Prefazione futurista a «Revolverate» di Gian Pietro Lucini

Da un’atmosfera d’idee ancora confuse e caotiche, lampeggiò improvvisa una parola di fiamma che resiste oramai a tutte le raffiche

«FUTURISMO»

Nelle colonne del «Figaro» io riassunsi, con laconiche e violente affermazioni tutto quello che il Futurismo significa, tutte le aspirazioni demolitrici della parte più giovane e migliore della nostra generazione, stanca di adorare il passato, nauseata dal pedantismo accademico, avida di originalità temeraria e anelante verso una vita avventurosa, energica e quotidianamente eroica.

Subito scoppiarono innumerevoli polemiche; avemmo difensori entusiasti e detrattori idrofobi; e ne fummo soddisfatti perché noi amiamo la lotta ancor più della Verità.

«Al manicomio!... Pazzi!... Incendiarii!...» si gridò da ogni parte, in Italia.

Meno facili a sgomentarsi, meno vili e più sottilmente ragionatori, gli americani parteciparono alla discussione mondiale plaudendo risolutamente al Futurismo, e, pur lamentando come una loro debolezza la mancanza di una tradizione classica e gloriosa, essi lodarono quei figli della vecchia Europa i quali manifestavano alfine il bisogno di far tabula rasa d’un passato troppo venerato e troppo imitato. A Parigi, intanto, il Futurismo veniva riconosciuto come il più logico programma intellettuale di una gioventù virilmente educata nell’amore degli sports violenti. Ai manifesti e alle polemiche, succedono, ecco, i fatti: le opere dei Poeti.

È l’ora propizia.

Gli uomini ridiventano mitici! Le viscere della terra vomitano i mostri della velocità. Il ferro fossile cerca il fulmineo fuoco. Si onorano gli atleti, i corridori di stadio e di cielo.

La natura è un cumulo di portentosi amori che procreano le forze conquistatrici dell’Assoluto. Lo spazio è vinto. Le membra caduche degli uomini corrono rapide coi pensieri e danno la scalata al regno delle stelle come nei sogni del Poeta.

Nasce dunque la nuova Poesia!

Al prorompere vertiginoso delle odierne correnti reali si accompagna un magnifico, vergine scoppio di energie ideali. La Poesia vuol cantare diverso ed universale. È l’età stessa che sospinge gli ingegni all’atto d’audacia e di speranza.

Il presente non mai come in questi tempi apparve staccato dalla catena genetica del passato, figlio di sé stesso e generatore formidabile delle potenze future. Le voci che si levano dal Mondo, i moti che il Mondo medesimo inaugura per opera dell’Umanità rivelata, suscitano echi e proiettano miraggi di meraviglia sulla distesa delle vicende a venire. Anche i profili delle cose, degli esseri, degli eventi sembrano mutarsi.

La Poesia di tutto ciò è presaga. I Poeti, del presagio, vanno spasimando. Oggi, più che mai, non fa dell’arte se non chi fa della guerra. Degne di gloria non appaiono che le fronti erette a violentare il Mistero, a gettare la sfida verso le mostruosità tentatrici dell’Impossibile. In Italia, nel paese di tutte le tirannidi intellettuali e morali, è sacro dovere combattere sempre e dovunque con l’arma della Poesia: di una Poesia libera, emancipata da tutti i vincoli tradizionali, ritmata alla sinfonia dei comizi, delle officine, delle automobili, degli aeroplani volanti. È, questa, l’unica impresa degna di innamorare la generazione successa a quella che fece la Patria sulle campagne del sangue. L’epoca delle battaglie non è finita per le anime essenzialmente italiane. Su questa divina terra i Poeti accettano di vivere a patto di essere ancora e più che sempre Eroi. E il Futurismo, scuola di eroismo e di ebrezza, è nato.

Del Futurismo, G. P. Lucini è il più strano avversario, ma anche, involontariamente, il più strenuo difensore.

Il suo spirito socratico, la sua cultura enorme, il suo isolamento doloroso dagli esseri e dai frangenti reali ne fanno un uomo che serba tenace gli amori per molte varie propagini del Passato. Egli ha dichiarato di non essere un settatore del Futurismo. E sia. Ma se non tali i suoi amori, tutti i suoi odî sono i nostri. La intera sua mirabile azione letteraria si risolve in un’avversione implacabile delle formule cieche ed impure onde così spesso la Poesia italiana, anche celebratissima, è andata rivestendosi, specie in questi ultimi anni di equivoca fortuna, e il Lucini ha strenuamente combattuto queste viete forme consunte, nella sua opera magistrale: Il Verso libero, che è senza dubbio una delle più alte, delle più sfolgoranti vette del pensiero umano.

