Elegia di un innamorato in mezzo a una tempesta che si getta in mezzo ai venti e prende piacere dei pericoli che gli crea il temporale ed egli stesso errando per burroni ec. E infine rimettendosi la calma e spuntando il sole e tornando gli uccelli al canto (dove si potrebbero porre quelle terzine ch’io ho segnate ne’ pensieri) si lagna che tutto si riposa e calma fuorché il suo cuore. Anche si potranno intorno al serenarsi del cielo usare le immagini del Canto secondo e quarto della mia Cantica. Io vedo ec. Gli uccei girarsi basso per la valle: Poco può star che s’alzi una tempesta. Donna donna io non ispero che tu mi possa amar mai: povero me non mi amare no, non lo merito, infelicissimo non ho altro altro che questo povero cuore, non mi ami, non mi curi, non ho speranza nessuna: Oh s’io potessi morire! oh turbini ec. Ecco comincia a tonare: venite qua, spingetelo o venti il temporale su di me. Voglio andare su quella montagna dove vedo che le querce si movono e agitano assai. Poi giungendo il nembo sguazzi fra l’acqua e i lampi e il vento ec. e partendo lo richiami.