III.

Il periodo veramente fecondo dell'operosità poetica del Manzoni va dal 1812, in cui egli scrisse La Resurrezione, al 1822, in cui pubblicò La Pentecoste: un decennio glorioso per la nostra letteratura, del quale ogni anno è contrassegnato da un capolavoro. Un inno sacro apre la serie, un altro inno sacro la chiude.

A chi non ripugna l'immaginoso e il romanzesco nella vita dei grandi uomini, il colpo di scena, il miracolo, piace di vedere una barriera, o un sipario, tra il Manzoni dei due carmi paganizzanti e il Manzoni degl'Inni. E piace di prestar fede all'aneddoto raccontato da qualche biografo, che fa del Manzoni dinanzi alla chiesa di San Rocco a Parigi un quissimile di Paolo sulla via di Damasco. Narrano ch'ei fosse, lì vicino, colto da un malore repentino, ed entrasse. Imbruniva, e nel tempio si pregava. Quei canti sacri che parean lamento lo avrebbero profondamente commosso; e in un subito, l'indurito miscredente e volterriano si sarebbe trasformato - taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio! - in un convinto e fervente cattolico. «Ma così», ha esclamato il D'Ovidio, «si convertono forse le nature fantastiche e sentimentali![xxi] Ben altro ci volle, certamente, per ismuovere quel giovane che dovea presto mostrare un animo, ricco bensì di potente fantasia e di vivace sentimento, ma capace di dominar l'una e l'altro con una riflessività ed una razionalità senza pari!».

Il vero è che, proprio a giudizio del Manzoni, il ricorrere al miracolo per ispiegare certe conversioni o rivoluzioni o evoluzioni psicologiche, è da menti ristrette e da fantasie volgari. Si ripensi a quel vero miracolo d'analisi ch'è la conversione dell'Innominato. Chi prima, allora, gridò al miracolo, fu il sarto, il buon uomo che aveva in gran parte formata la sua cultura sul Leggendario dei Santi. A Lucia, che viene ospite gradita in casa sua, egli non esita un momento a dire (P. Sposi, cap. 24): «Già ero sicuro che sareste arrivata a buon porto!». La sicurezza gli veniva dai suoi studi: «perchè non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene». Così quel singolare ravvedimento era giudicato colle norme del Leggendario, ed era consacrato autorevolmente con quel nome che doveva riuscire meglio accetto a chi avrebbe potuto dire, rinarrandolo, - io c'ero! «Ma è però una gran cosa», soggiunge, rimuginando con nuova compiacenza quel ravvicinamento mentale da lui consumato, «d'aver ricevuto un miracolo!». Onde il romanziere, con arguta malizia: «Nè si creda che fosse lui il solo a qualificar così quell'avvenimento, perchè aveva letto il Leggendario: per tutto il paese e per tutt'i contorni non se ne parlò con altri termini, fin che ce ne rimase la memoria. E, a dir la verità, con le frange che vi s'attaccarono, non gli poteva convenire altro nome».

[xxii]

Sono le frange appunto che possono far parere fuori dell'ordine naturale, cose che un occhio disnebbiato ed esperto riconosce naturalissime. Ci vuole la cultura del sarto, per riguardare il cardinale come quell'«uomo tanto sapiente, che, a quel che dicono, ha letto tutti i libri che ci sono, cosa a cui non è mai arrivato nessun altro, nè anche in Milano»; e per sentire la necessità d'immaginare il miracolo. Ma nulla di meno manzoniano. L'artista psicologo ha, con la sua analisi mirabile, inteso a spiegare umanamente quella conversione che nel Seicento potè parere miracolosa.

E si può, anzi si deve ammettere, che al romanziere sia di molto giovato l'avere sperimentato in sè medesimo una evoluzione psicologica molto affine a quella che doveva rappresentare; ma l'insistenza stessa con cui ha voluto sfrondare la corona del soprannaturale onde le plebi avevan redimita quell'antica conversione, moveva forse dal desiderio di sgombrare d'intorno a sè quella nebbia di leggenda agiografica, che non poteva non dargli noia. Oltre il resto, egli, da buon cattolico, doveva pensare che le conversioni dove interviene troppo palesemente il dito di Dio, non sono edificanti, e non stimolano l'imitazione o l'emulazione. Al Manzoni, osserva il D'Ovidio, «seguiva quel che suole ai fedeli più colti e più discreti, di credere cioè e voler assolutamente credere ai miracoli antichi e, per dir così, storici, del cristianesimo; ma di proceder con molta circospezione quanto ai miracoli recenti e non sanciti dalla Chiesa.... Così è che negli Inni sacri i miracoli sono con sincera fede cantati, e dai Promessi Sposi con ischifiltosa critica eliminati».

