III. Fermo perseguitato dal Podestà di Lecco a istigazione di Don Rodrigo.

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Quand'egli [il Griso] ebbe fatto la sua relazione, Don Rodrigo si volse al cugino, come per chiedergli consiglio. Il conte Attilio era uno sventato, ma l'affare era tanto serio, ch'egli stesso lo era divenuto, e disse: se mi aveste chiesto parere quando avete cominciato a divagarvi con questa smorfiosa, da buon amico vi avrei detto di levarne il pensiero, perchè era cosa da cavarne poco costrutto; ma ora l'impegno è contratto, c'entra il vostro onore e quello della parentela; ora si direbbe che vi siete lasciato metter paura e che non l'avete saputa spuntare. Dal modo con cui vi conterrete in questa occasione dipenderà la vostra riputazione e il rispetto che vi si porterà nell'avvenire.

—Avete ragione.

—E, continuò il conte Attilio, fate pur conto sopra di me come sopra un buon parente ed amico: non si tratta ora più di scommesse e di scherzi.

—Avete ragione. Griso, che cosa dicono questi villani?

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—Il signor padrone può ben credere che in faccia mia nessuno avrebbe osato proferire una parola poco rispettosa: ma so che parlano e si mostrano contenti.

—Ah! contenti, riprese Don Rodrigo, vedranno, vedranno. Il Podestà è tutto mio... ma nulladimeno... che ne dite, cugino? sarà bene di prevenirlo favorevolmente.

—Certo, rispose il conte Attilio, non bisogna tralasciare nessuna precauzione.

—E poi, continuò Don Rodrigo, non bisogna metterlo in impaccio. Siccome si parlerà della fuga di costoro e la giustizia forse non potrà schivare di far qualche ricerca, bisognerebbe trovare una storia che spiegasse la fuga e che rivolgesse i sospetti in tutt'altra parte.

—Si potrebbe, per esempio, disse il conte Attilio, sparger voce che quel villano ha rapita la ragazza e fargli mettere un bando in modo che non ardisse più di comparire in paese.

—Non va male, rispose Don Rodrigo, ma....

—Se mi permettono questi signori, disse umilmente il Griso, avrei anch'io un debole parere.

—Sentiamo, dissero entrambi.

—Fermo, rispose il Griso, è lavoratore di seta e questa è una bella cosa.

—Come c'entra la seta? domandò il conte Attilio.

—I lavoratori di seta, continuò il Griso, non possono[145] abbandonare il paese: è un criminale grosso. Ecco che il signor Podestà, quando voglia, come è giusto, servire l'illustrissima casa, potrà fare un ordine di cattura contra Fermo come lavoratore fuggitivo; e poi si dirà che se Fermo ritorna, guai a lui; e Fermo non sarà tanto gonzo da venire a giustificarsi in prigione.

—Ma bravo il mio Griso, proruppe Don Rodrigo, mentre lo stesso conte Attilio faceva un sorriso d'approvazione.

—Ma bravo: va, che ti voglio fare ajutante del dottor Duplica. Per bacco, ch'egli non l'avrebbe trovata più a proposito.

—Eh, signore, rispose il Griso con affettata modestia, ho avuto tanto che fare con la giustizia, che qualche cosa devo saperne.

—Del resto, continuò Don Rodrigo, per quanto grande sia l'abilità legale del Griso non voglio ch'egli sbalzi di scanno il nostro dottore. Fa ch'egli venga oggi a pranzo da me e m'intenderò con lui. Tu intanto abbi cura di vedere il bargello e di dirgli che questa volta venga più presto del solito a ricever la mancia consueta, e che mi troverà di buon umore e avrà un regalo di più.... Così si potrà andare innanzi a fare tutto quello che sarà necessario.... Purchè la cosa non si risappia a Milano....

—Che diavolo di paura vi nasce ora, interruppe il conte.

—Caro cugino, la cosa non è finita; costei la voglio....

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—Va bene.

—E non so dove bisognerà andare a cercarla, che passi bisognerà fare....

—E bene, a Milano hanno altro da pensare che a questi pettegolezzi. C'è la carestia, c'è il passaggio delle truppe, c'è mille diavoli. E poi quand'anche se ne parlasse a Milano, sarebbe la prima che avremmo spuntata?

—Va bene, ma quel frate; quel frate, vedete, chi sa quali protezioni potrà avere; e vi assicuro che non istarà quieto fin che.... Quel frate è il mio demonio, e.... non posso farlo ammazzare.

—Il frate lo piglio sotto alla mia protezione, rispose sorridendo il conte Attilio. Non pensate a lui, me ne incarico io.

—Eh, se sapeste....

—Via, via, che ora non saprò fare stare un cappuccino. Vi dico che se avete in me la più picciola fede, non prendiate pensiero di lui, che non ve ne potrà dare. Domani a sera sono a Milano, e dopo due o tre giorni udrete novelle del frate.

—Non mi state a fare un guajo che mi ponga in maggior impiccio....

