SCENA III.

TORELLO, e DETTI.

SFORZA.

Ebben, Torello,

Siete mutato di parer? Vedeste

L'animo ardente de' soldati?

TORELLO.

Il vidi;

Udii le grida del furor, le grida

Della fiducia e del coraggio; e il viso

Rivolsi altrove, onde nessun dei prodi

Vi leggesse il pensier che mal mio grado

Vi si pingeva: era il pensier che false

Son quelle gioie e brevi; era il pensiero

Del valor che si perde. Io cavalcai

Lungo tutta la fronte: io tesi il guardo,

Quanto lunge potei; rividi quelle

Macchie che sorgon qua e là dal suolo

Uliginoso che la via fiancheggia:

Là son gli agguati, il giurerei. Rividi

Quel doppio cinto di muniti carri,

Onde assiepato è del nemico il campo.

Se l'urto primo ei sostener non puote,

Ha una ritratta ove sfuggirlo e uscirne

Preparato al secondo. Un novo è questo

Trovato di costui, per tôrre ai suoi

[199]

Il pensier primo che s'affaccia ai vinti,

Il pensier della fuga. Ad atterrarlo

Due colpi è d'uopo: ei con un sol ne atterra.

Perchè, non giova chiuder gli occhi al vero,

Non son più quelle guerre, in cui pe' figli

E per le donne e per la patria terra

E per le leggi che la fan sì cara,

Combatteva il soldato; in cui pensava

Il capitano a statuirgli un posto,

Egli a morirvi. A mercenarie genti

Noi comandiamo, in cui più di leggieri

Trovi il furor che la costanza: e' corrono

Volonterosi alla vittoria incontro;

Ma s'ella tarda, se son posti a lungo

Tra la fuga e la morte, ah! dubbia è troppo

La scelta di costoro. E questo evento

Più che tutt'altro antiveder ci è forza.

Vil tempo in cui tanto al comando cresce

Difficoltà, quanto la gloria scema!

Io lo ripeto, non è questo un campo

Di battaglia per noi.

MALATESTI.

Dunque?

TORELLO.

Si muti.

Non siam pari al nemico; andiamo in luogo

Dove lo siam.

MALATESTI.

Così Maclodio a lui

Lascerem quasi in dono? I valorosi,

Che vi son chiusi, non potran tenersi

Più che due giorni.

TORELLO.

Il so; ma non si tratta

Nè d'un presidio qui, nè d'una terra;

Trattasi dello Stato.

[200]

SFORZA.

E di che mai

Se non di terre si compon lo Stato?

E quelle che indugiando, ad una ad una

Già lasciammo sfuggir, quante son elle?

Casal, Bina, Quinzano e.... se vi piace

Noveratele voi, chè in tal pensiero

Troppo caldo io mi sento. Il nobil manto,

Che a noi fidato ha il Duca, a brano a brano

Soffriam così che in nostra man si scemi,

E che a lui messo omai da noi non giunga

Che una ritratta non gli annunzi. Intanto

Superbisce il nemico, e ai nostri indugi

Sfacciato insulta.

TORELLO.

E questo è segno, o Sforza,

Ch'ei brama una battaglia.

SFORZA.

Oh, che puot'egli

Bramar di più, che innanzi a sè cacciarne

Con la spada nel fodero?

PERGOLA.

Che puote

Bramar di più? Dirovvel io: che noi

Tutto arrischiam l'esercito in un campo

Ov'egli ha preso ogni vantaggio. Or questo

Poniamo in salvo; chè le terre è lieve

Riprender con gli eserciti.

FORTEBRACCIO.

Con quali?

Non, per mia fè, con quelli a cui s'insegna

A diloggiar quando il nemico appare,

A non mirarlo in faccia, a lasciar soli

[201]

Nelle angosce i compagni; ma con genti

Quali or le abbiam d'ira e di scorno accese,

Impazienti di pugnar, con queste

Si riparan le perdite, e si vince.

Che dobbiamo aspettar? Brandi arrotati,

Perchè lasciarli irrugginir?

SFORZA.

Torello,

Voi temete d'agguati? Anch'io dirovvi:

Non son più quelle guerre, in cui minuti

Drappelletti movean, con l'occhio teso

Ogni macchia guatando, ogni rivolta.

Un'oste intera sopra un'oste intera

Oggi rovescerassi: un tanto stuolo

Si vince sì, ma non s'accerchia; ei spazza

Innanzi a sè gl'intoppi, e fin ch'è unito,

Dovunque sia, sul suo terreno è sempre.

FORTEBRACCIO.

(a PERGOLA e TORELLO)

Siete convinti?

TORELLO.

Sofferite....

MALATESTI.

Io il sono.

Omai vano è più dir. Certo io mi tengo

Che tutti andrete in operar d'accordo

Più che non foste in divisar disgiunti.

