IV. Visita di Don Rodrigo al Conte del Sagrato—Egidio e la Signora—Ravvedimento e fine di costei.

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Il Griso partì coi due compagni, spiò e raccolse che Lucia era nel monastero, sotto la protezione della Signora, che però la Signora l'aveva ricevuta per compiacere al Padre Guardiano, che nessuno pensava che altrimenti ella si sarebbe pigliata a petto questa faccenda, giacchè Lucia non le apparteneva per nulla, che Lucia abitava nel monastero, ma fuori del chiostro, che si lasciava poco vedere, e sempre di chiaro giorno: che la madre aveva disegnato di tornarsene a casa, lasciando Lucia così bene appoggiata. Tutte queste cose riferì il Griso a Don Rodrigo, il quale, lodatolo e ricompensatolo, si pose seriamente a pensare quale risoluzione fosse da prendersi.

Tentare un ratto a forza aperta, in Monza, su un terreno che egli non conosceva bene, in un monastero, a rischio di tirarsi addosso la Signora e tutto il suo parentado, del quale Don Rodrigo conosceva molto bene la potenza e la ferocia in sostenere le protezioni una volta abbracciate, era impresa da non[158] porvi nemmeno il pensiero. Pure Lucia fra pochi giorni sarebbe rimasta sola senza la madre, e a chi avesse avuta pratica del paese, aderenze, notizie per conoscere le occasioni e per approfittarsene, per evitar i pericoli, l'impresa poteva forse essere agevole non che possibile. Bisognava dunque ricorrere ad un alleato potente e destro, ad un uomo avvezzo a condurre a termine spedizioni di questo genere, e Don Rodrigo si determinò in un pensiero che gli era passato più volte per la mente, che non aveva mai abbandonato, il pensiero di raccomandare i suoi affari al Conte del Sagrato.

Avremmo desiderato di poter dare il vero nome di costui, giacchè quello che abbiam trascritto era un soprannome, ma le nostre ricerche sono state infruttuose. Al prudentissimo nostro autore è sembrato di avere ecceduto in libertà e in coraggio col solo indicare con un soprannome quest'uomo. Due scrittori contemporanei e degnissimi di fede, il Rivola e il Ripamonti, biografi entrambi del cardinale Federigo Borromeo, fanno menzione di quel personaggio misterioso, ma lo dipingono succintamente come uno dei più sicuri e imperturbabili scellerati che la terra abbia portato, ma non ne danno il nome e nè meno il soprannome, che noi abbiamo ricavato dal nostro manoscritto, insieme con la narrazione del fatto che glielo fece acquistare, e che basterà a dare una idea del carattere di quest'uomo.

Abitava egli in un castello posto al confine degli[159] Stati Veneti, sur un monte; e quivi menava una vita sciolta da ogni riguardo di legge, comandando a tutti gli abitatori del contorno, non riconoscendo superiore a sè, arbitro violento dei negozj altrui, come di quelli nei quali era parte, raccettatore di tutti i banditi, di tutti i fuggitivi per delitti, quando fossero abili a commetterne di nuovi, appaltatore di delitti per professione. La sua casa, per servirci della descrizione che ne fa il Ripamonti, era come una «officina di mandati d'uccisione: servi condannati nella testa e troncatori di teste; nè cuoco, nè guattero dispensati dall'omicidio; le mani dei valletti insanguinate».

E la confidenza di costui, nutrita dal sentimento della forza, e da una lunga esperienza d'impunità, era venuta a tanto, che dovendo egli un giorno passare vicino a Milano, vi entrò senza rispetto, benchè capitalmente bandito, cavalcò per la città coi suoi cani, e a suon di tromba, passò sulla porta del palazzo dove abitava il governatore, e lasciò alle guardie una imbasciata di villanie, da essergli riferita in suo nome.

Avvenne un giorno che a costui, come a protettore noto di tutte le cause spallate, si presentò un debitore svogliato di pagare, e si richiamò a lui della molestia che gli era recata dal suo creditore, raccontando il negozio a modo suo e protestando ch'egli non doveva nulla, e che non aveva al mondo altra speranza che nella protezione onnipotente del signor Conte. Il creditore, un benestante d'un paese vicino, non era sul calendario del Conte, perchè senza provocarlo[160] giammai, nè usargli il menomo atto di disprezzo, pure mostrava di non volere stare come gli altri alla suggezione di lui, come chi vive pei fatti suoi e non ha bisogno, nè timore di prepotenti. Al Conte fu molto gradita l'opportunità di dare una scuola a questo signore: trovò irrepugnabili le ragioni del debitore, lo prese nella sua protezione, chiamò un servo, e gli disse: Accompagnerai questo poveruomo dal signor tale, a cui dirai, in mio nome, che non gli rechi più molestia alcuna per quel debito preteso, perchè io ho riconosciuto che costui non gli deve nulla; ascolterai la sua risposta: non replicherai nulla quale ch'ella sia, e quale ch'ella sia tornerai tosto a riferirmela. Il lupo e la volpe s'avviarono tosto dal creditore, al quale il lupo espresse la imbasciata, mentre la volpe stava tutta modesta a sentire. Il creditore avrebbe volentieri fatto senza un tale intromettitore; ma, punto dalla insolenza di quel procedere, animato dal sentimento della sua buona ragione, e atterrito dalla idea di comparire allora allora un vigliacco e di perdere per sempre ogni credito; rispose ch'egli non riconosceva il signor Conte per suo giudice. Il lupo e la volpe partirono senza nulla replicare, e la risposta fu tosto riferita al Conte, il quale, udendola, disse: benissimo. Il primo giorno di festa la chiesa del paese dove abitava il creditore era ancora tutta piena di popolo, che assisteva agli ufficj divini, che il Conte si trovava sul sagrato alla testa di una truppa di bravi. Terminati gli ufficj, i[161] più vicini alla porta, uscendo i primi e guardando macchinalmente sul sagrato, videro quell'esercito e quel generale, e ognun d'essi spaventato, senza ben sapere che cagione di timore potesse avere, si rivolsero tutti dalla parte opposta, studiando il passo quanto si poteva, senza darla a gambe. Il Conte, al primo apparire di persone sulla porta, si era tolto dalla spalla l'archibugio, e lo teneva con le due mani in apparecchio di spianarlo. Al muro esteriore della chiesa stavano appoggiati in fila molti archibugj, secondo l'uso di quei tempi, nei quali gli uomini camminavano per lo più armati, ma non osavano entrar con armi nella chiesa, e le deponevano al di fuori, senza custodia, per ripigliarle all'uscita: tanta era la fede pubblica in quella antica semplicità! Ma i primi che uscirono non si curarono di pigliare le armi loro in presenza di quel drappello: anche i più risoluti svignavano dritto dritto dinanzi un pericolo oscuro, impreveduto, e che non avrebbe dato tempo a ripararsi e a porsi in difesa. I sopravvegnenti giungevano sbadatamente sulla soglia, e si rivolgevano ciascuno al lato che gli era più comodo per uscire, ma alla vista di quell'apparato tutti si volgevano dalla parte opposta, e la folla usciva come acqua da un vaso che altri tenga inclinato a sbieco che manda un filo solo da un canto dell'apertura. Si affacciò finalmente alla porta con gli altri il creditore aspettato, e il Conte al vederlo gli spianò lo schioppo addosso, accennando nello stesso punto col movimento del capo agli altri[162] di far largo. Lo sventurato, colpito dallo spavento, si pose a fuggire dall'altro lato, e la folla non meno, ma l'archibugio del Conte lo seguiva, cercando di coglierlo separato. Quegli che gli erano più lontani s'avvidero che quell'infelice era il segno, e il suo nome fu proferito in un punto da cento bocche. Allora nacque al momento una gara fra quel misero e la turba, tutta compresa da quell'amore della vita, da quell'orrore di un pericolo impensato, che occupando alla sprovveduta gli animi, non lascia luogo ad alcun altro più degno pensiero. Cercava egli di ficcarsi e di perdersi nella folla, e la folla lo sfuggiva, pur troppo si allontanava da lui per ogni parte, tanto ch'egli scorrazzava solo di qua di là, in un picciolo spazio vuoto, cercando il nascondiglio il più vicino. Il Conte lo prese di mira in questo spazio, lo colse e lo stese a terra. Tutto questo fu l'affare di un momento. La folla continuò a sbandarsi, nessuno si fermò, e il Conte, senza scomporsi, ritornò per la sua via, col suo accompagnamento.

