XII. UNA FESTA NAPOLEONICA

La sera dopo sono nel salotto di Donna Maria Mazzoleni. Ho una grande stima e una viva simpatia per questa signora italiana che sa mirabilmente vestire d’ogni grazia e d’ogni eleganza una vita energica attivissima integralmente consacrata al patriottismo concreto e alla pratica filantropia. Spirito largo senza pregiudizi e con spiccate tendenze futuriste, Donna Maria Mazzoleni ha saputo fare del suo salotto il ritrovo delle persone più significative e più originali della capitale: diplomatici, poeti, artisti, musicisti, inventori, principi indiani, celebrità del teatro, inaspettatissimi prodotti umani dell’estremo oriente, ufficiali eroici, vincitori di record mondiali e bellissime signore.

Questa sera non vi trovo che Missiroli, il pallido esitante indeciso ma troppo intelligente farmacista d’ogni ideologia. Spirito tutto a trapani inutili, a spaghetti senza sugo, cuoco accuratissimo di insipide preziosissime salse spirituali. Una di quelle tipiche sibille a rovescio, come io chiamo, i numerosi culturali falsi profeti che sbagliando sempre nelle loro profezie diventano involontariamente degli ottimi indicatori del futuro. Basta credere esattamente al contrario di ciò che profetizzano: si coglie sempre nel segno.

Con mosse untuose da prelato Missiroli cerca d’inocularmi un po’ della sua ammirazione sconfinata per la Germania. Rifiuto brutalmente l’iniezione. Egli colla piacevolezza di un cataplasma mi dichiara:

— Avete torto di parlar male di Benedetto Croce poichè egli è il padre di tutte le vostre libertà futuriste.

Rispondo:

— Ho sempre avuto una profonda pietà per Benedetto Croce, malinconico carabiniere che predica la libertà rivoluzionaria.

Entrano la contessa e il conte Bosdari nostro ambasciatore ad Atene. Spingo a poco a poco la conversazione ad una precisa valutazione della Grecia.

Bosdari dice:

— Il popolo greco è un popolo antiguerresco. Voleva rimanere neutrale. È stato strappato alla neutralità da Venizelos. Ora l’esercito greco organizzato per forza dai francesi non vuole assolutamente battersi. Venizelos non ha un vero seguito, nè un vero partito. Non vi sono nazionalisti, nè patrioti in Grecia. Venizelos ha perduto il contatto del suo popolo perchè ha fatto la rivoluzione con le forze degli alleati, cioè con forze forestiere. L’entente devait le laisser pourrir dans sa neutralitè. È un popolo incurabilmente neutrale, pacifista, ma non germanofilo. Non ha mai creduto nella potenza della sua Regina tedesca. È un’oca. I famosi schiaffi e la famosa pugnalata della Regina al Re sono fiabe. Per molto tempo Venizelos non è riuscito, neanche coi denari, a trovare 50 individui che gridassero: morte a Costantino! Ma i francesi hanno una grande influenza ad Atene, una vera prepotenza, spadroneggiano.

Comprendo che Bosdari si è urtato profondamente con Venizelos. Bosdari ha un fondo d’incurabile germanofilia. Conclude:

— Ho fatto capire a Venizelos che l’unica potenza la cui amicizia può permettere alla Grecia di non essere la misera vassalla dell’Inghilterra e della Francia è l’Italia.

Donna Maria Mazzoleni che sa meglio di Madame di Sevigné dirigere il suo salotto intellettuale con varietà e contrasti interessanti mi prega di declamare le mie parole in libertà «Treno di soldati turchi ammalati».

Rompo con forza decisiva l’atmosfera di finezze diplomatiche. Vivo successo di declamatore. La conversazione è orientata ormai sulle demolizioni utilissime compiute dal movimento futurista e sulla rivoluzione pittorica creata da noi in tutto il mondo col predominio lirico, plastico del genio nostro. Altri invitati sopravvenuti raccontano le leggendarie cazzottature del teatro Costanzi, le burrascose esposizioni futuriste a New York a S. Francisco. Un attaché a l’ambasciata Cinese spiega l’influenza decisiva del pittore Boccioni sull’arte dell’estremo oriente. Si parla molto di una grande festa che il conte Primoli darà domani nel suo palazzo napoleonico in onore dei mutilati.

Vi partecipai colla marchesa Casati che mi presentò al famoso Loulou Primoli. Raffinatissimo, colto, intelligente, ma tragicamente passatista figlio di una Bonaparte, maestro d’ogni cortesia e d’ogni bizzarria erotico-sentimentale.

Salgo colla Marchesa per una scaletta piena di fiori e di statuette di Napoleone. Il guardaportone, personaggio dell’impero, saluta tutti e lascia passare tutti.