Poi che un partito e l'altro ha il suo periglio,

Scegliamo almen quel che più gloria ha seco.

Noi darem la battaglia: alla frontiera

Io mi pongo coi miei; Sforza vien dietro

E chiude la vanguardia; il mezzo tenga

Della battaglia Fortebraccio: e il nostro

[202]

Ufizio sia con impeto serrarci

Addosso al campo del nemico, aprirlo,

E spingerci a Maclodio. Voi, Torello,

E voi, Pergola, a cui sì dubbia sembra

Questa giornata, io pongo in vostra mano

L'assicurarla: voi, discosti alquanto,

Il retroguardo avrete. O la fortuna,

Pur come suol, seconda i valorosi,

E rompiamo il nemico; e voi piombate

Sopra i dispersi. Ma s'ei dura incontro

L'impeto nostro, e ci vedete entrati

D'onde uscir soli non possiam; venite

A noi, reggete i periglianti amici;

Chè, per cosa che avvenga, io vi prometto,

Retrocedere a voi non ci vedrete.

FORTEBRACCIO.

Non ci vedrete, no.

SFORZA.

Siatene certi.

FORTEBRACCIO.

Sia lode al ciel, combatteremo alfine:

Mai non accadde a capitan, ch'io sappia,

Per fare il suo mestier contender tanto.

PERGOLA.

O Carmagnola, tu pensasti che oggi

Il giovenil corruccio alla prudenza

Prevarrebbe dei vecchi; e ti apponesti.

FORTEBRACCIO.

Sì, la prudenza è la virtù dei vecchi:

Ella cresce con gli anni, e tanto cresce

Che alfin diventa.....

PERGOLA.

Ebben, dite.

[203]

FORTEBRACCIO.

Paura;

Poi che volete ad ogni modo udirlo.

MALATESTI.

Fortebraccio!

PERGOLA.

L'hai detto. Ad un soldato

Che già più volte avea pugnato e vinto

Prima che tu vedessi una bandiera,

Oggi tu il primo hai detto.....

MALATESTI.

Da quel lato

Presso Maclodio è posto il Carmagnola.

Quegli fra noi che avere oggi pensasse

Altro nemico che costui, sarebbe

Un traditor: pensatamente il dico.

PERGOLA.

Ritratto il voto che dapprima io diedi;

E il do per la battaglia: ella fia quale

Predissi allor; ma non importa. Allora

Potea schifarsi; or la domando io primo:

Io son per la battaglia.

MALATESTI.

Accetto il voto

Ma non l'augurio: lo distorni il cielo

Sul capo del nemico.

PERGOLA.

O Fortebraccio,

Tu m'hai offeso.

MALATESTI.

Or via....

FORTEBRACCIO.

Se così credi,

Sia pur così: perchè a te spiaccia, o a quale

[204]

Altro pur sia, non crederai ch'io voglia

Una parola ritirar che uscita

Dalle labbra mi sia.

MALATESTI.

(in atto di partire)

Chi resta fido

A Filippo, mi segua.

PERGOLA.

Io vi prometto

Che oggi darem battaglia, e che di noi

Non mancheravvi alcuno. O Fortebraccio,

Non giunger onta ad onta; io ti ripeto,

Tu m'hai offeso. Ascolta, io t'offro il modo

Che tu mi renda l'onor mio, serbando

Intatto il tuo.

FORTEBRACCIO.

Che vuoi?

PERGOLA.

Dammi il tuo posto.

Ovunque tu combatta, a tutti è noto

Che tu volesti la battaglia, ed io,

Io devo ad ogni modo essere in luogo

Che l'amico e il nemico aperto veda

Ch'io non ho... tu m'intendi.

FORTEBRACCIO.

Io son contento.

Prendi quel posto; poi che il brami, è tuo.

O forte, or m'odi: ora m'è dolce il dirti

Ch'io non t'offesi, no: per la fortuna

Del signor nostro tu soverchio temi:

Questo dir volli. Ma il timor che nasce

In cor di quel che ama la vita, e l'ama

[205]

Più dell'onor, ma che nel cor del prode

Muore al primo periglio ch'egli affronta,

E mai più non risorge, o valoroso,

Pensavi tu?...

PERGOLA.

Nulla pensai: tu parli

Da generoso qual tu sei.

(a MALATESTI)

Signore,

Voi consentite al cambio?...

MALATESTI.

Io ci consento;

E son ben lieto di veder tant'ira

Tutta cader sovra il nemico.

TORELLO.

(allo SFORZA)

Io stava

Col Pergola da prima; ingiusto, io spero,

Non vi parrà.....

SFORZA.

V'intendo; e con lui state

Alla vanguardia: ultimi e primi, tutti

Combatterem; poco m'importa il dove.

MALATESTI.

Non più ritardi. Iddio sarà coi prodi.

(partono)

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