Scena prima

Camera in casa di Filippo.

Fulgenzio, Leonardo ed un Servitore.

FULGENZIO:        Quant'è ch'è andato a pranzo il signor Filippo? (Al Servitore.)

SERVITORE:        È un pezzo, signore. Hanno messo in tavola i frutti e poco può tardar a finire. Se vuol ch'io l'avvisi...

FULGENZIO:        No, no, lasciatelo terminar di mangiare. So che la tavola è la sua passione, e gli dispiace assaissimo d'incomodarsi. Non gli dite niente per ora; ma quando è alzato, avvisatelo allora ch'io sono qui.

SERVITORE:        Sarà servita. (Parte.)

LEONARDO:        Voglia il cielo che il signor Filippo non sappia i miei disordini, le mie disgrazie.

FULGENZIO:        Sono poche ore ch'egli è arrivato in città. Non è uscito di casa, probabilmente non saprà nulla.

LEONARDO:        Sono sì pieno di rossore e di confusione, che non ardisco presentarmi a nessuno. Quel sordido di mio zio ha terminato di avvilirmi, di mortificarmi.

FULGENZIO:        Venga il canchero all'avaraccio.

LEONARDO:        Ma non ve l'ho detto, signor Fulgenzio? Non v'ho io prevenuto di quel che si poteva sperare da quel cuore disumanato?

FULGENZIO:        Non ho mai creduto una simil cosa. Pazienza il dire: non ne ho, non ne posso dare, non ne vo' saper niente. Mi è dispiaciuto la manieraccia impropria con cui ci ha trattati; quella derisione continua, quella corbellatura sfacciata.

LEONARDO:        Ho incontrato questo dispiacere per voi, e l'ho sofferto per amor vostro.

FULGENZIO:        Non so che dire. Me ne dispiace infinitamente; ma per l'altra parte questo tentativo doveva farsi, ed ho piacere che si sia fatto. Se è andato male, pazienza. Io non vi abbandonerò. Mi sono sempre più interessato nelle cose vostre. Sono in impegno d'assistervi, e vi assisterò. Ponetevi in quiete, rasserenatevi, che vi assisterò.

LEONARDO:        Ah! sì, il cielo non abbandona nessuno. È una provvidenza per me il vostro tenero cuore, la vostra generosa bontà.

FULGENZIO:        Facciamo ora questo secondo tentativo col signor Filippo. Io mi lusingo riuscirne. Ma in caso contrario non vi perdete d'animo, non vi lascierò perire sicuramente.

LEONARDO:        Il progetto vostro non può essere meglio concepito, e il facile temperamento del signor Filippo ci può lusingare d'un esito fortunato. Preveggo bensì difficile il persuadere Giacinta a lasciar Livorno, e venir meco lontana dal suo paese.

FULGENZIO:        Quando non vi siano maggiori obbietti per concludere le vostre nozze, ella, o per amore o per forza, sarà obbligata a venir con voi.

LEONARDO:        È vero, ma vorrei ci venisse amorosamente; e dubito molto della sua resistenza.

FULGENZIO:        Veramente la signora Giacinta è un po' capricciosa ed ostinatella. Me ne sono avveduto allora quando ha voluto seco per forza quel ganimede. Ditemi, come è poi passata in campagna?

LEONARDO:        Non so che dire. Ho avuto delle inquietudini e dei dispiaceri non pochi. Finalmente poi il signor Guglielmo ha dato parola di sposar mia sorella.

FULGENZIO:        Sì, sì, lo so, un altro frutto della villeggiatura. Se va bene, è un miracolo. (Oh libertà, libertà! Oh come in oggi si maritano le fanciulle!)

LEONARDO:        Ecco il signor Filippo.

FULGENZIO:        Ritiratevi, se volete. Lasciate che io introduca il discorso.

LEONARDO:        Ne attendo l'esito con un'estrema impazienza. (Parte.)

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