Scena diciottesima

Ridolfo, Eugenio, Vittoria dal caffè e Don Marzio.

DON MARZIO (da sè) (Ecco i tre pazzi. Il pazzo discolo, la pazza gelosa, e il pazzo glorioso.)

RIDOLFO (a Vittoria) In verità provo una consolazione infinita.

VITTORIA Caro Ridolfo, riconosco da voi la pace, la quiete, e posso dire la vita.

EUGENIO Credete, amico, ch'io era stufo di far questa vita, ma non sapeva come fare a distaccarmi dai vizi. Voi siate benedetto, m'avete aperto gli occhi, e un poco coi vostri consigli, un poco coi vostri rimproveri, un poco colle buone grazie, e un poco coi benefizi mi avete illuminato, mi avete fatto arrossire: son un altro uomo, e spero che sia durabile il mio cambiamento, a nostra consolazione, a gloria vostra, e ad esempio degli uomini savi, onorati e dabbene, come voi siete.

RIDOLFO Dice troppo, signore: io non merito tanto.

VITTORIA Sino ch'io sarà viva mi ricorderò sempre del bene che mi avete fatto. Mi avete restituito il mio caro consorte, l'unica cosa, che ho di bene in questo mondo. Mi ha costato tante lagrime il prenderlo, tante me ne ha costato il perderlo, e molte me ne costa il riacquistarlo; ma queste sono lagrime di dolcezza, lagrime d'amore, e di tenerezza, che m'empiono l'anima di diletto, che mi fanno scordare ogni affanno passato, rendendo grazie al cielo, e lode alla vostra pietà.

RIDOLFO Mi fa piangere dalla consolazione.

DON MARZIO (da sè, guardando sempre con l'occhialetto) (Oh pazzi maledetti!)

EUGENIO Volete che andiamo a casa?

VITTORIA Mi dispiace, ch'io sono ancora tutta lagrime, arruffata e scomposta. Vi sarà mia madre, e qualche altra mia parente ad aspettarmi; non vorrei che mi vedessero col pianto agli occhi.

EUGENIO Via, acchetatevi; aspettiamo un poco.

VITTORIA Ridolfo non avete uno specchio? Vorrei un poco vedere come sto.

DON MARZIO (da sè coll'occhialetto) (Suo marito le avrà guastato il tuppè.)

RIDOLFO Se si vuol guardar nello specchio, andiamo qui sopra nei camerini del giuoco.

EUGENIO No, là dentro non vi metto più piede.

RIDOLFO Non sa la nuova? Pandolfo è ito prigione.

EUGENIO Sì? Se lo merita; briccone! Me ne ha mangiati tanti.

VITTORIA Andiamo, caro consorte.

EUGENIO Quando non vi è nessuno, andiamo.

VITTORIA Così arruffata non mi posso vedere. (entra nella bottega del giuoco con allegria)

EUGENIO Poverina! Giubila dalla consolazione! (entra come sopra)

RIDOLFO Vengo ancor io a servirli. (entra come sopra)

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