Se quel fatto crescesse in tutto il contorno il terrore che già ognuno aveva del Conte, non è da domandare; e l'impressione comune di stupore e di sgomento fu tale, che nessuno poteva pensare al Conte senza che il fatto non gli ricorresse al pensiero; e[163] così fu associata al nome quell'idea che tutti avevano associata alla persona. Il Conte sapeva che lo disegnavano con questo soprannome, ma lo sofferiva tranquillamente, non gli spiacendo che ognuno, avendo a parlare di lui, si ricordasse di quello ch'egli poteva fare; o forse che avendo in qualche romanzo di quei tempi veduto qualche menzione di Scipione l'Africano, o di Metello il Numidico, amasse di aver com'essi il nome dal luogo illustrato da una grande impresa.

Teneva egli dispersi o appostati assai bravi nello Stato Milanese e nel Veneto, e dal suo castello, posto a cavaliere ai due confini, dirigeva gli uni e gli altri, facendo ajutare o perseguitare quegli che si rifuggivano da uno Stato nell'altro, secondo l'occorrenza tramutandone alcuno talvolta, quando qualche operazione lo domandasse, o anche quando alcuno avesse in uno Stato commessa qualche iniquità tanto clamorosa, che la giustizia per averlo nelle mani facesse sforzi straordinarj, che esigessero sforzi straordinarj per difenderlo. Allora la fuga del reo era una buona scusa ai ministri della giustizia del non far nulla contra di lui, e la cosa finiva quietamente, tanto che dopo qualche tempo non se ne parlava più, nè meno sommessamente, e il reo ricompariva con faccia più tosta che mai. Questo maneggio serviva non poco ad agevolare tutte le operazioni del Conte, perchè le si compivano tutte senza molto impaccio dei ministri della giustizia, i quali potevano sempre allegare l'impossibilità[164] di porvi un riparo. Quanto alle operazioni che il Conte eseguiva di propria mano, la giustizia non se ne mostrava accorta; ed era regola ricevuta di prudenza, che erano di quelle cose in cui ogni dimostrazione avrebbe prodotti più inconvenienti che non il dissimularle.

Le sue corrispondenze erano varie, estese, sempre crescenti. Pochi erano i tiranni della città e di una gran parte dello Stato che non avessero qualche volta fatto capo a lui per condurre a termine qualche vendetta, o qualche soperchieria rematica, massimamente se la persona da colpirsi, o il fatto da eseguirsi, era nelle sue vicinanze. E non basta; fino alcuni principi stranieri tenevano comunicazione con lui, e a lui avevano ricorso tal volta per qualche uccisione d'importanza, e quando il caso lo richiedesse gli mandavano rinforzi; fatto attestato dal Ripamonti, e strano certamente per chi misura la probabilità degli avvenimenti e dei costumi dalla sola esperienza dei suoi tempi; ma fatto che cammina benissimo con tutto l'andamento di quel secolo.

Nella sua professione d'intraprenditore di scelleratezze, era egli pieno di affabilità nel contrattare, e nel l'eseguire metteva ed esigeva una somma puntualità. Accoglieva con molta riserva, certamente per non incorrere nel pericolo al quale era sempre esposto, ma con molta piacevolezza, quelli che venivano a domandare l'opera sua, deponeva con essi il sopracciglio, stipulava con parole spicce, ma pacate, non[165] andava in furia contra chi non avesse voluto stare alle sue condizioni, ma rompeva pacificamente il trattato, non volendo, nè disgustare alcuno senza utilità, nè atterrire coloro i quali avevano per la scelleraggine più inclinazione nella volontà che determinazione di coraggio. Ma stretti i patti, colui che non gli avesse ben fedelmente serbati con lui, doveva esser bene in alto per tenersi sicuro della sua vendetta.

Don Rodrigo conosceva il Conte non solo di fama (chi non lo conosceva di fama?) ma di persona, per essersi talvolta avvenuto in lui. In tutti questi incontri Don Rodrigo, sentendo la sua inferiorità, aveva deposto ogni orgoglio e aveva cercato con molte espressioni di rispetto di porsi in grazia al Conte; non ch'egli pensasse allora che un giorno avrebbe cercato il suo ajuto, ma soltanto per non farsi un tale nemico.

Confermato nel suo perverso proposito di attingere la innocente Lucia, e convinto che le sue mani non erano abbastanza lunghe, si risolvette Don Rodrigo di andare in cerca di chi volesse prestargli le sue; e fatta questa risoluzione, non v'era da titubare[166] sulla scelta del personaggio, perchè il Conte era appunto per lui quel che il diavolo fece .

Il mattino seguente, senza por tempo in mezzo, Don Rodrigo a cavallo, in abito da caccia, col fedel Griso, che camminava a fianco del palafreno, e con una quadriglia di bravi, si mosse verso il castello del Conte, come altre volte Giunone verso la caverna di Eolo; se non che la dea pagava in Ninfe l'opera buona del re dei venti, e Don Rodrigo sapeva bene che avrebbe dovuto recarla a Doppie. La via era di cinque miglia all'incirca; e Don Rodrigo la faceva lentamente, e per dare agio alla scorta pedestre di seguirlo, e perchè il cammino, quasi tutto montuoso, e disuguale e sassoso anche dove era piano, obbligava il ronzino ad andare di passo e a cercare il luogo dove posare la zampa con sicurezza.

I villani, che si abbattevano su quella via, al vedere spuntare il convoglio, si ritiravano dall'un canto verso il muro, e per dare a Don Rodrigo il comodo d'un libero passaggio; e quando erano giunti al medesimo punto della strada, si ristringevano ancor più al muro, con aria quasi di chiedere scusa a Don Rodrigo d'essersi trovati sul suo cammino.

Don Rodrigo, che già cominciava a godere nella sua mente una anticipazione della potenza che gli[167] avrebbe data l'alleanza che andava a contrarre, guarda con un volto fosco e sprezzante, come se dicesse: vi siete rallegrati troppo presto a mie spese: lo so; ma vedrete chi sono.

Giunto dinanzi al convento, che si trovava su la sua strada, Don Rodrigo rallentò ancor più il passo, e si rivolse tutto a sinistra, guardando fieramente se mai il Padre Cristoforo girasse fuori dal nido: ma non v'era nessuno: la porta della chiesa era aperta, e si sentivano i frati cantare l'uficio in coro. In mezzo alla sua ira, Don Rodrigo si risovvenne delle promesse del Conte Attilio, e dei disegni che questi gli aveva comunicati sul modo di liberarlo da quel frate: pensò che in quel momento forse la trappola era già tesa; e passando dalla collera alla compiacenza, fece un sogghigno accompagnato da un ah! ah! il cui senso[168] non fu chiaramente compreso che dal fidato Griso, il quale, per mostrare la sua sagacità e per far vedere ai compagni ch'egli era molto internato nei segreti del padrone, si volse a questo, pur sogghignando, e facendo col volto un cenno che voleva dire: a quest'ora il frate sarà servito.

Pochi passi dopo il convento, giunse la brigata ad uno di quei tanti torrenti che si gettano nel lago dai monti che lo ricingono. Questo si chiamava e si[169] chiama tuttavia il Bione, nome che non si troverà in alcun dizionario geografico: e a dir vero colui che lo porta non merita per nessun verso di esser memorato.

Scappa fuori da un monte che è quasi poggiato nel lago, e per un brevissimo e larghissimo letto manda per lo più qualche filo d'acqua, e dopo le grandi pioggie, e allo scioglimento delle nevi, mena un largo fiume d'acqua, che in un momento si perde,[170] e un flagello di ciottoloni, che rimangono. In quel momento non vi scorrevano che due o tre rigagnoli, sparsi in un deserto di sassi: noi avremmo voluto che la nostra storia registrasse a questo passaggio qualche incontro, qualche avvenimento inaspettato, per poterne illustrare quel torrente e togliere il suo nome dalla oscurità, ma la storia non ne registra; e noi, solleciti della verità più che d'ogni altra cosa, non possiamo dire altro se non che il cavallo di Don Rodrigo attraversò il letto in retta linea, tenuto pel freno dal Griso, il quale dovette porre i piedi nel guazzo, scontando così, come era giusto, un poco l'onore di star vicino al signore; mentre gli altri bravi passarono un po' più in giù, sur un ponticello stretto, a piedi asciutti.

