SCENA SECONDA

Leonardo e detti.

LEONARDO:        (Ah! vorrei nascondere la mia passione, ma non so se sarà possibile. Sono troppo fuor di me stesso).

VITTORIA:        Eccoci qui, signor fratello, eccoci qui a lavorare per voi.

LEONARDO:        Non vi affrettate. Può essere che la partenza si differisca.

VITTORIA:        No, no, sollecitatela pure. Io sono in ordine, il mio mariage è finito. Son contentissima, non vedo l'ora d'andarmene.

LEONARDO:        Ed io, sul supposto di far a voi un piacere, ho cambiato disposizione, e per oggi non si partirà.

VITTORIA:        E ci vuol tanto a rimettere le cose in ordine per partire?

LEONARDO:        Per oggi, vi dico, non è possibile.

VITTORIA:        Via, per oggi pazienza. Si partirà domattina pel fresco; non è così?

LEONARDO:        Non lo so. Non ne son sicuro.

VITTORIA:        Ma voi mi volete far dare alla disperazione.

LEONARDO:        Disperatevi quanto volete, non so che farvi.

VITTORIA:        Bisogna dire che vi siano de' gran motivi.

LEONARDO:        Qualche cosa di più della mancanza d'un abito.

VITTORIA:        E la signora Giacinta va questa sera?

LEONARDO:        Può essere ch'ella pure non vada.

VITTORIA:        Ecco la gran ragione. Eccolo il gran motivo. Perché non parte la bella, non vorrà partire l'amante. Io non ho che fare con lei, e si può partire senza di lei.

LEONARDO:        Partirete, quando a me parerà di partire.

VITTORIA:        Questo è un torto, questa è un'ingiustizia, che voi mi fate. Io non ho da restar in Livorno, quando tutti vanno in campagna, e la signora Giacinta mi sentirà se resterò a Livorno per lei.

LEONARDO:        Questo non è ragionare da fanciulla propria, e civile, come voi siete. E voi che fate colà ritto, ritto, come una statua? (A Paolo.)

PAOLO:        Aspetto gli ordini. Sto a veder, sto a sentire. Non so, s'io abbia a seguitar a fare, o a principiar a disfare.

VITTORIA:        Seguitate a fare.

LEONARDO:        Principiate a disfare.

PAOLO:        Fare e disfare è tutto lavorare. (Levando dal baule.)

VITTORIA:        Io butterei volentieri ogni cosa dalla finestra.

LEONARDO:        Principiate a buttarvi il vostro mariage.

VITTORIA:        Sì, se non vado in campagna, lo straccio in centomila pezzi.

LEONARDO:        Che cosa c'è in questa cassa? (A Paolo.)

PAOLO:        Il caffè, la cioccolata, lo zucchero, la cera e le spezierie.

LEONARDO:        M'immagino che niente di ciò sarà stato pagato.

PAOLO:        Con che vuol ella ch'io abbia pagato? So bene che per aver questa roba a credito, ho dovuto sudare; e i bottegai mi hanno maltrattato, come se io l'avessi rubata.

LEONARDO:        Riportate ogni cosa a chi ve l'ha data, e fate che depennino la partita.

PAOLO:        Sì, signore. Ehi! chi è di là? Aiutatemi. (Vien servito.)

VITTORIA:        (Oh, povera me! La villeggiatura è finita).

PAOLO:        Bravo, signor padrone: così va bene. Far manco debiti che si può.

LEONARDO:        Il malan che vi colga. Non mi fate il dottore, che perderò la pazienza.

PAOLO:        (Andiamo, andiamo, prima che si penta. Si vede, che non lo fa per economia, lo fa per qualche altro diavolo che ha per il capo). (Porta via la cassetta, e parte.)

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