesso avessesi proccurata nell'anno precedente. Ed a dir il vero, se mai vi fosse stata, certamente l'Abate Telesino, che così a minuto scrisse i fatti di questo Principe, e con tanta esattezza quella che seguì per Anacleto, non avea motivo di tralasciar la prima, poichè avrebbe rapportato un fatto ch'egli come cotanto benevolo e familiare di Ruggiero, avrebbe approvato, nè in grazia di Ruggiero l'avrebbe taciuto. Nè avrebbe tralasciato di riferire tanta celebrità e pompa, nè il consenso di tanti insigni Prelati e Signori che narrasi essere intervenuto in questa prima coronazione, celebrata in tempo, che non vi era scisma alcuno nella Chiesa, anzi quando Onorio per la pace fatta con Ruggiero, rimase con questo Principe amicissimo.

Il primo che di tal coronazione, seguita con tanta celebrità per mano di quattro Arcivescovi, ci dasse riscontri fu il Fazzello, da cui forse il Sigonio l'apprese. Ma questi con tanta incoerenza unisce insieme molte cose, che non ci dee far molta autorità. Altri per dar credenza a questo racconto, allegano una Cronaca non ancor impressa d'un tal Maraldo Monaco Cartusiano; ma non dicono di quanta antichità fosse; nè Maraldo fa menzione che d'una sola coronazione. Per questi argomenti, e perchè tutti gli Antichi la tacciono, nè d'essa fanno alcuna memoria, il Pellegrino porta opinione che Ruggiero non si fece coronare se non una sol volta, e ciò per autorità di Anacleto, ch'egli in quello scisma riputava, come lo riputavano allora non solo i suoi Regni, ma gran parte d'Italia, ed i Romani stessi, vero Pontefice, come colui che ebbe la maggior parte de' Cardinali che lo elessero, se bene Innocenzio un poco più prima di lui fosse stato eletto dalla minor parte. So che Inveges non acquetandosi a questi argomenti del Pellegrino, porta opinione contraria; narra, che Ruggiero, essendosi coronato per propria autorità, eletto che fu Innocenzio, avessegli richiesto, che con sua Bolla gli confermasse questa coronazione; ma che poi non avendo potuto ridurre Innocenzio a confermarla, abbandonando il partito d'Innocenzio, fosse ricorso ad Anacleto, il quale volentieri gli compiacque. Che che ne sia, o fosse stata questa la prima, ovvero la seconda coronazione di Ruggiero, egli è certo che questo Principe reputò non bene, nè stabilmente o legittimamente poter assumere quel titolo, nè ergere i suoi Stati in Reami, se non vi fosse stato il permesso, o conferma di Anacleto ch'egli reputava vero Pontefice, al quale avea renduti i suoi Stati tributari, e de' quali i suoi maggiori ne aveano ricevute l'investiture.

I. Investitura d'Anacleto data a Ruggiero I Re di Sicilia.

Allora fu che Anacleto, cui tanto premeva l'alleanza ed amicizia di Ruggiero, oltre ad averlo costituito Re, ed ordinato a tutti i Vescovi ed Abati de' suoi dominj, che lo riconoscessero per tale, e gli giurassero fedeltà, concedè a questo Principe una più ampia investitura, che i suoi predecessori Duchi di Puglia non aveano potuto mai ottenere: poichè oltre ad investirlo della Sicilia, della Puglia e della Calabria, gli diede ancora l'investitura del Principato di Capua, e quel che parrà strano, altresì del Ducato napoletano, come sono le parole della Bolla, e come eziandio rapporta Pietro Diacono.

Che glie le dasse del Principato di Capua, ancorchè pure fosse cosa molto strana, che nell'istesso tempo, che quello veniva posseduto da Roberto, il qual n'era Principe, volesse investirne altri; poteva però sostenersi il fatto, ed era scusabile, perchè avendo i Principi di Capua suoi predecessori da' Papi ricevuta l'investitura di quel Principato, tal che venivano riputati ancor essi Feudatari della Sede Appostolica, non altrimenti che i Duchi di Puglia e di Calabria, ed avendo voluto quel Principe seguitare il partito di Innocenzio suo inimico, avrebbe potuto forse così colorirsi e darsi al fatto comportabile apparenza. Ma del Ducato napoletano, ch'era dall'Imperio d'Oriente dipendente, e che in forma di Repubblica si governava dal suo Duca, che in quel tempo era Sergio, con qual appoggio potesse farlo Anacleto, non si sa veramente comprendere; e se pure i Napoletani, ciò che lor s'imputava, seguivano il partito d'Innocenzio, ciò non recava a lui ragione di disporre di quel Ducato, che per niuno pretesto poteva appartenergli. Ma tutte queste considerazioni niente impedivano allora a' Pontefici romani di far ciò che poteva ridondare in maggior loro grandezza: erano già avvezzi d'investire altrui di paesi che essi non possedevano, e sopra de' quali non vi avean che pretendere, come fecero della Sicilia e di quest'altre nostre province.

Nè a Ruggiero molto premea d'andar esaminando cotali diritti, bastava con ciò aver un minimo appoggio, affinchè quel che il Papa gli concedeva colla voce e colle scritture, potesse egli conquistarlo con le armi; credendo così giustificare le sue conquiste, siccome ben seppe fare poco da poi, che discacciato Roberto da quel Principato, e mossa guerra a' Napoletani, si rese padrone così dell'uno, come dell'altro Stato.

Ma potrebbe per avventura recar maraviglia come in questa occasione non fosse stato investito Ruggiero anche del Principato di Salerno. Ciò avvenne perchè i Pontefici romani pretendevano che quel Principato interamente s'appartenesse alla Chiesa romana, se bene non si sappia per qual particolar ragione. Perciò Gregorio VII, perciò tutti gli altri suoi successori lo eccettuaron sempre nell'investiture, come abbiamo osservato. Ed in fatti quando Lotario, avendolo tolto a Ruggiero se ne rese padrone, e volle appropriarselo, Innocenzio se ne offese, ed acremente se ne dolse, dicendo, che quello s'apparteneva alla Chiesa romana, ciò che fu motivo di discordia fra il Papa e Lotario, come rapporta Pietro Diacono. L'investitura fu data a Ruggiero, a' suoi figli, ed eredi di quelli jure perpetuo. Ed il censo fu stabilito di seicento schifati l'anno.

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