Varcato il Bione, andarono per un miglio circa sulla via pubblica, che conduce al luogo dove allora era il confine dello Stato Veneto; e quindi presero un viottolo ripido a sinistra, che conduceva al castello del Conte.

Appiedi della ultima salita, che dava al castello, v'era una rozza e picciola taverna; e sulla porta della taverna un impiccatello, di forse dodici anni, il quale, a veder gente armata, entrò tosto a darne avviso; ed ecco uscirne tre scheranacci, nerboruti ed arcigni, i quali, deposte sul tavolo le carte sudicie e ravvolte come tegole, con le quali stavano giuocando], stettero a guardare con sospetto chi veniva. Don Rodrigo aveva già tirata la briglia del suo ronzino per rivolgerlo[171] sulla salita, quando uno dei tre, facendogli cenno di ristare, gli chiese molto famigliarmente: dove si va, signor mio, con questa bella compagnia? In altro luogo ed in altra occasione Don Rodrigo, che aveva la superiorità del numero, e che non era avvezzo a sentirsi così interrogare da paltonieri, avrebbe risposto chi sa come; ma egli sapeva di essere negli stati del Conte, e s'avvedeva che parlava con dipendenti da quello, onde, fingendo di non trovar nulla di strano in quel modo, rispose umanamente: vado ad inchinare il signor Conte.

—E chi è Vossignoria? replicò l'altro, con tuono più amichevole, ma non meno risoluto.

—Sono il signor Don Rodrigo...

—Bene; ma sappia che su per quell'erta non camminano altri armati che quelli del signor Conte; e s'ella vuole riverirlo, potrà venir solo a fare una passeggiata con me.

Don Rodrigo intese che bisognava anche scendere da cavallo, e ricordandosi di quel proverbio: si Romae fueris, romano vivito more, non si fece pregare, e disse: avrò molto piacere di far questi pochi passi a piede; e voi intanto, disse rivolto alla sua scorta, starete qui aspettandomi a refiziarvi e a godere della compagnia di questa brava gente. Mentre quivi si parlamentava, scendevano per l'erta a varie distanze uomini del Conte, che dall'altura avevan veduti armati a fermarsi; ma colui, che s'era offerto di accompagnare Don Rodrigo, accennò loro che erano amici,[172] e quegli ritornarono. Don Rodrigo sceso, e date le briglie in mano al Griso, cominciò a salire con la sua guida; la quale, non volendo forse avere offeso un uomo che poteva esser più amico del Conte che non si sapesse, fece una qualche scusa a Don Rodrigo di averlo fatto scendere. Se il signor Conte, disse colui, fosse stato avvertito della sua visita, avrebbe dato ordine perch'ella fosse accolta con le debite cerimonie: perchè ella deve sapere quanto il mio padrone sia cortese coi gentiluomini che sanno il vivere del mondo, ma vossignoria non è aspettata, e noi abbiamo dovuto fare il nostro dovere, che è di non lasciar passare a cavallo che gli amici vecchi del signor Conte.

—Certo, certo, rispose Don Rodrigo, io sono buon servitore del signor Conte, e non pretendo che egli abbia a far complimenti con me.

Questi è un signore davvero, pensava tra sè, continuando la sua salita, Don Rodrigo. Vedete un po' come sa farsi rispettare, ed esser padrone in casa sua. S'io volessi fare una legge simile, non so se vi potrei riuscire: ma è poi anche vero che fa una vita da romito. A voler godere un po' il mondo, non bisogna star tanto in sulle sue, nè metter tanta carne a fuoco.[173] Così Don Rodrigo si racconsolava della sua inferiorità; e nel resto del cammino andava rimasticando i discorsi ch'egli aveva preparati pel Conte.

Giunti al castello, la guida v'entrò con Don Rodrigo, e lo fece aspettare in una sala, dove stavano sempre servi armati, pronti agli ordini del Conte. Dopo pochi momenti la guida tornò, invitando Don Rodrigo ad entrare dal padrone, e di sala in sala, sempre incontrando scherani, lo condusse a quella dove stava il Conte del Sagrato.

Don Rodrigo s'inchinò profondamente, con quell'aria equivoca che può egualmente parere bassezza o affettazione, e il Conte, che in mezzo a tanti affari non aveva potuto conservare le abitudini cerimoniose di quel tempo, gli corrispose con una leggiera e rapida inclinazione del capo, e gli fece segno di sedersi sur una seggiola, la quale era posta in luogo che dall'altra stanza si potesse scorgere ogni moto di colui che vi era seduto. Dopo molte cerimonie, alle quali il Conte badò poco, Don Rodrigo sedette e il Conte pure a qualche distanza.

Era il Conte del Sagrato un uomo di cinquant'anni, alto, gagliardo, calvo, con una faccia adusta e rugosa. Si sforzava fino ad un certo segno d'esser garbato, ma da quegli stessi sforzi traspariva una rusticità feroce e indisciplinata.

—Dovrei scusarmi, cominciò Don Rodrigo, di venir così a dare infado a Vossignoria Illustrissima.

—Lasci queste cerimoniacce spagnuole e mi dica in che posso servirla.

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—Non so se il signor Conte si ricordi della mia persona; ma io ho presente di essere stato qualche volta fortunato...

—Mi ricordo benissimo e la prego di venire al fatto.

—A dir vero, riprese Don Rodrigo, io mi trovo impegnato in un affare d'onore, in un puntiglio, e sapendo quanto valga un parere di un uomo tanto esperimentato quanto illustre, come è il signor Conte, mi sono fatto animo a venire a chiederle consiglio, e per dir tutto anche a domandare il suo amparo.

—Al diavolo anche l'amparo, rispose con impazienza il Conte. Tenga queste parolaccie per adoperarle in Milano con quegli spadaccini imbalsamati di zibetto, e con quei parrucconi impostori, che non sapendo esser padroni in casa loro, si protestano servitore d'uno spagnuolo infingardo. E qui, avvedendosi che Don Rodrigo faceva un volto serio, tra l'offeso e lo spaventato, si raddolcì e continuò: intendiamoci fra noi da buoni patriotti, senza spagnolerie. Mi dica schiettamente in che posso servirla.

Don Rodrigo si fece da capo e raccontò a suo modo tutta la storia, e finì col dire che il suo onore era impegnato a fare stare quel villanzone e quel frate, e ch'egli voleva aver nelle mani Lucia; che se il signor Conte avesse voluto assumere questo impegno, egli non dubitava più dell'evento. Non intendo però, continuò titubando, che, oltre il disturbo, il signor Conte debba assoggettarsi a spese per favorirmi....[175] è troppo giusto.... e la prego di specificare....

—Patti chiari, rispose senza titubare il Conte, e proseguì, mormorando fra le labbra a guisa di chi leva un conto a memoria: venti miglia.... un borgo.... presso a Milano.... un monastero.... la Signora che spalleggia.... due cappuccini di mezzo.... signor mio, questa donna vale dugento doppie.

A queste parole succedette un istante di silenzio; rimanendosi l'uno e l'altro a parlare fra sè. Il Conte diceva nella sua mente: l'avresti avuta per centocinquanta se non parlavi d'infado e d'amparo; e Don Rodrigo intanto faceva egli pure mentalmente i suoi conti su le dugento doppie. Diavolo! questo capriccio mi vuol costare! Che ebreo! vediamo.... le ho: ma ho promesso al mercante... via lo farò tacere. Eh, ma con costui non si scherza: se prometto, bisognerà pagare. E pagherò: frate indiavolato, te le farò tornare in gola... Lucia la voglio... si è parlato troppo... non son chi sono... Fatta così la risoluzione, si rivolse al Conte e disse: Dugento doppie, signor Conte; l'accordo è fatto.

—Cinque e cinque, dieci, rispose il Conte. E questa, se mai per caso la nostra storia capitasse alle mani di un lettore ignaro del linguaggio milanese, è una formola comune che, accennando il numero delle dita di due mani congiunte, significava l'impalmarsi per conchiudere un accordo. E nell'atto di proferire la formola, il Conte stese la mano e Don Rodrigo la strinse.

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—Le darò, disse Don Rodrigo, uno dei miei uomini, che conosce benissimo la persona, e starà agli ordini di Vossignoria...

—Non fa bisogno, rispose il Conte del Sagrato; mi basta il nome, e qui cavò una vacchetta, sulla quale sa il cielo che memorie erano registrate, e fattosi dire un'altra volta il nome e il cognome della nostra poveretta, lo scrisse, e notò pure il monastero.

—Ma non vorrei che nascessero abbagli.

