SCENA DODICESIMA

Paolino e detti.

PAOLINO        (Si fa veder dal padrone.)

LEONARDO:        Ora vengo. (A Paolino, e s'alza.) Scusatemi. Ho da dir qualche cosa al mio servitore. (A Giacinta, e si scosta.)

GIACINTA:        Servitevi pure. (A Leonardo.) (Pagherei non so quanto a poter sentire quel che dicono Guglielmo e Vittoria). (Da sé.)

FERDINANDO:        Con permissione. (A Sabina, e s'alza.)

SABINA:        Dove andate? (A Ferdinando.)

FERDINANDO:        Vengo subito. (Va a sedere dov'era Leonardo.)

SABINA:        (Briccone! mi vuol bene, e mi fa centomila dispetti). (Da sé.)

FERDINANDO:        Oimè; non ne poteva più. (A Giacinta.)

GIACINTA:        Mi maraviglio di voi, che abbiate ardire di corbellare mia zia. È vecchia, è semplice, ma è una donna civile. (A Ferdinando.)

FERDINANDO:        Ma io, signora... (A Giacinta.)

GIACINTA:        Tacete, che sarà meglio per voi.

FERDINANDO:        E così, signora Rosina, come vi divertite?

ROSINA:        Lasciatemi stare, che io non ho che fare con voi.

FERDINANDO:        (Ho capito. Qui non vi è da far bene). Eccomi qui con voi, la mia cara gioia. (Siede presso Sabina.)

SABINA:        Meritereste ch'io non vi guardassi. Ma non ho cuore di farlo. (A Ferdinando.)

LEONARDO:        (Sì, trovate qualcheduno che copi la lettera, o copiatela voi, e procurate di contraffare il carattere. Sigillatela, fate la soprascritta diretta a me; poi, quando siamo in casa del signor Filippo, sul punto di principiar la conversazione, venitemi a portar la lettera, come se da un uomo a posta mi fosse da Livorno spedita, e trovate un uomo che, instruito da voi, vaglia a sostener la finzione. Regolatevi poscia anche voi, secondo il contenuto della lettera stessa. Fate la cosa come va fatta, assicurandovi che estremamente mi preme). (A Paolino.)

PAOLINO:        Sarà puntualmente servita. (Parte.)

GIACINTA:        (La scena va troppo lunga, non la posso più tollerare: accordo e desidero che Guglielmo si determini a sposar Vittoria; ma non ho cuor di vederlo cogli occhi miei). (Da sé, alzandosi.)

GUGLIELMO:        (Giacinta smania. E non sa forse in quali affanni io mi trovi). (Da sé.)

LEONARDO:        Eccomi qui. Vi veggo molto agitata. (A Giacinta.)

GIACINTA:        Quest'aria assolutamente m'offende.

LEONARDO:        Andiamo a casa, se comandate.

VITTORIA:        Sì, andiamo, andiamo. (Non veggo l'ora di saper tutto. Questa faccia tosta non c'è caso che mi voglia dir niente). (S'alza, e tutti s'alzano.)

SABINA:        Lasciatemi andar innanzi. Sapete ch'io sono sempre stata di vista corta. (Andiamo; non voglio che chi è avanti di noi, senta quello che noi diciamo). (A Ferdinando.)

FERDINANDO:        (Sì, andiamo, che parleremo della donazione). (A Sabina.)

SABINA:        (Che tu sia maladetto!). (Lo prende per mano con dispetto, e partono.)

GIACINTA:        Vadano pure, se vogliono.

VITTORIA:        No, no, servitevi. Seguitiamo l'ordine, come siamo venuti. (A Giacinta.)

LEONARDO:        Andiamo, senza ceremonie. (Dà mano a Giacinta.)

GIACINTA:        (Oh cieli! mi par d'andar alla morte). (Da sé, e parte con Leonardo.)

VITTORIA:        (Oh! io m'aspetto delle cattive nuove, signor Guglielmo).

GUGLIELMO:        (E perché, signora?).

VITTORIA:        (Vi veggo troppo melanconico).

GUGLIELMO:        (Son così di temperamento). (Parte con Vittoria.)

COSTANZA:        (Ehi! Rosina, cosa vi pare?). (A Rosina.)

ROSINA:        (Veggo di gran nuvoloni per aria). (A Costanza.) (Oh! caro il mio Tognino, andiamo). (Parte con Tognino.)

COSTANZA:        Andiamo, signor Filippo?

FILIPPO:        Sì, eccomi qui. Già si sa; sempre l'ultimo. (Parte con Costanza.)

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