— Olà! grandi poeti incendiarî, fratelli miei futuristi!... Olà! Paolo Buzzi, Palazzeschi, Cavacchioli, Govoni, Altomare, Folgore, Boccioni, Carrà, Russolo, Balla, Severini, Pratella, D’Alba, Mazza! Usciamo da Paralisi, devastiamo Podagra e stendiamo il gran Binario militare sui fianchi del Gorisankar, vetta del mondo!
Uscivamo tutti dalla città, con un passo agile preciso, che sembrava volesse danzare cercando ovunque ostacoli da superare. Intorno a noi, e nei nostri cuori, l’immensa ebrietà del vecchio sole europeo, che barcollava tra nuvole color di vino... Quel sole ci sbatté sulla faccia la sua gran torcia di porpora incandescente, poi crepò, vomitandosi tutto all’infinito.
Turbini di polvere aggressiva; acciecante fusione di zolfo, di potassa e di silicati per le vetrate dell’Ideale!... Fusione d’un nuovo globo solare che presto vedremo risplendere!
— Vigliacchi! — gridai, voltandomi verso gli abitanti di Paralisi, ammucchiati sotto di noi, massa enorme di obici irritati, già pronti per i nostri futuri cannoni.
«Vigliacchi! Vigliacchi!... Perché queste vostre strida di gatti scorticati vivi?... Temete forse che appicchiamo il fuoco alle vostre catapecchie?... Non ancora!... Dovremo pur scaldarci nell’inverno prossimo!... Per ora, ci accontentiamo di far saltare in aria tutte le tradizioni, come ponti fradici!... La guerra?... Ebbene, sì: essa è la nostra unica speranza, la nostra ragione di vivere, la nostra sola volontà!... Sì, la guerra! Contro di voi, che morite troppo lentamente, e contro tutti i morti che ingombrano le nostre strade!...
«Sì, i nostri nervi esigono la guerra e disprezzano la donna, poiché noi temiamo che braccia supplici s’intreccino alle nostre ginocchia, la mattina della partenza!... Che mai pretendono le donne, i sedentarî, gl’invalidi, gli ammalati, e tutti i consiglieri prudenti? Alla loro vita vacillante, rotta da lugubri agonie, da sonni tremebondi e da incubi grevi, noi preferiamo la morte violenta e la glorifichiamo come la sola che sia degna dell’uomo, animale da preda.
«Vogliamo che i nostri figliuoli, seguano allegramente il loro capriccio, avversino brutalmente i vecchi e sbeffeggino tutto ciò che è consacrato dal tempo!
«Questo v’indigna? Mi fischiate?... Alzate la voce!... Non ho udita l’ingiuria! Più forte! Che cosa? Ambiziosi?... Certamente! Siamo degli ambiziosi, noi, perché non vogliamo strofinarci ai vostri fetidi velli, o gregge puzzolente, color di fango, canalizzato nelle strade antiche della Terra!... Ma “ambiziosi” non è la parola esatta! Noi siamo piuttosto dei giovani artiglieri in baldoria!... E voi dovete, anche a vostro dispetto, abituarvi al frastuono dei nostri cannoni! Che cosa dite?... Siamo pazzi?... Evviva! Ecco finalmente la parola che aspettavo!... Ah! Ah! Bellissima trovata!... Prendete con cautela questa parola d’oro massiccio, e tornatevene presto in processione, per celarla nella più gelosa delle vostre cantine! Con quella parola fra le dita e sulle labbra, potrete vivere ancora venti secoli... Per conto mio, vi annuncio che il mondo è fradicio di saggezza!...
«È perciò che noi oggi insegnamo l’eroismo metodico e quotidiano, il gusto della disperazione, per la quale il cuore dà tutto il suo rendimento, l’abitudine all’entusiasmo, l’abbandono alla vertigine...
«Noi insegnamo il tuffo nella morte tenebrosa sotto gli occhi bianchi e fissi dell’Ideale... E noi stessi daremo l’esempio, abbandonandoci alla furibonda Sarta delle battaglie, che, dopo averci cucita addosso una bella divisa scarlatta, sgargiante al sole, ungerà di fiamme i nostri capelli spazzolati dai proiettili... Così appunto la calura di una sera estiva spalma i campi d’uno scivolante fulgòre di lucciole.
«Bisogna che gli uomini elettrizzino ogni giorno i loro nervi ad un orgoglio temerario!... Bisogna che gli uomini giuochino d’un tratto la loro vita, senza spiare i biscazzieri bari e senza controllare l’equilibrio delle roulettes, stando chini sui vasti tappeti verdi della guerra, covati dalla fortunosa lampada del sole. Bisogna, – capite? – bisogna che l’anima lanci il corpo in fiamme, come un brulotto, contro il nemico, l’eterno nemico che si dovrebbe inventare se non esistesse!...
«Guardate laggiù, quelle spiche di grano, allineate in battaglia, a milioni... Quelle spiche, agili soldati dalle baionette aguzze, glorificano la forza del pane, che si trasforma in sangue, per sprizzar dritto, fino allo Zenit. Il sangue sappiatelo, non ha valore né splendore, se non liberato, col ferro o col fuoco, dalla prigione delle arterie! E noi insegneremo a tutti i soldati armati della terra come il sangue debba essere versato... Ma, prima, converrà ripulire la grande Caserma dove voi pullulate, insetti che siete!... Ci vorrà poco... Frattanto, cimici, potete ancora tornare, per questa sera, agl’immondi giacigli tradizionali, su cui noi non vogliamo più dormire!»
Mentre volgevo loro le spalle, io sentii, dal dolore della mia schiena, che troppo a lungo avevo trascinato, nella rete immensa e nera della mia parola, quel popolo moribondo, coi suoi ridicoli guizzi di pesce ammucchiato sotto l’ultima ondata di luce che la sera spingeva alle scogliere della mia fronte.