SCENA DECIMA

Sala della locanda con due porte in prospetto e due
laterali

Truffaldino, poi Florindo.

TRUFFALDINO Mo gran desgrazia che l'è la mia! De do padroni nissun è vegnudo ancora a disnar. L'è do ore che è sonà mezzozorno, e nissun se vede. I vegnirà po tutti do in una volta, e mi sarò imbroiado; tutti do no li poderò servir, e se scovrirà la fazenda. Zitto, zitto, che ghe n'è qua un. Manco mal.

FLORINDO Ebbene, hai ritrovato codesto Pasquale?

TRUFFALDINO No avemio dito, signor, che el cercherò dopo che averemo disnà?

FLORINDO Io sono impaziente.

TRUFFALDINO El doveva vegnir a disnar un poco più presto.

FLORINDO (Non vi è modo ch'io possa assicurarmi se qui si trovi Beatrice).

TRUFFALDINO El me dis, andemo a ordinar el pranzo, e po el va fora de casa. La roba sarà andada de mal.

FLORINDO Per ora non ho volontà di mangiare. (Vo' tornare alla Posta. Ci voglio andare da me; qualche cosa forse rileverò).

TRUFFALDINO La sappia, signor, che in sto paese bisogna magnar, e chi no magna, s'ammala.

FLORINDO Devo uscire per un affar di premura. Se torno a pranzo, bene; quando no, mangerò questa sera. Tu, se vuoi, fatti dar da mangiare.

TRUFFALDINO Oh, non occorr'altro. Co l'è cusì, che el se comoda, che l'è padron.

FLORINDO Questi danari mi pesano; tieni, mettili nel mio baule. Eccoti la chiave (dà a Truffaldino la borsa dei cento ducati e la chiave).

TRUFFALDINO La servo, e ghe porto la chiave.

FLORINDO No, no, me la darai. Non mi vo'trattenere. Se non torno a pranzo, vieni alla piazza; attenderò con impazienza che tu abbia ritrovato Pasquale (parte).

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