Siamo in casa del Passato. Passato vinto, indulgentissimo, disilluso e nostalgico. La scala sale girando con grazia e portando faticosamente la sua balaustra carica di stoffe rosso e oro. Infilata di camere rosso-oro. Vere cappelle asfissianti di fiori e di profumi artificiali. Fiori, fiori, falsi e naturali in scatole, scrigni, vasi e vassoi. Ritratti, ritrattini, ninnoli intimi preziosissimi, ricordi, album, fotografie d’ogni dimensione, autografi enormi come di giganti e flebili sbiadite calligrafie di regine morte. Tutte le cose sacre d’una vita sontuosa che preferisce il ricordo alla crudele realtà presente, tutto marcato dall’affetto e dal tempo messo in vetrina spudoratamente, con ostentazione quasi oscena. Ultima offensiva d’un passatismo disarmato che utilizza le sue fragili armi senza grazia alla rinfusa per fermare ad ogni costo il futurismo vittorioso e le sue velocità furenti. Questa sala contiene due pezzi di chiese distrutte, tre portantine pregne di profumi imperiali, due madonne di bronzo decapitate e una grande grata panciuta di vecchio legno dorato tolta dal coro di una chiesa di Siena.

La portantina sussurra che le donne del tempo che fu sapevano meglio amare. Dalla grata panciuta cola come da una chiusa la cadenza morbida d’un canto chiesastico. Ma le due Madonne tendono sinistramente le mani vuote come per ridomandare ai rigattieri ebrei le loro teste probabilmente vendute a parte.

L’odore di muffa aggredisce le nari. Polvere, polvere. Bricabrac di cose vecchie, morte affastellate. Sembra la vendita all’asta di una reggia che l’ultimo erede reale offre per necessità ad un popolo rivoluzionario. Questo però non compera, invade, devasta e brucia. Infatti le stoffe rosse danno l’illusione delle fiamme e i profumi densi si inacidiscono fino all’acredine dell’odore di bruciato e di sangue.

Folla di signore. Dominano le cretine:

— Oh ma chère, chère, chère madame, quelle joie de vous revoir!

Tipica frenesia balorda e grottesca delle signore spalmate di falsa aristocrazia, orgogliose tacchinescamente di trovarsi in un salotto alla moda select unico. Tutte un po’ seccate di trovarsi così numerose. Sarebbero raggianti di potere compiangere molte amiche assenti. Ma non avrebbero allora il piacere di vedere il loro privilegio notato da molte.

La maschera di cera di Napoleone assiste impassibile a questa nuova ritirata di Waterloo.

Tutto in vetrina, anche i gloriosi mutilati da festeggiare. Sono seduti immobili nelle poltrone rosso e oro del grande salone. Visi rudi cotti e riplasmati dalle carezze ferree corrosive delle rose granate. Visi scabri, tipici come il Carso. Pezzi di sole ancora fumanti e vibranti. Ora sono un po’ pacificati, ma vi passa sopra il brivido di una irritazione. Perla il sudore su quella fronte. Sentono il peso insopportabile di quel lusso sfarzoso ammucchiato con boria. Nei loro occhi oscilla l’anima tra le preoccupazioni di denaro e il piacere inusitato dei ricchi omaggi mondani. Intorno accaparranti fastidiosi tutti i brusii mormorii delle donne che vorrebbero essere materne e invece urtano sbadatamente tutti gli spigoli doloranti di quelle sensibilità troncate.

Silenzio! silenzio! Il celebre Battistini canterà una canzone napoletana.

Vola con grazia lentamente poi si slancia patetica in alto la grande voce del cantante meraviglioso, un po’ sciupata, ma piena ancora di magie. Si gonfia, si arrotonda, cerca di spalancare l’angoscia appassionata del golfo di Napoli, rompendo e travolgendo pareti, stoffe, soffitti di oro fuor dal bricabrac passatista, per toccare le vivide, fresche, elettriche stelle d’Italia che brillavano certo nella battaglia su quei soldati come su dinamo instancabili dalle scosse micidiali. Gli applausi e le approvazioni sventagliano mille idiozie ma hanno il rumore della risacca notturna sui Faraglioni tetri, eroici di Capri.

Ora si aggira, in mezzo ai busti, statue, statuette, il Bonaparte padrone di casa e direttore di questo immane esibizionismo d’intimità napoleoniche. Cortesissimo, pieno di grazie delicate, ma tozzo, stanco, grosse spalle finite, tirate giù dall’enorme tight verde-blu scuro e il cravattone quadrettato grigio-perla e blu.

Loulou Primoli ringrazia i suoi invitati con molti sorrisi nella faccia rossa un po’ cotta dai liquori, baffi grigi, gote gonfie, cascanti, occhi scuri sagaci d’antiquario.

Esco colla Marchesa Casati, felice di rivedere all’aperto la mia amica futurista in un’altra serra calda che abbia per soffitto l’arco caldo azzurro del cielo romano.

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