SCENA XIV

Donna Eleonora e Zelinda

ELE. Per causa tua, disgraziata.

ZEL. Signora, se sapeste lo stato mio, vi movereste a pietà di me.

ELE. Pretendi di migliorare il tuo stato alle spese di mio marito?

ZEL. Ah no, signora, ve l'assicuro. Sappiate che per mia disgrazia...

ELE. Non vo' saper altro. L'unica pruova che tu puoi darmi della tua innocenza, è il sortir subito di questa casa.

ZEL. Se non credessi di offendere il mio padrone...

ELE. Che padrone? Sono io la padrona. Egli ti ha preso per servirmi. Le cameriere non dipendono che dal piacere e dal dispiacere delle padrone. Non son contenta di te, ti licenzio, vattene immediatamente.

ZEL. Mi licenziate?

ELE. Sì, ed ho l'autorità di farlo.

ZEL. (Ah, profittiamo dell'occasione per vivere e per morir con Lindoro.)

ELE. Se ricusi d'andartene, mi confermerai nel sospetto.

ZEL. Signora, sono innocente, e se deggio darvene una prova coll'allontanarmene di casa vostra, partirò col maggior piacere del mondo.

ELE. Bene, farete il vostro dovere.

ZEL. Permettetemi ch'io unisca le mie poche robe.

ELE. Andate, e sollecitatevi.

ZEL. (in atto di partire) (Oh! Amore mi renderà sollecita più che non credi.)

ELE. (minacciandola)Se vi avvisaste di parlarne con mio marito...

ZEL. Non temete, signora, non lo vedrò certamente. (Ah fra le mie disgrazie questa è la meno sensibile, e può essere la più fortunata.) (parte)

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