Scena decima

Il Conte senza spada, ed il suddetto.

CON. (Che vedo? qui il baron Talismani?) (stando sulla porta della sua camera)

BAR. (Non so se più m'interessi l'amore, o il disprezzo, o la derisione).

CON. Signor Barone, la riverisco divotamente. (sostenuto)

BAR. Servo suo, signor Conte. (sostenuto)

CON. Che fa ella qui, signore?

BAR. Il mio dovere. Venni per augurarle il buon viaggio, e per usare seco lei quella urbanità, che non si è degnata di praticare con me.

CON. Vossignoria potea risparmiarsi l'incomodo. So che per me non si sarà data tal pena.

BAR. Sì, signore, sono qui venuto per voi.

CON. Ed in che vi posso servire?

BAR. Desidero che mi diciate per qual ragione vi siete partito da Milano, senza ch'io abbia avuto l'onor di saperlo.

CON. Siccome non abbiamo insieme verun interesse, io non mi sono creduto in debito di parteciparvi la mia partenza.

BAR. Parmi che a ciò vi dovesse obbligare il buon costume, l'amicizia, la convenienza.

CON. Circa al buon costume, io credo di non averlo da imparare da voi. Se mi parlate dell'amicizia, vi dirò ch'io soglio usarla e misurarla secondo le circostanze; e rispetto alla convenienza, avrei largo campo da giustificarmi, se il rispetto ch'io porto alla vostra casa, non mi costringesse a tacere.

BAR. Signore, voi tacendo mi spiacete assai più di quel che possiate fare parlando.

CON. Quand'è così adunque, parlerò per ispiacervi meno. Dite, di grazia, sapete voi che la mia figliuola è promessa in isposa ad un cavaliere piemontese?

BAR. Lo so benissimo. Ma so altresì, ch'ella non consente sposarlo, senza prima conoscerlo.

CON. Siete voi persuaso che una figliuola sia padrona di dirlo, quando il di lei padre ha sottoscritto un contratto?

BAR. Io non credo che un padre abbia l'autorità di sagrificare una figlia.

CON. Come potete voi dire, che ella sia con queste nozze sagrificata?

BAR. E come potete voi assicurarvi, che ella ne sia contenta?

CON. Per assicurarmi di ciò, la conduco meco a Torino.

BAR. Bene, io non vi condanno per questo. Ma perché non dirlo agli amici vostri?

CON. Tutti i miei amici sono stati di ciò avvertiti.

BAR. Io dunque non sono da voi onorato della vostra amicizia.

CON. Signor Barone, facciamo a parlar chiaro. L'amicizia che dite d'avere per me, non deriva da un sincero attaccamento alla mia persona, ma dall'amore che avete per mia figliuola, e il ciel non voglia che non vi muova piuttosto la condizione di un'unica figlia, erede presuntiva di un genitore non povero. Qualunque sia il pensier che vi stimola, è sempre indegno di un galantuomo, che dee rispettare l'autorità di un padre e la casa di un cavaliere onorato. Può essere che la renitenza di mia figliuola alle nozze, che io le propongo, derivi innocentemente dal di lei cuore, ma ho anche ragion di sospettare, che l'orgoglio di una fanciulla sia animato dalle lusinghe di un amante vicino. Beatrice è saggia e morigerata, ma tanto più mi confermo, che non sia ella per se medesima capace di contradirmi, senza essere prevenuta da qualche occulta passione. Voi siete il solo, su cui cader possono i miei sospetti, ed ho a ragion dubitato, che partecipandovi la risoluzione mia di condurla meco a Torino, aveste l'abilità di persuaderla a contradirmi anche in questo, e pormi in necessità di usar la violenza e il rigore. Ecco la ragione, per cui vi ho tenuto celato il disegno mio di partire, non per mancanza di rispetto a voi ed alla vostra degna famiglia. Se ciò vi sembra un aggravio, vi supplico di perdonarmi. Scusate un padre impegnato, compatite un cavaliere che ha data la sua parola. Esaminate voi stesso, e comprenderete meglio di quello ch'io possa dirvi, se onesti sono i miei sentimenti.

BAR. Sì, Conte, mi persuade il vostro sano ragionamento e sono assai soddisfatto dalle vostre cortesi giustificazioni. Vi confesso la verità, ho della stima per la degna vostra figliuola; parliamo liberamente, ho dell'amore, ho della tenerezza per essa, e volesse il cielo ch'io fossi degno di possederla, non già pel vile interesse della sua dote, ma pel merito di quella bellezza e di quella virtù che l'adorna. Vi giuro non pertanto sull'onor mio, non aver io colpa veruna nella ritrosia ch'ella mostra ai voleri vostri. Non son capace di farlo, ed ella non è sì debole per lasciarsi sedurre. Compatitemi, se ho potuto spiacervi. Scusate in me una passione onestissima, concepita per la violenza di un merito sorprendente; assicuratevi del mio rispetto, e fatemi degno della cara vostra amicizia.

CON. Ah caro amico, voi mi onorate, voi mi colmate di consolazione. Vi amo, vi stimo, eccovi in quest'abbraccio un sincero segno dell'amor mio.

BAR. Conte, poss'io avanzarmi a domandarvi una grazia?

CON. Chiedete pure; che non farei per un cavaliere sì degno?

BAR. Permettetemi ch'io possa accompagnarvi a Torino.

CON. No, scusatemi: questo è quello ch'io non vi posso permettere.

BAR. Per qual ragione?

CON. Stupisco che non la vediate da voi medesimo. Un padre onorato non ha da condurre la propria figlia allo sposo, coll'amante al fianco.

BAR. Io non intendo venirvi che col carattere di vostro amico.

CON. È ancora troppo indiviso l'amico del padre, e l'amante della figliuola.

BAR. Sono un cavaliere onorato.

CON. Se tal siete, appagatevi della ragione.

BAR. E bene, s'io non verrò con voi, non mi potrete vietare, ch'io vi seguiti di lontano.

CON. Potrò fare in modo per altro, che non restiate in Torino.

BAR. Come?

CON. Partecipando alla Corte la vostra pericolosa insistenza.

BAR. Voi mi siete dunque nemico; voi mi giuraste falsamente amicizia per adularmi.

CON. Voi piuttosto cercate d'addormentarmi con ingannevoli proteste d'indifferenza.

BAR. I pari miei non mentiscono.

CON. I pari vostri dovrebbono conoscer meglio il proprio dovere.

BAR. Il mio dover lo conosco, ed insegnerò a voi ad usar il vostro.

CON. L'ardire con cui vi avanzate a parlarmi, è prova manifesta del vostro mal animo, e della vostra indegna passione.

BAR. Non è cavaliere chi pensa male de' galantuomini.

CON. Son cavaliere, e non mi pento de miei sospetti.

BAR. Rendetemi conto dell'ingiuria che voi mi fate.

CON. Attendetemi, e ve lo proverò colla spada. (in atto di andare alla sua camera)

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