—So quel che posso promettere, rispose il Conte, il quale coglieva ogni destro di dare una idea inaspettata del suo potere e della certezza dei suoi mezzi.

—Certo, replicò Don Rodrigo, pel signor Conte non v'è cosa impossibile.

—Ad un mio avviso ella mandi persona fidata con le dugento doppie, e la persona sarà consegnata.

—Così farò; e mi raccomando... vede bene... non vorrei che... il signor Conte darà ordini precisi, e impiegherà persone di giudizio.

—Al corpo di mille diavoli! Ella non sa dunque come io son servito. Tutti i miei uomini sono ben persuasi che colui il quale in una simile circostanza pigliasse la più picciola libertà, sarebbe punito con le mie mani.

—Non ne dubito, rispose Don Rodrigo.

—Segreto e fedeltà ai patti! disse il Conte.

—Son uomo d'onore, rispose Don Rodrigo, e si accomiatò. Uscì del castello, scese alla taverna, trovò la sua scorta, pagò largamente lo scotto, e si avviò verso casa.

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Non aveva egli ancora oltrepassata la soglia del castello del Conte, che questi aveva già dato principio all'impresa, prendendo la penna e scrivendo una lettera a quell'Egidio di Monza, che il lettore conosce, per invitarlo a venire al castello per un negozio di somma premura. È duopo sapere che il Conte era uno di quei vecchi amici del padre di Egidio coi quali questi aveva mantenuta corrispondenza; anzi era di tutti il più intrinseco e il più riverito. Il giovane Egidio, appena rimasto solo, aveva implorata l'assistenza del Conte per adempire la vendetta del padre, e il Conte, che nel giovanetto aveva già intravedute disposizioni non ordinarie, e che aveva pensato di farne uno degli agenti che teneva in varie parti del paese, lo aveva in quell'occasione soccorso di denari e d'uomini, e sempre in seguito gli si era mostrato pronto ad ajutarlo dove fosse stato di mestieri.

Si formò quindi tra loro l'intelligenza di darsi mano a vicenda in ogni occorrenza; nel che Egidio faceva le sue parti con molto zelo, e con una certa sommessione verso il Conte, per la sua età, per la sua fama, e per gli obblighi che Egidio gli aveva, e perchè in ogni frangente contava d'avere in lui un difensore invincibile.

Per ciò il Conte, quando Don Rodrigo gli parlò di Monza, corse tosto col pensiero ad Egidio, e conoscendo per esperienza la devozione e risolutezza di lui, sapendo che la sua casa era contigua al monastero,[178] fece ragione che la impresa era come compiuta, e promise a Don Rodrigo con quella asseveranza che abbiamo veduto, e che gli diede una maraviglia non affatto scevra di diffidenza.

Il messo partì; e il giorno susseguente Egidio si mosse di buon mattino, e verso il mezzogiorno salì in trionfo fino al castello del Conte, con due cavalieri e con quattro pedoni che l'accompagnavano; distinzione riserbata a quegli che erano non solo amici, ma alleati, e la gente dei quali era impegnata, al bisogno, ad eseguire i disegni del Conte. Infatti gli uomini di Egidio e quelli del Conte s'erano trovati insieme in più d'una impresa, ed erano per lo più antiche conoscenze, e avvezzi in ogni caso a far conto su uno scambievole ajuto. Quindi a misura che Egidio, avvicinandosi al castello, incontrava di quei bravi che vi soggiornavano, questi, dopo d'avere umilmente inchinato l'amico del padrone, facevano festa, pur camminando, al suo corteggio, ed era una ripetuta stretta di mani e un dare e rendere di saluti, a cui si appiccavano i più bisbetici e scomunicati nomi del mondo.

Ben venuto il Tanabuso! Ben trovato il Tempesta.[179] Oh, addio, Strozzato. Buon giorno, Biondino bello. Bravo Nibbione, mi rallegro di vederti bene in gamba. Eh! Spettinato, grazie al cielo, in gamba, sano e salvo agli statuti di Milano, fin che viene la mia ora. Bravo un'altra volta. Ehi! e quel tale Brusco che ti faceva l'amore dietro tutte le siepi? Mandato a dormire senza cena, rispose il Nibbione, stendendo il braccio sinistro e appoggiando orizzontalmente la mano destra alla guancia. Bene, rispose lo Spettinato, così va fatto: meglio pagare che riscuotere. Così m'ha insegnato mio padre, replicò il Nibbione. Con questi bei ragionamenti giunse la nostra brigata alla vista del castello; quivi si trovò il Conte, che, avendo veduto salire l'amico, gli si faceva incontro. Quando Egidio lo scorse, balzò da cavallo, gittò la briglia a uno de' suoi uomini e corse a lui; si abbracciarono, entrarono insieme nel castello, gli scherani dell'uno e dell'altro seguitarono riverentemente in silenzio, ed entrati pure in frotta, andarono[180] tutti insieme a gozzovigliare, secondo gli ordini dati dal Conte.

Quando i due amici furono soli nella stanza appartata dove il Conte trattava gli affari più reconditi, scoperse ad Egidio il motivo della chiamata in questo modo:

—Mio caro Egidio, e posso dir figlio: Ho un affare a Monza, pel quale m'è duopo un amico fidato, e un uomo destro e valente; e ho posto gli occhi sopra di te.

—Vorrei vedere, rispose Egidio, chi sarebbe in Monza colui che ardisse vantarsi di esservi più amico di me.

—La mentita gliela darei io, replicò il Conte.

—Ora mettetemi alla prova.

—Ho bisogno di avere in mano una persona, disse il Conte.

—Viva o morta? domandò Egidio.

—Viva, viva, rispose il Conte; è un affare allegro.

—Bene, disse Egidio, purchè non sia il castellano, nè alcuno di sua famiglia, nè il feudatario, nè il podestà, nè un ufiziale spagnuolo...

—Ih! ih! disse il Conte, che vorresti tu ch'io facessi di questa gente? Quando io gli avessi tutti in questo castello, farei aprire tutte le porte per lasciarli andare. Non sono buoni da nulla, nè vivi, nè morti.

—Che so io? riprese Egidio: Bene, purchè non sia ancora nè l'arciprete, nè tampoco un prete, nè[181] un frate, nè una monaca, perchè non vorrei aver che fare col Cardinale, che sarebbe uomo da mettere a soqquadro tutta Roma e tutta Madrid, finchè non ne avesse veduto l'acqua chiara; purchè non sia nessuno di questi, vi prometto, umanamente parlando, che siete servito.

—Ebbene, disse il Conte, quello che io vorrei che tu prendessi non è nessuno di questi uccellacci che hai nominati; è il più picciolo reatino che tu possa immaginare. Solamente, è rimpiattato in una certa fratta che ci vorrà destrezza assai a cavarnelo.

—Vediamo, rispose confidentemente Egidio.

Il Conte cavò la sua vacchetta, e dopo aver rivolto qualche carta, lesse: Lucia Mondella, e continuò: è una contadina di questi contorni che si trova in Monza nel monastero contiguo alla tua casa, sotto la protezione della Signora; protezione molto fredda però; è raccomandata al Guardiano dei cappuccini.

—Ne ho inteso parlare, rispose Egidio, il quale ne sapeva sul conto di Lucia molto più del Conte, ma non voleva mostrarsene più inteso, perchè i suoi rapporti con la Signora erano un segreto al quale non ammetteva nemmeno gli amici più intrinseci.

—Prendi tu l'impegno? domandò il Conte.

—Senza dubbio, rispose Egidio.

—E la Signora?

—La Signora, come vi hanno detto benissimo, non si piglia molto a cuore questa donna; così almeno ho inteso dire da quelli di casa mia, che bazzicano[182] con l'ortolano, o con qualche altro mascalzone del monastero. E poi, faremo la cosa in modo che nè la Signora, nè altri possa sospettare donde il colpo venga.

—Sai tu ch'ella si allontani dal monastero, qualche volta? Hai mezzo per farla uscire?

—M'impegno di trovarlo. E non vi posso promettere nè pel tal giorno, nè per la tale settimana; ma piglierò il tempo, e sarete servito; e non andrà molto.

—Bravo! e hai tu bisogno d'uomini in ajuto?

—Ho bisogno certo d'uomini, non tanto per compire l'opera, come per distornare i sospetti. Quando io vi darò avviso, voi mi manderete dei vostri uomini forestieri, dei più destri e determinati; costoro si lasceranno vedere qualche tempo prima; si parlerà in paese di loro; quando la donna sarà scomparsa...

