SCENA OTTAVA

Guglielmo solo.

GUGL. Io non la capisco. Don Filiberto è un povero signore, di buon cuore sì, ma di poche fortune; e sua moglie, dieci doppie non sono niente: se vi occorre, parlate, disponete. O donna Aurora ha delle rendite che non si sanno, o vuol mandar in rovina il povero suo marito. Io però non l’ho da permettere. Non ho cuore da tirar innanzi così; ogni giorno, quando mi metto a tavola, mi vengono i rossori sul viso. Un uomo civile, nato bene e bene allevato, non può soffrire di vedersi lungamente dar da mangiare a ufo, e spezialmente da uno che fa per impegno più di quello che le di lui forze permettono ch’egli faccia. Sarei partito anche prima d’adesso, ma donna Aurora bada a dire ch’io resti. Se fossi, per esempio, in casa di quella vedova ricca, non avrei tanti scrupoli a mangiarle un poco le costole; in questo mondo siamo tutti soggetti a disgrazie; e non è vergogna raccomandarsi, quando uno si trova in necessità. Qualche volta anch’io sono stato bene; ora son miserabile; ma la non ha da ire sempre così. Ho passato tante burrasche, passerà anche questa. Vo’ stare allegro, vo’ divertirmi, non voglio pensare a guai. Anzi voglio rider di tutto, e fissar in me questa massima, che l’uomo di spirito deve essere superiore a tutti i colpi della fortuna. (parte)

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