—Quando vi dico di fidarvi di me, fidatevi; ma se volete, vi dirò prima il modo semplicissimo che ho pensato per torvelo d'attorno, modo tanto semplice che l'avreste immaginato anche voi, se non foste un po' conturbato.

Infatti Don Rodrigo, combattuto, trainato da sentimenti[147] diversi e tutti rei, tutti vili, tutti faticosi, era un oggetto di pietà senza stima agli occhi stessi del Griso e del conte Attilio, e avrebbe eccitato orrore e stomaco nell'animo di chiunque gli avesse meno somigliato che quei due signori.

La passione di Don Rodrigo per Lucia, nata per ozio, irritata e cresciuta da poi dalle ripulse e dal disdegno, era diventata violenta quando conobbe un rivale. La fantasia sozza e feroce di Don Rodrigo si andava allora raffigurando quella Lucia contegnosa, ingrugnata, severa, se l'andava raffigurando umana, soave, affabile con un altro; egli immaginava gli atti e le parole, indovinava i movimenti di quel cuore, che non erano per lui, che erano per un villano; e la vanità, la stizza, la gelosia aumentavano in lui quella passione, che per qualche tempo riceve nuova forza da tutte le passioni che non la distruggono, o ch'ella non distrugge, da quelle che possono vivere con essa. Tutte queste passioni lo avevano allora spinto ad impedire con minacce il matrimonio di Lucia, senza ch'egli avesse risoluto quel che farebbe da poi, ma per impedirlo, a buon conto, perchè ella non fosse d'un altro, per guadagnar tempo, per isfogare in qualche modo la rabbia e l'amore, se amore si può dire quel suo. Quindi, allorchè egli riseppe dalla narrazione del Griso che Lucia e Fermo erano partiti insieme, i dolori della gelosia e della rabbia lo colpirono più acutamente che mai. Egli pensava qual prova Lucia aveva data di amore per Fermo e di[148] orrore per lui, abbandonando, così timida, così inesperta, la sua casa paterna, i luoghi conosciuti, andando forse alla ventura; pensava che in quel momento essi erano in cerca d'un asilo per essere riuniti tranquillamente, e risolveva di fare, di sacrificare ogni cosa per impedirlo. Dall'altra parte, avvezzo bensì a non rifiutarsi mai una soddisfazione, quando non gli doveva costare altro che una bricconeria, ma avvezzo a commetterne in un campo ristretto e conosciuto, si atterriva al pensiero di uscirne, di dovere intraprendere una ricerca difficile e pericolosa per porsi poi ad una impresa chi sa quanto vasta, chi sa quanto difficile e pericolosa.

Tanta era l'agitazione di Don Rodrigo, ch'egli pensava in quel momento non senza terrore alle gride contra i tiranni. (Così chiamavano le gride coloro che sopraffacevano come che fosse i deboli, quasi con questa espressione querula e paurosa volessero confessare l'impotenza di contener quelli e di difender questi). Bene è vero che quelle gride erano per lo più inoperose, e Don Rodrigo lo sapeva per esperienza, come noi lo sappiamo ora dal trovare ad ogni nuova pubblicazione di esse la dichiarazione espressa che le antecedenti non avevano prodotto alcun effetto. Ma però queste gride stesse potevano essere un'arme potente quando una mano potente le afferrasse contra chi le avesse violate, e v'era di mezzo un frate, un personaggio, cioè, alla influenza ed alla attività del quale nessuno poteva anticipatamente prevedere un[149] limite, e questo frate pareva risoluto a proteggere ad ogni costo gli innocenti.

In questa tempesta di pensieri, Don Rodrigo passeggiava per la stanza, facendo ad ogni momento nuove interrogazioni al Griso e affettando sicurezza dinanzi al conte Attilio: finalmente conchiuse col dire: Per ora non c'è altro da fare che di sapere precisamente dove sono andati: tocca a te, Griso, e poi, e poi... non son chi sono se... non è vero, cugino?

—Senza dubbio, rispose il conte, al quale, alla fine, non premeva realmente in tutta questa faccenda che di far pensare che nello stesso caso egli avrebbe saputo giungere ai suoi fini senza esitazione e senza fallo. Così fu sciolta la conferenza e il Griso partì.

Don Rodrigo pensò che in quel giorno sarebbe stata cosa molto utile l'avere il Podestà a pranzo, per mostrare sicurezza e per far vedere ai malevoli che la giustizia era per lui, e lo fece invitare, pregando il conte Attilio di non disgustargli quel brav'uomo con tante contraddizioni. Venne il Podestà e il dottore, si stette allegri, si parlò ancora della marcia delle truppe e della carestia, ma degli affari del paese, della campana a martello, della fuga nè una parola. Soltanto Don Rodrigo accennò indirettamente questa faccenda nel modo il più gentile ed ingegnoso, come si vedrà.