—Va bene, si dirà che è stata rapita da forestieri sconosciuti, da Bergamaschi.

—Rapita, o fuggita con essi: quel che si vorrà: o anche l'uno e l'altro, perchè ho veduto in più d'un caso che il raccontare una storia in diverse maniere serve molto a confondere le teste, e a tener lontani i sospetti dalla verità del fatto.

—Tu parli come un vecchio, e sai operare da giovane, rispose il Conte. Io ti manderò gli uomini che mi richiederai: e non avranno altro ordine che di ubbidire ai tuoi.

[183]

Così fu conchiuso l'orribile accordo. Egidio annunziò al Conte che l'indomani ripartirebbe di buon mattino, e che appena giunto a casa avviserebbe ai mezzi di condurre a buon fine l'impresa.

La sicurezza però di Egidio, diede al Conte una maraviglia non molto dissimile da quella che Don Rodrigo aveva presa della sua. Si aspettava bene il Conte che Egidio avrebbe abbracciata l'impresa e trovato il modo di compierla, ma ch'ella dovesse parergli così agevole, non lo avrebbe immaginato. Si preparava anzi a fargli animo, e a suggerirgli i mezzi per vincere gli ostacoli che Egidio gli avrebbe opposti, e fra questi il primo gli pareva che dovesse essere la Signora: ma il lettore sa che questo, che al Conte sembrava ostacolo, dovette tosto affacciarsi alla mente di Egidio come un mezzo validissimo. Ed è questo uno dei molti vantaggi dei lettori di storie: il sapere certe cose ignorate dai personaggi più importanti di esse; il veder chiaro dove i più accorti ed oculati personaggi camminano all'oscuro: vantaggio che dovrebbe ispirare ad ogni lettore bennato molta riconoscenza a coloro che glielo procurano, che alla fin fine sono gli scrittori di quelle storie.

Nel resto di quel giorno il Conte trattenne in festa l'amico, in quella festa però che poteva essere in quel luogo e fra quei due. All'indomani, dopo molti affettuosi congedi, Egidio partì, promettendo che ben presto manderebbe al Conte buone novelle dell'affare,[184] discese al lago, entrò nel battello del Conte; traghettato all'altra riva dell'Adda coi suoi, si ripose a cavallo e prese la via di Monza.

In quel tempo di provocazioni, di vendette, di agguati, di tradimenti, l'uomo che si allontanava quattro passi da casa sua, camminava sempre con sospetto, a guisa d'un esploratore in vicinanza del nemico; e più d'ogni altro i facinorosi e soverchiatori di mestiere, quelli che avevano in ogni parte conti accesi di offese o di minacce, come era Egidio.

Benchè mandasse alcuni passi innanzi a battergli la via uno de' suoi cavalieri, il quale spiava se vi fossero insidie, o se giungessero nemici, pure andava egli stesso guardandosi a destra e a sinistra, cercando di penetrare con lo sguardo ogni siepe, alzandosi di tempo in tempo su le staffe per veder dietro i muri dei campi, piegandosi per vedere dietro ogni cappelletta, volgendosi di tempo in tempo a vedere dietro le spalle, e affissando da lontano chiunque veniva, perchè poteva essere un nemico, o il sicario nascosto di un nemico. Alla metà circa della via incontrò egli una caravana di carretti e di pedoni, e li riconobbe da lontano per quelli che erano veramente, cioè pescivendoli che tornavano da Milano dopo avere smaltita la loro merce, e che camminavano di conserva per assicurarsi dai masnadieri. Esaminando però attentamente ogni persona della caravana a misura che gli passava dinanzi, gli parve di riconoscere una donna che si stava accosciata sur un carretto, coperta[185] il capo d'un fazzoletto rannodato sotto il mento, la quale, veggendo venire armati, guatava con una curiosità mezzo spaventata. Egidio la mirò più fissamente, s'avvide che s'era apposto, che era dessa, e si rallegrò pensando che a Monza troverebbe un impiccio di meno nell'esecuzione del suo mandato.

Era la nostra povera Agnese, che avendo in vano aspettato le lettere o almeno imbasciate promesse dal Padre Cristoforo, impaziente di venire in chiaro del come andassero le cose, qual partito si dovesse finalmente pigliare, tornava al paese per saperne qualche cosa, per dare nello stesso tempo una occhiata alla casa ed alle masserizie. Lucia, alla quale i pericoli passati, la fuga, il trovarsi come smarrita, lungi dalla sua casa, fra gente nuova, il timore continuo di peggio, avevan restituita quasi tutta la timidezza della infanzia, aveva più volte afferrata la gonna della madre per non lasciarla partire, aveva pianto e pregato; ma finalmente, stanca essa pure della incertezza e più ansiosa di saper qualche cosa di quello non ne confessasse, rassicurata dal trovarsi in un asilo così guardato e così santo, s'acquetò e lasciò che la madre[186] ne andasse; e Agnese se n'era venuta, senza cruccio della figlia, che le pareva d'aver lasciata, come si dice, su l'altare.

[187]

Quando Egidio si avvenne nella nostra povera Agnese, andava appunto fantasticando sul modo di soddisfare al più presto ai desiderj del suo degno[188] amico, e di dargli con la prontezza del servizio una prova di audacia e di destrezza singolare; e nei varj disegni che ruminava il pensiero, questa Agnese gli si gittava sempre a traverso come il maggiore impedimento. Come staccare da essa Lucia, che le stava sempre appiccata alla gonnella? Rapire Lucia, quando fosse in compagnia della madre, era esporsi ad un vero scandalo: la resistenza che la madre avrebbe[189] tentato di opporre, poteva render necessaria qualche violenza, che avrebbe renduto l'affare più serio, o almeno avrebbe fatto perder tempo, forse sfuggire l'opportunità; le sue grida potevano attirare dei guastamestieri, o almeno dei testimonj; e ad ogni modo essa, rimanendo in Monza, avrebbe esclamato, ricorso, parlato e fatto parlare. Al contrario, quando Lucia non avesse in paese persona a cui calesse di lei particolarmente,[190] i discorsi sarebbero stati d'un giorno ed era molto più agevole dare all'avventura quella spiegazione che fosse convenuta e che nessuno avrebbe potuto smentire. Si andava dunque Egidio risolvendo ad aspettare che Agnese si fosse allontanata da Monza, ma, non sapendo quando ciò fosse per accadere, si rodeva di dover rimettere ad un tempo non ben determinato l'impresa e l'onore dell'impresa. Ma, alla vista di Agnese, che tornava a casa, Egidio si sentì libero d'una grande incertezza, risolvette di por mano al disegno appena sarebbe giunto a Monza, e continuò a maturare il suo disegno; i suoi pensieri camminavano più spediti, e per mettere del paro ad essi il suo cavallo, gli diede una voce ed un colpo di sprone, dicendo ai seguaci a piedi, che erano obbligati di trottare un po' affannosamente: animo, figliuoli, che la giornata o bella.

[191]

Giunto a Monza, entrato in casa, scavalcato, deposte le armi più gravi e più lunghe, egli corse tosto per la via, da lui solo conosciuta, alla porta abominevole che egli aveva aperto nel solajo, entrò con le solite precauzioni nel solajo dell'abitazione vicina, fece i soliti segni. La Signora, che stava sull'avviso, intese, avvertì le sue complici; le quali andarono a chiuder le porte del quartiere che comunicavano col chiostro, e la sciagurata corse incontro ad Egidio tutta ansiosa.

—Sia lodato il cielo, diss'ella, che vi riveggo! Oh che giorni ho passati! e che notti! Che paura ho avuto questa volta! e, mentre ella parlava, una specie di consolazione angosciosa e di rincoramento agitato dipingevano sulle sue guance come due pezze di rossore, che contrastavano tristamente col pallore di tutta la faccia.

—Le solite sciocchezze? disse Egidio con impazienza.

—Oh! sciocchezze! So io quel che soffro; e fossero anche sciocchezze, a chi tocca aver compassione di me? Mai mai, non avete voluto compiacermi. Se provaste un'ora quello che io sento tutto il giorno! tutta la notte! Non posso più, non posso più vivere con colei così vicina. Qua giù, qua sotto, a pochi[192] passi, nella vostra cantina: e quando voi non ci siete...! l'ho veduta sempre, sempre, l'ho veduta smuovere[193] a poco a poco il mucchio di sassi, e poi metter fuori [194]il capo, e poi venir su... avrei gridato, se non avessi temuto di far correre tutto il monastero... e poi entrare qua dentro per questo pertugio, senza mai volersi fermare, e poi sedersi qui... quello sgabello son ben sicura d'averlo bruciato; e pure, quando colei arriva, si trova sempre a quel posto, ed ella vi si adagia, e non vuol partirne. Mi pare che se fosse lontana dove io non sapessi, non potesse venire così a tormentarmi.

