Scena terza

Leonardo, poi Vittoria.

LEONARDO:        Non posso soffrire che la signora Giacinta tratti Guglielmo. Ella dice che dee tollerarlo per compiacere il padre; che è un amico di casa, che non ha veruna inclinazione per lui; ma io non sono in obbligo di creder tutto, e questa pratica non mi piace. Sarà bene che io medesimo solleciti di terminare il baule.

VITTORIA:        Signor fratello, è egli vero che avete ordinato i cavalli di posta, e che si ha da partir questa sera?

LEONARDO:        Sì certo. Non si stabilì così fin da ieri?

VITTORIA:        Ieri vi ho detto che sperava di poter essere all'ordine per partire; ma ora vi dico che non lo sono, e mandate a sospendere l'ordinazion dei cavalli, perché assolutamente per oggi non si può partire.

LEONARDO:        E perché per oggi non si può partire?

VITTORIA:        Perché il sarto non mi ha terminato il mio mariage.

LEONARDO:        Che diavolo è questo mariage?

VITTORIA:        È un vestito all'ultima moda.

LEONARDO:        Se non è finito, ve lo potrà mandare in campagna.

VITTORIA:        No, certo. Voglio che me lo provi, e lo voglio veder finito.

LEONARDO:        Ma la partenza non si può differire. Siamo in concerto d'andar insieme col signor Filippo, e colla signora Giacinta, e si ha detto di partir oggi.

VITTORIA:        Tanto peggio. So che la signora Giacinta è di buon gusto, e non voglio venire col pericolo di scomparire in faccia di lei.

LEONARDO:        Degli abiti ne avete in abbondanza; potete comparire al par di chi che sia.

VITTORIA:        Io non ho che delle anticaglie.

LEONARDO:        Non ve ne avete fatto uno nuovo anche l'anno passato?

VITTORIA:        Da un anno all'altro gli abiti non si possono più dire alla moda. È vero, che li ho fatti rifar quasi tutti; ma un vestito novo ci vuole, è necessario, e non si può far senza.

LEONARDO:        Quest'anno corre il mariage dunque.

VITTORIA:        Sì, certo. L'ha portato di Torino madama Granon. Finora in Livorno non credo che se ne siano veduti, e spero d'esser io delle prime.

LEONARDO:        Ma che abito è questo? Vi vuol tanto a farlo?

VITTORIA:        Vi vuol pochissimo. È un abito di seta di un color solo, colla guarnizione intrecciata di due colori. Tutto consiste nel buon gusto di scegliere colori buoni, che si uniscano bene, che risaltino, e non facciano confusione.

LEONARDO:        Orsù, non so che dire. Mi spiacerebbe di vedervi scontenta; ma in ogni modo s'ha da partire.

VITTORIA:        Io non vengo assolutamente.

LEONARDO:        Se non ci verrete voi, ci anderò io.

VITTORIA:        Come! Senza di me? Avrete cuore di lasciarmi in Livorno?

LEONARDO:        Verrò poi a pigliarvi.

VITTORIA:        No, non mi fido. Sa il Cielo, quando verrete, e se resto qui senza di voi, ho paura che quel tisico di nostro zio mi obblighi a restar in Livorno con lui; e se dovessi star qui, in tempo che l'altre vanno in villeggiatura, mi ammalerei di rabbia, di disperazione.

LEONARDO:        Dunque risolvetevi di venire.

VITTORIA:        Andate dal sarto, ed obbligatelo a lasciar tutto, ed a terminare il mio mariage.

LEONARDO:        Io non ho tempo da perdere. Ho da far cento cose.

VITTORIA:        Maledetta la mia disgrazia!

LEONARDO:        Oh gran disgrazia invero! Un abito di meno è una disgrazia lacrimosa, intollerabile, estrema. (Ironico.)

VITTORIA:        Sì, signore, la mancanza di un abito alla moda può far perder il credito a chi ha fama di essere di buon gusto.

LEONARDO:        Finalmente siete ancora fanciulla, e le fanciulle non s'hanno a mettere colle maritate.

VITTORIA:        Anche la signora Giacinta è fanciulla, e va con tutte le mode, con tutte le gale delle maritate. E in oggi non si distinguono le fanciulle dalle maritate, e una fanciulla che non faccia quello che fanno l'altre, suol passare per zotica, per anticaglia; e mi maraviglio che voi abbiate di queste massime, e che mi vogliate avvilita e strapazzata a tal segno.

LEONARDO:        Tanto fracasso per un abito?

VITTORIA:        Piuttosto che restar qui, o venir fuori senza il mio abito, mi contenterei d'avere una malattia.

LEONARDO:        Il Cielo vi conceda la grazia.

VITTORIA:        Che mi venga una malattia? (Con isdegno.)

LEONARDO:        No, che abbiate l'abito, e che siate contenta.

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