SCENA NONA

Camera in casa di donna Livia.

Donna Livia , poi il di lei paggio .

LIV. Ecco, quattro partiti di matrimonio mi si offeriscono, ma niuno di questi mi dà nel genio, credendoli tutti appassionati, non già per me, ma per l’acquisto della mia dote. O goder voglio la libertà vedovile, o se nuovamente ho da legarmi, far lo voglio per compiacermi, e non per sacrificarmi. Oh, se quel Veneziano che è in casa di donna Aurora, fosse veramente una persona ben nata, come dimostra di essere, quanto volentieri lo sposerei! Ancorché fosse povero, non m’importerebbe; diecimila scudi l’anno di rendita, che mi ha lasciato mio padre, basterebbono anche per lui. Spero che quanto prima colle lettere di Venezia potrò assicurarmi del vero.

PAGG. Signora.

LIV. Che c’è?

PAGG. È qui la signora donna Aurora. È smontata, ed ha salito mezze le scale.

LIV. È sola?

PAGG. Non signora. È in compagnia d’un forestiere.

LIV. Sarà quello che sta in casa con lei. Non lo conosci?

PAGG. Oh, se lo conosco! E come! Se ne ricordano le mie mani.

LIV. Le tue mani? Perché?

PAGG. In Messina, dove io sono stato, egli faceva il maestro di scuola, e mi ha date tante maledette spalmate.

LIV. Faceva il maestro di scuola?

PAGG. Signora sì, e ora che mi ricordo, mi ha anche dato due cavalli. E sa ella dove? Se non fosse vergogna, glielo direi.

LIV. (Il maestro di scuola! Non vi è gran nobiltà veramente). (da sé) Eccoli. Fa che passino. (al Paggio)

PAGG. (Se mi desse ora le spalmate e i cavalli, gli vorrei cavare un occhio). (da sé, parte)

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