—Donne indiavolate, vive o morte, disse lo scellerato: ecco le accoglienze gioconde che mi fate.

—Non andate in collera, disse Geltrude, perchè[195] chi altri ho io? a chi mi posso confidare? e continuò con voce più sommessa: quelle altre, non mi consoleranno, vedete, se racconterò loro che siete in collera con me; state in pace e fatemi questo piacere una volta. Voi sapete far tante cose! Non sarete più contento, quando mi vedrete tranquilla?

—Ma sono queste cose da pensare, e da dire? rispose Egidio. È un affare finito, che non dà più impaccio, e volerne andare a cercare uno di questa sorta? perchè? per una pazzia? Che volete ch'io faccia? Ch'io desti il cane addormentato? Senza una ragione al mondo? come l'ho da portare? dove?

[196]

—Scendete una notte solo, disse Geltrude, già voi non avete paura, fortunati gli uomini! prendetela, portatela al fiume, gittatela in un pozzo abbandonato.

—Bel divertimento! bella festa in vero, disse Egidio, con un sorriso di rabbia e di scherno: bella commissione che mi date! Pazzie! E tutto per trar fuori quello che è ben nascosto! Savio disegno! Sapete voi dirmi un luogo dove possa star più nascosta che ora non è?

—È vero, disse Geltrude, gran cosa che non si sappia che fare d'un morto?

—Che farne? rispose Egidio, niente: sta bene dov'è. Dimenticatela, pensate quello che pensano tutte le vostre suore: è andata alle Indie su una nave olandese, e pensa a vivere allegramente: lo credono tutti...

—Ma non è vero, risposo Geltrude.

—Che fa questo? disse bruscamente Egidio.

—Fa tutto, replicò tristamente Geltrude, e proseguì: anch'io prima... credeva che purchè lo sapessimo noi soli, la cosa sarebbe come se non fosse avvenuta, ma ora...

—Ora è tempo di finirla, interruppe, sempre aspramente Egidio.

—Oh ecco come son trattata! disse con accoramento Geltrude; mi strapazzate perchè patisco; siete voi quello che mi strapazzate, voi... Che colpa ho io se sono una poveretta? Vorrei anch'io non curarmi [197]di nulla, esser come voi... voi siete un uomo, voi mi date animo... ma no, no: voi avete troppo coraggio, troppa presenza di spirito... mi fate quasi... paura... penso... penso che se... mi odiaste... ah i morti non vi danno travaglio!

—Che pazzie! che pazzie! disse Egidio, con istizza sempre crescente.

—Ebbene, disse Geltrude in tuono supplichevole, compiacetemi, levatemi questa spina dal cuore, allontanate colei da questa abitazione; voi vedete ch'io non posso allontanarmi io.

—Via, rispose Egidio, fingendo di acconsentire alla domanda, vi compiacerò; è un impiccio, è un fastidio, è un pericolo, ma per voi lo farò.

—Oh davvero! disse Geltrude, non lo dite per acquetarmi, come avete fatto altre volte... vi ricordate? promettetelo da vero.

—Possa essere...!

—Non giurate, per amor del cielo, interruppe Geltrude, come spaventata; non fate imprecazioni, perchè noi siamo in uno stato che una picciola parola può bastare... potrebbe essere intesa ed esaudita in quel momento che la proferiamo.

—Via, ve lo prometto da uomo onorato, rispose Egidio, affettando tranquillità: ve lo prometto; e non se ne parli più. Ho bisogno anch'io che voi mi compiacciate in un affare d'importanza; e non mi si deve dire di no, non si deve opporre nemmeno un dubbio.

—Che posso fare? chiese con istanza e non senza inquietudine Geltrude.

[198]

—Quella villanotta che v'è stata data in guardia, rispose Egidio, quella Lucia...

—Ebbene...?

—Ho promesso di consegnarla ad un amico, al quale non voglio, nè posso rifiutar nulla; e voi dovete darmi ajuto a liberarmi dalla mia parola.

A questa proposta, Geltrude incrocicchiò le mani con forza, le presse al petto, si strinse tutta, levò al cielo uno sguardo nel quale brillava momentaneamente un raggio dell'antica innocenza, e con voce supplichevole e commossa disse: Ah no: non ne facciamo più, non ne facciamo più, per pietà. Chi sa che quel che abbiamo fatto non possa ancora esser perdonato? C'era una scusa, ma qui non ve n'è. Perchè fare ancora delle cose che si vorranno dimenticare e non si potrà? Non ne abbiamo abbastanza?.

—Ah! ah! rispose Egidio, così siete disposta a compiacermi? Adesso vi nascono gli scrupoli eh! Più conto fate d'una villana, che conoscete appena da[199] otto o dieci giorni, che di me. Questa è quella che voi amate.

—Io amarla! rispose Geltrude, io colei! non la posso soffrire, è una superba, non fa che parlare della sua innocenza, e quando ne parla mi guarda con certi occhi come se sapesse qualche cosa, e fingendo rispetto, volesse insultarmi. L'ho accolta, sapete, perchè bisogna nel nostro stato farsi amici più che si può; no ch'io non l'amo; ma lasciatemela, per carità; questa lasciatemela, mi diventerà cara, e quando un altro pensiero verrà a tormentarmi, riposerò i miei occhi sopra di lei, e dirò fra di me: ecco, anche questa l'avrei dovuta sacrificare; ed è qui.

—Pazzie, pazzie, disse Egidio: parlate come una bambina sciocca. Lasciate che sul principio si lamenti, e un giorno poi riderà dei suoi terrori, e sarà contenta.

—No, non sarà contenta, rispose Geltrude, con[200] la rapida risoluzione di chi ha il vivo sentimento che le parole che ha udite sono menzogne.

—Va bene, va bene, disse Egidio con uno sdegno, in parte vero, in parte diabolicamente affettato: non ne facciamo più: e già vedo che non possiamo andar d'accordo; è tempo perduto con voi: siamo troppo differenti nel pensare: ma a tutto si può rimediare; i mattoni son lì tutti come contati, e ad ogni volta mi do la briga di riporli al loro posto antico: basta che io porti un po' di calce, il muro sta come prima, tutto e finito.

—No, no, no..., riprese affannosamente Geltrude: dite, che volete ch'io faccia?

—È vero, continuò l'uomo abbominevole, come se persistesse nel suo proposito, è vero che vi sono anche quelle altre...

—Zitto, zitto, per pietà, disse Geltrude, che non sentano: volete farmi diventare il ludibrio di quelle...

—Quelle, quelle, rispose Egidio, saranno certamente più pronte a rendermi un servizio.

—Dite, dite, che volete ch'io faccia?

—Chiamatele, riprese imperiosamente Egidio, e troveremo insieme il mezzo di condurre a capo questa grande impresa.

—Dite...

—Chiamatele, dico, riprese Egidio; e Geltrude, strascinata ancora una volta un passo più innanzi nella via della perversità, avvezza ad ubbidire, ubbidì e andò a chiamare le sue complici.

[201]

Egidio sapeva quello che aveva detto, e quelle due sciagurate erano infatti più tranquillamente e più risolutamente perverse di Geltrude. Geltrude dei loro discorsi, del loro contegno sentiva talvolta orrore e disprezzo, ne riceveva una specie di scandalo; ma questi sentimenti ricadevano terribilmente su la sua coscienza, perchè ad ogni volta Geltrude era costretta a ricordarsi che dessa era quella che aveva fatto far loro i primi passi nel cammino dove ora la precorrevano. Non parlo che di questi sentimenti, perchè gli altri, tutti orribili e tutti fastidiosi, che dovevano nascere in quegli animi, in quella situazione, non sono da descriversi; basti dire, che con tante cagioni di vicendevole ripugnanza, una sola cosa le teneva unite, la partecipazione d'un sangue, l'avere una sola coscienza: vivevano insieme, come lo sbigottimento e l'audacia, il desiderio di rimpiattarsi e il desiderio di assalire, il rimorso e il delitto vivono insieme nell'animo d'un masnadiero.

