SCENA TREDICESIMA

Ortensia, Dejanira ed il Cavaliere.

ORTENSIA: Favorisca, sediamo.

CAVALIERE: Scusi, non ho volontà di sedere.

DEJANIRA: Così rustico colle donne?

CAVALIERE: Favoriscano dirmi che cosa vogliono.

ORTENSIA: Abbiamo bisogno del vostro aiuto, della vostra protezione, della vostra bontà.

CAVALIERE: Che cosa vi è accaduto?

DEJANIRA: I nostri mariti ci hanno abbandonate.

CAVALIERE: Abbandonate? Come! Due dame abbandonate? Chi sono i vostri mariti? (Con alterezza.)

DEJANIRA: Amica, non vado avanti sicuro. (Ad Ortensia.)

ORTENSIA: (È tanto indiavolato, che or ora mi confondo ancor io). (Da sé.)

CAVALIERE: Signore, vi riverisco. (In atto di partire.)

ORTENSIA: Come! Così ci trattate?

DEJANIRA: Un cavaliere tratta così?

CAVALIERE: Perdonatemi. Io son uno che ama assai la mia pace. Sento due dame abbandonate dai loro mariti. Qui ci saranno degl'impegni non pochi; io non sono atto a' maneggi. Vivo a me stesso. Dame riveritissime, da me non potete sperare né consiglio, né aiuto.

ORTENSIA: Oh via, dunque; non lo tenghiamo più in soggezione il nostro amabilissimo Cavaliere.

DEJANIRA: Sì, parliamogli con sincerità.

CAVALIERE: Che nuovo linguaggio è questo?

ORTENSIA: Noi non siamo dame.

CAVALIERE: No?

DEJANIRA: Il signor Conte ha voluto farvi uno scherzo.

CAVALIERE: Lo scherzo è fatto. Vi riverisco. (Vuol partire.)

ORTENSIA: Fermatevi un momento.

CAVALIERE: Che cosa volete?

DEJANIRA: Degnateci per un momento della vostra amabile conversazione.

CAVALIERE: Ho che fare. Non posso trattenermi.

ORTENSIA: Non vi vogliamo già mangiar niente.

DEJANIRA: Non vi leveremo la vostra reputazione.

ORTENSIA: Sappiamo che non potete vedere le donne.

CAVALIERE: Se lo sapete, l'ho caro. Vi riverisco. (Vuol partire.)

ORTENSIA: Ma sentite: noi non siamo donne che possano darvi ombra.

CAVALIERE: Chi siete?

ORTENSIA: Diteglielo voi, Dejanira.

DEJANIRA: Glielo potete dire anche voi.

CAVALIERE: Via, chi siete?

ORTENSIA: Siamo due commedianti.

CAVALIERE: Due commedianti! Parlate, parlate, che non ho più paura di voi. Son ben prevenuto in favore dell'arte vostra.

ORTENSIA: Che vuol dire? Spiegatevi.

CAVALIERE: So che fingete in iscena e fuor di scena; e con tal prevenzione non ho paura di voi.

DEJANIRA: Signore, fuori di scena io non so fingere.

CAVALIERE: Come si chiama ella? La signora Sincera? (A Dejanira.)

DEJANIRA: Io mi chiamo...

CAVALIERE: È ella la signora Buonalana? (Ad Ortensia.)

ORTENSIA: Caro signor Cavaliere...

CAVALIERE: Come si diletta di miccheggiare? (Ad Ortensia.)

ORTENSIA: Io non sono...

CAVALIERE: I gonzi come li tratta, padrona mia? (A Dejanira.)

DEJANIRA: Non son di quelle...

CAVALIERE: Anch'io so parlar in gergo.

ORTENSIA: Oh che caro signor Cavaliere! (Vuol prenderlo per un braccio.)

CAVALIERE: Basse le cere. (Dandole nelle mani.)

ORTENSIA: Diamine! Ha più del contrasto, che del Cavaliere.

CAVALIERE: Contrasto vuol dire contadino. Vi ho capito. E vi dirò che siete due impertinenti.

DEJANIRA: A me questo?

ORTENSIA: A una donna della mia sorte?

CAVALIERE: Bello quel viso trionfato! (Ad Ortensia.)

ORTENSIA: (Asino!). (Parte.)

CAVALIERE: Bello quel tuppè finto! (A Dejanira.)

DEJANIRA: (Maledetto). (Parte.)

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