Egli adora i libri dei grandi Morti come la secrezione ancora meno corrotta di questa corrottissima carne umana; e lo si deve comprendere. Tuttavia odia l’Accademia e tutte le sue bastiglie, e lo si deve esaltare; ogni suo conato letterario è come un gesto meccanico fatto per dare luce nuova ai fantasmi ed aria nuovissima alle parole; egli ha foggiato dei vocaboli diversi; ne ha accolti dagli idiomi stranieri; ha tracciato, spesso, negli impeti alati, i segni alla lingua che parleranno, un giorno, i nostri poemi più spasimati; del Verso Libero egli ha fatto, infine, una ragion poetica che sorpassa lo stesso valore della sua opera ed assurge a cànone di ogni evoluzione estetica per il futuro. Non distruttore, ma edificatore barbarico. Non settatore, sia pure: ma futurista bellissimamente perverso, suo malgrado; ma enigma di per sé stesso e con sé stesso; ma, perciò solo, giudice pessimo del proprio psicologico mistero; fossile, ammettiamolo, ma sbalorditivamente acceso. Perciò il Futurismo, che ama i riverberi delle fornaci, lo reclama.

Le nostre affinità sono grandissime. S’egli le nega ha torto: noi abbiamo ragione. E il volume che appare sotto la nostra bandiera, solo col suo titolo minaccioso e frastornante lo sta a dimostrare. Non si può sparare un’arma se non contro un bersaglio che stia davanti.

D’altronde tutto l’atteggiamento eroico di questo uomo, nella vita e nell’arte, prova la sua aborigena natura di futurista. Araldo dell’evoluzione letteraria, Gian Pietro Lucini ha sempre considerato il Verso Libero come il simbolo e lo strumento più naturale di quell’evoluzione. Egli fu, da giovanissimo, il provocatore più ardente delle prime scaramucce liberiste in Italia: paese nel quale (son sue parole) la pigrizia della critica, il nessun interesse del pubblico, la mancanza di atmosfera sociale e di istituti politici favorevoli, l’eccessivo sospetto reciproco lasciarono svampare la tendenza tra molto fumo di parole innocue e tra molte risate, riserbando (è nella speranza) decisioni vive e vigorose per un tempo meno manifatturiero e per una patria più libera.

Ecco, quindi, subito, l’uomo che si è fatto, del futuro, la sua bandiera etico-politico-sociale.

Ma sentite, attraverso questa meravigliosa definizione del fenomeno poetico, tutto il valore esteto-futurista di questa tipica contraddizione intellettuale personificata:

Ho usato, da giovanissimo, a dubitare dei maestri: volli maestra l’esperienza. Dal fatto che conosceva, estraeva le leggi; ogni fatto rappresenta per me un tipo anormale; la somma delle anomalie, coi loro rapporti, significa la vita; e la vita ha leggi generali, a punto differenziali perché è sintesi, nello scambio e nel ricambio, delle anomalie che popolano lo spazio e che esistono nel tempo. Così non mi accontentai affatto di quelle definizioni che i lessici competenti ed i professori mi sciorinavano sopra il concetto di Poesia. Per conto mio, sottoposi alla abituale dissociazione questo fenomeno d’intelligenza, questo modo di vivere del cervello umano, ed ai reagenti molto caustici della mia critica trovava che si scomponeva in due elementi primi e fondamentali: Imagine e Musica, come l’acqua si dispone alla elettrolisi ne’ suoi due gas producenti, idrogeno e ossigeno. Tutto che in letteratura sarà Musica e Imagine, legato indissolubilmente, sì che l’una sia nell’altra compenetrata, ma non perda la sua natura, né si confonda; sì che l’altra vesta la prima, non con abiti posticci, e comperati dal rigattiere, ma con giuste maglie e perfette guaine seriche e dorate, sarà Poesia.

Non cerco misure prestabilite (versi), non seguenze numerate di misure (strofe), non assegnati e complicati modi di accento, di rime, di elisioni, di dieresi: ma è verso, strofe, poema logico e naturale, poesia insomma, ciò che viene espresso con una ingenuità, o con una raffinatezza, in quel modo nativo e sonoro su cui la gamma risuoni e la plastica informi: ciò che rende un concetto ed un pensiero poetico in tutte le loro sfumature, in quel suono ed in quel colore per cui hanno vita e vibrano personalmente le idee presentate.

... Io sentiva, così, di cooperare, colla mia opera e colla mia volontà, al bisogno che promanava dal tempo, alla necessità della mia aspirazione. Certo, in qualche modo era obbligato ad esprimere parole che riguardavano al divenire, non al presente immediato. Ma colui che vuol essere attuale in qualche punto di vita, non può essere il contemporaneo, perché nel momento stesso nel quale egli pronuncia la sillaba, il fatto è già compiuto: e sta cadendo nel passato chi vuol essere semplicemente ligio ad una verità oggi brillante, domani già annubilata, dopo domani tramontata per sempre. Io amo la verità, che, come le stelle nascoste tuttora al telescopio e ricercate dal suo obbiettivo, esistono ma non sono ancora disegnate dalle carte del planisfero. Sarà prossimo il giorno in cui sorgeranno sull’orizzonte: e con più tardano a salire, con più duratura la loro permanenza.

