SCENA ULTIMA

Tognino e detti.

TOGNINO:        Nozze, nozze, evviva: si son fatte le nozze. (Saltando.)

COSTANZA:        Sciocco!

ROSINA:        Ma via! Sempre lo mortificate. (A Costanza.)

LEONARDO:        Signor Guglielmo, prima ch'io parta, mi lusingo che si stabilirà un po' meglio l'impegno vostro con mia sorella.

VITTORIA:        Questa sera io spero che si sottoscriverà questa carta.

GIACINTA:        A che servon le carte? A che servon le scritture? A null'altro che a intorbidar gli animi e ad inquietare. Volesse il cielo ch'io avessi sposato il signor Leonardo quel giorno medesimo che io mi sono in carta obbligata. Vari disordini sono nati, che non sarebbero succeduti. La signora Vittoria ha in deposito la sua dote; che il signor Guglielmo si ricordi de' suoi doveri, le dia la mano, e la sposi.

VITTORIA:        Dormite, signor Guglielmo?

GUGLIELMO:        Non dormo, signora mia, non dormo. Sono bastantemente svegliato per intendere gli altrui detti, e per conoscere i miei doveri. Sono un uomo d'onore; se tal non fossi, non avrei impegnata la mia parola. Merita lode la signora Giacinta, meritano lode i di lei consigli; ho sempre ammirato la di lei virtù, e per ultimo contrassegno della mia stima, eccomi, signora Vittoria, eccomi pronto ad offerirvi la mano.

VITTORIA:        Per la stima che avete di lei, non per l'amore che voi provate per me?

GIACINTA:        Ha ragione la signora Vittoria, e mi maraviglia che siate così poco compiacente...

GUGLIELMO:        Non v'inquietate, di grazia; son ragionevole più di quel che credete. Signora Vittoria, assicuratevi di avere in me un conoscitore del vostro merito, uno sposo fedele, un rispettoso consorte.

VITTORIA:        Tutto, fuori che amante.

LEONARDO:        Finiamola con queste vostre caricature. O porgete ad esso la mano, o vi metterò in un ritiro.

VITTORIA:        Mi fa ridere il signor fratello. Signor Guglielmo, non forzata, come voi parete di esserlo, ma del miglior cuore del mondo vi do la mano.

GUGLIELMO:        E per mia sposa vi accetto.

VITTORIA:        Abbiate almeno compassione di me. (A Guglielmo, teneramente.)

GUGLIELMO:        (Io merito più compassione di lei).

TOGNINO:        Nozze, nozze, dell'altre nozze. (Saltando.)

FILIPPO:        Sì, nozze, nozze. E quando si faranno le vostre nozze? (A Tognino.)

TOGNINO:        Sono fatte, le abbiamo fatte. Sì, sì, lo voglio dire, son maritato.

COSTANZA:        Sciocco, imprudente, senza giudizio. (A Tognino.)

ROSINA:        Sì, sì, non si può nascondere, si ha da sapere, ed ho piacere ch'ei l'abbia detto.

GIACINTA:        Compatisco la signora Costanza, s'ella desiderava di celare un maritaggio che può essere criticato; e voglia il cielo che non si lagnino un giorno questi due sposi, del comodo che ha loro offerto la troppo libera villeggiatura. Di più non dico; so io qual piacere ho provato, e quanto caro mi costa il divertimento. Lode al cielo son maritata; parto per Genova, e parto con animo risoluto di non rammentarmi che il mio dovere. Desidero a mia cognata quella pace e quella tranquillità ch'io bramo per me medesima. Supplico il caro mio genitore amarmi sempre, benché lontano; e se non fosse temerità in me soverchia, lo pregherei di regolare un po' meglio gli affari suoi, e villeggiar con giudizio, e spendere con parsimonia. Ringrazio il signor Fulgenzio del bene che dall'opera sua riconosco; e vi assicuro, signore, che non me ne scorderò fin ch'io viva. Fo il mio dovere colla padrona di questa casa; auguro ogni bene ai di lei nipoti. Riverisco il signor Guglielmo. (Patetica.) Parto per Genova col mio caro sposo. (Risoluta.) Prima di andarmene, mi si permetta rivolgermi rispettosa a chi mi ascolta e mi onora. Vedeste le Smanie per villeggiare. Godeste le Avventure de' villeggianti, compatite il Ritorno dalla campagna; e se aveste occasione di ridere dell'altrui cattiva condotta, consolatevi con voi stessi della vostra prudenza, della vostra moderazione, e se non siete di noi malcontenti, dateci un cortese segno d'aggradimento.

Fine della Commedia.

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