Rivisitate immantinente le porte, tentati i chiavistelli, per accertarsi che fossero ben chiuse, le tre sciagurate s'avviarono insieme verso il luogo più rimoto del quartiere, dove Egidio le stava aspettando. L'orrendo concilio fu ragunato; le sciagurate aspettavano ansiose di udire ciò che Egidio avesse a propor[202] loro, e nello stesso tempo stavano, col capo levato all'indietro, origliando se un qualche romore si sentisse, se qualche suora venisse a bussare per accorrer tosto, per intrattenerla con qualche pretesto, prima di aprire, e dar così tempo ad Egidio di sparire senza lasciare alcun sospetto. Egidio espose loro, in due parole, il suo desiderio: ch'egli aveva bisogno di tenere Lucia, per servire un suo caro amico, che esse dovevano dargli ajuto, che la cosa doveva esser fatta presto e in modo che il sospetto non cadesse nè sopra di esse, nè sopra di lui.

In una brigata di onesti che deliberi su qualche risoluzione da prendersi, ognuno diventa più onesto, il sentimento comune rinforza quello d'ogni individuo che parli, le parole d'ognuno divengono più rigide, più degne, più scrupolose, suppongono sempre un convincimento profondo della persuasione della virtù e così, pur troppo, in una brigata di tristi ognuno diventa più tristo, perchè chi ragiona dinanzi ad un uditorio, per picciolo ch'e' sia, generalmente parlando, non teme nulla più che di stonare dagli altri. Geltrude, che alla prima proposta di quel fatto ne aveva conceputo tanto orrore, risoluta ora di obbedire allo spirito infernale che la possedeva, non avrebbe voluto che altri mostrasse più ardore, più prontezza, più sagacità nel farlo; Geltrude, avvezza ad essere strascinata, e a far sempre qualche cosa di più di ciò che sul principio aveva ricusato di fare, rispose tosto che pigliava essa l'impegno, che ne aveva i mezzi[203] più di chicchessia. Le altre triste protestarono tosto che esse erano pronte a secondarla in tutto. Egidio le chiese se essa avrebbe saputo fare andare Lucia sola in una strada solitaria. Domani, rispose Geltrude. Domani è troppo presto, disse Egidio; la rete non potrà esser tesa che dopo domani. Dopo domani, rispose ancora Geltrude. La congrega si sciolse, ed Egidio corse tosto a spedire un messo al Conte del Sagrato per chiedergli i bravi dei quali avevano convenuto. Il messo partì nella notte stessa, giunse all'alba al castello; il Conte diede tosto gli ordini ai bravi che dovevano andare all'impresa; impose loro di obbedire ad Egidio, e di non nominarlo, di aspettare i suoi comandi, e di non andare a casa sua, nè di cercarlo in alcun luogo; e i bravi scesero all'Adda, e s'imbarcarono. Nello stesso tempo spedì egli una carrozza leggiera da viaggio, con un cocchiere quale conveniva a tal signore; gli ordinò di farsi tragittare su un altro punto del fiume, di non mostrare di avere alcuna relazione con quegli altri amici che partivano, di appostarsi vicino a Monza, nel luogo che era indicato nella lettera di Egidio, e di aspettare pure gli ordini di questo.

Quanto alle ciarle da spargersi per via e alle fermate onde far stornare dal vero le congetture dei curiosi, il Conte ne lasciò l'invenzione alla prudenza ed alla sagacità dei suoi uomini; perchè gli aveva scelti tra i più provati e più destri, e tali che sapessero conformare la condotta e i discorsi alle circostanze,[204] che egli non poteva prevedere. Contemporaneamente, e pure per un'altra via, il messo di Egidio tornò al suo padrone, e gli portò la risposta, nella quale il Conte, con un gergo da loro soli inteso, lo avvertiva di ciò ch'egli aveva ordinato. Egidio, lasciato riposare il messo, lo rispedì alle poste dov'erano giunti gli uomini del Conte, e li fece istruire di ciò che avevano a fare. Tutta quella giornata fu spesa in preparativi. Il giorno appresso, la nostra storia lo registra (ed era il ventuno di novembre), Egidio diede avviso a Geltrude che tutto era in pronto, e ch'ella dovesse mantenere la sua parola, operar tosto secondo le istruzioni che egli le aveva date.

Geltrude scese nel suo parlatorio appartato, e fece chiamare Lucia.

La nostra poveretta innocente corse volonterosa alla chiamata. Dopo la partenza della madre, rimasta come smarrita, senza consiglio, senz'altro appoggio che quello della Signora, non si sentiva mai tanto sicura come presso di lei. Ben è vero che quel non so che d'inusitato e di strano ch'ella aveva trovato nei discorsi e nel contegno di essa, gli aveva lasciata una impressione d'incertezza e quasi di timore, ma ella era tanto lontana dal sospettar pure le vere cagioni di quell'inusitato, che le prime riflessioni della madre l'avevano rassicurata; e Lucia non ne aveva cavata altra conseguenza se non che i signori erano molto differenti dai poverelli. Si presentò ella adunque a Geltrude con quell'aria di fiducia affettuosa,[205] con quella gioja riconoscente, che il debole sente alla presenza del forte, che è per lui.

Le andò incontro come la pecora va incontro al pastore che le si avvicina, che allontana le altre e stende la mano per accarezzarla, e non sa la poveretta che egli ha lasciato fuori del pecorile il beccajo a cui l'ha venduta in quel momento.

La festa ingenua di Lucia, e la sua aria fiduciale, era un rimprovero e una distrazione terribile per la Signora, la quale tosto interruppe alcune semplici parole di affetto e di riconoscenza che l'innocente tutta peritosa aveva incominciate, protestò di non voler ringraziamenti, e postasi in aria di premura e di mistero, le annunziò che l'aveva fatta chiamare per comunicarle cose molto importanti. Lucia si fece tutta attenta, e Geltrude, ripetendo la lezione del suo infernale maestro, cominciò ad impastocchiarla con una storia misteriosa, di pericoli e di speranze, di mezzi posti in opera da lei, di ostacoli, di ajuti, tutto per liberare Lucia dalla persecuzione di Don Rodrigo e per farla essere tranquillamente sposa di Fermo: accennando molto di più che non dicesse, e allegando motivi di prudenza, per non dir tutto; ripetendo ad ogni momento che un po' di coraggio e molta precauzione poteva tutto salvare, e una picciola indiscrezione perder tutto; che l'occasione era pronta, e per coglierla non bisognava perder tempo. E terminò con dire che le bisognava in quel momento un uomo da cui potesse aspettarsi un consiglio fidato e un[206] ajuto operoso, che il solo uomo del mondo che fosse da ciò era quel Padre Guardiano dal quale Lucia era stata scorta al monastero; che ella aveva bisogno di parlare con lui, ma che le mancava il mezzo di farlo avvertire con sicurezza, giacchè dopo d'aver riandate tutte le persone, tutti i modi per questa spedizione, trovava in tutti il pericolo di farsi scorgere, di sventare il segreto, di metter sull'avviso quelli a cui importava il più di tener tutto nascosto, e di perdere così l'opportunità, anzi di avvicinare i pericoli: che insomma, per condurre bene a fine questa faccenda, era necessario che Lucia prendesse un po' di risoluzione, si snighittisse e facesse tosto e segretamente e sola questa commissione. Lucia, a questa proposta, rimase sopra di sè, poichè allontanarsi dal monastero, andarsene soletta per un paese che era per lei come l'America, era un gran pensiero. Fece adunque come si fa ordinariamente quando non si vorrebbe aderire ad una proposta: si mise a discuterla, per poter conchiudere che non era la sola cosa da potersi fare: disse che la Signora avrebbe potuto trovare altre persone fidate e discrete, domandò schiarimenti, volle sapere più addentro come la commissione fosse necessaria, e come essa fosse la sola che la potesse eseguire. Ma la Signora, memore sempre della scuola di Egidio, mostrò prima di offendersi, rispose ancor più misteriosamente alle domande, lagnandosi di Lucia che pretendesse farle rivelare ciò ch'ella non poteva, e che non volesse fidarsi di chi[207] senza un interesse, per pura pietà, si prendeva tanta cura di lei; e conchiuse finalmente col dire: Sono ben io la buona donna a pigliarmi di questi travagli: si tratta di voi, finalmente: io me ne lavo le mani: ho fatto ancor più ch'io non dovessi. Lucia, commossa in un punto di vergogna e di timore, stava per piangere: e la Signora, vedendola arrivata a quel punto, ripigliò il suo discorso, la sgridò più amorevolmente, la rimproverò di poco coraggio, le promise che non le sarebbe mai mancata se ella avesse avuta fede in lei; e infervorata, com'era, nell'impresa di tradire la poveretta, per servire lo scellerato Egidio, con ipocrisia sfrontata le disse, che pensasse ai rimproveri che ella farebbe un giorno a sè stessa di avere per irresolutezza, per infingardaggine rifiutato il mezzo della salute e rovinata sè stessa, la madre, e l'uomo a cui ella s'era promessa. Lucia non seppe più resistere, si accusò di aver resistito, le parve che avrebbe rifiutato il soccorso del cielo, rifiutando quello che le era offerto, piena di una novella fiducia disse: vado tosto.

