SCENA SECONDA

Fulgenzio, poi Filippo.

FULGENZIO:        Poh! io sono inimicissimo degl'impicci; e ora mi ci trovo dentro senza volerlo. Ci sono entrato per bene, e vo' vedere se mi riesce di far del bene.

FILIPPO:        Oh! oh! ecco qui il mio caro signor Fulgenzio.

FULGENZIO:        Ben tornato, signor Filippo.

FILIPPO:        Ben trovato il mio caro amico.

FULGENZIO:        Vi siete divertito bene in campagna?

FILIPPO:        Benissimo; siamo stati in ottima compagnia. Si è mangiato bene: vitello prezioso, capponi stupendi, tordi, beccafichi, quaglie, starne, pernici. Ho dato mangiate, v'assicuro io, solennissime.

FULGENZIO:        Ho piacere che ve la siate goduta. Ora poi che siete ritornato...

FILIPPO:        Quel pazzo di Ferdinando ci ha fatto crepar di ridere.

FULGENZIO:        Sì, in campagna ci vuol sempre qualcheduno che promova il divertimento.

FILIPPO:        Si è messo in capo di far disperare quella povera sciocca di mia sorella. Sentite se è maladetto...

FULGENZIO:        Mi racconterete con comodo; permettete che ora vi dica...

FILIPPO:        No, no, sentite, se volete ridere...

FULGENZIO:        Ora non ho gran voglia di ridere. Ho necessità di parlarvi.

FILIPPO:        Eccomi, parlate pure come vi aggrada.

FULGENZIO:        Ora, signor Filippo, che siete ritornato in città...

FILIPPO:        Conoscete voi il medico di Montenero?

FULGENZIO:        Lo conosco.

FILIPPO:        E il suo figliuolo lo conoscete?

FULGENZIO:        No, non l'ho mai veduto.

FILIPPO:        Oh che capo d'opera! Oh che testa balorda! Oh che carattere delizioso! Cose, cose da smascellarsi.

FULGENZIO:        Non mancherà tempo. Sentirò anch'io volentieri...

FILIPPO:        Ed è toccato a me giocare a bazzica con questo sciocco.

FULGENZIO:        Amico, se non mi volete ascoltare, ditemelo liberamente. Me n'anderò.

FILIPPO:        Oh! cosa dite mai? Se vi voglio ascoltare? Capperi! Il mio caro amico Fulgenzio, v'ascolterei se veniste di mezzanotte.

FULGENZIO:        Alle corte. Ora che siete tornato a Livorno, pensate voi di voler concludere il maritaggio di vostra figliuola?

FILIPPO:        Ci ho pensato, e ci penserò.

FULGENZIO:        Avete ancora veduto il signor Leonardo?

FILIPPO:        No, non l'ho ancora veduto. So che è stato qui; ma non l'ho ancora veduto. Già io ho da esser l'ultimo in tutto, e sarò l'ultimo ancora in questo.

FULGENZIO:        (Da quel ch'io sento, pare non sappia niente dei disordini di Leonardo).

FILIPPO:        A Montenero io era sempre l'ultimo in ogni cosa. Sino al caffè i garzoni servivano tutti, ed io l'ultimo.

FULGENZIO:        Ora, nell'affare di cui si tratta, voi avete da essere il primo.

FILIPPO:        Eh! lo so perché ho da essere il primo. Perché ho da metter fuori gli ottomila scudi di dote.

FULGENZIO:        Ditemi, in confidenza, fra voi e me: questi ottomila scudi li avete voi preparati?

FILIPPO:        Per dirvi sincerissimamente la verità, presentemente non le potrei dare nemmeno ottomila soldi.

FULGENZIO:        E come intendereste dunque di fare?

FILIPPO:        Non saprei. Ho de' fondi, ho de' capitali; credete voi che non si potessero ritrovare?

FULGENZIO:        Sì, a interesse si potrebbero ritrovare.

FILIPPO:        Bisognerà dunque ch'io li ritrovi a interesse.

FULGENZIO:        E che paghiate almeno il quattro per cento.

FILIPPO:        Bisognerà ch'io paghi il quattro per cento.

