SCENA QUINTA

Filippo ed il suddetto.

FILIPPO:        Caro amico, fatemi la finezza di non gridare.

FERDINANDO:        Ma voi non dite mai niente, e la servitù fa tutto quello che vuole.

FILIPPO:        Io son servito benissimo, e non grido mai.

FERDINANDO:        Per me non ci penso. Ma avete degli altri ospiti in casa; e si lamentano della servitù.

FILIPPO:        Vi dirò, amico; i miei servitori li pago io, e chi non è contento, se ne può andare liberamente.

FERDINANDO:        Avete ancora bevuto la cioccolata?

FILIPPO:        Io no.

FERDINANDO:        E che cosa aspettate a prenderla?

FILIPPO:        Aspetto il mio comodo, la mia volontà e il mio piacere.

FERDINANDO:        Ma io la prenderei volentieri.

FILIPPO:        Servitevi.

FERDINANDO:        Son tre ore che l'ho ordinata. Ehi, dico, vi è caso d'aver questa cioccolata? (Alla scena, forte.)

FILIPPO:        Ma non gridate.

FERDINANDO:        Ma se non la portano.

FILIPPO:        Abbiate pazienza. Saranno più del solito affaccendati; oggi si dà pranzo. Saremo in undici o dodici a tavola; la servitù non può far tutto in un fiato.

FERDINANDO:        (Per quel ch'io vedo, questa mattina non ci ha da essere fondamento). Schiavo, signor Filippo.

FILIPPO:        Dove andate?

FERDINANDO:        A bevere la cioccolata in qualche altro luogo.

FILIPPO:        Caro amico, fra voi e me, che nessuno ci senta: voi peccate un poco di ghiottoneria.

FERDINANDO:        Il mio stomaco ci patisce. Non mangio quasi niente la sera.

FILIPPO:        Mi pare, per altro, che ieri alla bella cena del signor Leonardo vi siate portato bene.

FERDINANDO:        Oh! ieri sera è stato un accidente.

FILIPPO:        Se avessi mangiato quel che avete mangiato voi, digiunerei per tre giorni.

FERDINANDO:        Oh! ecco la cioccolata. (Il Servitore ne porta una tazza.)

FILIPPO:        Non andate a prenderla fuori? Accomodatevi. Questa la prenderò io.

FERDINANDO:        Ve ne avete avuto a male?

FILIPPO:        No, non mi ho per male di queste cose. Andate liberamente, che questa la prenderò io.

FERDINANDO:        Siete pure grazioso, signor Filippo. Siamo buoni amici; non voglio che andiate in collera. La prenderò io. (Prende la cioccolata.)

FILIPPO:        Benissimo. La ceremonia non può essere più obbligante. Sbattetene una per me. (Al Servitore.)

SERVITORE:        Signore, se non viene Brigida, non ce n'è.

FILIPPO:        Ieri sera non ne avete messo in infusione, secondo il solito?

SERVITORE:        Sì, signore, ma ora non ce n'è più.

FILIPPO:        Mia figlia non l'ha bevuta, mia sorella non l'ha bevuta, il signor Guglielmo non l'ha bevuta; dove è andata la cioccolata?

SERVITORE:        Io non so altro, signore; so che nella cioccolatiera non ce n'è più.

FILIPPO:        Bene, se non ce n'è più, toccherà a me a star senza. Oh! a queste cose già sono avvezzo.

FERDINANDO:        È buona. Veramente la vostra cioccolata è perfetta.

FILIPPO:        Procuro di farla fare senza risparmio.

FERDINANDO:        Con permissione. Vado a far quattro passi.

FILIPPO:        Venite qua; giochiamo due partite a picchetto.

FERDINANDO:        A quest'ora?

FILIPPO:        Sì, ora che non c'è nessuno; se aspetto l'ora della conversazione, si mettono a tagliare, fanno le loro partite, ed io non trovo un can che mi guardi.

FERDINANDO:        Caro signor Filippo, io ora non ho volontà di giocare.

FILIPPO:        Due partite, per compiacenza.

FERDINANDO:        Scusatemi, ho bisogno di camminare; più tardi, più tardi, giocheremo più al tardi. (Figurarsi s'io voglio star lì a giocare due soldi la partita con questo vecchio). (Parte.)

FILIPPO:        Se lo dico! nessuno mi bada. Tutti si divertono alle mie spalle, ed io, se vorrò divertirmi, mi converrà andare alla spezieria a giocare a dama collo speziale. Oh! mi ha parlato pur bene il signor Fulgenzio. Basta; anche per quest'anno ci sono.Se marito la mia figliuola, vo' appigionare la casa e la possessione, e non voglio altra villeggiatura. Ma io, se non villeggio, ci patisco. Se non ho compagnia, son morto. Non so che dire. Sono avvezzato così. Il mio non ha da essere mio; me l'hanno da divorare; e la minor parte ha da esser sempre la mia. (Parte.)

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