Geltrude l'accomiatò, lodandola, facendole animo e ripetendo le più liete promesse, e indicandole la via per andare al convento. Lucia, ritenendo a forza il pianto, chiese scusa alla Signora della sua poca fede e della sua ingratitudine. Sono una poveretta senza pratica, diss'ella; ma già ella tutte queste brighe non se le deve pigliar per me, ma per Quello di lassù, che gliele rimeriterà tutte; e abbandonandosi[208] alla grata, colle braccia tese, continuò: se non fossero questi ferri, mi pare che le getterei le mani al collo, ed ella non se lo avrebbe a male, poichè è tanto buona, ed io lo faccio per cuore.

—Sì, sì, Lucia, addio, addio, disse Geltrude,

—Dio la benedica, rispose Lucia, e staccatasi dalla grata, si volse e si avviò verso la porta del parlatorio.

Che orrenda parola! disse in cuor suo Geltrude: Dio gliele rimeriterà tutte, e alzando gli occhi vide Lucia che stava per passare la soglia.

Finchè Lucia aveva litigato contra le persuasioni di Geltrude, questa, impegnata ad ottenere l'intento di Egidio, animata dalla disputa stessa, non aveva pensato ad altro che a giungere al suo fine. Ma quando vide il cangiamento di Lucia, quando vide la sua fede sicura, intera, amorosa, e pensò che la tradiva, quando vide la vittima andare così senza sospetto all'orribile sacrificio, un sentimento improvviso, indistinto, irresistibile le fece pronunziare quasi macchinalmente queste parole: Sentite, Lucia. Lucia ristette, si rivolse, ritornò alla grata. Ma nel momento che Lucia spese a far quei pochi passi, l'immagine di Geltrude aveva già veduto Egidio furibondo per essere stato ingannato, aveva già udite le sue imprecazioni, le sue minacce, s'era già pentita del suo pentimento, e quando Lucia ristette alla grata per intendere ciò che Geltrude avesse di nuovo a dirle, Geltrude, confermata nella iniquità,—senti, Lucia,[209] le disse, ricordati bene di tutte le avvertenze che ti ho date; procura di tenerti in mente la strada che tu hai fatta venendo qui; se fossi in dubbio, domanda con indifferenza e con franchezza a qualche buona donna che passi per via; va in modo di non dar sospetto: fatti animo: che già non è il viaggio di Madrid: va e torna presto.

—Oh, disse Lucia, Dio mi accompagnerà; e si volse di nuovo, s'avviò verso la porta, e passò la soglia.

Geltrude corse a chiudersi nella sua stanza. Quivi l'abbandona il nostro autore; nè in tutto il resto del manoscritto ne fa più menzione. Noi però, trovando descritti dal Ripamonti gli ultimi casi di questa sventurata, stimiamo che monti il pregio d'interrompere un momento la narrazione principale, per accennarli. Ci sembra anzi una specie di dovere per noi, quando abbiamo raccontati i delitti, di non tacere il pentimento, di non tacere che l'orrore a noi così facilmente ispirato da quelli, la religione ha potuto[210] ispirarlo ancor più forte e più profondo all'anima stessa che gli aveva acconsentiti e commessi. Riferiremo quei casi in compendio; chi volesse conoscerli più in particolare, li troverà esposti in bel latino nella Storia patria del Ripamonti, al libro sesto della quinta decade. Siccome egli non vi pone alcuna data, così non possiam dire di quanto sieno posteriori alle cose già da noi narrate.

La condotta, il linguaggio, l'aspetto abituale delle tre sciagurate suore, le loro stesse precauzioni per distornare i sospetti, ne fecero, com'era naturale, nascere dei nuovi, che dopo d'aver serpeggiato nel monastero si diffusero al di fuori. Due vicini di quello, che ebbero la sciagura di ricevere qualche prima confidenza di quei sospetti, un fabbro ed uno speziale, accennarono copertamente in qualche discorso,[211] che in un monastero del paese accadevano cose orrende e turpi: l'uno e l'altro furono trovati uccisi. Un terrore misterioso invase tutti gli animi nel monastero e fuori; ai susurri, che già cominciavano a farsi sentire nelle brigate, successe un silenzio cupo e significante, e nelle relazioni più intime, gli sguardi, i cenni, le parole sospese esprimevano o accennavano un sospetto e uno spavento comune. Questi romori, così vaghi e generali com'erano, furono riferiti al cardinale Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano. Egli, dolente e turbato d'essere così tardi avvertito, si portò a Monza, sotto colore d'una visita generale, e venne a colloquio colla Signora, per esplorare dalle sue parole lo stato dell'animo suo; e ne uscì con più grave e più fondato sospetto. D'allora in poi, la Signora, irritata dei sospetti che vedeva starle sopra, agitata dalle certezze della coscienza, esaltata, per[212] così dire, dal suo stesso turbamento, perdè tutta la prudenza della colpa, le sue azioni divennero affatto indisciplinate, i suoi discorsi strani, furiosi, inverecondi. La giurisdizione criminale su le persone addette allo stato religioso era allora esercitata dai vescovi. Il Cardinale fece torre la Signora da quel monastero, e trasportarla in un convento di convertite nella città. Ivi l'infelice infuriò per qualche tempo: tentò di fuggire, tentò di uccidersi, ricusò il cibo, diede del capo nelle muraglie; urlava tutto il giorno, bestemmiava più di tutto il Cardinale: contra il quale tale era l'odio di lei, ch'ella ebbe a dir poscia che tutte le inimicizie che gli uomini chiamano mortali, erano un giuoco appo di quella ch'ella sentiva per lui.

Intanto lo scellerato vicino ripose il piede nel monastero, e parte colla persuasione, parte colle minacce, astrinse le altre due sue vittime a seguirlo, e di notte con esse fuggì. Ma, o fosse disegno premeditato di quell'animo atroce, o ebbrezza di scelleraggine, poco distante dal paese, in riva al Lambro, una dopo l'altra le trafisse con un pugnale, gittando l'una nel Lambro e l'altra in un pozzo rasciutto ed abbandonato nei campi. Ma le ferite non furono mortali,[213] ed entrambe le donne furono salve per diversi eventi, e rinvenute e riposte a guarire in un altro monastero del borgo.

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La Signora all'annunzio di tali atrocità, tutta, tutto ad un tratto, si mutò; rivolse in orrore di sè stessa,[215] in pentimento, in dolore ineffabile, in lagrime inesauste tutto quell'impeto di furore, e da quel momento[216] fino al suo ultimo respiro non si stancò mai di espiare almeno ciò che non poteva più riparare. Il[217] Cardinale, ch'ella chiamò poi il suo liberatore, dovette porre un freno ai rigori ch'ella esercitava contra sè[218] stessa; la visitò da poi e la consolò sovente. Pagò egli poi sempre le spese del suo mantenimento, perchè i parenti, come se col rifiutare quella sventurata avessero potuto scuotersi da dosso la colpa che avevano nella sua rovina, non vollero più udirne parlare. Le due compagne la imitarono nella penitenza. Ma il miserabile pervertitore di tutte, bandito nella testa,[219] dopo d'avere errato qua e là, cangiato più volte d'abiti e di nome, chiese asilo in città ad un amico, che lo accolse; ma come amico d'un tale uomo, o per timore, o per ottener grazia di qualche altro delitto, lo fece uccidere in un sotterraneo della casa, e presentò la sua testa al giudice, com'era prescritto dagli ordini di quel tempo, i quali nel caso dei banditi costituivano carnefice ogni cittadino, e offerivano o danari o impunità per altri delitti in mercede all'assassinio.

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