FULGENZIO:        Sapete voi che il quattro per cento, per un capitale di ottomila scudi, porta in capo all'anno trecento e venti scudi d'aggravio?

FILIPPO:        Corpo di bacco! Trecento e venti scudi di meno?

FULGENZIO:        Eppure questo matrimonio si ha da concludere. La scritta è fatta. La dote voi l'avete promessa.

FILIPPO:        Ma io son uno che fa e promette, perché mi fanno fare e promettere. Quando siete venuto voi a parlarmi, perché non mi avete fatti allora que' conti che mi fate presentemente? Scusatemi, io credo di aver occasione di lamentarmi di voi. Se mi foste quel buon amico che dite...

FULGENZIO:        Sì, vi son buon amico. E un mio consiglio vi metterà in calma di tutto, e vi farà comparir con onore. Voglio che maritiate la figlia senza incomodarvi di un paolo, senza dipendere da nessuno. E colla sicurezza ch'ella stia bene, e che non le possa essere intaccata la dote.

FILIPPO:        Se mi fate veder questa, vi stimo per il primo uomo, per la prima testa di questo mondo.

FULGENZIO:        Ditemi un poco: a Genova non avete voi degli effetti?

FILIPPO:        Sì, ci ho qualche cosa che mi ha lasciato un mio zio. Ma non so dire precisamente che cosa. Maneggia uno ch'era il di lui ministro. In sei anni non mi ha mandato altro che due ceste di maccheroni.

FULGENZIO:        Io sono stato a Genova in vita di vostro zio e dopo la di lui morte, e so quel che c'è e che non c'è. Il ministro vi mangia tutto, e giacché per l'incuria vostra non ne ricavate profitto alcuno, fate così: assegnate in dote a vostra figliuola i beni che avete in Genova. Io farò che il signor Leonardo li accetti, e se ne contenti. Andrà egli ad abitare in Genova colla consorte, maneggierà uxorio nomine quegli effetti, non li potrà consumare o disperdere, perché saranno ipotecati alla dote; e per dirvela schiettamente, a voi non rendono nulla, e a lui sul fatto, con un poco di direzione, possono rendere il doppio di quello che gli renderebbero gli ottomila scudi in Livorno. Ah! cosa dite?

FILIPPO:        Bene, benissimo, glieli do volentieri. Vadano a Genova; se li godano in pace, rendano quel che san rendere, non ci penso. Fate voi, mi rimetto in voi.

FULGENZIO:        Non occorr'altro. Lasciate operare a me.

FILIPPO:        Ehi! dite: non si potrebbe vedere di obbligare Leonardo a mandarmi qualche cesta di maccheroni?

FULGENZIO:        Sì, vi manderà delle paste quante volete, dei canditi di Genova, delle melarancie di Portogallo.

FILIPPO:        Oh! che le melarancie mi piacciono tanto. Oh! che mi piacciono tanto i canditi. La cosa è fatta.

FULGENZIO:        È fatta dunque.

FILIPPO:        È fattissima.

FULGENZIO:        E vostra figlia sarà poi contenta?

FILIPPO:        Questo è il diavolo.

FULGENZIO:        Ma voi non avete animo di farla fare a modo vostro?

FILIPPO:        Non ci sono avvezzo.

FULGENZIO:        Questa volta dovete farlo.

FILIPPO:        Lo farò.

FULGENZIO:        Si tratta di tutto.

FILIPPO:        Lo farò, vi dico, lo farò.

FULGENZIO:        Quando le parlerete?

FILIPPO:        Ora, in questo momento. Vado immediatamente: aspettatemi colla risposta. (In atto di partire.) Non sarebbe meglio ch'io la facessi venir qui, e che le diceste qualche cosa voi?

FULGENZIO:        Perché non le volete parlar voi?

FILIPPO:        Le parlerò poi ancor io.

FULGENZIO:        Via, andate, e fatela venir, se volete.

FILIPPO:        Subito, immediatamente. (Felice me, se succede! Se resto solo, se non isminuisco l'entrata, me la voglio godere da paladino). (Parte.)

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