SCENA OTTAVA

Vittoria, Guglielmo, Ferdinando e le suddette.

VITTORIA:        Ben venuta, la mia cara Giacinta.

GIACINTA:        Ben trovata, ben trovata. Padroni. Presto, da sedere. (Con grande allegria.)

FERDINANDO:        Sta bene la signora Giacinta?

GIACINTA:        Bene, benissimo. Non sono mai stata meglio.

GUGLIELMO:        Mi consolo di vederla star bene.

GIACINTA:        Grazie, grazie. Presto, le sedie. Date qui, una sedia qui. (Prende una sedia con forza.)

BRIGIDA:        (Ha bisogno di scuoter la macchina).

GIACINTA:        Via, seggano, favoriscano. Che novità ci sono in Livorno? (Con allegria.)

VITTORIA:        Io non ho sentito a dir niente di particolare.

GIACINTA:        Qui, qui, il signor Ferdinando che sa tutto, che gira per tutto, ci dirà egli le novità del paese.

FERDINANDO:        Signora, io sono venuto stamattina con voi; che cosa volete ch'io sappia dirvi? Quando non sa qualche cosa il signor Guglielmo.

GUGLIELMO:        Ci è una novità, ma qui non la posso dire.

GIACINTA:        Eh! diteci voi qualche cosa di allegro. (A Ferdinando, battendolo con forza nel braccio.)

FERDINANDO:        Ma io non so cosa dire.

VITTORIA:        Sentiamo, se non tutto, qualche cosa almeno di ciò che voleva dire il signor Guglielmo.

GIACINTA:        Voi, voi, raccontateci voi. (A Ferdinando, battendolo come sopra.)

BRIGIDA:        (Ora scuote la macchina del signor Ferdinando).

FERDINANDO:        Signora, voi mi volete rompere questo braccio.

GIACINTA:        Poverino! povero delicatino! V'ho fatto male?

GUGLIELMO:        Un poco di carità, signora, un poco di carità.

GIACINTA:        (Oh! che tu sia maladetto!). Ma quanto è grazioso questo signor Ferdinando! Mi fa ridere, mi fa crepar di ridere, e quando rido di core, mi manca il fiato.

VITTORIA:        Che vuol dire, signora Giacinta, che oggi siete sì allegra?

GIACINTA:        Non lo so nemmen io. Ho un brio, ho un'allegrezza di core, che non ho mai provata la simile.

FERDINANDO:        Ci deve essere il suo perché.

GUGLIELMO:        Sarà probabilmente perché si avvicinano le sue nozze.

GIACINTA:        (Gli si possa seccar la lingua!). Avete un gran bell'abito, Vittorina.

VITTORIA:        Eh! un abitino passabile.

FERDINANDO:        Principia anche in lei ad esservi qualche segnale di sposa.

GIACINTA:        L'avete fatto quest'anno?

VITTORIA:        Veramente è dell'anno passato.

GIACINTA:        È alla moda per altro.

VITTORIA:        Sì, l'ho fatto un po' ritoccare.

GIACINTA:        Ve l'ha fatto monsieur de la Réjouissance?

VITTORIA:        Sì, quello che mi ha fatto il mio mariage.

FERDINANDO:        A proposito di mariage, signore mie, quando si fanno le loro nozze?

GIACINTA        (dà una spinta forte a Ferdinando): Gran vizio che avete voi di voler sempre interrompere quando si parla.

FERDINANDO:        Questa mattina voi mi avete preso a perseguitare.

GIACINTA:        Sì, voglio perseguitarvi. Voglio far le vendette di quella povera vecchia di mia zia, che voi avete sì maltrattata.

FERDINANDO:        E che cosa ho fatto io alla signora Sabina?

GIACINTA:        Che cosa le avete fatto? Tutto quel peggio che far le poteste. (Durante questo discorso, Giacinta va guardando Guglielmo.) Avete conosciuto la sua debolezza. L'avete tirata giù, l'avete innamorata perdutamente. E un uomo d'onore non ha da fare di queste azioni; un galantuomo non ha da cercar d'innamorare una persona vecchia, o giovane ch'ella sia, quando l'amore non può avere un onesto fine; e quando sa di poter essere di pregiudizio agl'interessi, o al buon concetto di una donna, sia vedova o sia fanciulla, ha da desistere, ha da ritirarsi, e non ha da seguitare a insidiarla, a tormentarla con visite, con importunità, con simulazioni. Sono cose barbare, pericolose, inumane.

FERDINANDO        (si volta a guardare Guglielmo.)

GIACINTA:        Dico a voi, dico a voi. Non occorre che vi voltiate. Intendo di parlare con voi. (A Ferdinando.)

FERDINANDO:        (La burla passa il segno. I suoi scherzi diventano impertinenze).

VITTORIA:        (Si è riscaldata bene la signora Giacinta. Per una parte ha ragione, ma lo ha strapazzato un po' troppo).

GUGLIELMO:        (Povero Ferdinando! Egli non capisce dove vanno a ferire le sue parole. Tol di mezzo per causa mia).

FERDINANDO:        (Non voglio espormi a soffrir di peggio). Con licenza di lor signore. (S'alza.)

GIACINTA:        Dove andate?

FERDINANDO:        Vo' levarle l'incomodo.

GIACINTA:        Eh! via, non fate scene, restate qui. (Allegra.)

VITTORIA:        Povero galantuomo, l'avete malmenato un po' troppo.

GIACINTA:        Eh! via, sedete qui. Ho scherzato. (Lo fa sedere a forza.) Povero signor Ferdinando, ve n'avete avuto per male?

FERDINANDO:        Signora, gli scherzi quando sono pungenti...

GIACINTA:        Oh! ecco, ecco mio padre. Ora la conversazione sarà compita. Così vecchio com'è, il cielo lo benedica, terrebbe in allegria mezzo mondo. È più allegro di me cento volte. (Con allegria.)

VITTORIA:        (Ma oggi Giacinta è in un'allegria stupenda). (Piano a Guglielmo.)

GUGLIELMO:        (Sì, è vero). (Piano a Vittoria.) (Ed io credo ch'ella si maceri dal veleno. Ma se patisco io, patisca ella ancor qualche cosa). (Da sé.)

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