A. I carteggi e processi mazziniani.

Il canonico prof. Carlo Cagnacci, editore del carteggio Ruffini, così importante per la storia dell’intimo sodalizio de’ due fratelli con Mazzini, ha replicato di buon inchiostro nel Cittadino di Genova del 9 aprile 1905 a qualche critica ingiusta della sua pubblicazione, men nota e diffusa di quanto meriterebbe. Alcuni errori per altro riconosce egli stesso candidamente: e, secondo me, il meno giustificabile è l’aver tradotto in italiano moltissime di quelle lettere, anzichè darle in francese come furono scritte. In quanto alle soppressioni, bisogna esser grati al Cagnacci di non aver accolto il suggerimento – che gli veniva da Ernesto Nathan – di largheggiare anche di più con la forbice e con le foglie di fico. Però il Cagnacci ammette nella prefazione che dal carteggio ha tolto non pochi passi per esser riguardoso a vivi e morti – dacchè i Ruffini scrivendo «non la perdonano a nessuno, neanche agli amici.» Quando questi riguardi rispettabili non avranno più ragione d’esistere, l’intero carteggio dovrà esser ristampato nella sua forma genuina, come ho augurato nel testo: e n’uscirà più luminosa la testimonianza della nobiltà morale di Mazzini, di cui i Ruffini subivano il fascino e ammiravano le insigni doti, nel tempo stesso che brontolavano contro di lui.... come Sancio Pancia contro Don Chisciotte. Quella convivenza di molti anni con osservatori acuti e spregiudicati – anche troppo disposti a giustificare il proverbio «non esservi eroe per il suo cameriere» – è la prova del fuoco per le squisite ed elevate qualità di carattere del Mazzini.

Nel mio Processo Pellico-Maroncelli (Milano, Cogliati, 1903, pag. 564), accennai già che nelle inquisizioni del ’33, Zajotti fece «una requisitoria di quattro volumi sesquipedali»: e il conoscerla sarebbe di interesse, non meno storico, che letterario: in quanto lo Zajotti era scrittore forbito, eloquente, incisivo. Il Mazzini l’aveva lodato nell’Indicatore genovese per «la sagacia, il gentile animo, l’amore del vero» (Scritti, II, pag. 41 e sgg.) come critico letterario: in qual modo avrà ricambiato Zajotti nelle requisitorie quegli elogi di Mazzini, di cui non poteva certo disconoscere l’ingegno? Sarebbe curioso il saperlo: certo è che le corrispondenze private – da me in parte possedute – di Salvotti e Zajotti contengono elementi notevoli sul retroscena de’ processi. In una lettera del 31 gennaio 1834, Zajotti dichiara esplicitamente all’amico e maestro: «Non pochi sono gli arresti che furono fatti a malgrado della mia contraria opinione, ed anche a mia insaputa: e posso dirti che per lo più furono quelli, che non si trovarono di poi abbastanza appoggiati. I miei rapporti per Pecchio e per Cantù, se si fossero letti, ne avrebbero fornita la prova più patente....» Nel carteggio di Zajotti son copiose le lettere di liberali: Achille Mauri, F. De Boni, L. Pasini, Gazzoletti, G. B. Carta, Tommasèo, Montani, ecc., e specialmente importanti quelle di Ignazio Cantù, durante la prigionia del fratello. Anche il carteggio mazzettiano nella Comunale di Trento offrirebbe parecchio da spigolare allo storico de’ processi della Giovane Italia, ma la pietra angolare d’ogni ricostruzione saranno sempre gli atti officiali dell’archivio di Milano e quelli del Justizministerium di Vienna, dove si serbano tutti gli incarti del Senato Lombardo-Veneto, che è quanto dire della Cassazione di allora. Ne’ conflitti – rivelati dalla corrispondenza Zajotti-Salvotti – tra la commissione di 1a istanza e l’Appello, l’ultima parola decisiva spettava appunto al Senato, le cui proposte venivano costantemente ratificate da Sua Maestà.

I copialettere della Giovane Italia ebbi fuggevole occasione di vedere, molti anni or sono, quando il mio compianto amico, conte Ippolito Malaguzzi-Valeri, allora direttore dell’Archivio di Stato di Modena, ne trattò l’acquisto. Li esibivano in vendita gli eredi del Lamberti: e Re Umberto (che poco di poi fece una munifica offerta pel monumento Mazzini) sborsò la somma richiesta, per arricchire di quel cimelio la sua biblioteca privata. Copia di qualche brano ne fu fatta, credo, a Modena dal prof. Silingardi: e deve esistere tra le sue carte nel Museo del Risorgimento di quella città. Il copialettere constava di tre volumi, e portava, di pugno del Lamberti, l’intestazione: «Mia corrispondenza della G. I. dal principio del 1840 sino al principio del ’48.»

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