[xxiii]

Pur troppo a noi non è dato di conoscere le fasi di quel dramma intimo, per cui il Manzoni passò dallo scetticismo alla fede ardente e incrollabile. Egli fu anche in questo diverso da quei letterati di Francia e d'Italia che intrattenevano, e intrattengono, con molto compiacimento proprio, il pubblico dei lettori narrando di sè stessi. Oggettivo nell'arte, più e meglio di qualunque altro nostro scrittore, non esclusi il Boccaccio e l'Ariosto, rimase, quanto agli affetti e ai movimenti della[xxiv] sua anima, un uomo chiuso; uno di quelli, ha detto il Negri, «che, tutto assorti nel sentimento della propria responsabilità, e guidati da una specie di pudore intellettuale, sanno custodire gelosamente dentro di sè tutto quanto non vogliono, di proposito deliberato, comunicare agli altri». Il Manzoni «sta sempre in guardia, e non ha mai permesso ad alcuno di penetrare nel fondo della sua coscienza più in là di quanto egli volesse». Si può, ricercando tutta la varia opera sua, e guardandosi intorno, tirare a indovinare. Non sentiamo forse il sapore acuto, proprio di chi descriva sensazioni provate, nelle parole che ci ritraggono la formazione ed educazione dell'animo eminentemente cristiano di Federigo Borromeo? (Promessi Sposi, cap. 22).

«Tra gli agi e le pompe, badò fin dalla puerizia a quelle parole d'annegazione e d'umiltà, a quelle massime intorno alla vanità de' piaceri, all'ingiustizia dell'orgoglio, alla vera dignità e a' veri beni, che, sentite o non sentite ne' cuori, vengono trasmesse da una generazione all'altra, nel più elementare insegnamento della religione. Badò, dico, a quelle parole, a quelle massime, le prese sul serio, le gustò, le trovò vere; vide che non potevan dunque esser vere altre parole e altre massime opposte, che pure si trasmettono di generazione in generazione, con la stessa sicurezza, e talora dalle stesse labbra; e propose di prender per norma delle azioni e de' pensieri quelle che erano il vero».

Una simile indagine è possibile e lecita; ma a patto che essa sia compiuta

Con occhio chiaro e con affetto puro.

E chi forse, nello scrutare i riposti motivi della così detta conversione manzoniana, s'è più da presso accostato al vero, è l'insigne critico, del quale poco più sù abbiam riferite alcune parole. Egli continua:

«La generazione successa in Francia a quella che aveva fatta la rivoluzione, era tutta imbevuta dello spirito del Voltaire. E il giovane Manzoni fu egli pure un discepolo del terribile dileggiatore. Ma egli doveva essere insieme una di quelle nature che hanno sempre davanti a sè la visione del mistero ultimo delle cose, e sono da quella visione profondamente turbate. Il mistero di uno stato che, com'egli stesso più tardi scriveva, «è così naturale all'uomo e così violento, così voluto e così pieno di dolori, che crea tanti scopi di cui rende impossibile l'adempimento, che è un mistero di contradizione, in cui l'ingegno[xxv] si perde se non lo si considera come uno stato di prova o di preparazione per un'altra esistenza»; questo mistero, io dico, gli si affacciava troppo minaccioso, perchè egli potesse acconciarsi ad una filosofia la quale, priva affatto di critica, non distruggeva che col dileggio, e aveva la radice assai più in un impulso politico che in un concetto veramente razionale. Un'anima come quella del Manzoni, che non poteva vivere nell'incertezza sul più grande ed oscuro dei problemi, un problema in cui l'ingegno umano, abbandonato a sè stesso, si perde, doveva cercar l'uscita da quell'abbandono, e sentendosi come arrenata nelle acque basse della filosofia del Voltaire, doveva presto o tardi ritornare alle acque profonde e al gran mare della fede, e ritornando sentirsi attratta dal cattolicismo, il quale, data che sia la premessa, è il sistema più serrato e più logico che esista, un sistema che offre veramente un riparo sicuro a chi vi arriva dalle battaglie del dubbio».

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