Con questi criteri, Gian Pietro Lucini entrò, adolescente, a combattere nel torneo dei Poeti; fu subito un uomo d’armi tetro, vestito di ferro nero, panoplia imperterrita, vivente, pronta, piuttosto che a cedere, a morire nel suo chiuso ma lucido destino di lutto. Colpi ne diede, ne parò, ne accolse. Egli, per noi, resta, ancora oggi, come significazione ideale, la più misteriosa e provata figura guerriera della Poesia italiana scaraventatasi a mischia dopo il Foscolo.

Ma sappiate, oggi, dopo tanto, quello che ancora sente e confessa di sé questa nobile ermetica Maschera di ferro:

Oggi torno a professare li stessi principii, come quando incominciai: ed ho l’orgoglio di una coscienza intatta e ferma e la superbia di aver preveduto. Delle voci giovani sento vicino ripetere, con altre parole, lo stesso motivo, ancora embrionale ma sincero ed intenso. L’altra generazione che ci segue è più audace, pretende di più, ci incalza e ci vuol sorpassare: ha fretta di mettersi in mostra, ma confonde volentieri, perché è più facile, il successo col merito. Svampato l’impeto, saziato l’appetito, si fermerà a meditare: dopo, colle forze rinnovate ed allenate dalla avventura, potrà scoprire e divulgare altre verità forse opposte alle nostre e più utili. Non me ne dolgo; l’opera loro non può distruggere la nostra: la continuerà. Alcuni adolescenti generosi si sono accostumati a chiamarmi Maestro. Ed ho paura di questo onore, perché tra noi italiani, si fregiano calvizie e barbe canute, ed io mi sorprendo tuttora nello specchio, che raramente mi consiglia, con barba e capelli oscuri e pieni. Il mio vezzo di guardare avanti sempre mi svia le occhiate da quanto mi seguita: e la speranza mi sostiene oltre il merito. Però non ho mai pronunciato verdetto definitivo che lascio ai preti ed ai legislatori. Tutto quanto si dice e si spera non può essere che provvisorio: è nella attualità un anello di congiunzione a collegare il trascorso col divenire. L’ideale umano d’arte è nel cammino indefinito.

Oggi, quando le dinamo sono gonfie di energia elettrica, trasformazione della forza di una cascata, e danno luce, fondono metalli; e vi è un’entelekeja tangibile nell’atomo del radium che è la condensazione degli elettroni irradianti, oggi, al fumo delle officine e delle vaporiere, alle idealità libertarie, allo sforzo generoso delle ricchezze della mente e dei forzieri, alla grande inquietudine egoistica ed imperialista dei popoli ed alla cosciente generosità, al sacrificio divino del singolo per una conquista di scienza e di libertà: oggi, risuona consuona e dà il metro: il verso libero. Domani, conquistata e sicura la viabilità aerea, confusa la morte colla vita, fusi in una grande famiglia li uomini in pienissima libertà, l’espressione della lirica sarà la semplice parola comune e famigliare d’affetto e d’amore, la sicura parola mistica, riconfortata dalla simpatia universale; perché l’uomo avrà consacrata a sé stesso, la sua eterna divinità e non potrà più temere di sé, dei fratelli, di quanto sta sopra il firmamento e sotto, dentro le viscere fucinanti della terra. La poesia sarà imperialmente sovrana, l’accento consueto della famiglia redenta dalla ossessione del dio e dei padroni per sé ed al proprio destino.

Gian Pietro Lucini può anch’Egli combattere il Futurismo. Noi abbiamo voluto sorprenderlo in fallo con sé stesso, citando le parole più compromettenti della sua Arte Poetica, e soprattutto pubblicando i suoi versi nei quali squillano senza ritegno tutte le fanfare che hanno inspirato il Manifesto della nuova Scuola. Il che, in fine, è sperabile torni ad onore non meno del poeta discolo che dei suoi editori ed amici futuristi.

Noi, d’altronde, abbiamo comuni con lui, oltre a tante ribellioni estetiche, le rabbie che oggi maggiormente urgono nelle nostre vene, e cioè l’odio per ogni forma di politica pacifista e l’esecrazione dell’Austria.

Volgono anni di diplomazia vigliacca. Serva è più che mai l’Italia al Pangermanismo, che cova gli eventi per calare, orrendamente barbaro, contro l’anima sfolgorante degl’italiani vivi. E noi, con sulle labbra i versi esplosivi di Gian Pietro Lucini, affrettiamo l’ora divina in cui potremo, ancora giovani, scagliarci sull’orme eterne di Garibaldi alle balze del Tirolo, e, a costo della vita, accender fiamme di bandiere spiegate, su cataste di cadaveri austriaci, rovesciati nel sangue, giù dalla montagna.

Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo

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