SCENA I.

Sala dei Capi del Consiglio dei Dieci, in Venezia.

MARCO Senatore, e MARINO uno dei Capi.

MARCO.

Eccomi al cenno degli eccelsi Capi

Del Consiglio de' Dieci.

MARINO.

Io parlo in nome

Di tutti lor. Vi si destina un grave

Incarco, fuor di qui: se un argomento

Di confidenza questo sia.... la vostra

Coscienza il diravvi.

MARCO.

Essa mi dice

Che scarsa al merto ed all'ingegno mio

Dee la patria concederla, ma intera

Alla fede ed al cor.

MARINO.

La patria! È un nome

Dolce a chi l'ama oltre ogni cosa, e sente

Di vivere per lei; ma proferirlo

Senza tremar non dee chi resta amico

De' suoi nemici.

[229]

MARCO.

Ed io....

MARINO.

Per chi parlaste

Oggi in Senato? Per la patria? I vostri

Sdegni, i vostri terrori eran per lei?

Chi vi rendea sì caldo? Il suo periglio,

O il periglio di chi? Chi difendeste....

Voi solo?

MARCO.

Io so davanti a chi mi trovo.

Sta la mia vita in vostra man, ma il mio

Voto non già: giudice ei non conosce

Fuor che il mio cor; nè d'altro esser può reo

Che d'avergli mentito. A darne conto

Pur disposto son io.

MARINO.

Tutto che puote

Por la patria in periglio, essere inciampo

All'alte mire sue, dargli sospetto,

È in nostra man. Perchè ci siate or voi,

Se nol sapete, se mostrar vi giova

Di non saperlo, uditelo. Per ora

D'oggi si parli; non vogliam di tutta

La vostra vita interrogar che un giorno.

MARCO.

E che? fors'altro mi si appon? Di nulla

Temer poss'io; la mia condotta....

MARINO.

È nota

Più a noi che a voi. Dalla memoria vostra

Forse assai cose ha cancellato il tempo:

Il nostro libro non obblia.

[230]

MARCO.

Di tutto

Ragion darò.

MARINO.

Voi la darete quando

Vi fia chiesta. Non più: quando il Senato

Diede il comando al Carmagnola, a molti

Era sospetta la sua fede; ad altri

Certa parea: potea parerlo allora.

Ei discioglie i prigioni, insulta i nostri

Mandati, i nostri pari; ha vinto, e perde

In perfid'ozio la vittoria. Il velo

Cade dal ciglio ai più. Nel suo soccorso

Troppo fidando, il Trevisan s'innoltra

Nel Po, le navi del nemico affronta;

Sopraffatto dal numero, richiede

Al Capitan rinforzo, e non l'ottiene.

Freme il Senato; poche voci appena

S'alzano ancor per lui. Cremona è presa,

Basta sol ch'ei v'accorra; ei non v'accorre.

Giunge l'annunzio oggi al Senato: alfine

Più non gli resta difensor che un solo:

Solo, ma caldo difensor. Per lui

Innocente è costui, degno di lode

Più che di scusa; e se ci fu sventura,

Colpa è soltanto del destino.... e nostra.

Non è giustizia che il persegue: è solo

Odio privato, è invidia, è basso orgoglio

Che non perdona al sommo, a chi tacendo

Grida co' fatti: io son maggior di voi.

Certo inaudito è un tal linguaggio: i Padri

Nel lor Senato oggi l'udiro; e muti

Si volsero a guardar donde tal voce

Venìa, se uno straniero oggi, un nemico

Premere un seggio nel Senato ardìa

[231]

Chiarito è il Conte un traditor; si vuole

Torgli ogni via di nocere. Ma l'arte

Tanta e l'audacia è di costui, che reso

Ei s'è tremendo a' suoi signori; è forte

Di quella forza che gli abbiam fidata;

Egli ha il cor de' soldati; e l'armi nostre,

Quando voglia, son sue; contro di noi

Volger le puote, e il vuol. Certo è follia

Aspettar che lo tenti; ognun risolve

Ch'ei si prevenga, e tosto. A forza aperta

È impresa piena di perigli. E noi

Starem per questo? E il suo maggior delitto

Sarà cagion perchè impunito ei vada?

Sola una strada alla giustizia è schiusa,

L'arte con cui l'ingannator s'inganna.

Ei ci astrinse a tenerla; ebben, si tenga:

Questo è il voto comun. Che fece allora

L'amico di costui? Ve ne rammenta?