Fece egli in modo che il Podestà lodasse particolarmente il vino della tavola: cosa non difficile ad ottenersi, perchè il vino era buono e il Podestà conoscitore.[150] Allora Don Rodrigo: Oh, signor Podestà, giacchè ho la buona sorte di posseder cosa di suo aggradimento, mi permetterà....

—Non mai, non mai, signor Don Rodrigo, se avessi saputo ch'ella sarebbe venuta a questi termini avrei dissimulata la mia ammirazione per questo incomparibile....

—Bene, bene, signor Podestà, ella non mi farà il torto....

—Don Rodrigo conosce la stima....

Il conte Attilio interruppe la gara, la quale era già realmente composta. Don Rodrigo parlò all'orecchio ad un servo, e il Podestà tornando poi a casa trovò sei tarchiati contadini che erano venuti a deporre nella sua cantina le grazie di Don Rodrigo.

Dato l'ordine segreto, Don Rodrigo ritornò al discorso incominciato, benchè sembrasse mutarlo affatto e passare dal vino all'economia politica, ma chi appena osservi la serie delle sue idee scorgerà il filo recondito che le tiene.

—Che dice, continuò adunque Don Rodrigo, che dice il signor Podestà di questo spatriare che fanno i nostri operaj?

—Che vuole ch'io le dica? rispose il Podestà: è cosa da non potersi comprendere. Quanto più si moltiplicano le gride per trattenerli, tanto più se ne vanno. Non si sa capire: è una pazzia che gli ha presi: sono pecore, una va dietro all'altra.

—Eppure, continuò Don Rodrigo, pare che questa cosa stia molto a cuore di sua Eccellenza.

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—Capperi! veda con che sentimento ne parla nelle gride. Ma costoro, parte per ignoranza, parte per malizia, non danno retta; armano mille pretesti, ma la vera ragione si è la poca volontà di lavorare e il disprezzo temerario delle leggi divine ed umane.

—Ma per buona sorte, disse il dottor Duplica, a cui Don Rodrigo, aveva detto non tutto, ma quanto bastava a fargli intendere come Don Rodrigo desiderava di essere servito; per buona sorte abbiamo un signor Podestà che non si lascerà illudere da pretesti e saprà tener mano ferma....

—Mano ferma, signor Podestà, riprese Don Rodrigo, mano ferma: il primo che c'incappa farne un esempio.

—Io so, disse con gravità misteriosa il conte Attilio, che sua Eccellenza tiene gli occhi aperti su questo sviamento degli artefici e sulla esecuzione delle gride che lo proibiscono, perchè il Conte mio zio del Consiglio segreto qualche volta, in confidenza, si è spiegato con me.... Basta non voglio ciarlare; ma son certo che quando, tornato a Milano, andrò a fare il mio dovere dal Conte mio zio, egli non lascerà di farmi mille interrogazioni.... In verità, avere dei parenti in alto è un onore, ma un onore un po' pesante. Non si può parlare con loro che non vogliano ricavare qualche notizia, non si sa come sbrigarsene.

—Mi raccomando ai buoni uficj del signor conte, disse umilmente il Podestà; una buona parola trasmessa da una bocca tanto garbata in orecchie tanto rispettabili....

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—È pura giustizia renduta al merito, signor Podestà; però se la parola ha da ottenere il suo effetto, da far colpo, sarà bene che si vegga qualche dimostrazione esemplare dello zelo del signor Podestà in questa materia.

—È mio dovere, e starò sull'avviso.

—Oh le occasioni non mancheranno, disse il Dottore, perchè, come diceva sapientemente il signor Podestà, è una pazzia universale in costoro. Quindi, prendendo l'aria grave e pensosa di chi passa dai fatti ad una idea generale, continuò: Vedano un po' le signorie loro come son fatti gli uomini, e particolarmente la gente meccanica, che non sa riflettere. Comincia a mettersi fra gli artefici questa smania di sviarsi, di cambiar cielo. La sapienza di chi governa vede il male e tosto applica il rimedio della proibizione e delle pene. Si può far di più? eppure, costoro, presa una volta quella dirittura di andarsene a processione, proseguono ad andarsene come se nessuno avesse parlato. Come si spiega questo? Col dire che sono pazzi. Ma coi pazzi come bisogna fare? Castigarli.

È facile supporre che con questi ragionamenti il signor Podestà si trovò disposto a credere poi, o a fingere di credere, alle insinuazioni incessanti del dottor Duplica e alle deposizioni degli onorevoli suoi ministri, che Fermo si era spatriato in contravvenzione alle gride. Il signor Podestà non si lasciò scappare una occasione gli si era tanto raccomandato di[153] afferrare, e nel giorno susseguente, fatte fare ricerche di Fermo, le quali riuscirono inutili, lo notò come fuggitivo, gli fece intimare alla casa l'ordine di ritornare, e nello stesso tempo rilasciò l'ordine di catturarlo s'egli ritornava.

Non importa di accordare quei due ordini: basta che con questi si ottenesse l'effetto desiderato che era di toglier la volontà a Fermo di ritornare [ .

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