SCENA SETTIMA

Camera in casa di Filippo.

Giacinta e Brigida, poi il Servitore.

BRIGIDA:        No, signora, non occorre dire: dirò, farò, così ha da essere, così voglio fare. In certi incontri non siamo padrone di noi medesime.

GIACINTA:        E che sì, che in un altro incontro non mi succederà più quello che mi è succeduto?

BRIGIDA:        Prego il cielo che così sia, ma ne dubito.

GIACINTA:        Ed io ne son sicurissima.

BRIGIDA:        E donde può ella trarre una tal sicurezza?

GIACINTA:        Senti: convien dire che il cielo mi vuol aiutare. Nell'agitazione in cui era, per cercare di divertirmi ho preso un libro. L'ho preso a caso, ma cosa più a proposito non mi potea venir alle mani; è intitolato: Rimedi per le malattie dello spirito. Fra le altre cose ho imparato questa: Quand'uno si trova occupato da un pensiere molesto, ha da cercar d'introdurre nella sua mente un pensier contrario. Dice che il nostro cervello è pieno d'infinite cellule, dove stan chiusi e preparati più e diversi pensieri. Che la volontà può aprire e chiudere queste cellule a suo piacere, e che la ragione insegna alla volontà a chiuder questa e ad aprire quell'altra. Per esempio, s'apre nel mio cervello la celletta che mi fa pensare a Guglielmo, ho da ricorrere alla ragione, e la ragione ha da guidare la volontà ad aprire de' cassettini ove stanno i pensieri del dovere, dell'onestà, della buona fama; oppure se questi non s'incontrano così presto, basta anche fermarsi in quelli delle cose più indifferenti, come sarebbe a dire d'abiti, di manifatture, di giochi di carte, di lotterie, di conversazioni, di tavole, di passeggi e di cose simili; e se la ragione è restia, e se la volontà non è pronta, scuoter la macchina, moversi violentemente, mordersi le labbra, ridere con veemenza, finché la fantasia si rischiari, si chiuda la cellula del rio pensiero, e s'apra quella cui la ragione addita ed il buon voler ci presenta.

BRIGIDA:        Mi dispiace non saper leggere; vorrei pregarla mi permettesse poter anch'io leggere un poco su questo libro.

GIACINTA:        Hai tu pure de' pensieri che ti molestano?

BRIGIDA:        Ne ho uno, signora, che non mi lascia mai, né men quando dormo.

GIACINTA:        Dimmi qual è, che può essere ch'io t'insegni qual cellula devi aprire per discacciarlo.

BRIGIDA:        Egli è, signora mia, per confessarle la verità, ch'io sono innamoratissima di Paolino, ch'ei mi ha dato speranza di sposarmi; ed ora è a Montenero per servizio del suo padrone, e non si sa quando possa tornare.

GIACINTA:        Eh! Brigida, questo tuo pensiere non è sì cattivo, né può essere sì molesto, che tu abbia d'affaticarti per discacciarlo. Il partito non isconviene né a te, né a lui. Non ci vedo ostacoli al tuo matrimonio; basta che, senza chiudere la cellula dell'amore, tu apra quella della speranza.

BRIGIDA:        Per dir la verità, mi pare che tutte e due sieno ben aperte.

SERVITORE:        Signora, vengono per riverirla la signora Vittoria, il signor Ferdinando ed il signor Guglielmo.

GIACINTA:        (Oimè!). Niente, niente, vengano. Son padroni.

SERVITORE        (parte.)

BRIGIDA:        Eccoci al caso, signora padrona.

GIACINTA:        Sì, ho piacere di trovarmi nell'occasione.

BRIGIDA:        Si ricordi della lezione.

GIACINTA:        L'ho messa in pratica immediatamente. Appena volea molestarmi un pensier cattivo, l'ho subito discacciato pensando al signor Ferdinando, che è persona giocosa, che mi farà ridere infinitamente.

BRIGIDA:        Rida e scuota la macchina, e si diverta.

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