Io vel dirò; chè men tranquillo al certo

Era in quel punto il vostro cor, dell'occhio

Che imperturbato vi seguia. Perdeste

Ogni ritegno, oltrepassaste il largo

Confin che un resto di prudenza avea

Prescritto al vostro ardor, dimenticaste

Ciò che promesso v'eravate, intero

Ai men veggenti vi svelaste, a quelli

Cui parea novo ciò che a noi non l'era.

Ognuno allor pensò che oggi in Senato

C'era un uom di soverchio, e che bisogna

Porre il segreto dello Stato in salvo.

MARCO.

Signor, tutto a voi lice: innanzi a voi

Quel che ora io sia, non so; però non posso

Dimenticarmi che patrizio io sono,

Nè a voi tacer che un dubbio tal m'offende.

[232]

Sono un di voi: la causa dello Stato

È la mia causa; e il suo segreto importa

A me non men che altrui.

MARINO.

Volete alfine

Saper chi siete qui? Voi siete un uomo

Di cui si teme, un che lo Stato guarda

Come un inciampo alla sua via. Mostrate

Che nol sarete; il darvene agio ancora

È gran clemenza.

MARCO.

Io sono amico al Conte:

Questa è l'accusa mia; nol nego, io il sono:

E il ciel ringrazio che vigor mi ha dato

Di confessarlo qui. Ma se nemico

E della patria? Mi si provi, è il mio.

Che gli si appone? I prigionier disciolti?

Non li disciolse il vincitor soldato?

Ma invan pregato il condottier non volle

Frenar questa licenza. Il potea forse?

Ma l'imitò. Non ve lo astrinse un uso,

Qual ch'ei sia, della guerra? ed al Senato

Vera non parve questa scusa? e largo

D'ogni onor poscia non gli fu? L'ajuto

Al Trevisan negato? Era più grave

Periglio il darlo; era l'impresa ordita

Ignaro il Conte; ei non fu chiesto a tempo.

E la sentenza che a sì turpe esiglio

Il Trevisan dannò, tutta la colpa

Non rovesciò sovra di lui? Cremona?

[233]

Chi di Cremona meditò l'acquisto?

Chi l'ordin diè che si tentasse? Il Conte.

Del popol tutto che a rumor si leva

Non può scarso drappel l'inaspettato

Impeto sostener; ritorna al campo,

Non scemo pur d'un combattente. Al Duce

Buon consiglio non parve incontro un novo

Impensato nemico avventurarsi;

E abbandonò l'impresa. Ella è, fra tante

Sì ben compiute, una fallita impresa;

Ma il tradimento ov'è? Fiero, oltraggioso

Da gran tempo, voi dite, è il suo linguaggio:

Un troppo lungo tollerar macchiato

Ha l'onor nostro. Ed un'insidia, il lava?

E poi che un nodo, un dì sì caro, ormai

Non può tener Venezia e il Carmagnola,

Chi ci vieta disciorlo? Un'amistade

Sì nobilmente stretta, or non potria

Nobilmente finir? Come! anche in questo

Un periglio si scorge! Il genio ardito

Del condottier, la fama sua si teme,

De' soldati l'amor! Se render piena

Testimonianza al ver, colpa si stima;

Se a tal trista temenza oppor non lice

La lealtà del Conte; il senso almeno

Del nostro onor la scacci. Abbiam di noi

Un più degno concetto; e non si creda

Che a tal Venezia giunta sia, che possa

Porla in periglio un uom. Lasciam codeste

Cure ai tiranni: ivi il valor si tema

Ove lo scettro è in una mano, e basta

A strapparlo un guerrier che dica: io sono

Più degno di tenerlo; e a' suoi compagni

Il persuada. Ei che tentar potria?

Al Duca ritornar, dicesi, e seco

Le schiere trar nel tradimento. Al Duca?

[234]

All'uom che un'onta non perdona mai,

Nè un gran servigio, ritornar colui

Che gli compose e che gli scosse il trono?

Chi non potè restargli amico in tempo

Che pugnava per lui, ridivenirlo

Dopo averlo sconfitto! Avvicinarsi

A quella man che in questo asilo istesso

Comprò un pugnal per trapassargli il petto!

L'odio solo, o signor, creder lo puote.

Ah! qual sia la cagion che innanzi a questo

Temuto seggio fa trovarmi, un'alta

Grazia mi fia, se fare intender posso

Anco una volta il ver: qualche lusinga

Io nutro ancor che non fia forse invano.

Sì, l'odio cieco, l'odio sol potea

Far che fosse in Senato un tal sospetto

Proposto, inteso, tollerato. Ha molti

Fra noi nemici il Conte: or non ricerco

Perchè lo siano: il son. Quando nascoste

All'ombra della pubblica vendetta,

Le nimistà private io disvelai;

Quando chiedea che a provveder s'avesse

L'util soltanto dello Stato, e il giusto;

Allora ufizio io non facea d'amico,

Ma di fedel patrizio. Io già non scuso

Il mio parlar: quando proporre intesi

Che sotto il vel di consultarlo ei sia

Richiamato a Venezia, e gli si faccia

Onor più dell'usato, e tutto questo

Per tirarlo nel laccio.... allor, nol nego....

MARINO.

Più non pensaste che all'amico.

[235]

MARCO.

Allora,

Dissimular nol vo', tutte sentii

Le potenze dell'alma sollevarsi

Contro un consiglio.... ah fu seguito!.... Un solo

Pensier non fu; fu della patria mia

L'onor ch'io vedo vilipeso, il grido

De' nemici e de' posteri; fu il primo

Senso d'orror che un tradimento inspira

All'uom che dee stornarlo, o starne a parte.

E se pietà d'un prode a tanti affetti

Pur si mischiò, dovea, poteva io forse

Farla tacer? Son reo d'aver creduto

Che util puote a Venezia esser soltanto

Ciò che l'onora, e che si può salvarla

Senza farsi....

MARINO.

Non più: se tanto udii

Fu perchè ai Capi del Consiglio importa

Di conoscervi appien. Piacque aspettarvi

Ai secondi pensier; veder si volle

Se un più maturo ponderar v'avea

Tratto a più saggio e più civil consiglio.

Or, poichè indarno si sperò, credete

Voi che un decreto del Senato io voglia

Difender ora innanzi a voi? Si tratta

La vostra causa qui. Pensate a voi,

Non alla patria: ad altre, e forti, e pure

Mani è commessa la sua sorte; e nulla

A cor le sta che il suo voler vi piaccia,

Ma che s'adempia, e che non sia sofferto

Pure il pensier di porvi impedimento.

A questo vegliam noi. Quindi io non voglio

Altro da voi che una risposta. Espresso

Sovra quest'uomo è del Senato il voto;

Compir si dee; voi, che farete intanto?

[236]

MARCO.

Quale inchiesta, signor!

MARINO.

Voi siete a parte

D'un gran disegno; e in vostro cor bramate

Che a voto ei vada; non è ver?

MARCO.

Che importa

Ciò ch'io brami, allo Stato? A prova ormai

Sa che dell'opre mie non è misura

Il desiderio, ma il dover.

MARINO.

Qual pegno

Abbiam da voi che lo farete? In nome

Del Tribunale un ve ne chiedo: e questo,

Se lo negate, un traditor vi tiene.

Quel che si serba ai traditor, v'è noto.

MARCO.

Io.... Che si vuol da me?

MARINO.

Riconoscete

Che patria è questa a cui bastovvi il core

Di preferire uno stranier. Sui figli

A stento e tardi essa la mano aggrava;

E a perderne soltanto ella consente

Quei che salvar non puote. Ogni error vostro

È pronta ad obbliar; v'apre ella stessa

La strada al pentimento.

MARCO.

Al pentimento!

Ebben, che strada?

[237]

MARINO.

Il Mussulman disegna

D'assalir Tessalonica: voi siete

Colà mandato. A quale ufizio, quivi

Noto vi fia: pronta è la nave; ed oggi

Voi partirete.

MARCO.

Ubbidirò.

MARINO.

Ma un'arra

Si vuol di vostra fè: giurar dovete

Per quanto è sacro, che in parole o in cenni

Nulla per voi traspirerà di quanto

Oggi s'è fisso. Il giuramento è questo:

(gli presenta un foglio)

Sottoscrivete.

MARCO (legge).

E che, signor? Non basta?....

MARINO.

E per ultimo, udite. Il messo è in via

Che porta al Conte il suo richiamo. Ov'egli

Pronto ubbidisca, ed in Venezia arrivi,

Giustizia troverà.... forse clemenza.

Ma se ricusa, se sta in forse, e segno

Dà di sospetto; un gran segreto udite,

E tenetelo in voi; l'ordine è dato

Che dalle nostre man vivo ei non esca.

Il traditor che dargli un cenno ardisce,

Quei l'uccide, e si perde. Io più non odo

Nulla da voi: scrivete; ovvero....

(gli porge il foglio)

MARCO.

Io scrivo.

(prende il foglio e lo sottoscrive)

[238]

MARINO.

Tutto è posto in obblio. La vostra fede

Ha fatto il più; vinto ha il dover: l'impresa

Compirsi or dee dalla prudenza; e questa

Non può mancarvi, sol che in mente abbiate

Che ormai due vite in vostra man son poste.

(parte)

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